Vacanza sullo yacht (parte 19)
di
Kugher
genere
sadomaso
Tornando sull’imbarcazione, dopo avere camminato sui due gradini umani, si diressero alle poltroncine.
“Cani, qui”.
Cani.
Riflettevano mentre, prostrati, avevano il piede dei Padroni sulla nuca.
Cani.
Non era stata pronunciata in modi o toni offensivi o denigratori. Mai i Padroni volevano offenderli.
Era una pronuncia neutra, per quanto tale possa essere quella parola rivolta a due esseri umani. Ciascuno, però, ha una sfera diversa ed esclusiva.
La loro era particolare, sviluppatasi e concretizzatasi con la rispettiva frequentazione negli anni nel corso dei quali erano divenuti i “cani” di quelle due persone.
Nessuna offesa, nessun tono denigratorio, ma l’evoluzione del loro rapporto, dove sottomissione e dominazione si incontrano in un punto che, in quel momento, vedeva i due ragazzi prostrati a terra con il piede dei Padroni sulla nuca.
Ciascuno era ciò che voleva e che desiderava essere e, pertanto, paradossalmente erano “alla pari”.
Erano cambiati tanto, tutti e quattro. Si erano conosciuti nella loro parte più intima ed i Padroni erano arrivati a quel punto assieme agli schiavi, facendo la stessa strada, senza forzatura alcuna.
Ogni rapporto deve evolvere. Il loro aveva preso quella piega. Lo avevano lasciato correre, “ascoltandosi” a vicenda.
I Padroni li vedevano sempre più quali loro schiavi e li tenevano volentieri come fossero i loro cani.
Avevano ormai la certezza che avrebbero accettato di essere marchiati.
Quei giorni sono stati importanti in quanto gli schiavi erano usciti, seppur limitatamente ai due ospiti, dalla sfera ristretta. Non era cosa da poco essere tenuti come schiavi davanti ad estranei. La cosa assume una sorta di dimensione pubblica, quasi fosse normale per una coppia possedere altre due persone al punto da far fare loro da poggiapiedi ad altri.
Gli schiavi erano ancora affamati. I Proprietari traevano piacere nel sapere della sofferenza a loro imposta, affamati in attesa di qualche scarto.
Enrico gettò a terra un paio di biscotti, uno per ciascuno che i cani mangiarono dopo avere atteso che venissero sollevati i piedi dal loro capo.
Se i due giovani si aspettavano un complimento per come si erano comportati con i due ospiti, sarebbero rimasti delusi. I Padroni davano per scontato l’uso così come avvenuto anche se, in cuor loro, erano soddisfatti di come si erano svolti gli eventi.
I Padroni andarono a fare l’amore. Vollero fare le cose con calma. Si accarezzarono a lungo mentre gli schiavi li stavano leccando, complici del loro piacere.
Mentre, a letto, si univano carnalmente, pretesero che gli schiavi leccassero loro le piante dei piedi, cosa che dovettero fare anche ad orgasmo avvenuto, quando, stesi sulla schiena, i Padroni si riposarono abbracciati.
“Amore, ieri lo schiavo ha goduto, pensiamo a Marta o li facciamo godere entrambi?”.
Una luce si accese nei due ragazzi.
Enrico era molto più sadico in questo.
Li fecero mettere inginocchiati a lato del loro letto e ordinarono loro di masturbarsi.
Quando furono vicini all’orgasmo li interruppero, divertiti del loro sbigottimento per essere stati fermati ad un passo dal traguardo.
“Basta così, andate a cuccia. Godrete questa sera ... forse”.
“Cani, qui”.
Cani.
Riflettevano mentre, prostrati, avevano il piede dei Padroni sulla nuca.
Cani.
Non era stata pronunciata in modi o toni offensivi o denigratori. Mai i Padroni volevano offenderli.
Era una pronuncia neutra, per quanto tale possa essere quella parola rivolta a due esseri umani. Ciascuno, però, ha una sfera diversa ed esclusiva.
La loro era particolare, sviluppatasi e concretizzatasi con la rispettiva frequentazione negli anni nel corso dei quali erano divenuti i “cani” di quelle due persone.
Nessuna offesa, nessun tono denigratorio, ma l’evoluzione del loro rapporto, dove sottomissione e dominazione si incontrano in un punto che, in quel momento, vedeva i due ragazzi prostrati a terra con il piede dei Padroni sulla nuca.
Ciascuno era ciò che voleva e che desiderava essere e, pertanto, paradossalmente erano “alla pari”.
Erano cambiati tanto, tutti e quattro. Si erano conosciuti nella loro parte più intima ed i Padroni erano arrivati a quel punto assieme agli schiavi, facendo la stessa strada, senza forzatura alcuna.
Ogni rapporto deve evolvere. Il loro aveva preso quella piega. Lo avevano lasciato correre, “ascoltandosi” a vicenda.
I Padroni li vedevano sempre più quali loro schiavi e li tenevano volentieri come fossero i loro cani.
Avevano ormai la certezza che avrebbero accettato di essere marchiati.
Quei giorni sono stati importanti in quanto gli schiavi erano usciti, seppur limitatamente ai due ospiti, dalla sfera ristretta. Non era cosa da poco essere tenuti come schiavi davanti ad estranei. La cosa assume una sorta di dimensione pubblica, quasi fosse normale per una coppia possedere altre due persone al punto da far fare loro da poggiapiedi ad altri.
Gli schiavi erano ancora affamati. I Proprietari traevano piacere nel sapere della sofferenza a loro imposta, affamati in attesa di qualche scarto.
Enrico gettò a terra un paio di biscotti, uno per ciascuno che i cani mangiarono dopo avere atteso che venissero sollevati i piedi dal loro capo.
Se i due giovani si aspettavano un complimento per come si erano comportati con i due ospiti, sarebbero rimasti delusi. I Padroni davano per scontato l’uso così come avvenuto anche se, in cuor loro, erano soddisfatti di come si erano svolti gli eventi.
I Padroni andarono a fare l’amore. Vollero fare le cose con calma. Si accarezzarono a lungo mentre gli schiavi li stavano leccando, complici del loro piacere.
Mentre, a letto, si univano carnalmente, pretesero che gli schiavi leccassero loro le piante dei piedi, cosa che dovettero fare anche ad orgasmo avvenuto, quando, stesi sulla schiena, i Padroni si riposarono abbracciati.
“Amore, ieri lo schiavo ha goduto, pensiamo a Marta o li facciamo godere entrambi?”.
Una luce si accese nei due ragazzi.
Enrico era molto più sadico in questo.
Li fecero mettere inginocchiati a lato del loro letto e ordinarono loro di masturbarsi.
Quando furono vicini all’orgasmo li interruppero, divertiti del loro sbigottimento per essere stati fermati ad un passo dal traguardo.
“Basta così, andate a cuccia. Godrete questa sera ... forse”.
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