The gift: Episodio 2 Shemà
di
PabloN
genere
sentimentali
THE GIFT: Episodio 2 Shemá
Fermo la macchina davanti il cancello, un vecchio arnese in ferro battuto di foggia decisamente antiquata ormai preda della ruggine e del tempo.
Chiara scende e prende ad armeggiare con la borsa, in cerca delle chiavi. Le borse delle donne! Pozzi senza fondo, ricolme di ogni mistero, oggetti di cui noi uomini stentiamo a comprendere la reale funzione.
Dopo un paio di minuti le solleva, trionfante
“Lo dicevo che erano qui!”
Sì certo, hai avuto fortuna, ammettilo.
Ora si tratta di capire quale sia quella giusta, e in mezzo a decine di chiavi ormai inutili ma mai rimosse l’impresa appare tutt’altro che facile.
“Cerca quella con stampato il marchio e un giglio stilizzato, se ben ricordo è piuttosto grossa e rovinata” le dico sporgendomi verso il finestrino del passeggero.
“ Mi prendi per il culo? Vuoi dire che ricordi la chiave del cancello dopo cinque anni che non vieni più qui?”
Quattro anni, 10 mesi e…6 giorni, senza tenere conto degli anni bisestili, Chiara.
“Che ci vuoi fare, ho una buona memoria fotografica. Tu prova.”
Trova la chiave che le ho indicato, entra benissimo nella toppa. Con un po’ di sforzo dovuto alla ruggine riesce a girarla e aprire.
Il pesante cancello cigola con un suono sinistro, quasi fosse la porta per l’inferno, e in un certo senso lo è.
“Cazzo Beppe, tu mi spaventi!” dice ridendo.
Risale e finalmente entriamo, imbocchiamo il vialetto di ghiaia ormai invaso di erbacce che conduce alla villetta. Eccola…luogo da cui ebbe inizio ogni gioia e ogni dolore.
Mi fermo davanti all’autorimessa e spengo il motore. Il cuore batte forte, sono nervoso, ma faccio di tutto per apparire tranquillo.
Scendo e….sono ancora lì! Le due poltroncine di vimini e il tavolino in pietra di vulcano, gambe di ferro tornito, che popolano i miei ricordi.
Li, poco sotto la scalinata di quattro gradini che conduce alla porta di ingresso. Li a ricordarmi ogni cosa, parola e sentimento. Mi guardano, lo so, sornioni e beffardi.
“Sei tornato allora! Come vedi noi non ci siamo mossi, noi. Sei tu, povero fesso, che sei dovuto scappare..” Posso quasi udire le loro parole di scherno.
“Allora, che dici entriamo?”
“Eh? Ah sì certo, entriamo”
Gli lancio uno sguardo torvo mentre salgo la breve scalinata.
“Bene, ora devo solo trovare la chiave giusta”
“Posso?”
“Cos’è, ora ricordi pure quella?”
Sorrido
“Facciamo così, se sbaglio pago io questa sera il ristorante. Se però ci azzecco, mia cara, tocca a te pagare pegno”
“Affare fatto!”
Prendo il mazzo di chiavi, le scorro fino a che trovo quella che cerco.
Sicuro la spingo nella toppa e…voilà! Anche per questa sera la cena è assicurata e pure gratuita.
“Decisamente mi fai paura!”
Ridiamo, spingo la porta e faccio entrare Chiara. La seguo e subito l’odore di chiuso si mescola ai ricordi, a odori di un tempo passato, a immagini vivide. Come il refolo di vento di una vecchia poesia mi riportano alla mente la gonna di Chiara in un ballo di tanti anni fa.
Il corridoio si popola di voci, immagini e odori. Sua madre che chiama dalla cucina per sapere se siamo quasi pronti, lei che cammina veloce facendo svolazzare il vestito in una danza ipnotica, il profumo del pesce che invade le stanze.
“Scusa per la polvere e il disordine. Dalla morte di papà questa casa l’abbiamo frequentata poco, e si vede. Abbiamo una signora che viene una volta al mese per mantenerla in condizioni almeno decenti ma anche lei fa come può”
“E’ sempre bella, viva”
“Beh senti, pensavo che possiamo occupare le stanza che erano di noi ragazzi. Io pensavo di mettermi nella mia e tu puoi sistemarti in quella che era di mio fratello. Ricordi? Quella…”
“Al piano di sopra, la terza porta a destra. Prima del bagno. La tua invece è in fondo allo stesso corridoio e dà direttamente sulla terrazza”
Chiara mi guarda. Ora non ride, mi sembra stupita, forse anche un po' intimorita. Non riesce a capire come possa aver ancora nella mia memoria così tanti particolari di quella casa. In fondo l’avrò vista sì e no quattro, massimo cinque volte. Chiara, Chiara..se solo tu sapessi!
Ci sistemiamo e passiamo il resto della giornata dividendoci tra spiaggia, passeggiata nei caruggi pieni di negozi del paese e acquisto dell’occorrente per la cena. Abbiamo deciso che cucinerò io. La mia passione ai fornelli è risaputa, tanto quanto la sua avversione per tutto ciò che richiede più di dieci minuti di preparazione.
Il motivo del nostro essere li rimane un sospeso, un non detto di cui, sembra, non abbiamo ancora intenzione di parlare.
Dopo cena Chiara mi invita a rilassarmi sulle poltrone di vimini del giardino (maledette!!).
“Tu hai cucinato, ora tocca a me sparecchiare e mettere in ordine. Per cui…sciò, fuori!”. L’ordine è perentorio e non ammette repliche.
Uscendo sento Chiara parlare piano al telefono. Immagino sia Luisa dal tono dolce e rassicurante che usa.
“Toh, guarda chi si vede!” Mi dicono le poltroncine divertite
“Fanculo, stronze! Che c’è da ridere?”
Mi siedo scivolando un po' per appoggiare le spalle, socchiudo gli occhi.
Ritorno a quel giorno. Flash di ricordi emergono prepotenti e saltano fuori come delfini che giocano sulle scie delle navi. Ma i ricordi non giocano e pesano come balene.
Chiara che esce con il vestito morbido sul corpo dopo cena. Senza scarpe, a piedi nudi. Lei che si siede sulla poltroncina accanto raccogliendo le gambe sotto di sé. Lei che si guarda attorno per essere certa che nessuno ascolti.
“Ti devo dire una cosa. Non l’ho detta a nessuno, sei l’unico a saperla. Giura che te lo terrai per te, giuramelo!”
“Chiara lo sai che non dico..”
“Giuramelo!!”
“Va bene. Ti giuro che non lo dirò. Però dopo anche io ho una cosa da dirti. Da un po' volevo dirtelo ma non trovavo mai il modo”
“Va bene ma prima lascia parlare me o credo che non ne avrò più il coraggio.”
Mi raddrizzo sulla poltrona. Sono preoccupato, che diamine potrà mai dirmi da farla stare così in angoscia?
“Beppe..mi sono innamorata!”
La prima coltellata affonda nella carne lacerando i tessuti, inondando di sangue caldo ogni anfratto. Non riesco a dire nulla, la guardo inebetito, come la vedessi svanire poco per volta, sempre più lontana fino a confondersi con l’orizzonte.
Pensavo che questo fosse dolore, ma mi sbagliavo, eccome se mi sbagliavo!
“Ma non è solo questo..”
E no certo, mica può bastare. Che altro può esserci di più devastante?
“Il fatto è che…mi sono innamorata di una donna”
Pronuncia queste parole sottovoce, guardando in basso. Taccio. Rialza lo sguardo, lo fissa su di me, in attesa di una risposta, di un segno che ancora la vita fluisce nel mio corpo. Invece vorrei solo morire, evaporare. La seconda coltellata ha aperto il cuore in due e mi ha tolto respiro e vita.
“Dimmi qualcosa, ti prego. Questo silenzio mi uccide”
“Chiara..che posso dire? Ti conosco da vent’anni, da quando eravamo bambini, e mai avrei pensato che..voglio dire.. si insomma”
“Che mi piacessero le donne?”
“Beh si, anche. Ma non parlo solo di sesso…tu la ami. Questo mi sembra ben diverso.”
“Non lo avrei creduto nemmeno io sai? Ma da quando è accaduto ho capito il mio disagio nelle relazioni con i ragazzi, il mio sentirmi sempre in qualche modo fuori posto. Mi sono sempre negata che la causa fosse che non volevo un uomo accanto, ma una donna. Ero io quella sbagliata. Poi è arrivata Luisa e..”
“Si chiama Luisa allora”
“Si, Luisa. Da quando c’è lei sento che tutto ha un senso. Mi sento al sicuro..a casa”
“Chiara..sei felice?”
“Si Beppe, lo sono. Come mai sono stata”
“Allora ringrazia Luisa da parte mia. Avrai difficoltà con i tuoi ma sono certo che capiranno, ti vogliono troppo bene per non volere ciò che ti rende felice”
Sorride
“Grazie Beppe, sapevo che avresti capito. Che saresti stato felice per me, felice della mia felicità”. Si alza e mi bacia sulla guancia.
Troppa felicità in questi discorsi, davvero troppa! La mia “attendeva il rumore dei tuoi passi” (Maram Al-Masri). Ora invece li sento allontanarsi, sempre più lievi e poi…silenzio
“E tu, che mi volevi dire?”
“Io? Niente di che, davvero. Solo che mi hanno preso come ingegnere al cantiere navale e mi faranno anche fare un corso di perfezionamento.”
“Ma che bello!! Era il tuo sogno lavorare nella nautica e ora ci sei! E che modo dovevi trovare per dirmelo, sciocco?! Vado a prendere del vino, dobbiamo festeggiare entrambi”
Ti guardo entrare in casa. Mi piego sulla poltrona, cercando di diventare più piccolo possibile, quasi rattrappito. Le lacrime sgorgano irrefrenabili, sono scosso da singhiozzi che fanno tremare la sedia, la testa mi scoppia e il cuore mi batte quasi volesse uscire e fuggire dal mio petto. Ti amo Chiara, questo volevo dirti!! Ti amo, è solo te che voglio, è solo con te che posso pensare ad un futuro. Sei tu che voglio vedere al mattino, tu che chiudi i miei occhi alla fine delle giornate. Voglio litigare con te, fare pace con te, fare l’amore, prepararti la cena alla sera, ascoltarti parlare di cose che non capisco….voglio….voglio….voglio solo morire ora!
Mi alzo di scatto dalla sedia e scappo via, esco dal cancello, corro in strada, senza una meta. Devo solo andarmene, non so dove ma devo. Quando mi chiami al cellulare invento una scusa banale cercando di dissimulare la voce spezzata..una malattia di mia madre..non ricordo cosa, quello l’ho cancellato.
Riapro gli occhi. Vedo il sole scendere dietro un velo di lacrime che asciugo con un gomito.
Chiara esce, una bottiglia di vino in mano e due bicchieri che appoggia sul tavolo
“Che c’è? Hai gli occhi rossi”
“No niente, sarà il sole. Non mi sono portato gli occhiali e mi sarò irritato”
Silenzio.
“Beppe, credo sia il momento che ti parli del motivo per cui ti ho fatto venire qui”
Mi giro a guardarla. Com’è bella!
“Si lo credo anche io”
Fermo la macchina davanti il cancello, un vecchio arnese in ferro battuto di foggia decisamente antiquata ormai preda della ruggine e del tempo.
Chiara scende e prende ad armeggiare con la borsa, in cerca delle chiavi. Le borse delle donne! Pozzi senza fondo, ricolme di ogni mistero, oggetti di cui noi uomini stentiamo a comprendere la reale funzione.
Dopo un paio di minuti le solleva, trionfante
“Lo dicevo che erano qui!”
Sì certo, hai avuto fortuna, ammettilo.
Ora si tratta di capire quale sia quella giusta, e in mezzo a decine di chiavi ormai inutili ma mai rimosse l’impresa appare tutt’altro che facile.
“Cerca quella con stampato il marchio e un giglio stilizzato, se ben ricordo è piuttosto grossa e rovinata” le dico sporgendomi verso il finestrino del passeggero.
“ Mi prendi per il culo? Vuoi dire che ricordi la chiave del cancello dopo cinque anni che non vieni più qui?”
Quattro anni, 10 mesi e…6 giorni, senza tenere conto degli anni bisestili, Chiara.
“Che ci vuoi fare, ho una buona memoria fotografica. Tu prova.”
Trova la chiave che le ho indicato, entra benissimo nella toppa. Con un po’ di sforzo dovuto alla ruggine riesce a girarla e aprire.
Il pesante cancello cigola con un suono sinistro, quasi fosse la porta per l’inferno, e in un certo senso lo è.
“Cazzo Beppe, tu mi spaventi!” dice ridendo.
Risale e finalmente entriamo, imbocchiamo il vialetto di ghiaia ormai invaso di erbacce che conduce alla villetta. Eccola…luogo da cui ebbe inizio ogni gioia e ogni dolore.
Mi fermo davanti all’autorimessa e spengo il motore. Il cuore batte forte, sono nervoso, ma faccio di tutto per apparire tranquillo.
Scendo e….sono ancora lì! Le due poltroncine di vimini e il tavolino in pietra di vulcano, gambe di ferro tornito, che popolano i miei ricordi.
Li, poco sotto la scalinata di quattro gradini che conduce alla porta di ingresso. Li a ricordarmi ogni cosa, parola e sentimento. Mi guardano, lo so, sornioni e beffardi.
“Sei tornato allora! Come vedi noi non ci siamo mossi, noi. Sei tu, povero fesso, che sei dovuto scappare..” Posso quasi udire le loro parole di scherno.
“Allora, che dici entriamo?”
“Eh? Ah sì certo, entriamo”
Gli lancio uno sguardo torvo mentre salgo la breve scalinata.
“Bene, ora devo solo trovare la chiave giusta”
“Posso?”
“Cos’è, ora ricordi pure quella?”
Sorrido
“Facciamo così, se sbaglio pago io questa sera il ristorante. Se però ci azzecco, mia cara, tocca a te pagare pegno”
“Affare fatto!”
Prendo il mazzo di chiavi, le scorro fino a che trovo quella che cerco.
Sicuro la spingo nella toppa e…voilà! Anche per questa sera la cena è assicurata e pure gratuita.
“Decisamente mi fai paura!”
Ridiamo, spingo la porta e faccio entrare Chiara. La seguo e subito l’odore di chiuso si mescola ai ricordi, a odori di un tempo passato, a immagini vivide. Come il refolo di vento di una vecchia poesia mi riportano alla mente la gonna di Chiara in un ballo di tanti anni fa.
Il corridoio si popola di voci, immagini e odori. Sua madre che chiama dalla cucina per sapere se siamo quasi pronti, lei che cammina veloce facendo svolazzare il vestito in una danza ipnotica, il profumo del pesce che invade le stanze.
“Scusa per la polvere e il disordine. Dalla morte di papà questa casa l’abbiamo frequentata poco, e si vede. Abbiamo una signora che viene una volta al mese per mantenerla in condizioni almeno decenti ma anche lei fa come può”
“E’ sempre bella, viva”
“Beh senti, pensavo che possiamo occupare le stanza che erano di noi ragazzi. Io pensavo di mettermi nella mia e tu puoi sistemarti in quella che era di mio fratello. Ricordi? Quella…”
“Al piano di sopra, la terza porta a destra. Prima del bagno. La tua invece è in fondo allo stesso corridoio e dà direttamente sulla terrazza”
Chiara mi guarda. Ora non ride, mi sembra stupita, forse anche un po' intimorita. Non riesce a capire come possa aver ancora nella mia memoria così tanti particolari di quella casa. In fondo l’avrò vista sì e no quattro, massimo cinque volte. Chiara, Chiara..se solo tu sapessi!
Ci sistemiamo e passiamo il resto della giornata dividendoci tra spiaggia, passeggiata nei caruggi pieni di negozi del paese e acquisto dell’occorrente per la cena. Abbiamo deciso che cucinerò io. La mia passione ai fornelli è risaputa, tanto quanto la sua avversione per tutto ciò che richiede più di dieci minuti di preparazione.
Il motivo del nostro essere li rimane un sospeso, un non detto di cui, sembra, non abbiamo ancora intenzione di parlare.
Dopo cena Chiara mi invita a rilassarmi sulle poltrone di vimini del giardino (maledette!!).
“Tu hai cucinato, ora tocca a me sparecchiare e mettere in ordine. Per cui…sciò, fuori!”. L’ordine è perentorio e non ammette repliche.
Uscendo sento Chiara parlare piano al telefono. Immagino sia Luisa dal tono dolce e rassicurante che usa.
“Toh, guarda chi si vede!” Mi dicono le poltroncine divertite
“Fanculo, stronze! Che c’è da ridere?”
Mi siedo scivolando un po' per appoggiare le spalle, socchiudo gli occhi.
Ritorno a quel giorno. Flash di ricordi emergono prepotenti e saltano fuori come delfini che giocano sulle scie delle navi. Ma i ricordi non giocano e pesano come balene.
Chiara che esce con il vestito morbido sul corpo dopo cena. Senza scarpe, a piedi nudi. Lei che si siede sulla poltroncina accanto raccogliendo le gambe sotto di sé. Lei che si guarda attorno per essere certa che nessuno ascolti.
“Ti devo dire una cosa. Non l’ho detta a nessuno, sei l’unico a saperla. Giura che te lo terrai per te, giuramelo!”
“Chiara lo sai che non dico..”
“Giuramelo!!”
“Va bene. Ti giuro che non lo dirò. Però dopo anche io ho una cosa da dirti. Da un po' volevo dirtelo ma non trovavo mai il modo”
“Va bene ma prima lascia parlare me o credo che non ne avrò più il coraggio.”
Mi raddrizzo sulla poltrona. Sono preoccupato, che diamine potrà mai dirmi da farla stare così in angoscia?
“Beppe..mi sono innamorata!”
La prima coltellata affonda nella carne lacerando i tessuti, inondando di sangue caldo ogni anfratto. Non riesco a dire nulla, la guardo inebetito, come la vedessi svanire poco per volta, sempre più lontana fino a confondersi con l’orizzonte.
Pensavo che questo fosse dolore, ma mi sbagliavo, eccome se mi sbagliavo!
“Ma non è solo questo..”
E no certo, mica può bastare. Che altro può esserci di più devastante?
“Il fatto è che…mi sono innamorata di una donna”
Pronuncia queste parole sottovoce, guardando in basso. Taccio. Rialza lo sguardo, lo fissa su di me, in attesa di una risposta, di un segno che ancora la vita fluisce nel mio corpo. Invece vorrei solo morire, evaporare. La seconda coltellata ha aperto il cuore in due e mi ha tolto respiro e vita.
“Dimmi qualcosa, ti prego. Questo silenzio mi uccide”
“Chiara..che posso dire? Ti conosco da vent’anni, da quando eravamo bambini, e mai avrei pensato che..voglio dire.. si insomma”
“Che mi piacessero le donne?”
“Beh si, anche. Ma non parlo solo di sesso…tu la ami. Questo mi sembra ben diverso.”
“Non lo avrei creduto nemmeno io sai? Ma da quando è accaduto ho capito il mio disagio nelle relazioni con i ragazzi, il mio sentirmi sempre in qualche modo fuori posto. Mi sono sempre negata che la causa fosse che non volevo un uomo accanto, ma una donna. Ero io quella sbagliata. Poi è arrivata Luisa e..”
“Si chiama Luisa allora”
“Si, Luisa. Da quando c’è lei sento che tutto ha un senso. Mi sento al sicuro..a casa”
“Chiara..sei felice?”
“Si Beppe, lo sono. Come mai sono stata”
“Allora ringrazia Luisa da parte mia. Avrai difficoltà con i tuoi ma sono certo che capiranno, ti vogliono troppo bene per non volere ciò che ti rende felice”
Sorride
“Grazie Beppe, sapevo che avresti capito. Che saresti stato felice per me, felice della mia felicità”. Si alza e mi bacia sulla guancia.
Troppa felicità in questi discorsi, davvero troppa! La mia “attendeva il rumore dei tuoi passi” (Maram Al-Masri). Ora invece li sento allontanarsi, sempre più lievi e poi…silenzio
“E tu, che mi volevi dire?”
“Io? Niente di che, davvero. Solo che mi hanno preso come ingegnere al cantiere navale e mi faranno anche fare un corso di perfezionamento.”
“Ma che bello!! Era il tuo sogno lavorare nella nautica e ora ci sei! E che modo dovevi trovare per dirmelo, sciocco?! Vado a prendere del vino, dobbiamo festeggiare entrambi”
Ti guardo entrare in casa. Mi piego sulla poltrona, cercando di diventare più piccolo possibile, quasi rattrappito. Le lacrime sgorgano irrefrenabili, sono scosso da singhiozzi che fanno tremare la sedia, la testa mi scoppia e il cuore mi batte quasi volesse uscire e fuggire dal mio petto. Ti amo Chiara, questo volevo dirti!! Ti amo, è solo te che voglio, è solo con te che posso pensare ad un futuro. Sei tu che voglio vedere al mattino, tu che chiudi i miei occhi alla fine delle giornate. Voglio litigare con te, fare pace con te, fare l’amore, prepararti la cena alla sera, ascoltarti parlare di cose che non capisco….voglio….voglio….voglio solo morire ora!
Mi alzo di scatto dalla sedia e scappo via, esco dal cancello, corro in strada, senza una meta. Devo solo andarmene, non so dove ma devo. Quando mi chiami al cellulare invento una scusa banale cercando di dissimulare la voce spezzata..una malattia di mia madre..non ricordo cosa, quello l’ho cancellato.
Riapro gli occhi. Vedo il sole scendere dietro un velo di lacrime che asciugo con un gomito.
Chiara esce, una bottiglia di vino in mano e due bicchieri che appoggia sul tavolo
“Che c’è? Hai gli occhi rossi”
“No niente, sarà il sole. Non mi sono portato gli occhiali e mi sarò irritato”
Silenzio.
“Beppe, credo sia il momento che ti parli del motivo per cui ti ho fatto venire qui”
Mi giro a guardarla. Com’è bella!
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