Attratti dal buco nero. I preliminari
di
Yuko
genere
fantascienza
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“scusate, sono in ritardo, ma arrivo!”
“ok, che ti è successo? Tutto bene?”
“si, si, scusate, sono stata rapita dagli alieni, ma ora ho sistemato; mezz'ora e sono lì”
“hahaha!!! Ok, ti aspettiamo per il caffè, fai con comodo!”
'Rapita dagli alieni... mai più nessuno penserebbe che una simile eventualità si possa concretizzare nella propria vita. La cosa più inverosimile che si possa immaginare.
Ed ora, invece, sono qui, in attesa del colloquio con il dottor Morr, organizzatore e responsabile di una spedizione senza ritorno. Che ci faccio qui? E perchè diavolo mi hanno contattata? Si, beh... e io perchè ho risposto?'
Quel rapido scambio di mail, ritornata dall'esperienza del polo sud.
Necessità di un medico... viaggi interplanetari... ibernazione...
E soprattutto, inequivocabile, imprescindibile: viaggio senza ritorno assicurato.
“Buongiorno, sono il dottor Morr, Hermann Morr!”
L'uomo le tese la mano, un'espressione convincente, sicura, che infonde fiducia.
'E perchè l'hanno messo a capo di questa spedizione???' mi chiedo.
Poche parole, un rapido scambio di opinioni, concetti concisi, ma fortunatamente chiari per presentarsi ed intavolare un colloquio.
“Senza ritorno assicurato?”
“Sì, dottoressa Nikura. Missione suicida suonava proprio male, almeno non prima di un preliminare incontro informativo.”
“Mi chiami Yuko, dottore.”
“Siamo colleghi; Hermann, piacere!”
“Perchè pensate che io sia la persona giusta per una missione suicida?”
“Preferisco chiamarla “senza ritorno”. Il termine suicida sarebbe un po' improprio.”
“Spiegami meglio, Hermann.”
“Yuko, saprai di sicuro che da anni si progetta di andare su Marte.”
“Siamo già pronti?”
“No, ma ci si lavora. Questa non è una missione su Marte, ma una sperimentazione per alcune questioni fondamentali in preparazione per il pianeta rosso.”
“Ti seguo.”
“Ok.” Il dottor Morr si schiarì la voce. “Questa in realtà sarà una missione diretta a Proxima Centauri.”
“Proxima Centauri???” Yuko era sbalordita. “Ma se mi dici che non siamo ancora pronti per un pianeta del sistema solare, cosa cavolo ci si mette ad organizzare una spedizione su un'altra stella???”
“Ci arrivo subito, Yuko. Capisci che la faccenda è molto delicata!”
“In realtà non ci sto capendo nulla.”
“Ok, ok!” Il dottor Morr si prese un poco di tempo. Si alzò per accendersi una sigaretta. L'accendino però non funzionava. Con un filo di stizza buttò accendino e sigarette sul grosso tavolo del suo studio. Stava cercando le parole giuste.
“Allora Yuko”, riprese, “la sperimentazione consiste nel mettere alla prova un paio di teorie, ipotizzate, ma mai verificate, di essenziale importanza per il viaggio su Marte. La prima è relativa al funzionamento di un motore atomico a ioni.”
“Abbiamo costruito un motore atomico a ioni???”
“Ovviamente occorre una conferma sperimentale. Questo sarebbe il primo step della spedizione che ti proponiamo. La vostra navicella sarà inviata vicino al sole per ottenere la possibilità di una fionda gravitazionale. Sai di cosa parlo?”
“Penso di sì, mi appassiona l'astrofisica. Inviando un oggetto vicino al sole, la grande forza gravitazionale lancerebbe questo ad una velocità enormemente moltiplicata.”
“Esattamente, Yuko! Con un motore a ioni il viaggio sarebbe enormemente abbreviato in termini di tempo.” Il dottor Morr stava riprendendo fiducia.
“Questa combinazione ci servirebbe per inviare le navicelle su Marte, risparmiando anni di viaggio ed una considerevole quantità di propellente.”
“E che centra Proxima? Non si può provare a lanciarci direttamente su Marte?”
“Non siamo ancora pronti, Yuko. La meccanica va verificata ed occorrono molti altri esperimenti per dirimere varie questioni, e mandare ora un equipaggio su Marte, senza poterne garantire il ritorno, sarebbe una pubblicità...”
“Non molto produttiva.” Concluse la giapponese.
“Esattamente. Però si può studiare una rotta verso Proxima Centauri.”
“Ma come pensate che un equipaggio umano possa arrivare fino a laggiù? Mai nessuna sonda è stata inviata e, insomma, ci sono più di quattro anni luce, ci vorranno centinaia di anni per...”
“Un attimo, Yuko. La sperimentazione non prevede di arrivare a quella lontana stella. In effetti i tempi sarebbero troppo lunghi, anche solo per una comunicazione via radio.”
“Ok. E qual è, allora, la seconda sperimentazione?”
“Appunto. Nel lungo viaggio che vi accingete a fare, sarete ibernati. Non esistono sperimentazioni di viaggi umani in ibernazione. Questo è il secondo termine da indagare, in preparazione alla spedizione su Marte.” Snocciolò sintetico il capo spedizione.
“È per questo, allora che vi serviva un medico?”
“Esattamente.”
Con tutti quegli “esattamente”, il dottor Morr cominciava ad irritare la giovane orientale. Ma in fondo questo era solo un colloquio preliminare e lei se ne sarebbe potuta andare in ogni momento. Oppure la prosecuzione sarebbe stata con altro personale. Il dottor Morr doveva rompere il ghiaccio e prendersi la parte più difficile dei colloqui di selezione.
“Nel vostro viaggio fino a Proxima Centauri, sarete ibernati. La strumentazione manderà sulla Terra tutti i vostri dati, ma all'incirca ogni 5 anni sarete risvegliati per eseguire una visita medica molto più accurata e completa, un'analisi dello stato psicologico, dello stato emotivo, e quant'altro.”
“E questi dati saranno la base per le spedizioni nel sistema solare?”
“Esattamente!”
“Ma scusami, Hermann.” Yuko abbassò la voce, chinando il busto verso il suo interlocutore.
“Davvero volete raccogliere dati da una spedizione che impiegherà centinaia di anni per raggiungere la meta, portando una decina di cadaveri su un'altra stella? Una costosissimo sepolcro viaggiante che manda dati di corpi umani morti? Ma come diavolo pensi che un viaggio verso un'altra stella possa fornirvi dati utili per una spedizione interplanetaria?”
“Quattro! Sarete in quattro a viaggiare.”
“Va bene, un mausoleo con quattro cadaveri umani.”
Hermann assorbì il colpo. Si capiva che era ben preparato e che le stesse obiezioni le aveva affrontate ormai più volte.
“Allora, Yuko. Non siamo qui per farti perdere tempo, né io ho troppo tempo da dedicare a questi colloqui preliminari.”
“Esattamente!” Questa soddisfazione, la giapponese se l'era voluta prendere. Hermann la guardò storto, ma poi si mise a sorridere. In fondo doveva essere un brav'uomo e quel ruolo non era certo dei più facili. La battuta della dottoressa, se non altro, era servita per alleggerire la tensione.
“I dettagli tecnici”, riprese Hermann più rilassato, “ti saranno spiegati da personale più competente di me. In sintesi, Yuko, voi sarete sparati fuori dal sistema solare dalla fionda gravitazionale del campo di attrazione del sole.”
“Vai avanti.”
“In quella direzione sarete attratti da un buco nero, o meglio, noi pensiamo che a circa 1,5 anni luce ci sia un piccolo buco nero, che vi scaglierà, come una seconda fionda, verso Proxima Centauri. La vostra velocità, tra la prima fionda, l'attrazione da parte del buco nero, la successiva fionda, ed il motore atomico a ioni si aggirerà all'incirca al 30% della velocità della luce.”
“Un terzo della velocità della luce??? 90.000 chilometri al secondo???”
“Esattamente!”
“Ma a quella velocità, il tempo per noi scorrerà lentissimo!!!”
“Non esattamente. Il tempo rallenterà poco a quella velocità. Un secondo sulla navicella sarà equivalente a neanche un secondo e mezzo sulla Terra, ma sarà la potente forza gravitazionale che farà sì che il vostro viaggio, visto dalla navicella, duri solo 4 anni. Il viaggio totale avrà una durata, vista dalla Terra, di una quindicina di anni.”
Ormai si era nel completo delirio. Ogni cosa, ogni affermazione, ogni esistenza poteva essere messa in dubbio ed avere la stessa probabilità di essere vera, come l'esatto contrario.
“Dobbiamo verificare come gestire un'ibernazione di cinque anni terrestri, che in realtà, per voi, saranno solo un anno e quattro mesi”, riprese il responsabile del progetto, “e come i corpi umani resistono a quelle velocità ed accelerazioni.”
“Ok, Hermann, comincio a capire. Ma il nostro viaggio durerà, in riferimento alla Terra, 15 anni. Che utilità può avere per Marte una casistica che conoscerete solo tra 15 anni più altri quattro perchè le onde radio arrivino sulla Terra dalla distanza di quattro anni luce?”
“Beh, il viaggio sarà 15 anni per noi, ma molto di meno per voi, e comunque”, fece una pausa significativa, “a noi basterà il dato dei primi cinque anni.”
“Ah, beh, certo, per una missione su Marte...” considerò l'asiatica. “Ma i dati che vi manderemo nei successivi risvegli? Diciamo... i successivi due risvegli, considerando che viaggeremo per quindici anni, verso Proxima?”
Il dottor Morr non rispose nulla, limitandosi a serrare le labbra, fissando la collega negli occhi, con un'espressione intensa e significativa.
“Ho capito!” concluse la giovane dottoressa.
“Grazie”, sospirò Hermann, come se gli fosse appena stata condonata la pena capitale.
“Entriamo nel vivo del dialogo, cara Yuko.”
Quel “cara” non lasciava presagire nulla di buono, ma del resto il motivo per cui adesso lei era qui, non concedeva all'asiatica grosse aspettative.
“È quasi certo che il motore atomico a ioni funzioni bene, come pure che sopravviverete all'ibernazione dei primi cinque anni. Il motivo della spedizione sostanzialmente si conclude qui.”
Piccola pausa del discorso. La nipponica seguiva con molta attenzione lo svolgersi della questione.
“La possibilità che esista un buco nero là dove vi invieremo è concreta, ma tutt'altro che provata, diciamo che forse c'è un 10% di possibilità che esista davvero e che sia in quella posizione. Comunque vada, i primi due punti del progetto, quelli che ci interessano e che giustificano la spedizione, saranno verificati e di enorme importanza.”
“Ma allora perchè inventarsi quella palla su Proxima Centauri?”
“Beh, Yuko, in fondo non è tanto una palla. Se il buco nero esiste e se non ci finite dentro”, il dottore si schiarì ancora la gola, “ e se l'orbita è esatta, finirete nel campo gravitazionale di quella stella. In effetti è stata dimostrata l'esistenza di un sistema planetario e il pianeta Proxima b ha una massa tale che potrebbe ospitare una propria atmosfera, e una distanza dalla stella per cui la temperatura in superficie dovrebbe essere ottimale per ospitare forme di vita, con acqua e gas respirabili.”
“Mi sembra che ci siano parecchi “se” e numerosi condizionali!”
“Già, però le osservazioni sulle emissioni di Proxima b hanno evidenziato in modo inequivocabile che quel pianeta emette più radiazioni di quelle che riceve dalla stella.
“E quindi?”
“Quindi significa che sulla sua superficie c'è qualcosa che emette onde radio ed altre radiazioni che potrebbero testimoniare l'esistenza di forme di vita intelligente.”
“Mi sembra un'ipotesi molto tirata per i capelli.”
“Sì, ma comunque non è quello lo scopo della missione.”
“Capisco.” Yuko si prese una piccola pausa per riordinare le idee. “Probabilità di raggiungere Proxima b?”
Il dottor Morr scoppiò in una genuina risata, lasciandosi cadere sul divano, finalmente con un'espressione rilassata, come di fronte ad una battuta conclusiva, per sdrammatizzare.
“Hermann, non sto scherzando.”
“Zero.”
”Nel senso di zero virgola zero, zero, zero, zero, uno?”
“No, Yuko. Nel senso di zero, e basta. La possibilità che il motore a ioni funzioni senza danneggiare i meccanismi fisiologici del nostro corpo te la do, diciamo, al 90%. Se non cadete nel Sole e bruciate, nel sonno intendo, sarete indirizzati fuori dal piano dell'orbita dei pianeti, verso un ipotetico buco nero. Diciamo che dovrebbe esistere con una probabilità del 10-15%. Ammesso che esista il buco nero, con la massa calcolata esattamente, sareste scagliati verso Proxima Centauri. Possibilità di entrare in orbita intorno alla stella.... diciamo una su mille. Poi da lì ad intercettare l'orbita di Proxima b, che ne so, forse una su un miliardo. Possibilità di essere agganciati dal pianeta...”
“Va bene, ho capito. E comunque a voi interessa solo la prima parte del viaggio.”
“Esattamente.”
“E cosa vi fa pensare che io accetti di partecipare a questa missione suicida?”
“Senza ritorno.” corresse Hermann.
“Sì, ok. E perchè mi avete contattata?”
“Il fatto che tu sia qui a parlarne è già una risposta.”
“Mmmh! Questa te la concedo, Hermann. Un buon inizio!”
Il dottore fece un piccolo inchino. La questione entrava veramente sul vivo.
“Vedi, Yuko, ci sei stata segnalata dal responsabile della missione al polo sud.”
“Ah si?”
“Esattamente. Tu sei stata per sei mesi da sola, di notte, nella base internazionale in Antartide.”
“Beh, non proprio da sola.”
“Certo, ogni mese tornavano le spedizioni, rimanevano un giorno in cui tu eseguivi tutte le visite mediche e poi loro ripartivano, lasciandoti di nuovo da sola.”
“Continua.”
“Cosa spinge una persona, soprattutto una donna, a lasciare tutto, lavoro, amicizie, famiglia, hobby e affetti per starsene da sola, nel buio più totale del polo sud mentre è notte, senza poter uscire, nel posto più freddo ed inospitale del pianeta, e rimanerci sei mesi, opzionando i successivi sei?”
“Molti motivi. Osservazione delle aurore polari? Di certo non istinti suicidi!”
“Ma a noi non serve una dottoressa con istinti suicidi!”
Alla fine, il colloquio con il dottor Morr era stato per Yuko molto interessante. Un'occasione per riflettere su alcune scelte della propria vita. Al suo termine, pur non formulando la piena accettazione al programma, era come se la giapponese avesse passato un primo esame di idoneità.
La decisione di partecipare alla missione era tutt'altro che maturata, ma la nipponica si era risolta a continuare le prove di selezione e di formulare la scelta finale solo alla fine, se avesse passato tutti i successivi esami.
L'equipaggio in realtà era già stato selezionato e mancava solo un partecipante.
Lei, come medico, era la figura che mancava, ma molto ancora rimaneva da testare prima di poter essere giudicata idonea.
Il fatto di essere medico era già un requisito molto importante.
Le fu condonato un successivo test, grazie all'esperienza in Antartide, che consisteva nella verifica della capacità di sopravvivere decorosamente nel buio e nell'oscurità per lunghi tempi. Senza uscire matti, per dirla breve.
Già la mattina successiva aveva in programma un lungo colloquio con lo psicologo.
Lo specialista la fece accomodare nel suo studio, ove le indicò una comoda poltrona.
“Buongiorno, sono Yuko Nikura.”
“La stavo aspettando, si accomodi.”
“Lei è il dottor?”
“Facciamo che il mio nome è “Senzaidentità”, meglio non entrare troppo in confidenza.”
“Intende con “noi” che non torneremo mai più indietro?”
“In fondo dobbiamo solo fare un colloquio”, si giustificò lo psicologo.
“Sono pronta. Di cosa dobbiamo parlare?”
“Vorrei giusto capire se lei ha istinti suicidi.”
“Beh, chi si presenta a questa selezione, credo non abbia un mostruoso attaccamento alla vita.”
“Il dottor Morr avrebbe risposto “esattamente”. Ma lei, Yuko, cosa si aspetta da questa missione?”
“Direi, Senzaidentità, che sono più gli altri ad aspettarsi qualcosa. Io, personalmente, non mi aspetto nulla. Avrò tempo per pensare. Non molto, visto che sarò ibernata, ma avrò qualche buona occasione prima del decollo e in qualche giornata, da soli nello spazio, quando vedrò il Sole da lontano, come una piccola stella gialla dispersa nella galassia.”
“A cosa penserà, Yuko?”
“Potrei pensare a che cosa è andato storto nella mia esistenza, ma avrebbe poca utilità per me, e nessuna per gli altri.”
“Giusto. Quindi?”
“Quindi potrei pensare a vivere bene il tempo che mi rimane, anche se poco, molto frazionato e a miliardi di chilometri dal mio pianeta.”
Senzaidentità sorrise. “E come farà a vivere bene, praticamente da sola, senza possibilità di muoversi, di prendere alcuna decisione?”
“Una decisione si può sempre prendere e, anche dopo la partenza, sarà sempre possibile. Una cosa che mi ha garantito il dottor Morr.”
“Forse anche tre, Yuko: togliersi la vita, e questa scelta, è vero, sarà sempre resa possibile; lasciarsi morire, passivamente, oppure vivere attivamente!”
“Secondo me è una scelta sola quella che rimane. Togliersi la vita, oppure non scegliere. Ma se si resta in vita, quello che si farà necessariamente sarà attivo. È attiva anche la decisione di non fare nulla.”
“D'accordo. Secondo te, che differenza c'è tra togliersi la vita e lasciarsi morire?”
“Entrambe sono scelte attive. Ma togliersi la vita significa non aspettarsi più nulla dalla vita, non accettare neanche di stare a vedere; forse, anche vigliaccamente, significa rifiutare anche la curiosità, la possibilità, l'interesse, o la sfida che la vita possa ancora regalare qualcosa di buono, di valido, per cui sia valsa la pena di aver vissuto e di vivere ancora.”
“E non è forse quello che sta andando a fare, partendo per la missione?”
“No, io non vado per togliermi la vita. Io voglio vivere.”
“Ne è sicura? Davvero “vuole” vivere?”
“La scelta di lasciarsi morire, invece”, rispose la giovane, eludendo la domanda diretta, “in un certo senso è più passiva. Mette in rilievo che forse non si ha il coraggio di autosopprimersi direttamente, ma almeno si lascia uno spiraglio, si regala alla vita la possibilità di stupirci ancora, si vuole vedere fino in fondo come va a finire.”
“E la sua scelta, Yuko, qual è?”
“Di vivere “a tempo determinato”.”
“Sarebbe?”
“Avere una scadenza. Io mi troverò in situazioni nuove, avrò ancora una possibilità e un termine ben preciso. Non dovrò preoccuparmi della vita per come l'ho intesa fino ad ora, con le sue questioni ed i suoi problemi, ma avrò una nuova opportunità. Potrò giocare di nuovo le mie carte, al meglio delle mie possibilità e delle mie esperienze, nel contesto in cui mi troverò, con l'enorme vantaggio che saprò fin dall'inizio, che la partita a carte terminerà presto.”
“Giocare il tutto per tutto?”
“”Esattamente”!”
“Per me è abbastanza. Auguri, Yuko!”
Yuko non sapeva della presenza di partecipanti a quelle selezioni. Forse era lei l'unica e in qualche modo l'avrebbero comunque dovuta accettare, lasciando solo a lei la scelta finale, quindi, se andare incontro ad un futuro molto incerto, e forse anche ad una morte a breve termine, oppure se lasciar perdere e riprendere in qualche modo la sua solita vita, quella esistenza che in fondo, in quei momenti, stava decidendo di abbandonare per sempre.
Fu la prova successiva a darle la risposta che cercava.
Doveva sostenere un corso per adattarsi alla vita con i respiratori nella tuta spaziale. Un corso che però era, innanzitutto, un'ulteriore verifica se lei fosse stata in grado di partecipare al successivo addestramento. Da indiscrezioni sembrava che questo test fosse molto duro e selettivo. L'istruttrice non era persona da regalare nulla e sembrava quasi gioire nel bocciare i soggetti selezionati, bloccandone il percorso di selezione.
“Sai bene, spero, che se io non ti darò l'idoneità, il tuo percorso di cosmonauta finisce qui, vero?”
“Certo”. La donna che Yuko si trovava di fronte non era tipo da battute o ironie.
Il posto era magnifico; il Luthien diving center di cala Gonone si trovava in uno dei posti più belli della Sardegna, ma la proprietaria, e istruttrice, sembrava avere in antipatia quel tipo di corso.
Si era presentata proprio così. Luthien, e basta, e pareva che il suo scopo fosse proprio quello di umiliare e stroncare le persone che le venivano inviate dall'agenzia spaziale. Non era lecito conoscere altro nome, e mantenere le distanze era una regola assolutamente da rispettare.
Forse perchè coloro che si presentavano non avevano nulla a che fare con il mondo subacqueo, né ci si sarebbero mai immersi, una volta finito il corso. O forse, pensò Yuko, per evitare di affezionarsi a gente dal destino in qualche modo segnato.
“Che brevetto hai già di sub?”
“Nessun brevetto.”
Luthien ricontrollò la scheda che aveva sotto le mani.
“Ci deve essere un errore.” Sbirciò da sopra gli occhiali di lettura la persona che le stava di fronte.
“Ma neanche un pezzo di carta? Quelle cagate che rilasciano sul mar Rosso o posti del genere?”
“No, mai fatto sub in vita mia.”
“Forse ti hanno mandato qui per sbaglio. È meglio se riparti e te ne torni a casa.”
“Veramente il dottor Morr...”
“Me ne fotto del dottor Morr. Se io decido che una persona non è idonea, questa fa le valigie e se ne torna a casa, qualunque cosa dica Hermann Morr!”
“Forse dovrebbe almeno lasciarmi una possibilità.”
Di nuovo Luthien sbirciò da sopra gli occhialetti da lettura. L'espressione scocciata era molto eloquente. L'istruttrice fece però un lungo sospiro.
“Cosa sai dell'ossigeno? Delle miscele?”
“Mi occupo spesso di ventilazione, per lavoro, ossigeno con frazione inspiratoria variabile, pressioni positive, volumi correnti.”
“Sei una pneumologa?”
“Medico intensivista.”
La sarda fece una lunga pausa, continuando a fissare il volto della giapponese. Lo sguardo tradiva un conflitto che si stava svolgendo nella sua mente.
“D'accordo, signora dottoressa medico intensivista”, riprese finalmente, alzandosi in piedi con fare conclusivo, “visto che sei così esperta di ossigeno e respirazione, ti faccio saltare il primo test e iniziamo direttamente dal secondo. Se passi i test, ti faccio il corso, se no te ne torni a ventilare i tuoi pazienti.”
Il corso si presentava davvero molto impegnativo. In fondo però, era vero che se non si era in grado di imparare rapidamente come gestire la propria respirazione in uno scafandro per viaggi fuori dall'atmosfera, si sarebbe andati ben presto incontro alla morte, magari soffocati dal proprio vomito, e gli investimenti in gioco erano tali da non concedere nessun margine di errore nella selezione dei candidati. E forse il tempo a disposizione era diventato di colpo molto poco.
Yuko si vestì di una muta da 5 millimetri e fu portata al largo di cala Fuili, in una zona di fondali profondi.
Le istruzioni di Luthien furono rapide ed essenziali.
“Verrai immersa alla profondità di 10 metri. Sullo scafandro ti verrà messo un cappuccio nero, non vedrai nulla, neanche dov'è il sopra e il sotto. Hai aria solo per 10 minuti, calcolati per una respirazione normale. Io ti farò uscire a 15 minuti. Allo scadere del dodicesimo minuto io sarò accanto a te, ma tu non lo saprai. Non hai alcun modo per misurare il tempo che passa. Se a 12 minuti sei già priva di coscienza, ti porto fuori e ti prendi il primo traghetto, se no aspetto i 15 minuti, anche se perdi coscienza a 12 minuti e 5 secondi. Tanto, lo sai anche tu che per tre minuti non muori. Poi, visto che sei così “esperta” di ventilazione, non avrai problemi.”
Yuko non se la prese per il tono umiliante. Sapeva quanto fosse importante la corretta respirazione ed il controllo di ansie e paure. Lassù nello spazio, non ci sarebbe stato nessuno a tirarla fuori dopo 12 minuti, e la missione non poteva fallire per una banalità. Non c'era sicuramente il tempo per un addestramento completo da cosmonauta e quella, che era l'unica strada percorribile, doveva necessariamente essere molto severa e precisa.
Ferma immobile per non consumare ossigeno, si trovava ora nell'acqua fresca, pur non potendo apprezzarne la cristallina limpidezza. La muta spessa la proteggeva dal freddo. Aveva 15 minuti per meditare su tante cose della sua vita, ora che ne poteva percepire chiaramente il confine con la morte, facendo attenzione a risparmiare ossigeno per sopravvivere, ed evitare di svenire in pieno affanno.
In fondo non era certo quello il suo primo dialogo con la morte, abituata a rischiare la vita in pericolose imprese alpinistiche.
Iniziò a concentrarsi sui mesi passati in Antartide, a quello che pensava e provava nel periodo in cui aveva accettato l'incarico. Al bisogno si staccarsi dal mondo e dalla gente, prendersi una pausa da tutto e principalmente da tutti. E ricordò come era stata bene, da sola con i propri pensieri ed i ricordi, belli o brutti, delle proprie esperienze. Dei casini che sapeva combinare nei rapporti con le persone. Ricordò i momenti forti passati in barca a vela ed in montagna, soprattutto nelle sue imprese solitarie, su vie di roccia e di ghiaccio, non particolarmente difficili, ma pericolose se affrontate da sola.
Quanto stava bene da sola, a tu per tu con la natura, nel pericolo, affrontando i rischi e sentendo affinarsi tutti i sensi e le percezioni, potenziarsi i pensieri e le capacità per sopravvivere alle micidiali sfide cui si sottoponeva!
E tutto questo per ricompensare i suoi disastri nelle relazioni umane. Combinare guai cercando di raggiungere e soddisfare i bisogni delle persone che incontrava, qualunque bisogno, e qualunque soluzione.
Si sentì toccare una mano, delicatamente. Sott'acqua e incappucciata non poteva vedere nulla.
Qualcosa le spostava la mano invitandola a muoversi. Cosa era andato storto?
Si mosse con qualche colpo di pinna finchè, in superficie, le venne tolto il cappuccio nero.
Sfilò lo scafandro, copia simile a quello che avrebbe indossato in missione spaziale e si guardò intorno. Luthien la guardava incuriosita, la fronte corrugata.
Yuko si guardò il corpo, fluttuante nell'acqua limpida, nella delicata sfumatura turchese. Il sole filtrava sotto la superficie del mare, disegnandole losanghe ed arabeschi iridescenti sulla muta fucsia e blu.
Turbata per le riflessioni che l'avevano accompagnata sott'acqua non disse parola, come pure la sua istruttrice non proferì verbo.
Sedute una di fronte all'altra sui sedili da campeggio al diving center, due bottigliette di birra appannate davanti a loro, Luthien la fissava senza sapere come iniziare il discorso.
“Yuko....”, cominciò; e continuava ad osservarla con la fronte aggrottata, “avevi ancora 4 minuti di aria. Mi spieghi come hai fatto?”
“Non so, Luthien, scusami”, si allarmò lei, “mi sono immersa in pensieri, ricordi. Lì, al buio, sospesa nel vuoto, cullata dalla marea... Quando mi hai toccato la mano pensavo che fossero passati pochi minuti e che ci fosse stato un problema.”
La sarda intanto scuoteva la testa in segni di diniego.
“Siamo rimaste sotto 16 minuti. Hai respirato ad una frequenza di 3 atti al minuto, e neanche molto profondi. Fai yoga, Qi Gong, meditazione orientale....?”
Yuko sorrise, strofinandosi il naso.
“Cosa hai da ridere!” si risentì immediatamente l'istruttrice. “Ti fanno ridere le discipline orientali? Ti senti superiore?”
“Ma no, Luthien, cosa dici? Guardami in faccia, ma ti pare?”
“E allora, cosa...?”
“Sono istruttrice di Qi Gong.” rispose l'asiatica, con semplicità.
“E perchè non me lo hai detto prima, benedetta ragazza?”
“Scusa... ma non me lo hai chiesto e non immaginavo...”
“Sì. Forse sono stata un po' troppo precipitosa a bollarti subito come un'incapace.” La didatta accennò ad una smorfia di stizza.
“Beh, ci sta. In fondo non ci stai preparando ad andare a vedere i pesci pagliaccio nella barriera corallina, e, chissà quanta gente passa di qui, con le pretese più assurde.”
“Sì, forse. Però quando passa una persona speciale, ecco, rischi di perderla.”
“Speciale? Io?” si stupì l'allieva.
Luthien si alzò, prendendo la bottiglietta in una mano. Con l'altra prese una mano della ragazza invitandola a seguirla. Le due donne, in costume da bagno, iniziarono a passeggiare sulla riva, per mano. Due corpi sinuosi ed aggraziati, in una delicata e affettuosa stretta di mano, il passo lento mentre profondi pensieri venivano trasformati in parole.
“Yuko, molti sono passati di qui, ma quasi nessuno ha passato questo esame, anche se erano stati giudicati idonei da Hermann e dallo psicologo.”
Fecero ancora alcuni passi in silenzio, per mano, concentrate a guardarsi la punta dei piedi nell'acqua bassa e trasparente, il capo un po' chinato in avanti, l'espressione dei volti attenta, eppure serena.
“Voi andrete nello spazio, incontro al nulla, nel buio.” Proseguì la donna-sirena.
“È come avere le bombole con un'ora d'aria ed andare in profondità nel mare, finchè dal blu intenso, diventa tutto buio. E proseguire ancora, sempre più in profondità, senza luci, senza fermare il movimento, e neppure i pensieri. Soprattutto il pensiero che l'aria finirà, e non c'è nessuna previsione di tornare in superficie, e nemmeno di rivedere la luce che avete abbandonato, senza però perderne il ricordo. E intanto l'aria viene consumata e sta finendo, e voi ne sarete perfettamente consapevoli!”
Fecero ancora qualche passo, camminando lentamente, in silenzio, osservando i giochi di luce del sole tra le onde, i riflessi sulla superficie dell'acqua.
Yuko prese la parola.
In lontananza le due donne discorrevano, avvolte dai riflessi abbaglianti del sole sulla superficie increspata del mare. Migliaia di stelle accecanti. Finchè il loro profilo non fu completamente avvolto dai bagliori e le loro silhouette scomparvero indistinte.
I giorni successivi furono molto belli ed intensi. Le due donne fecero molte immersioni, anche prolungate, con l'impiego di particolari miscele per muoversi a grande profondità; il corso e la didattica furono approfonditi e ricchi di soddisfazioni. Tanti esercizi di respirazione, yoga ed autocontrollo del battito cardiaco e del respiro.
Lunghe passeggiate in supramonte, dialogando tra di loro e con la natura aspra e selvaggia dell'entroterra sardo. Tante birre e serate passate insieme, ad ascoltare musica sorseggiando liquori pregiati.
“Non avrei dovuto affezionarmi a te, ragazza orientale.” Disse una mattina, ormai alla fine del corso, l'istruttrice di sub. “Pagherò caro questo errore.”
“E perchè mai?” cercò di consolarla la giapponese.
“Perchè io non potrò né riuscirò a dimenticarti, Yuko.”
“E quindi? Cosa ci sarà mai di male, Luthien?”
Le due donne si presero le mai e stettero una di fronte all'altra. La sarda appoggiò la fronte contro quella della giapponese. Socchiuse gli occhi qualche secondo. Chissà quali pensieri frullavano nella mente delle due anime e quanti di quei pensieri erano in grado di attraversare lo spazio ed i corpi, per diventare sensazioni tangibili nel cuore della persone di fronte.
Quando si staccarono, Yuko porse un delicato bacio sulle labbra dell'amica.
“Noi ci rivedremo, maestra, ti prometto che farò di tutto perchè questo accada.”
“Credi nella telecinesi? Dicono che i maestri di Qi Gong più esperti siano in grado di attuarla.”
“Beh... bisogna essere davvero molto molto bravi.”
Yuko era ad un giro di boa. Quasi nessuno passava il corso e l'esame di sub, e quella era stata soprattutto un'occasione per pensare e meditare, molto facilitata dall'ambiente esterno, dai paesaggi incontaminati e dall'esplorazione del mondo subacqueo.
La possibilità di proseguire l'addestramento aveva costituito per la donna orientale la risposta al quesito principale che si era posta. Ora sapeva che avrebbe accettato l'incarico e che quello era il destino che desiderava.
I successivi impegni furono tranquilli. Le fu condonato il corso di sopravvivenza in ambiente ostile, grazie alle sue numerose esperienze in grotta, sui ghiacci dell'alta montagna e sulle pareti dolomitiche, come pure gli esami di attitudine allo sforzo fisico intenso.
La formazione tecnica sulla strumentazione a bordo della navicella spaziale fu ridotto all'essenza. In realtà l'equipaggio non aveva praticamente nessuna possibilità di manovra e di interferenza con le orbite già stabilite, anche in caso di errore nei calcoli effettuati. Da Terra i tecnici avrebbero fatto il minimo indispensabile e gli unici insegnamenti riguardarono le poche mansioni destinate ai singoli componenti dell'equipaggio e la trasmissione dei dati alla base al centro di controllo dell'Agenzia Spaziale Europea.
Un capitolo importante fu comunque dedicato alle modalità di cessazione volontaria della propria esistenza. La possibilità di abbandonare la missione, in qualunque momento, era in ogni caso garantita ai membri dell'equipaggio, con l'interruzione rapida e senza dolore delle proprie funzioni vitali, a discrezione di ogni singolo, ed il conseguente abbandono della navicella, in una specie di bara sigillata. Anche in caso di morte spontanea, durante l'ibernazione o nei fugaci periodi di risveglio, il corpo sarebbe stato automaticamente escluso dalla navicella.
La data della partenza era ormai fissata e l'equipaggio al completo. Il razzo Ariane 6 dell'ESA era già pronto per trasferire i 4 cosmonauti alla navicella, ancorata alla stazione orbitante, che sarebbe stata la loro dimora definitiva.
Nessuno dei membri aveva avuto la possibilità di conoscere i compagni di spedizione.
Salutati gli amici e dopo un mese di vacanza assoluta per rivedere posti e persone, preparato un bagaglio personale essenziale e dopo un'ultima visita medica, ognuno dei partecipanti si preparò la sera precedente la partenza per l'addio definitivo al proprio pianeta.
Yuko si concesse una cena in un ristorante giapponese.
Tornata al suo appartamento si dilungò in una eterna doccia calda.
Bagnata dai rivoli d'acqua che le scorrevano come delicate carezze, contemplò quel corpo che la natura gli aveva donato. Quel corpo forte, tutto sommato bello, efficiente, funzionale.
Nessuno avrebbe più avuto occasione di vederlo o di trarne piacere.
Nè dal suo corpo, né tantomeno dai suoi pensieri, dalle sue manifestazioni emotive. E forse questo era un bene. In ogni caso, in quelle settimane di selezioni, si era rafforzata la sua convinzione in quella direzione.
Sciacquatasi dallo shampoo e dal sapone, prese in mano l'erogatore della doccia e si diresse il getto dell'acqua fra le cosce. Quella era sicuramente la sua ultima doccia, l'ultimo contatto così intenso e prolungato con l'acqua sul pianeta Terra. Molto verosimilmente quello sarebbe anche stato il suo ultimo momento di piacere erotico.
“scusate, sono in ritardo, ma arrivo!”
“ok, che ti è successo? Tutto bene?”
“si, si, scusate, sono stata rapita dagli alieni, ma ora ho sistemato; mezz'ora e sono lì”
“hahaha!!! Ok, ti aspettiamo per il caffè, fai con comodo!”
'Rapita dagli alieni... mai più nessuno penserebbe che una simile eventualità si possa concretizzare nella propria vita. La cosa più inverosimile che si possa immaginare.
Ed ora, invece, sono qui, in attesa del colloquio con il dottor Morr, organizzatore e responsabile di una spedizione senza ritorno. Che ci faccio qui? E perchè diavolo mi hanno contattata? Si, beh... e io perchè ho risposto?'
Quel rapido scambio di mail, ritornata dall'esperienza del polo sud.
Necessità di un medico... viaggi interplanetari... ibernazione...
E soprattutto, inequivocabile, imprescindibile: viaggio senza ritorno assicurato.
“Buongiorno, sono il dottor Morr, Hermann Morr!”
L'uomo le tese la mano, un'espressione convincente, sicura, che infonde fiducia.
'E perchè l'hanno messo a capo di questa spedizione???' mi chiedo.
Poche parole, un rapido scambio di opinioni, concetti concisi, ma fortunatamente chiari per presentarsi ed intavolare un colloquio.
“Senza ritorno assicurato?”
“Sì, dottoressa Nikura. Missione suicida suonava proprio male, almeno non prima di un preliminare incontro informativo.”
“Mi chiami Yuko, dottore.”
“Siamo colleghi; Hermann, piacere!”
“Perchè pensate che io sia la persona giusta per una missione suicida?”
“Preferisco chiamarla “senza ritorno”. Il termine suicida sarebbe un po' improprio.”
“Spiegami meglio, Hermann.”
“Yuko, saprai di sicuro che da anni si progetta di andare su Marte.”
“Siamo già pronti?”
“No, ma ci si lavora. Questa non è una missione su Marte, ma una sperimentazione per alcune questioni fondamentali in preparazione per il pianeta rosso.”
“Ti seguo.”
“Ok.” Il dottor Morr si schiarì la voce. “Questa in realtà sarà una missione diretta a Proxima Centauri.”
“Proxima Centauri???” Yuko era sbalordita. “Ma se mi dici che non siamo ancora pronti per un pianeta del sistema solare, cosa cavolo ci si mette ad organizzare una spedizione su un'altra stella???”
“Ci arrivo subito, Yuko. Capisci che la faccenda è molto delicata!”
“In realtà non ci sto capendo nulla.”
“Ok, ok!” Il dottor Morr si prese un poco di tempo. Si alzò per accendersi una sigaretta. L'accendino però non funzionava. Con un filo di stizza buttò accendino e sigarette sul grosso tavolo del suo studio. Stava cercando le parole giuste.
“Allora Yuko”, riprese, “la sperimentazione consiste nel mettere alla prova un paio di teorie, ipotizzate, ma mai verificate, di essenziale importanza per il viaggio su Marte. La prima è relativa al funzionamento di un motore atomico a ioni.”
“Abbiamo costruito un motore atomico a ioni???”
“Ovviamente occorre una conferma sperimentale. Questo sarebbe il primo step della spedizione che ti proponiamo. La vostra navicella sarà inviata vicino al sole per ottenere la possibilità di una fionda gravitazionale. Sai di cosa parlo?”
“Penso di sì, mi appassiona l'astrofisica. Inviando un oggetto vicino al sole, la grande forza gravitazionale lancerebbe questo ad una velocità enormemente moltiplicata.”
“Esattamente, Yuko! Con un motore a ioni il viaggio sarebbe enormemente abbreviato in termini di tempo.” Il dottor Morr stava riprendendo fiducia.
“Questa combinazione ci servirebbe per inviare le navicelle su Marte, risparmiando anni di viaggio ed una considerevole quantità di propellente.”
“E che centra Proxima? Non si può provare a lanciarci direttamente su Marte?”
“Non siamo ancora pronti, Yuko. La meccanica va verificata ed occorrono molti altri esperimenti per dirimere varie questioni, e mandare ora un equipaggio su Marte, senza poterne garantire il ritorno, sarebbe una pubblicità...”
“Non molto produttiva.” Concluse la giapponese.
“Esattamente. Però si può studiare una rotta verso Proxima Centauri.”
“Ma come pensate che un equipaggio umano possa arrivare fino a laggiù? Mai nessuna sonda è stata inviata e, insomma, ci sono più di quattro anni luce, ci vorranno centinaia di anni per...”
“Un attimo, Yuko. La sperimentazione non prevede di arrivare a quella lontana stella. In effetti i tempi sarebbero troppo lunghi, anche solo per una comunicazione via radio.”
“Ok. E qual è, allora, la seconda sperimentazione?”
“Appunto. Nel lungo viaggio che vi accingete a fare, sarete ibernati. Non esistono sperimentazioni di viaggi umani in ibernazione. Questo è il secondo termine da indagare, in preparazione alla spedizione su Marte.” Snocciolò sintetico il capo spedizione.
“È per questo, allora che vi serviva un medico?”
“Esattamente.”
Con tutti quegli “esattamente”, il dottor Morr cominciava ad irritare la giovane orientale. Ma in fondo questo era solo un colloquio preliminare e lei se ne sarebbe potuta andare in ogni momento. Oppure la prosecuzione sarebbe stata con altro personale. Il dottor Morr doveva rompere il ghiaccio e prendersi la parte più difficile dei colloqui di selezione.
“Nel vostro viaggio fino a Proxima Centauri, sarete ibernati. La strumentazione manderà sulla Terra tutti i vostri dati, ma all'incirca ogni 5 anni sarete risvegliati per eseguire una visita medica molto più accurata e completa, un'analisi dello stato psicologico, dello stato emotivo, e quant'altro.”
“E questi dati saranno la base per le spedizioni nel sistema solare?”
“Esattamente!”
“Ma scusami, Hermann.” Yuko abbassò la voce, chinando il busto verso il suo interlocutore.
“Davvero volete raccogliere dati da una spedizione che impiegherà centinaia di anni per raggiungere la meta, portando una decina di cadaveri su un'altra stella? Una costosissimo sepolcro viaggiante che manda dati di corpi umani morti? Ma come diavolo pensi che un viaggio verso un'altra stella possa fornirvi dati utili per una spedizione interplanetaria?”
“Quattro! Sarete in quattro a viaggiare.”
“Va bene, un mausoleo con quattro cadaveri umani.”
Hermann assorbì il colpo. Si capiva che era ben preparato e che le stesse obiezioni le aveva affrontate ormai più volte.
“Allora, Yuko. Non siamo qui per farti perdere tempo, né io ho troppo tempo da dedicare a questi colloqui preliminari.”
“Esattamente!” Questa soddisfazione, la giapponese se l'era voluta prendere. Hermann la guardò storto, ma poi si mise a sorridere. In fondo doveva essere un brav'uomo e quel ruolo non era certo dei più facili. La battuta della dottoressa, se non altro, era servita per alleggerire la tensione.
“I dettagli tecnici”, riprese Hermann più rilassato, “ti saranno spiegati da personale più competente di me. In sintesi, Yuko, voi sarete sparati fuori dal sistema solare dalla fionda gravitazionale del campo di attrazione del sole.”
“Vai avanti.”
“In quella direzione sarete attratti da un buco nero, o meglio, noi pensiamo che a circa 1,5 anni luce ci sia un piccolo buco nero, che vi scaglierà, come una seconda fionda, verso Proxima Centauri. La vostra velocità, tra la prima fionda, l'attrazione da parte del buco nero, la successiva fionda, ed il motore atomico a ioni si aggirerà all'incirca al 30% della velocità della luce.”
“Un terzo della velocità della luce??? 90.000 chilometri al secondo???”
“Esattamente!”
“Ma a quella velocità, il tempo per noi scorrerà lentissimo!!!”
“Non esattamente. Il tempo rallenterà poco a quella velocità. Un secondo sulla navicella sarà equivalente a neanche un secondo e mezzo sulla Terra, ma sarà la potente forza gravitazionale che farà sì che il vostro viaggio, visto dalla navicella, duri solo 4 anni. Il viaggio totale avrà una durata, vista dalla Terra, di una quindicina di anni.”
Ormai si era nel completo delirio. Ogni cosa, ogni affermazione, ogni esistenza poteva essere messa in dubbio ed avere la stessa probabilità di essere vera, come l'esatto contrario.
“Dobbiamo verificare come gestire un'ibernazione di cinque anni terrestri, che in realtà, per voi, saranno solo un anno e quattro mesi”, riprese il responsabile del progetto, “e come i corpi umani resistono a quelle velocità ed accelerazioni.”
“Ok, Hermann, comincio a capire. Ma il nostro viaggio durerà, in riferimento alla Terra, 15 anni. Che utilità può avere per Marte una casistica che conoscerete solo tra 15 anni più altri quattro perchè le onde radio arrivino sulla Terra dalla distanza di quattro anni luce?”
“Beh, il viaggio sarà 15 anni per noi, ma molto di meno per voi, e comunque”, fece una pausa significativa, “a noi basterà il dato dei primi cinque anni.”
“Ah, beh, certo, per una missione su Marte...” considerò l'asiatica. “Ma i dati che vi manderemo nei successivi risvegli? Diciamo... i successivi due risvegli, considerando che viaggeremo per quindici anni, verso Proxima?”
Il dottor Morr non rispose nulla, limitandosi a serrare le labbra, fissando la collega negli occhi, con un'espressione intensa e significativa.
“Ho capito!” concluse la giovane dottoressa.
“Grazie”, sospirò Hermann, come se gli fosse appena stata condonata la pena capitale.
“Entriamo nel vivo del dialogo, cara Yuko.”
Quel “cara” non lasciava presagire nulla di buono, ma del resto il motivo per cui adesso lei era qui, non concedeva all'asiatica grosse aspettative.
“È quasi certo che il motore atomico a ioni funzioni bene, come pure che sopravviverete all'ibernazione dei primi cinque anni. Il motivo della spedizione sostanzialmente si conclude qui.”
Piccola pausa del discorso. La nipponica seguiva con molta attenzione lo svolgersi della questione.
“La possibilità che esista un buco nero là dove vi invieremo è concreta, ma tutt'altro che provata, diciamo che forse c'è un 10% di possibilità che esista davvero e che sia in quella posizione. Comunque vada, i primi due punti del progetto, quelli che ci interessano e che giustificano la spedizione, saranno verificati e di enorme importanza.”
“Ma allora perchè inventarsi quella palla su Proxima Centauri?”
“Beh, Yuko, in fondo non è tanto una palla. Se il buco nero esiste e se non ci finite dentro”, il dottore si schiarì ancora la gola, “ e se l'orbita è esatta, finirete nel campo gravitazionale di quella stella. In effetti è stata dimostrata l'esistenza di un sistema planetario e il pianeta Proxima b ha una massa tale che potrebbe ospitare una propria atmosfera, e una distanza dalla stella per cui la temperatura in superficie dovrebbe essere ottimale per ospitare forme di vita, con acqua e gas respirabili.”
“Mi sembra che ci siano parecchi “se” e numerosi condizionali!”
“Già, però le osservazioni sulle emissioni di Proxima b hanno evidenziato in modo inequivocabile che quel pianeta emette più radiazioni di quelle che riceve dalla stella.
“E quindi?”
“Quindi significa che sulla sua superficie c'è qualcosa che emette onde radio ed altre radiazioni che potrebbero testimoniare l'esistenza di forme di vita intelligente.”
“Mi sembra un'ipotesi molto tirata per i capelli.”
“Sì, ma comunque non è quello lo scopo della missione.”
“Capisco.” Yuko si prese una piccola pausa per riordinare le idee. “Probabilità di raggiungere Proxima b?”
Il dottor Morr scoppiò in una genuina risata, lasciandosi cadere sul divano, finalmente con un'espressione rilassata, come di fronte ad una battuta conclusiva, per sdrammatizzare.
“Hermann, non sto scherzando.”
“Zero.”
”Nel senso di zero virgola zero, zero, zero, zero, uno?”
“No, Yuko. Nel senso di zero, e basta. La possibilità che il motore a ioni funzioni senza danneggiare i meccanismi fisiologici del nostro corpo te la do, diciamo, al 90%. Se non cadete nel Sole e bruciate, nel sonno intendo, sarete indirizzati fuori dal piano dell'orbita dei pianeti, verso un ipotetico buco nero. Diciamo che dovrebbe esistere con una probabilità del 10-15%. Ammesso che esista il buco nero, con la massa calcolata esattamente, sareste scagliati verso Proxima Centauri. Possibilità di entrare in orbita intorno alla stella.... diciamo una su mille. Poi da lì ad intercettare l'orbita di Proxima b, che ne so, forse una su un miliardo. Possibilità di essere agganciati dal pianeta...”
“Va bene, ho capito. E comunque a voi interessa solo la prima parte del viaggio.”
“Esattamente.”
“E cosa vi fa pensare che io accetti di partecipare a questa missione suicida?”
“Senza ritorno.” corresse Hermann.
“Sì, ok. E perchè mi avete contattata?”
“Il fatto che tu sia qui a parlarne è già una risposta.”
“Mmmh! Questa te la concedo, Hermann. Un buon inizio!”
Il dottore fece un piccolo inchino. La questione entrava veramente sul vivo.
“Vedi, Yuko, ci sei stata segnalata dal responsabile della missione al polo sud.”
“Ah si?”
“Esattamente. Tu sei stata per sei mesi da sola, di notte, nella base internazionale in Antartide.”
“Beh, non proprio da sola.”
“Certo, ogni mese tornavano le spedizioni, rimanevano un giorno in cui tu eseguivi tutte le visite mediche e poi loro ripartivano, lasciandoti di nuovo da sola.”
“Continua.”
“Cosa spinge una persona, soprattutto una donna, a lasciare tutto, lavoro, amicizie, famiglia, hobby e affetti per starsene da sola, nel buio più totale del polo sud mentre è notte, senza poter uscire, nel posto più freddo ed inospitale del pianeta, e rimanerci sei mesi, opzionando i successivi sei?”
“Molti motivi. Osservazione delle aurore polari? Di certo non istinti suicidi!”
“Ma a noi non serve una dottoressa con istinti suicidi!”
Alla fine, il colloquio con il dottor Morr era stato per Yuko molto interessante. Un'occasione per riflettere su alcune scelte della propria vita. Al suo termine, pur non formulando la piena accettazione al programma, era come se la giapponese avesse passato un primo esame di idoneità.
La decisione di partecipare alla missione era tutt'altro che maturata, ma la nipponica si era risolta a continuare le prove di selezione e di formulare la scelta finale solo alla fine, se avesse passato tutti i successivi esami.
L'equipaggio in realtà era già stato selezionato e mancava solo un partecipante.
Lei, come medico, era la figura che mancava, ma molto ancora rimaneva da testare prima di poter essere giudicata idonea.
Il fatto di essere medico era già un requisito molto importante.
Le fu condonato un successivo test, grazie all'esperienza in Antartide, che consisteva nella verifica della capacità di sopravvivere decorosamente nel buio e nell'oscurità per lunghi tempi. Senza uscire matti, per dirla breve.
Già la mattina successiva aveva in programma un lungo colloquio con lo psicologo.
Lo specialista la fece accomodare nel suo studio, ove le indicò una comoda poltrona.
“Buongiorno, sono Yuko Nikura.”
“La stavo aspettando, si accomodi.”
“Lei è il dottor?”
“Facciamo che il mio nome è “Senzaidentità”, meglio non entrare troppo in confidenza.”
“Intende con “noi” che non torneremo mai più indietro?”
“In fondo dobbiamo solo fare un colloquio”, si giustificò lo psicologo.
“Sono pronta. Di cosa dobbiamo parlare?”
“Vorrei giusto capire se lei ha istinti suicidi.”
“Beh, chi si presenta a questa selezione, credo non abbia un mostruoso attaccamento alla vita.”
“Il dottor Morr avrebbe risposto “esattamente”. Ma lei, Yuko, cosa si aspetta da questa missione?”
“Direi, Senzaidentità, che sono più gli altri ad aspettarsi qualcosa. Io, personalmente, non mi aspetto nulla. Avrò tempo per pensare. Non molto, visto che sarò ibernata, ma avrò qualche buona occasione prima del decollo e in qualche giornata, da soli nello spazio, quando vedrò il Sole da lontano, come una piccola stella gialla dispersa nella galassia.”
“A cosa penserà, Yuko?”
“Potrei pensare a che cosa è andato storto nella mia esistenza, ma avrebbe poca utilità per me, e nessuna per gli altri.”
“Giusto. Quindi?”
“Quindi potrei pensare a vivere bene il tempo che mi rimane, anche se poco, molto frazionato e a miliardi di chilometri dal mio pianeta.”
Senzaidentità sorrise. “E come farà a vivere bene, praticamente da sola, senza possibilità di muoversi, di prendere alcuna decisione?”
“Una decisione si può sempre prendere e, anche dopo la partenza, sarà sempre possibile. Una cosa che mi ha garantito il dottor Morr.”
“Forse anche tre, Yuko: togliersi la vita, e questa scelta, è vero, sarà sempre resa possibile; lasciarsi morire, passivamente, oppure vivere attivamente!”
“Secondo me è una scelta sola quella che rimane. Togliersi la vita, oppure non scegliere. Ma se si resta in vita, quello che si farà necessariamente sarà attivo. È attiva anche la decisione di non fare nulla.”
“D'accordo. Secondo te, che differenza c'è tra togliersi la vita e lasciarsi morire?”
“Entrambe sono scelte attive. Ma togliersi la vita significa non aspettarsi più nulla dalla vita, non accettare neanche di stare a vedere; forse, anche vigliaccamente, significa rifiutare anche la curiosità, la possibilità, l'interesse, o la sfida che la vita possa ancora regalare qualcosa di buono, di valido, per cui sia valsa la pena di aver vissuto e di vivere ancora.”
“E non è forse quello che sta andando a fare, partendo per la missione?”
“No, io non vado per togliermi la vita. Io voglio vivere.”
“Ne è sicura? Davvero “vuole” vivere?”
“La scelta di lasciarsi morire, invece”, rispose la giovane, eludendo la domanda diretta, “in un certo senso è più passiva. Mette in rilievo che forse non si ha il coraggio di autosopprimersi direttamente, ma almeno si lascia uno spiraglio, si regala alla vita la possibilità di stupirci ancora, si vuole vedere fino in fondo come va a finire.”
“E la sua scelta, Yuko, qual è?”
“Di vivere “a tempo determinato”.”
“Sarebbe?”
“Avere una scadenza. Io mi troverò in situazioni nuove, avrò ancora una possibilità e un termine ben preciso. Non dovrò preoccuparmi della vita per come l'ho intesa fino ad ora, con le sue questioni ed i suoi problemi, ma avrò una nuova opportunità. Potrò giocare di nuovo le mie carte, al meglio delle mie possibilità e delle mie esperienze, nel contesto in cui mi troverò, con l'enorme vantaggio che saprò fin dall'inizio, che la partita a carte terminerà presto.”
“Giocare il tutto per tutto?”
“”Esattamente”!”
“Per me è abbastanza. Auguri, Yuko!”
Yuko non sapeva della presenza di partecipanti a quelle selezioni. Forse era lei l'unica e in qualche modo l'avrebbero comunque dovuta accettare, lasciando solo a lei la scelta finale, quindi, se andare incontro ad un futuro molto incerto, e forse anche ad una morte a breve termine, oppure se lasciar perdere e riprendere in qualche modo la sua solita vita, quella esistenza che in fondo, in quei momenti, stava decidendo di abbandonare per sempre.
Fu la prova successiva a darle la risposta che cercava.
Doveva sostenere un corso per adattarsi alla vita con i respiratori nella tuta spaziale. Un corso che però era, innanzitutto, un'ulteriore verifica se lei fosse stata in grado di partecipare al successivo addestramento. Da indiscrezioni sembrava che questo test fosse molto duro e selettivo. L'istruttrice non era persona da regalare nulla e sembrava quasi gioire nel bocciare i soggetti selezionati, bloccandone il percorso di selezione.
“Sai bene, spero, che se io non ti darò l'idoneità, il tuo percorso di cosmonauta finisce qui, vero?”
“Certo”. La donna che Yuko si trovava di fronte non era tipo da battute o ironie.
Il posto era magnifico; il Luthien diving center di cala Gonone si trovava in uno dei posti più belli della Sardegna, ma la proprietaria, e istruttrice, sembrava avere in antipatia quel tipo di corso.
Si era presentata proprio così. Luthien, e basta, e pareva che il suo scopo fosse proprio quello di umiliare e stroncare le persone che le venivano inviate dall'agenzia spaziale. Non era lecito conoscere altro nome, e mantenere le distanze era una regola assolutamente da rispettare.
Forse perchè coloro che si presentavano non avevano nulla a che fare con il mondo subacqueo, né ci si sarebbero mai immersi, una volta finito il corso. O forse, pensò Yuko, per evitare di affezionarsi a gente dal destino in qualche modo segnato.
“Che brevetto hai già di sub?”
“Nessun brevetto.”
Luthien ricontrollò la scheda che aveva sotto le mani.
“Ci deve essere un errore.” Sbirciò da sopra gli occhiali di lettura la persona che le stava di fronte.
“Ma neanche un pezzo di carta? Quelle cagate che rilasciano sul mar Rosso o posti del genere?”
“No, mai fatto sub in vita mia.”
“Forse ti hanno mandato qui per sbaglio. È meglio se riparti e te ne torni a casa.”
“Veramente il dottor Morr...”
“Me ne fotto del dottor Morr. Se io decido che una persona non è idonea, questa fa le valigie e se ne torna a casa, qualunque cosa dica Hermann Morr!”
“Forse dovrebbe almeno lasciarmi una possibilità.”
Di nuovo Luthien sbirciò da sopra gli occhialetti da lettura. L'espressione scocciata era molto eloquente. L'istruttrice fece però un lungo sospiro.
“Cosa sai dell'ossigeno? Delle miscele?”
“Mi occupo spesso di ventilazione, per lavoro, ossigeno con frazione inspiratoria variabile, pressioni positive, volumi correnti.”
“Sei una pneumologa?”
“Medico intensivista.”
La sarda fece una lunga pausa, continuando a fissare il volto della giapponese. Lo sguardo tradiva un conflitto che si stava svolgendo nella sua mente.
“D'accordo, signora dottoressa medico intensivista”, riprese finalmente, alzandosi in piedi con fare conclusivo, “visto che sei così esperta di ossigeno e respirazione, ti faccio saltare il primo test e iniziamo direttamente dal secondo. Se passi i test, ti faccio il corso, se no te ne torni a ventilare i tuoi pazienti.”
Il corso si presentava davvero molto impegnativo. In fondo però, era vero che se non si era in grado di imparare rapidamente come gestire la propria respirazione in uno scafandro per viaggi fuori dall'atmosfera, si sarebbe andati ben presto incontro alla morte, magari soffocati dal proprio vomito, e gli investimenti in gioco erano tali da non concedere nessun margine di errore nella selezione dei candidati. E forse il tempo a disposizione era diventato di colpo molto poco.
Yuko si vestì di una muta da 5 millimetri e fu portata al largo di cala Fuili, in una zona di fondali profondi.
Le istruzioni di Luthien furono rapide ed essenziali.
“Verrai immersa alla profondità di 10 metri. Sullo scafandro ti verrà messo un cappuccio nero, non vedrai nulla, neanche dov'è il sopra e il sotto. Hai aria solo per 10 minuti, calcolati per una respirazione normale. Io ti farò uscire a 15 minuti. Allo scadere del dodicesimo minuto io sarò accanto a te, ma tu non lo saprai. Non hai alcun modo per misurare il tempo che passa. Se a 12 minuti sei già priva di coscienza, ti porto fuori e ti prendi il primo traghetto, se no aspetto i 15 minuti, anche se perdi coscienza a 12 minuti e 5 secondi. Tanto, lo sai anche tu che per tre minuti non muori. Poi, visto che sei così “esperta” di ventilazione, non avrai problemi.”
Yuko non se la prese per il tono umiliante. Sapeva quanto fosse importante la corretta respirazione ed il controllo di ansie e paure. Lassù nello spazio, non ci sarebbe stato nessuno a tirarla fuori dopo 12 minuti, e la missione non poteva fallire per una banalità. Non c'era sicuramente il tempo per un addestramento completo da cosmonauta e quella, che era l'unica strada percorribile, doveva necessariamente essere molto severa e precisa.
Ferma immobile per non consumare ossigeno, si trovava ora nell'acqua fresca, pur non potendo apprezzarne la cristallina limpidezza. La muta spessa la proteggeva dal freddo. Aveva 15 minuti per meditare su tante cose della sua vita, ora che ne poteva percepire chiaramente il confine con la morte, facendo attenzione a risparmiare ossigeno per sopravvivere, ed evitare di svenire in pieno affanno.
In fondo non era certo quello il suo primo dialogo con la morte, abituata a rischiare la vita in pericolose imprese alpinistiche.
Iniziò a concentrarsi sui mesi passati in Antartide, a quello che pensava e provava nel periodo in cui aveva accettato l'incarico. Al bisogno si staccarsi dal mondo e dalla gente, prendersi una pausa da tutto e principalmente da tutti. E ricordò come era stata bene, da sola con i propri pensieri ed i ricordi, belli o brutti, delle proprie esperienze. Dei casini che sapeva combinare nei rapporti con le persone. Ricordò i momenti forti passati in barca a vela ed in montagna, soprattutto nelle sue imprese solitarie, su vie di roccia e di ghiaccio, non particolarmente difficili, ma pericolose se affrontate da sola.
Quanto stava bene da sola, a tu per tu con la natura, nel pericolo, affrontando i rischi e sentendo affinarsi tutti i sensi e le percezioni, potenziarsi i pensieri e le capacità per sopravvivere alle micidiali sfide cui si sottoponeva!
E tutto questo per ricompensare i suoi disastri nelle relazioni umane. Combinare guai cercando di raggiungere e soddisfare i bisogni delle persone che incontrava, qualunque bisogno, e qualunque soluzione.
Si sentì toccare una mano, delicatamente. Sott'acqua e incappucciata non poteva vedere nulla.
Qualcosa le spostava la mano invitandola a muoversi. Cosa era andato storto?
Si mosse con qualche colpo di pinna finchè, in superficie, le venne tolto il cappuccio nero.
Sfilò lo scafandro, copia simile a quello che avrebbe indossato in missione spaziale e si guardò intorno. Luthien la guardava incuriosita, la fronte corrugata.
Yuko si guardò il corpo, fluttuante nell'acqua limpida, nella delicata sfumatura turchese. Il sole filtrava sotto la superficie del mare, disegnandole losanghe ed arabeschi iridescenti sulla muta fucsia e blu.
Turbata per le riflessioni che l'avevano accompagnata sott'acqua non disse parola, come pure la sua istruttrice non proferì verbo.
Sedute una di fronte all'altra sui sedili da campeggio al diving center, due bottigliette di birra appannate davanti a loro, Luthien la fissava senza sapere come iniziare il discorso.
“Yuko....”, cominciò; e continuava ad osservarla con la fronte aggrottata, “avevi ancora 4 minuti di aria. Mi spieghi come hai fatto?”
“Non so, Luthien, scusami”, si allarmò lei, “mi sono immersa in pensieri, ricordi. Lì, al buio, sospesa nel vuoto, cullata dalla marea... Quando mi hai toccato la mano pensavo che fossero passati pochi minuti e che ci fosse stato un problema.”
La sarda intanto scuoteva la testa in segni di diniego.
“Siamo rimaste sotto 16 minuti. Hai respirato ad una frequenza di 3 atti al minuto, e neanche molto profondi. Fai yoga, Qi Gong, meditazione orientale....?”
Yuko sorrise, strofinandosi il naso.
“Cosa hai da ridere!” si risentì immediatamente l'istruttrice. “Ti fanno ridere le discipline orientali? Ti senti superiore?”
“Ma no, Luthien, cosa dici? Guardami in faccia, ma ti pare?”
“E allora, cosa...?”
“Sono istruttrice di Qi Gong.” rispose l'asiatica, con semplicità.
“E perchè non me lo hai detto prima, benedetta ragazza?”
“Scusa... ma non me lo hai chiesto e non immaginavo...”
“Sì. Forse sono stata un po' troppo precipitosa a bollarti subito come un'incapace.” La didatta accennò ad una smorfia di stizza.
“Beh, ci sta. In fondo non ci stai preparando ad andare a vedere i pesci pagliaccio nella barriera corallina, e, chissà quanta gente passa di qui, con le pretese più assurde.”
“Sì, forse. Però quando passa una persona speciale, ecco, rischi di perderla.”
“Speciale? Io?” si stupì l'allieva.
Luthien si alzò, prendendo la bottiglietta in una mano. Con l'altra prese una mano della ragazza invitandola a seguirla. Le due donne, in costume da bagno, iniziarono a passeggiare sulla riva, per mano. Due corpi sinuosi ed aggraziati, in una delicata e affettuosa stretta di mano, il passo lento mentre profondi pensieri venivano trasformati in parole.
“Yuko, molti sono passati di qui, ma quasi nessuno ha passato questo esame, anche se erano stati giudicati idonei da Hermann e dallo psicologo.”
Fecero ancora alcuni passi in silenzio, per mano, concentrate a guardarsi la punta dei piedi nell'acqua bassa e trasparente, il capo un po' chinato in avanti, l'espressione dei volti attenta, eppure serena.
“Voi andrete nello spazio, incontro al nulla, nel buio.” Proseguì la donna-sirena.
“È come avere le bombole con un'ora d'aria ed andare in profondità nel mare, finchè dal blu intenso, diventa tutto buio. E proseguire ancora, sempre più in profondità, senza luci, senza fermare il movimento, e neppure i pensieri. Soprattutto il pensiero che l'aria finirà, e non c'è nessuna previsione di tornare in superficie, e nemmeno di rivedere la luce che avete abbandonato, senza però perderne il ricordo. E intanto l'aria viene consumata e sta finendo, e voi ne sarete perfettamente consapevoli!”
Fecero ancora qualche passo, camminando lentamente, in silenzio, osservando i giochi di luce del sole tra le onde, i riflessi sulla superficie dell'acqua.
Yuko prese la parola.
In lontananza le due donne discorrevano, avvolte dai riflessi abbaglianti del sole sulla superficie increspata del mare. Migliaia di stelle accecanti. Finchè il loro profilo non fu completamente avvolto dai bagliori e le loro silhouette scomparvero indistinte.
I giorni successivi furono molto belli ed intensi. Le due donne fecero molte immersioni, anche prolungate, con l'impiego di particolari miscele per muoversi a grande profondità; il corso e la didattica furono approfonditi e ricchi di soddisfazioni. Tanti esercizi di respirazione, yoga ed autocontrollo del battito cardiaco e del respiro.
Lunghe passeggiate in supramonte, dialogando tra di loro e con la natura aspra e selvaggia dell'entroterra sardo. Tante birre e serate passate insieme, ad ascoltare musica sorseggiando liquori pregiati.
“Non avrei dovuto affezionarmi a te, ragazza orientale.” Disse una mattina, ormai alla fine del corso, l'istruttrice di sub. “Pagherò caro questo errore.”
“E perchè mai?” cercò di consolarla la giapponese.
“Perchè io non potrò né riuscirò a dimenticarti, Yuko.”
“E quindi? Cosa ci sarà mai di male, Luthien?”
Le due donne si presero le mai e stettero una di fronte all'altra. La sarda appoggiò la fronte contro quella della giapponese. Socchiuse gli occhi qualche secondo. Chissà quali pensieri frullavano nella mente delle due anime e quanti di quei pensieri erano in grado di attraversare lo spazio ed i corpi, per diventare sensazioni tangibili nel cuore della persone di fronte.
Quando si staccarono, Yuko porse un delicato bacio sulle labbra dell'amica.
“Noi ci rivedremo, maestra, ti prometto che farò di tutto perchè questo accada.”
“Credi nella telecinesi? Dicono che i maestri di Qi Gong più esperti siano in grado di attuarla.”
“Beh... bisogna essere davvero molto molto bravi.”
Yuko era ad un giro di boa. Quasi nessuno passava il corso e l'esame di sub, e quella era stata soprattutto un'occasione per pensare e meditare, molto facilitata dall'ambiente esterno, dai paesaggi incontaminati e dall'esplorazione del mondo subacqueo.
La possibilità di proseguire l'addestramento aveva costituito per la donna orientale la risposta al quesito principale che si era posta. Ora sapeva che avrebbe accettato l'incarico e che quello era il destino che desiderava.
I successivi impegni furono tranquilli. Le fu condonato il corso di sopravvivenza in ambiente ostile, grazie alle sue numerose esperienze in grotta, sui ghiacci dell'alta montagna e sulle pareti dolomitiche, come pure gli esami di attitudine allo sforzo fisico intenso.
La formazione tecnica sulla strumentazione a bordo della navicella spaziale fu ridotto all'essenza. In realtà l'equipaggio non aveva praticamente nessuna possibilità di manovra e di interferenza con le orbite già stabilite, anche in caso di errore nei calcoli effettuati. Da Terra i tecnici avrebbero fatto il minimo indispensabile e gli unici insegnamenti riguardarono le poche mansioni destinate ai singoli componenti dell'equipaggio e la trasmissione dei dati alla base al centro di controllo dell'Agenzia Spaziale Europea.
Un capitolo importante fu comunque dedicato alle modalità di cessazione volontaria della propria esistenza. La possibilità di abbandonare la missione, in qualunque momento, era in ogni caso garantita ai membri dell'equipaggio, con l'interruzione rapida e senza dolore delle proprie funzioni vitali, a discrezione di ogni singolo, ed il conseguente abbandono della navicella, in una specie di bara sigillata. Anche in caso di morte spontanea, durante l'ibernazione o nei fugaci periodi di risveglio, il corpo sarebbe stato automaticamente escluso dalla navicella.
La data della partenza era ormai fissata e l'equipaggio al completo. Il razzo Ariane 6 dell'ESA era già pronto per trasferire i 4 cosmonauti alla navicella, ancorata alla stazione orbitante, che sarebbe stata la loro dimora definitiva.
Nessuno dei membri aveva avuto la possibilità di conoscere i compagni di spedizione.
Salutati gli amici e dopo un mese di vacanza assoluta per rivedere posti e persone, preparato un bagaglio personale essenziale e dopo un'ultima visita medica, ognuno dei partecipanti si preparò la sera precedente la partenza per l'addio definitivo al proprio pianeta.
Yuko si concesse una cena in un ristorante giapponese.
Tornata al suo appartamento si dilungò in una eterna doccia calda.
Bagnata dai rivoli d'acqua che le scorrevano come delicate carezze, contemplò quel corpo che la natura gli aveva donato. Quel corpo forte, tutto sommato bello, efficiente, funzionale.
Nessuno avrebbe più avuto occasione di vederlo o di trarne piacere.
Nè dal suo corpo, né tantomeno dai suoi pensieri, dalle sue manifestazioni emotive. E forse questo era un bene. In ogni caso, in quelle settimane di selezioni, si era rafforzata la sua convinzione in quella direzione.
Sciacquatasi dallo shampoo e dal sapone, prese in mano l'erogatore della doccia e si diresse il getto dell'acqua fra le cosce. Quella era sicuramente la sua ultima doccia, l'ultimo contatto così intenso e prolungato con l'acqua sul pianeta Terra. Molto verosimilmente quello sarebbe anche stato il suo ultimo momento di piacere erotico.
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