Io e Giovanni, parte seconda

di
genere
gay

Io e Giovanni, seconda parte
Ci trovammo a casa mia come d’accordo e come sempre arrivò con una ventina di minuti in ritardo. Iniziai subito la stesura del curriculum insistendo sulle cose da mettere in rilievo per il tipo di impiego. Mi ascoltava come un discente diligente e mi stava molto più vicino del dovuto per vedere cosa stessi scrivendo e come organizzassi il testo. Gli spiegai che conta molto anche come si organizza quello che si scrive e nel giro di un’oretta il documento era pronto. Adesso che si fa chiese con lo sguardo basso. Quello che si era deciso ieri sera confermai, sempre se ti va.
Disse solo: dove ci mettiamo? Proposi camera mia, letto matrimoniale comodo. Nessuna obiezione, si incamminò per primo, salì le scale verso camera mia, sapeva bene dov’era solitamente ci andavamo per un pisolino pomeridiano ma adesso le cose erano diverse. In silenzio iniziò a spogliarsi e così feci anch’io. Quando si girò verso di me la sua erezione era completa e vedendo che il mio era quasi a riposo, cercò di nasconderla con le mani. Mi avvicinai ed iniziai ad accarezzarlo tutto. Aveva la pelle di seta come una fanciulla. Solo il forte profumo di maschio ed il cazzone troneggiante faceva capire che non era così.
Non aveva peli salvo il ciuffetto sul pube e sotto le ascelle. Lo feci stendere prono, si lasciava fare, dimmi tu mi diceva, io non saprei come muovermi. In quella posizione i fianchi stretti ed i glutei pieni e privi di peli mi ispiravano progetti di guerra, lui steso, aspettava le mie carezze ed arrendevole si beava quando la pressione delle mani quasi si trasformava in massaggio. Ed è quello che mi venne spontaneo fare. Iniziarlo all’amore così mi sembrava quasi una violenza, aspettava senza reagire, solo con un’eccitazione che gli toglieva il fiato. Non volevo sprecare nulla. Avevamo tutto il pomeriggio a casa da soli per cui presi l’olio di mandorle dolci e dopo avermi frizionato bene le mani per scaldarlo, iniziai a massaggiarlo.
Più il massaggio si faceva profondo, più quel corpo sentivo donarsi a me, arrendevole come un giunco che si piega al vento. Le spalle, le braccia, la schiena, le gambe ed i piedi passando sempre dai piccoli mappamondi dei glutei, sodi, lisci, attraenti. Quando insistevo notai che Giovanni tendeva ad alzare il culetto verso quel massaggio. In un paio di occasioni mi spinsi tra le natiche a lubrificare il buchetto strettissimo, un vero bottoncino senza che vi fosse alcuna forma di diniego. Adesso girati gli dissi e lui prontamente si mise supino, il cazzo svettante più che mai. Io non le so fare queste cose disse non potrò ricambiare.
Lo rassicurai ed iniziai a lavorare sul davanti di quel corpicino in apparenza fragile ma che mi stava donando delle grandissime emozioni, avremmo potuto farlo altre volte questo gli dissi, ma non mi è mai venuto in mente di chiedertelo. E lui, va bene così, ci siamo arrivati per gradi e mi fa sentire bene. Continuai il massaggio fino ad arrivare ad impossessarmi del membro, Giovanni ebbe un sussulto e subito allungò la mano per prendere il mio. Lo fermai! Aspetta e vedi se ti piace il gioco. Si fermò ad osservare come lo stessi solo massaggiando, poi, quando mi chinai a leccarlo e prendendolo in bocca con un lavorio del succhio lecco liscio l’asta in un pompino magistrale, tra gemiti e piccoli brividi, volle fare la stessa cosa e ci incrociammo in un sessantanove incredibile.
Ogni tanto smettevo di succhiarlo e spostavo lo sguardo per osservare come fosse concentrato rapito nell’operazione. Non so dire se fosse perché mi prendeva da impazzire o cosa, di fatto la sua prestazione esaudiva ogni mia più rosea aspettativa e dovevo controllarmi per non eiaculare prematuramente. Continuammo a leccarcelo e succhiarcelo per non so quanto, era bello averlo così, con le mani riuscivo a tenere i glutei e accarezzandoli guidare il membro nella bocca fino a sentirmelo entrare in gola, quando superava l’arcata tonsillare, Giovanni emetteva un piccolo gemito di piacere. Iniziò anche lui la stessa operazione che gli procurò qualche sforzo ma non smise, anzi.
Il massaggio al culetto mi stava dando un’idea malsana, non avrei potuto spingermi a tanto pensai, ma mentre la testa lo sconsigliava, le mani si intrufolavano sempre più insistenti a cercare il buchetto brunastro visto durante il massaggio e l’arrendevolezza con cui l’amico divaricava le gambe e rilassava lo sfintere, mi incitarono a continuare. L’olio abbondante che ancora lubrificava il corpo dell’amante rese facile la carezza approfondita dello sfintere e quando al primo tentativo di introdurvi un dito, Giovanni collaborò spingendo lievemente, la testa andò in tilt. Non avrei sperato di arrivare a tanto.
Si lasciava allargare lentamente mentre continuavo succhiarlo e segarlo, le dita erano oramai un paio e si erano fatte strada con la sua piena silenziosa, costante collaborazione. Dovetti fermarlo per evitare di sborrargli in bocca, mentre lui era super eccitato ma non accennava a venire, mi imposi maggiore concentrazione. Gli passai l’olio e pur continuando le sue attenzioni nei confronti del mio cazzo, dopo qualche minuto iniziai a sentire le dita che mi accarezzavano lo sfintere chiedendo un visto d’ingresso. Ci mise molta delicatezza, ero restio a fare una cosa mai fatta, che però stavo chiedendo a lui, quindi cacciai il pensiero di negarmi e continuai il gioco assaporandone ogni istante.
Giovanni oramai aveva tre dita che gli allargavano lo sfintere e non batteva ciglio, continuava a girarmi un dito in culo, ma non riuscivo a concedergli di più nonostante tutte le mie buone intenzioni, quando pur con tutta la delicatezza del mondo tentava di approcciare la punta del secondo dito, in automatico i glutei si stringevano e non potevo farci nulla, perdevo pure l’erezione ed il mio amante chiaramente aveva compreso e si accontentava del solo dito pur di sentire il cazzo che gli riempiva la bocca. La cosa mi stava facendo perdere la concentrazione e non sapevo come avrei potuto continuare, sapendo che lui tutto quello che gli facevo, poi lo voleva provare a sua volta.
Fu Giovanni a togliermi dall’impiccio. Non disse nulla, sciolse l’appassionato sessantanove ed io interpretai quella manovra come una rinuncia a continuare vista la mia reazione poco compliante e mi sedetti sul letto. Per tutta risposta. Il mio meraviglioso amico che stava diventando uno splendido amante, si stese prono vicino a me e piantandomi addosso i suoi superbi occhi neri mi disse quasi in un sussurro: mettiti sopra ed entra piano, mi raccomando. Era troppo, mi trovavo confuso ed emozionalmente disorientato; non avevo mai provato una cosa del genere. Continuava a guardarmi ed il suo sguardo mi seguì fino a quando uscii dal suo campo visivo per stendermi sul suo corpo setoso, lucidato dall’olio.
Si girò appena con la spalla, giusto per continuare a guardarmi mentre lo coprivo. Lo guardavo anch’io e non potei fare a meno di notare come la larghezza del mio bacino, addome e torace riuscisse a coprirlo ampiamente, debordando di parecchi centimetri per parte. In quel modo vidi come fosse mingherlino il mio amato amico. Stenditi tutto mi chiese, e quando scesi sulle sue spalle, i suoi deltoidi a bracca chiuse, entravano a stampo sotto le mie ascelle, sembrava veramente un ragazzino rispetto a me, ma stavamo facendo sesso alla grande e mi richiamò chiedendomi la bocca per un bacio di avvio, mentre il suo culetto stava cercando il pistone per iniziare la nostra corsa.
Quando sentì la cappella puntare sullo sfintere che avevo con la sua piena collaborazione preventivamente ben dilatato, mi chiese di non spingere e di limitarmi a mantenere la posizione per permettergli di farlo entrare lentamente mentre si dilatava. Iniziò a dimenare il culetto roteando e spingendo ripetutamente, ogni tanto si fermava e quando ricominciava si ritraeva di qualche centimetro per ripetere dopo qualche secondo la stessa manovra e riprendersi la stessa quantità di cazzo più qualche altro centimetro. Era una tortura per me, mi sentivo così eccitato da disarmare qualsiasi capacità di contenzione a ritardare l’orgasmo. Giovanni non respirava nemmeno e se lo faceva non si sentiva. Lo guardavo in viso, girato di lato, ad occhi chiusi, labbra semiaperte, braccia piegate a pugni chiusi allargate sui cuscini a fianco del capo.
Si stava ingoiando tutto il mio cazzo come fosse un compito da portare a termine con impegno, nel silenzio di quel pallido pomeriggio autunnale. Non so quanto tempo rimanemmo in quella posizione. So solo che ad un certo punto Giovanni aprì gli occhi, si girò in cerca della mia bocca e dopo il bacio disse: sei dentro fino alle palle, non pensavo riuscire a prenderlo tutto, ma adesso ce l’ho. Mi sento pieno, rilassato, caldo e appagato; prova a muoverti piano! Ero così eccitato da quella situazione che mi sentivo come fosse la mia prima volta; (nella realtà non ricordo nemmeno quando e quale fosse stata la mia prima volta). Giovanni spinse ancora il culetto verso il mio bacino ed iniziò lentamente a rotearlo chiedendomi nuovamente di iniziare a scoparlo.
Mi vergogno ancora solo a pensarlo e non me la sono sentita nemmeno di dirglielo, visto la stima che aveva nei confronti della mia pluriesperienza ma, dopo la terza quarta pompata, non riuscii più a tenere la sborrata che iniziò spontaneamente a fluire nella profondità delle viscere del mio meraviglioso amico. Si limitò a chiedermi cosa stesse succedendo, sentiva un gran caldo fluire in alto. Simulando una gran calma chiesi: ti piace? E lui beatamente assentì, disteso piatto sul letto mi chiese di continuare fino a sborrargli dentro tutto il mio seme. Continuai a fotterlo per tutto il tempo necessario a venire la seconda volta. Temevo protestasse per la sbattuta che non smetteva mai, ma Giovanni si limitava ad arcuare il bacino di tanto in tanto per cambiare l’angolazione dell’ingresso per il cazzo, ma non faceva una piega.
Non gemeva e non dava alcun segno di gradire o meno ciò che stavamo facendo, si limitava a baciarmi appena la mia testa si appoggiava accanto alla sua sul cuscino. Quando mi accinsi alla mia seconda sborrata feci, senza alcun mascheramento, tutti i gesti che lo scenario dell’orgasmo prevedeva e l’amico parve gradire molto tutto il mio godimento, quando estrassi il cazzo, volle vedere allo specchio in fondo al letto quanto il suo bottoncino fosse risultato spanato e trattenne tutto lo sperma, senza farne uscire neanche una goccia. Questo me lo porto via mi disse sorridendo, ma era chiaramente provato dalla lunga prestazione.
Vorrei provare anch’io mi disse, se sei d’accordo. Non potevo certo sottrarmi, anche se mi suscitava molta perplessità l’ipotesi di far entrare nel mio corpo quel mostruoso manicotto. Non so se ce la farò confessai, ma proviamo. Giovanni non batté ciglio, si accovacciò tra le mie gambe e riprese a massaggiarmi lo sfintere, lubrificandolo abbondantemente mentre continuava a succhiarmi la punta del cazzo pulsante per l’eccitazione. Come riuscì a farvi passare un dito, persi completamente l’erezione e ricominciò dall’inizio per tornare a godere del mio cazzo duro.
Dopo un bel po’ di quell’andirivieni, decisi di mettermi a pancia in giù per offrirgli quello che oramai reputavo doveroso. Sentii il suo corpicino coprirmi, mentre il bestione si schiacciava tra i glutei e l’amico cercava di puntarlo all’orifizio. Ogni volta che iniziava a spingere. Lo sfintere si stringeva al punto che non riusciva nemmeno a mantenere la posizione, e dopo ripetuti tentativi, vuoi per l’eccitazione che continuava a montargli, vuoi per non so cosa, lo sentii incollato a me come un francobollo e mi inondò la schiena con una serie di spruzzi di sborra bollente. Ancora nessuna esibizione di sospiri o altre manifestazioni di godimento.
Asciugò la schiena con un telo per ospiti che avevo preparato e si stese al mio fianco. Mi girai supino e lo attirai sopra di me. Non voleva nemmeno essere sfiorato sul membro, dopo la sborrata diveniva così sensibile da procurargli dolore, così mi disse. Per me non era così, ma si sa, io ero io. Ci baciammo ancora a lungo e non ci fu storia dell’ipotesi di una seconda sborrata, per Giovanni era buona la prima e per quel pomeriggio, doveva finire così. Non ci dicemmo nulla, salvo che era stato tutto molto bello. Lo avremmo fatto ancora? Capii che non avrei dovuto parlarne adesso, non c’era spazio nella sua mente.
Scendemmo e ci rimettemmo al lavoro su altre ipotesi di curriculum, come se avessimo appena smesso il lavoro precedente. Alla fine passammo in cucina dove preparai la cena che consumammo assieme. Il resto della serata la trascorremmo fuori, con i miei amici, in un piano bar. Lo riaccompagnai a casa con la mia vecchia auto e discutemmo come al solito di auto, delle sue carabine, e di cosa avremmo fatto assieme il giorno dopo, quando sarebbe passato a prendermi al lavoro. Capii solo una cosa che mi fece anche male. Non dovevamo parlare di ciò che era successo in camera mia. Era pentito? Quindi quella sarebbe stata la prima e l’ultima volta? Bisognava attendere gli sviluppi.
scritto il
2021-11-14
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