Il gioco di Paola

di
genere
saffico

Piccola premessa necessaria.
Questo racconto lo scrissi nel 2011 e lo pubblicai in un altro sito, dove si trova tutt'ora sotto pseudonimo.
Quando spostai qui i miei siti, questo lo dimenticai, strano perché è uno di quei racconti autobiografici che più mi rappresenta.
Si tratta delle mie prime esperienze con una ragazza, e quando lo scrissi ci tenevo molto, evidentemente molta acqua né è passata sotto i ponti da allora.
Buona lettura, Lucrezia.
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Io e Paola stavamo insieme, non nel senso classico del termine il nostro rapporto era estremamente libero per nostra esplicita volontà.

Diciamo che visti i miei trascorsi sentimentali recenti, avevo una gran voglia di coccole e Paola era dispostissima a farmele, ma nulla di più per il momento; le nostre giornate insieme erano votate al dialogo e alla riflessione o al sesso sfrenato, ma niente era programmato giocavamo e basta.

Il gioco che facevamo più spesso aveva un fine che prevedeva una punizione per la perdente e forse proprio per questo mi piaceva, più che per lo svolgimento del gioco stesso, infatti, mi piaceva di più scoprire quale sarebbe stata la punizione escogitata da Paola, inutile dire che spesso perdevo a bella posta. Ma tutto con ordine.

Il gioco in sé era banale, ci mettevamo in salotto, nude, sedute sulle poltrone una di fronte all'altra, dovevamo indurre l'altra a godere, in altre parole, masturbandoci dovevamo fare in modo che fosse l'altra a godere per prima, chi lo faceva perdeva e subiva la punizione.

Era una tortura, io avrei voluto scatenarmi in una masturbazione senza eguali, la mia natura esibizionista mi metteva alla prova, volevo godere e far vedere come potevo farlo, in quale maniera venivo sconvolta dall'orgasmo, ma nulla, il gioco era fatto proprio per limitare ciò eppure non aveva regole, per far godere l'altra potevo e lei poteva, usare qualsiasi cosa e qualsiasi espediente, l'unica cosa che non potevamo fare era toccare l'altra o scendere dalle poltrone; ma potevamo usare il nostro corpo come volevamo, gli oggetti, e la voce.

Io amavo guardare Paola negli occhi mentre mi masturbavo davanti a lei, far colare saliva dalla mia bocca e con essa sbavarmi sulle tette congiunte dalle mie mani messe a coppa sotto di esse per poi massaggiarmi i capezzoli fino a sentirli duri, mentre aprivo le gambe e oscenamente mettevo in mostra la mia figa o il mio culo.

Fu con Paola che iniziai a usare oggetti per indurre o indurmi il piacere, prima usavo solo le mani, ma con lei avevo iniziato ad usare ciò che avevo intorno a me, ad esempio avete presente quei posaceneri di alabastro con un uovo dentro per spegnere le cicche? Paola ne aveva uno in salotto e siccome nessuna di noi due fumava era come nuovo.

Mi allungai dalla poltrona e presi l'uovo di alabastro, me lo misi tra le tette tenute a coppa con le mani e lo feci rotolare in mezzo alla canaletta tra i seni, come per fargli una spagnola, lo misi in bocca per sbavarci sopra e poi farlo rotolare sul mio corpo, fino alla figa; mi allargavo le labbra della figa cercando di farcelo stare in mezzo, le dicevo che quell'uovo era il frutto del mio amore e nel dirlo lo spingevo dentro.

Non sono brava nel fisting, quindi l'uovo non entrava dentro di me se non per uno o due centimetri, ma nello spingere mi toccavo il clitoride con il palmo della mano e nella mia mente quell'uovo di alabastro poteva essere qualsiasi altra cosa.

lo usavo per sporcare dei miei umori il buchetto anale prima di penetrarmi con un dito, dito che poi sfilavo dal mio sedere e passavo languida su tutto il corpo, fino ad arrivare alla bocca dove lo risucchiavo.

Ovviamente Paola non era da meno e mentre si masturbava dalla sua bocca uscivano parole tra le più oscene, parole che mi facevano letteralmente godere e ardere del desiderio di godere ancora. A me piace il turpiloquio mentre faccio l'amore, so che qualcuno inorridisce all'idea ma io sono così.

Questo gioco poteva durare pochi minuti o anche molto di più, a seconda di quanta voglia di resistere avevamo, il più delle volte ero io a concluderlo, un po' perché davvero spossata, ma molto per la curiosità di conoscere la punizione per aver perso.

A volte le punizioni erano poco divertenti, magari si trattava di lavare i piatti di due giorni, a volte di stendere o ritirare il bucato, ma una volta ad esempio il bucato dovetti ritirarlo sulla terrazza completamente nuda e Paola abitava davanti alla stazione dei treni di Udine, insomma poteva vedermi un sacco di gente.

Inutile dire che lo trovavo eccitante e che mi piaceva farlo anche se poteva diventare pericoloso per via di qualche inopportuna denuncia alla Questura. Non sono così pazza, ma l'idea, la sola idea che potesse succedere mi eccitava al punto che non potevo smettere dall'esibirmi in quel modo.

Altre volte dovevamo uscire per Udine e andare in centro io rigorosamente senza intimo e con vestiti audaci; minigonne o pantaloni attillatissimi che nulla lasciavano all'immaginazione.

Io davo punizioni che invece coinvolgevano più la mia persona, come ad esempio farla scendere dalla poltrona, avvicinarsi alle mie gambe aperte e finirmi a leccate sulla figa, mentre io me la godevo egoisticamente, sempre che, non ci fossero piatti da lavare ovviamente.

La parte più interessante però era quando le punizione vertevano sul sesso praticato, come la volta che uscimmo apposta di casa e andammo a fare l'amore nel garage del suo palazzo, fu un'esperienza più da ridere però perché a ogni più piccolo rumore ci fermavamo mettendoci all'ascolto, alla fine in poco meno di due ore non riuscimmo a combinare molto; avete idea di quanti rumori si sentano in un garage condominiale.

Le nostre punizione erano più che altro dettate dalla voglia di esibizionismo, io non sono una di quelle esibizioniste che si fanno vedere in ogni occasione nelle pose più libertine, anzi sono per lo più timorosa al riguardo, ma è proprio questo mio timore a stimolare il mio piacere nel trasgredire.

L'idea poi di essere comandata da un'altra persona che io stessa ho deciso per tacito accordo di essere mio superiore nei giochi non faceva altro che stimolare la mia perversione.

Così una volta come punizione ricevetti l'ordine di andare al parco in centro città usando l'autobus; ovviamente questo era solo un particolare insignificante della punizione che consisteva nel vestirsi in modo appropriato: prima di tutto pur essendo ancora marzo non dovevo coprirmi troppo, anzi semmai fare il contrario.

Misi su dei sabot che allora andavano molto di moda, non usai calze e me ne pentii dato che la temperatura esterna non superava i 10 gradi centigradi a mezzogiorno, ma il gioco era questo e io dovevo starci, quindi indossai gli shorts in jeans che mi ero creata da sola con un vecchio paio di pantaloni e che coprivano molto poco proprio in mezzo alle gambe dove avevo lasciato solo la cucitura del cavallo, e sopra una canottiera, ricordo rossa, con bretelline fini e che mi lasciava l'ombelico scoperto, sopra di tutto avevo osato mettere una giacchino di jeans.

Uscimmo di casa tutte e due, io e Paola, lei doveva controllare e appurare che la punizione fosse rispettata e io ovviamente per dirigermi al parco dove mi sarei esibita, anche se l'esibizione vera e propria era già iniziata.

Prendemmo l'autobus della linea 1 per sei fermate alle dieci di mattina di un giorno feriale della settimana, tutto sommato fu una parte relativamente semplice per me dato che a quell'ora l'autobus era praticamente vuoto, ma stavo davvero male quando alcune signore anziane mi guardarono con i loro occhi indagatori e poi iniziarono a commentare fra loro con quel bisbiglio furtivo che mi da un fastidio immenso.

Nel frattempo Paola se la rideva godendosi il mio disagio, l'autobus era praticamente vuoto e io dovevo rimanere in piedi per farmi guardare, ed erano solo vecchiette dirette in centro.

Alla quinta fermata salì il controllore e io raggelai, in effetti a Udine non è raro che ti facciano scendere se non ti considerano vestita all'uopo o peggio che ti diano anche una multa; io feci buon viso al caso e attesi che mi chiedessero il biglietto che tenevo in bella vista stretto tra le dita, il controllore però passò oltre e tornò da me lasciandomi per ultima, ma solo per potermi guardare, io credevo che mi tirasse una ramanzina coi fiocchi che mi avrebbe probabilmente fatto piangere dalla vergogna e invece no controllò il mio biglietto e poi scese con noi, senza aggiungere altro, io tirai un sospiro di sollievo e insieme a Paola ci avviammo verso parco di via Liruti.

Dalla fermata all'ingresso del parco c'erano più o meno cento metri, ma furono terribili, era passato mezzogiorno e l'area si andava riempiendo di ragazzini festanti, noi camminavamo abbracciate e io sentivo l'aria fredda che si intrufolava sotto gli shorts e lambiva la mia pelle nuda, tenevo il giacchino slacciato e i miei capezzoli erano divenuti duri per il freddo e non solo per quello.

In effetti il gioco mi aveva preso, l'eccitazione per l'umiliazione stava sopravvenendo sul freddo e sulla vergogna di essere in quel posto vestita in quel modo sconveniente; molte erano le mamme dei ragazzi che incrociavamo e tutte mi guardavano con uno sguardo non certo accondiscendente, almeno io credevo che fosse così, mi sentivo osservata e soprattutto giudicata e questo se da una parte mi faceva arrossire terribilmente dall'altro lato, quello osceno della mia personalità, mi eccitava.

Così passeggiando piano come se non avessimo una meta arrivammo al parco, meta solitamente di vecchietti in cerca di un angolo di pace e di coppiette in cerca di un po' di intimità dove raccontarsi il proprio amore e scambiarsi qualche tenero bacio.

Il nostro accordo era quello di girare per i vialetti e poi tornarsene a casa con l'autobus senza fare nulla di stravagante oltre il fatto per me di essere lì vestita a quel modo. Ma non appena entrati Paola visto il vecchio "Vespasiano" mi chiese se non sentissi il bisogno di dover fare pipì con tutto il freddo che avevo preso.

Io trasalii, non avevo pensato ad una tale eventualità e lì per lì non pensai neppure che forse tutta la messa in scena di arrivare fino a quel parco fosse finalizzata proprio a quello osceno gabinetto, ma conoscendo la mente di Paola mi sarei dovuta di certo aspettare una simile avventura; ora ero davvero nei guai, io lì non ci volevo entrare anche perché per come era fatto non avrei potuto di certo nascondermi, infatti la parte inferiore era alta almeno un trenta o quaranta centimetri da terra e se mi fossi accucciata mi avrebbero vista sicuramente, inoltre non c'erano porte, il Vespasiano era un'orribile coso realizzato da maschi per maschi, era precluso alle funzionalità di una donna.

Paola vista la mia ritrosia prese il sopravvento sulla mia mente e presa la mia mano mi tirò verso l'oscena costruzione grigia, io non volevo ma non opponevo resistenza qualcosa in me voleva andare oltre; arrivammo davanti all'ingresso del cesso, io vidi che il parco era praticamente deserto e ripresi un po' di coraggio eppoi dovevo effettivamente fare pipì, guardai Paola negli occhi e lei prima mi sorrise e poi mi baciò veloce prima di chiedermi di entrare, lei sarebbe rimasta sulla porta a parare gli sguardi indiscreti.

Feci un passo ed entrai, constatai per prima cosa che la "turca" fosse pulita e lo era, poi mi girai per slacciarmi i pantaloncini ma Paola mi disse che no, se volevo fare pipì dovevo farla con gli shorts addosso e non dovevo usare le mani, dovevo solo accucciarmi e fare pipì così com'ero.

Non so che mi prese mi ero eccitata e guardandola negli occhi mi accucciai e mi lasciai andare, sentivo la pipì uscire dall'uretera e con un rumore di scroscio sbattere sul cemento della turca, la sentivo persino rimbalzare e in parte finire sui miei piedi, io ero come in trance e guardavo la porta dove doveva essere Paola ma ella non c'era, si era allontanata la carogna e io dovetti fare pipì con la paura che chiunque fosse passato di lì poteva vedermi in quella posa sconveniente.

Finii e mi rialzai lesta, uscii e mi guardai intorno e vidi Paola seduta su una panchina poco distante, la raggiunsi un po' incazzata per lo scherzo ma tutto sommato divertita perché la cosa mi aveva eccitata, lei si era slacciata il cappotto facendomi vedere che sotto aveva solo una maglietta bianca e si stava titillando un capezzolo con un dito da sopra la stoffa, io mi sedetti accanto a lei girandomi e mettendo un piede sulla panchina e l'altro in terra offrendogli la visione della mia figa ancora bagnata di pipì e iniziai a toccarmela.

Lei mi guardava con quei suoi occhi penetranti che sanno scavarti dentro e nel mentre si torturava il capezzolo, io da parte mia continuavo a masturbarmi, ora scostato con una mano la parte di cucitura che faceva da cavallo agli shorts mi infilavo le dita dentro la figa fradicia e mi masturbavo velocemente presa com'ero da quella infojatura; non sentivo freddo ma anzi ero accaldata addirittura sudavo.

Venni tremando, l'orgasmo mi prese in un modo incredibile dato che non ebbi le solite avvisaglie di calore nei sentii i soliti tremolii delle gambe venni e basta in un orgasmo forte al punto da lasciarmi per un momento senza fiato, poi non appena mi fui ripresa risi guardando Paola che si mordeva un labbro, quindi misi la mia mano intrisa dei miei umori sul suo seno pulendomi sulla maglietta, Paola non se ne ebbe a male anzi le piacque al punto che lasciò il cappotto slacciato fino a casa.

Sull'autobus rimanemmo abbracciate fino alla nostra fermata ma non osammo fare altro dato che oramai l'autobus era pieno di ragazzini delle scuole medie che sciamavano verso casa.

Noi avevamo ventuno anni e il cambiamento nella mia vita stava avvenendo sia pure per gradi.

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Chi è arrivato fin qui, avrà compresa anche l'asprezza espressiva dei miei primi racconti, quindi grazie per la comprensione.
scritto il
2021-10-21
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