Io e Giovanni, parte terza
di
Trozzai Gotusva
genere
gay
Io e Giovanni: parte terza
Ogni volta che andavo al lavoro presto, al mattino, Giovanni aveva preso l’abitudine di venirmi a prendere a casa per portarmi al lavoro e poter cosi riaccompagnarmi alla fine. Trascorrevamo poi il pomeriggio a tirare con la carabina o a giocare a tennis. Cercava di apprendere quel gioco che gli piaceva tanto, ma per il quale secondo me era negato visti i deludenti risultati. Molto tempo poi lo dedicavamo a redigere e stampare curricoli per la sua ricerca di un lavoro, ma avrebbe dovuto sviluppare una maggiore sicurezza nel presentarsi perché avevo la sensazione che il datore di lavoro o il responsabile del personale fossero trattenuti dal suo aspetto da adolescente.
Lui ci stava male e spesso intervenivo a difendere la sua posizione per confortarlo, ma mi rendevo conto che avrei dovuto affrontare l’argomento onestamente per aumentare la sua autoefficacia. Così un pomeriggio che si era particolarmente abbattuto, gli ricordai che non tutti lo vedono maturo e attraente come lo vedo io, e che avrebbe dovuto darsi parecchio da fare per rendere evidente a chi non lo conoscesse intimamente come in realtà egli fosse. Fece lo sguardo interrogativo e mi chiese se credevo veramente nelle sue possibilità. Tornò a parlarmi delle sue difficoltà con le ragazze che secondo lui guardavano solo me. E via così con una serie di congetture, continuava a mettersi in cattiva luce arrivando a mettere in dubbio la sincerità con cui io stimavo le sue possibilità.
Lo lasciai dire e per quella sera tornai a casa deluso e stanco senza trovare la forza di controbattere il cinismo che Giovanni stava mettendo in campo. Ci salutammo ed il giorno dopo venne a prendermi a muso duro per portarmi al lavoro. Non pronunciammo che poche parole e quando tornammo a mezzogiorno andammo a mangiare a casa sua. Sua madre ci vide taciturni e ce lo fece notare, ovviamente non ottenne risposta e ci lasciò soli. Dopo pranzo ai campi da tennis per un paio d’ore, non pronunciammo che poche parole. Negli spogliatoi e sotto la doccia il silenzio era quasi imbarazzante ma non volevo essere sempre quello che toglie le castagne dal fuoco.
Arrivammo a casa mia che si stava facendo buio, mentre sistemavo la mia borsa del tennis, Giovanni si posizionò nello studio ed accese il portatile. Quando lo raggiunsi stava guardando un fil porno con una coppia di biondissime che si leccavano e coccolavano, mentre uno stallone moro si masturbava strizzandosi i capezzoli guardandole. Sollevò il PC chiedendomi se fossi d’accordo per un riposino sul lettone. Acconsentii quasi stupito che dopo tanto silenzio le cose si mettessero in quel modo, ma non ne feci parola. Steso sul letto si liberò dei pantaloni della tuta e ben presto lo slippino saltellava sotto le spinte del cazzone. Prima di toccarsi mi invitò a mettermi a nudo, cosa che feci volentieri, ben felice della piega che stavano prendendo gli eventi.
Il mio cazzone era già pronto e disponibile, Giovanni si liberò dall’ultimo indumento in un battibaleno e ignorando le scene che lo schermo stava proponendo, si chinò sul mio cazzo riempendosene la bocca. Il pompino giungeva graditissimo. Leccava la cappella e con la lingua ne percorreva i contorni poi tornava a succhiarla, affondava l’asta fino a superare l’arcata tonsillare e percepivo pienamente il salto oltre la gola quando entrava nell’esofago, sublime….. Sapeva ingoiarlo e lo spingeva oltre, fino a farmi percepire la eccitazione della cappella che si insinuava verso lo stretto elastico pertugio. Quei tre quattro affondi e poi fuori di colpo e l’esibizione della difficoltà sofferta nel tentativo di quell’impossibile ingoio.
Feci il tentativo di girarmi a sessantanove per restituirgli il favore, o quantomeno condividere l’esperienza, ma Giovanni stavolta voleva farmi capire quanto volesse essere capace di farmi godere anche lui come mi vantavo di saper fare io, si accovacciò tra le mie gambe aperte a ginocchia flesse ed iniziò la lunga maratona di un pompino fatto per farsi valere, capii che voleva essere confrontato con le mie precedenti esperienze. Cercai di distrarmi, non potevo concentrarmi su quello che vedevo, avrei sborrato subito.
Vedere quel viso e quell’esile corpo che si arrotolava quasi attorno all’esperienza che stava provando, mi annebbiava la mente. Sentivo il suo profumo acerbo salire dalle narici alla corteccia cerebrale e mi stavo drogando di quell’aroma. Era una sensazione pazzesca, per la prima volta nella mia vita perdevo il controllo del mio corpo e non riuscivo a rimanere vigile. Non volevo si vedesse, per fortuna l’amico era inesperto, ma quasi mi vergognavo per come mi sentivo. Emettevo monosillabi mentre lo guardavo gustandomi ogni momento di quel suo fare,
L’amico continuava a succhiarmi e segarmi, non accarezzava nessun ‘altra parte del mio corpo, era come se fossi solo cazzo e dintorni (testicoli e i pochi cm di pelle attorno). Non ce la facevo più a trattenermi e glielo dissi, con l’unico risultato di vederlo ancor più chiuso attorno a quello che sembrava essere diventato l’unico oggetto dei suoi desideri, mi lasciai andare vuotando nella sua bocca, con un lungo lamento, ogni goccia del mio piacere. Non smise un secondo di lappare ed ingoiare fino a non aver assorbito tutto ad ogni contrazione, accompagnando gli spasimi con morbide carezze elargite dalla sua vigorosa calda lingua.
Lo attirai a me senza fatica e cercai di condividere con il bacio le ultime gocce, ma trovai solo la sua accogliente bocca, umida della saliva e di quel sapore maschio che per la prima volta riuscivo ad apprezzare senza alcun limite, avrei trascorso ore solo a baciarlo, ma avevo paura delle mie emozioni così smodatamente percepite nei confronti dell’amico. Non mi accarezzava, si limitava a tenere una mano vicino alle bocche unite ancora dal bacio, e l’altra ad accarezzare ancora il mio tarello pulsante, che sembrava apprezzare senza sosta il contatto con quel maschietto così adulto tra le gambe e così adolescente implume nel resto del corpo. Io adoravo accarezzarlo tutto e lui sembrava gradire molto quelle carezze.
Quando si staccò, senza aggiungere una parola si stese prono a gambe divaricate in mezzo al letto: e adesso vieni dentro mi disse sommessamente, quasi a sussurrare quello che era un ordine. Ero quasi commosso, mi fermai a guardarlo, dovevo ammetterlo, ne ero innamorato, quel corpo mi piaceva, avrei dato non so cosa per poter amarlo per tutta la vita, ne ero attratto dalle forme estetiche, dal profumo che emanava, dal colore ambrato, dalla pelle setosa, dal modo in cui mi prendeva dentro di se e…….. potrei continuare all’infinito perché mi ero mio malgrado perso. Non potevo mentire a me stesso, avrei voluto entrambi, lui e sua cugina, possibilmente nella stessa camera da letto, magari nello stesso letto.
Stavo pensando questo quando Giovanni mi riportò alla realtà: se non ti va dimmelo che mi rivesto. Tremai alla sola idea. Non scherzare risposi, ti stavo ammirando! Non ribatté alla mia risposta ed attese la penetrazione con il suo solito silenzio, emettendo solo un lamento flebile quando il cazzo abbondantemente lubrificato scivolò nello spazio del piacere. Iniziai a pompare con lentezza estrema, ero eccitatissimo, avrei voluto dirgli quello che provavo ma avevo paura solo a pensarlo. Giovanni non aveva mai detto nulla di sentimentale e mi dava l’impressione di provare solo per fare esperienza e niente più.
Ero teso e confuso e anche stavolta non potei trattenermi dall’esplodere in un orgasmo impossibile da trattenere, per mascherare le gettate di sborra, affondai al massimo ad ogni spruzzo e continuai a pompare. Giovanni non si accorse di nulla, si limitava a stringere il lenzuolo tra i denti e impastare la trapunta come se dovesse amalgamarne le varie componenti. Dimmi quando vieni dentro mi disse, che voglio sentire bene cosa provo. Sembrava appunto solo uno studio il suo modo di partecipare, non vedevo alcun coinvolgimento emotivo, non era così per me e la cosa mi preoccupava.
Continuai cambiando posizione e mettendolo supino con le gambe piegate sul torace per dargli ogni centimetro della mia mazza, guardando al contempo il suo albero del piacere pulsare incessantemente appoggiato alla pancia, in attesa che qualcuno se ne prendesse cura. Giovanni sembrava assorto ad ascoltare il mio cazzo saltellante sul suo culetto e null’altro lo interessava. Questi pensieri mi distraevano mentre lo pompavo quasi meccanicamente, disperando sul mio proverbiale equilibrio psicofisico, mandato in tilt da quel quasi coetaneo apparso inopportunamente nel mio cammino a poche settimane dal mio matrimonio.
Diciamo che quella distrazione stava funzionando a meraviglia sulla prestazione di quel giorno, Giovanni stava soffrendo. Il mio cazzone da puro piacere iniziava a procurargli dolore e mi stava chiedendo ripetutamente di venire perché gli facevo male. Tornai immediatamente in me e con pochi colpi sentii la sborrata montare. Lo avvertii del getto proprio mentre la sborra già stava transitando la prostata per esplodere nei suoi visceri. Giovanni ruotò leggermente il bacino alzando le splendide rotondità di quel seno privo di capezzoli verso il mio bacino ed io versai ogni goccia del seme in quel terreno fertile solo per la passione che scema dopo ogni esplosione.
Lo amavo, ne ero certo, ma questo mi lasciava deluso e disperato. Mi soffermai accarezzandolo con dolcezza, lui si alzò a baciarmi in silenzio, quasi conoscesse i miei pensieri. Si mise supino e in due secondi si assestò un paio di colpi di sega vomitando una cascata di sborra sul pancino e su quel torace da adolescente implume che avrei voluto leccare fino consumarlo, ma avevo adesso il terrore di far trasparire quel sentimento terribile di cui ero divenuto consapevole. Mi limitai a spalmargli la sborra e porgergli la mano in bocca per fargliela assaggiare. Giovanni sorrise alla manovra e mi leccò le dita. Subito dopo si asciugò con la salvietta e andammo in doccia
Non ero più sereno con lui, il discorso sulla leva del cambio emergeva dai discorsi di Giovanni, ogni sera al rientro dal cinema piuttosto che e dalla partita a tennis o dalla nuotata in piscina e funzionava sempre come una provocazione, se il suo cazzo era come la leva del cambio, fatta fare al tornio da un suo compagno di scuola. Il mio era come il dildo che aveva visto al sexi shop, calco del famoso attore porno, e giù a ridere. Ma, come ha fatto il tuo compagno di scuola a farti la leva del cambio così simile in forma e misura. Giovanni sorridendo ammise di aver fatto il confronto con una scommessa che se l’avesse avuto più grosso del suo, gli avrebbe tornito il totem, e solo dopo aver preso macchina e patente, era maturata l’idea di trasformarlo in una leva per il cambio un po’ originale.
Non venne mai a galla cosa provasse lui nei nostri incontri e come fosse venuta meno la sua esigenza di avere sempre una contropartita che tutto quello che lui faceva lo dovessi fare anch’io; ma forse non avevo ancora fatto bene i conti con la realtà, fermandomi a meditare su quello che stavo provando io.
Ogni volta che andavo al lavoro presto, al mattino, Giovanni aveva preso l’abitudine di venirmi a prendere a casa per portarmi al lavoro e poter cosi riaccompagnarmi alla fine. Trascorrevamo poi il pomeriggio a tirare con la carabina o a giocare a tennis. Cercava di apprendere quel gioco che gli piaceva tanto, ma per il quale secondo me era negato visti i deludenti risultati. Molto tempo poi lo dedicavamo a redigere e stampare curricoli per la sua ricerca di un lavoro, ma avrebbe dovuto sviluppare una maggiore sicurezza nel presentarsi perché avevo la sensazione che il datore di lavoro o il responsabile del personale fossero trattenuti dal suo aspetto da adolescente.
Lui ci stava male e spesso intervenivo a difendere la sua posizione per confortarlo, ma mi rendevo conto che avrei dovuto affrontare l’argomento onestamente per aumentare la sua autoefficacia. Così un pomeriggio che si era particolarmente abbattuto, gli ricordai che non tutti lo vedono maturo e attraente come lo vedo io, e che avrebbe dovuto darsi parecchio da fare per rendere evidente a chi non lo conoscesse intimamente come in realtà egli fosse. Fece lo sguardo interrogativo e mi chiese se credevo veramente nelle sue possibilità. Tornò a parlarmi delle sue difficoltà con le ragazze che secondo lui guardavano solo me. E via così con una serie di congetture, continuava a mettersi in cattiva luce arrivando a mettere in dubbio la sincerità con cui io stimavo le sue possibilità.
Lo lasciai dire e per quella sera tornai a casa deluso e stanco senza trovare la forza di controbattere il cinismo che Giovanni stava mettendo in campo. Ci salutammo ed il giorno dopo venne a prendermi a muso duro per portarmi al lavoro. Non pronunciammo che poche parole e quando tornammo a mezzogiorno andammo a mangiare a casa sua. Sua madre ci vide taciturni e ce lo fece notare, ovviamente non ottenne risposta e ci lasciò soli. Dopo pranzo ai campi da tennis per un paio d’ore, non pronunciammo che poche parole. Negli spogliatoi e sotto la doccia il silenzio era quasi imbarazzante ma non volevo essere sempre quello che toglie le castagne dal fuoco.
Arrivammo a casa mia che si stava facendo buio, mentre sistemavo la mia borsa del tennis, Giovanni si posizionò nello studio ed accese il portatile. Quando lo raggiunsi stava guardando un fil porno con una coppia di biondissime che si leccavano e coccolavano, mentre uno stallone moro si masturbava strizzandosi i capezzoli guardandole. Sollevò il PC chiedendomi se fossi d’accordo per un riposino sul lettone. Acconsentii quasi stupito che dopo tanto silenzio le cose si mettessero in quel modo, ma non ne feci parola. Steso sul letto si liberò dei pantaloni della tuta e ben presto lo slippino saltellava sotto le spinte del cazzone. Prima di toccarsi mi invitò a mettermi a nudo, cosa che feci volentieri, ben felice della piega che stavano prendendo gli eventi.
Il mio cazzone era già pronto e disponibile, Giovanni si liberò dall’ultimo indumento in un battibaleno e ignorando le scene che lo schermo stava proponendo, si chinò sul mio cazzo riempendosene la bocca. Il pompino giungeva graditissimo. Leccava la cappella e con la lingua ne percorreva i contorni poi tornava a succhiarla, affondava l’asta fino a superare l’arcata tonsillare e percepivo pienamente il salto oltre la gola quando entrava nell’esofago, sublime….. Sapeva ingoiarlo e lo spingeva oltre, fino a farmi percepire la eccitazione della cappella che si insinuava verso lo stretto elastico pertugio. Quei tre quattro affondi e poi fuori di colpo e l’esibizione della difficoltà sofferta nel tentativo di quell’impossibile ingoio.
Feci il tentativo di girarmi a sessantanove per restituirgli il favore, o quantomeno condividere l’esperienza, ma Giovanni stavolta voleva farmi capire quanto volesse essere capace di farmi godere anche lui come mi vantavo di saper fare io, si accovacciò tra le mie gambe aperte a ginocchia flesse ed iniziò la lunga maratona di un pompino fatto per farsi valere, capii che voleva essere confrontato con le mie precedenti esperienze. Cercai di distrarmi, non potevo concentrarmi su quello che vedevo, avrei sborrato subito.
Vedere quel viso e quell’esile corpo che si arrotolava quasi attorno all’esperienza che stava provando, mi annebbiava la mente. Sentivo il suo profumo acerbo salire dalle narici alla corteccia cerebrale e mi stavo drogando di quell’aroma. Era una sensazione pazzesca, per la prima volta nella mia vita perdevo il controllo del mio corpo e non riuscivo a rimanere vigile. Non volevo si vedesse, per fortuna l’amico era inesperto, ma quasi mi vergognavo per come mi sentivo. Emettevo monosillabi mentre lo guardavo gustandomi ogni momento di quel suo fare,
L’amico continuava a succhiarmi e segarmi, non accarezzava nessun ‘altra parte del mio corpo, era come se fossi solo cazzo e dintorni (testicoli e i pochi cm di pelle attorno). Non ce la facevo più a trattenermi e glielo dissi, con l’unico risultato di vederlo ancor più chiuso attorno a quello che sembrava essere diventato l’unico oggetto dei suoi desideri, mi lasciai andare vuotando nella sua bocca, con un lungo lamento, ogni goccia del mio piacere. Non smise un secondo di lappare ed ingoiare fino a non aver assorbito tutto ad ogni contrazione, accompagnando gli spasimi con morbide carezze elargite dalla sua vigorosa calda lingua.
Lo attirai a me senza fatica e cercai di condividere con il bacio le ultime gocce, ma trovai solo la sua accogliente bocca, umida della saliva e di quel sapore maschio che per la prima volta riuscivo ad apprezzare senza alcun limite, avrei trascorso ore solo a baciarlo, ma avevo paura delle mie emozioni così smodatamente percepite nei confronti dell’amico. Non mi accarezzava, si limitava a tenere una mano vicino alle bocche unite ancora dal bacio, e l’altra ad accarezzare ancora il mio tarello pulsante, che sembrava apprezzare senza sosta il contatto con quel maschietto così adulto tra le gambe e così adolescente implume nel resto del corpo. Io adoravo accarezzarlo tutto e lui sembrava gradire molto quelle carezze.
Quando si staccò, senza aggiungere una parola si stese prono a gambe divaricate in mezzo al letto: e adesso vieni dentro mi disse sommessamente, quasi a sussurrare quello che era un ordine. Ero quasi commosso, mi fermai a guardarlo, dovevo ammetterlo, ne ero innamorato, quel corpo mi piaceva, avrei dato non so cosa per poter amarlo per tutta la vita, ne ero attratto dalle forme estetiche, dal profumo che emanava, dal colore ambrato, dalla pelle setosa, dal modo in cui mi prendeva dentro di se e…….. potrei continuare all’infinito perché mi ero mio malgrado perso. Non potevo mentire a me stesso, avrei voluto entrambi, lui e sua cugina, possibilmente nella stessa camera da letto, magari nello stesso letto.
Stavo pensando questo quando Giovanni mi riportò alla realtà: se non ti va dimmelo che mi rivesto. Tremai alla sola idea. Non scherzare risposi, ti stavo ammirando! Non ribatté alla mia risposta ed attese la penetrazione con il suo solito silenzio, emettendo solo un lamento flebile quando il cazzo abbondantemente lubrificato scivolò nello spazio del piacere. Iniziai a pompare con lentezza estrema, ero eccitatissimo, avrei voluto dirgli quello che provavo ma avevo paura solo a pensarlo. Giovanni non aveva mai detto nulla di sentimentale e mi dava l’impressione di provare solo per fare esperienza e niente più.
Ero teso e confuso e anche stavolta non potei trattenermi dall’esplodere in un orgasmo impossibile da trattenere, per mascherare le gettate di sborra, affondai al massimo ad ogni spruzzo e continuai a pompare. Giovanni non si accorse di nulla, si limitava a stringere il lenzuolo tra i denti e impastare la trapunta come se dovesse amalgamarne le varie componenti. Dimmi quando vieni dentro mi disse, che voglio sentire bene cosa provo. Sembrava appunto solo uno studio il suo modo di partecipare, non vedevo alcun coinvolgimento emotivo, non era così per me e la cosa mi preoccupava.
Continuai cambiando posizione e mettendolo supino con le gambe piegate sul torace per dargli ogni centimetro della mia mazza, guardando al contempo il suo albero del piacere pulsare incessantemente appoggiato alla pancia, in attesa che qualcuno se ne prendesse cura. Giovanni sembrava assorto ad ascoltare il mio cazzo saltellante sul suo culetto e null’altro lo interessava. Questi pensieri mi distraevano mentre lo pompavo quasi meccanicamente, disperando sul mio proverbiale equilibrio psicofisico, mandato in tilt da quel quasi coetaneo apparso inopportunamente nel mio cammino a poche settimane dal mio matrimonio.
Diciamo che quella distrazione stava funzionando a meraviglia sulla prestazione di quel giorno, Giovanni stava soffrendo. Il mio cazzone da puro piacere iniziava a procurargli dolore e mi stava chiedendo ripetutamente di venire perché gli facevo male. Tornai immediatamente in me e con pochi colpi sentii la sborrata montare. Lo avvertii del getto proprio mentre la sborra già stava transitando la prostata per esplodere nei suoi visceri. Giovanni ruotò leggermente il bacino alzando le splendide rotondità di quel seno privo di capezzoli verso il mio bacino ed io versai ogni goccia del seme in quel terreno fertile solo per la passione che scema dopo ogni esplosione.
Lo amavo, ne ero certo, ma questo mi lasciava deluso e disperato. Mi soffermai accarezzandolo con dolcezza, lui si alzò a baciarmi in silenzio, quasi conoscesse i miei pensieri. Si mise supino e in due secondi si assestò un paio di colpi di sega vomitando una cascata di sborra sul pancino e su quel torace da adolescente implume che avrei voluto leccare fino consumarlo, ma avevo adesso il terrore di far trasparire quel sentimento terribile di cui ero divenuto consapevole. Mi limitai a spalmargli la sborra e porgergli la mano in bocca per fargliela assaggiare. Giovanni sorrise alla manovra e mi leccò le dita. Subito dopo si asciugò con la salvietta e andammo in doccia
Non ero più sereno con lui, il discorso sulla leva del cambio emergeva dai discorsi di Giovanni, ogni sera al rientro dal cinema piuttosto che e dalla partita a tennis o dalla nuotata in piscina e funzionava sempre come una provocazione, se il suo cazzo era come la leva del cambio, fatta fare al tornio da un suo compagno di scuola. Il mio era come il dildo che aveva visto al sexi shop, calco del famoso attore porno, e giù a ridere. Ma, come ha fatto il tuo compagno di scuola a farti la leva del cambio così simile in forma e misura. Giovanni sorridendo ammise di aver fatto il confronto con una scommessa che se l’avesse avuto più grosso del suo, gli avrebbe tornito il totem, e solo dopo aver preso macchina e patente, era maturata l’idea di trasformarlo in una leva per il cambio un po’ originale.
Non venne mai a galla cosa provasse lui nei nostri incontri e come fosse venuta meno la sua esigenza di avere sempre una contropartita che tutto quello che lui faceva lo dovessi fare anch’io; ma forse non avevo ancora fatto bene i conti con la realtà, fermandomi a meditare su quello che stavo provando io.
1
voti
voti
valutazione
10
10
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Io e Giovanni, parte secondaracconto sucessivo
Io e Giovanni, parte quarta
Commenti dei lettori al racconto erotico