Il prezzo della sottomissione (parte 1)

di
genere
sadomaso

PROLOGO

Ricordi, le strade erano piene di quel lucido scirocco
Che trasforma la realtà abusata e la rende irreale
Sembravano alzarsi le torri in un largo gesto barocco
E in via dei Giudei volavan velieri come in un porto canale
Tu dietro al vetro di un bar impersonale
Seduto a un tavolo da poeta francese
Con la tua solita faccia aperta ai dubbi
E un po' di rosso routine dentro al bicchiere
Pensai di entrare per stare assieme a bere
E a chiaccherare di nubi
Ma lei arrivò affrettata danzando nella rosa
Di un abito di percalle che le fasciava i fianchi
E cominciò a parlare ed ordinò qualcosa
Mentre nel cielo rinnovato correvano le nubi a branchi
E le lacrime si aggiunsero al latte di quel tè
E le mani disegnavano sogni e certezze (*)

* * *

Vidi il mio amico Giorgio dalla vetrata del bar. Era da solo. Avevo tempo e decisi di entrare per stare un po’ con lui. Da tanto non lo incontravo.
Non feci in tempo a raggiungerlo quando vidi arrivare anche Simona, sua moglie. Ormai ero entrato, così dirottai il mio percorso verso un tavolino d’angolo per non disturbarli ed ordinai una birra.
Conoscevo una parte infinitesimale della loro storia, storia di persone, quella che si cela dietro ad ognuno di noi, storia che entra nell’anima e la ferisce, lasciando cicatrici. Sapevo solo che era una coppia che aveva rotto, a seguito di una crisi dopo alcune avventure sessuali che li aveva coinvolti entrambi, anche se lei con un ruolo più attivo.
Sapevo anche che erano rimasti in contatto e ogni tanto si vedevano.
Conoscevo Giorgio sin dalle elementari. Con lei non ebbi mai una grande confidenza.
Simona era ancora una donna meravigliosa. Ne ho sempre apprezzate le gambe e le natiche.
Non nego che su di lei avevo fantasticato mirabolanti atti sessuali.
Nemmeno posso esimermi dal dire che durante quella stessa storia sessuale, nota a molti seppur a grandi linee, ho diversamente fantasticato su di lei e, lo ammetto, dimenticandomi di lui, Giorgio, il mio amico.
Osservai il bacio che si diedero sulle labbra, un gesto istintivo di saluto tra persone che hanno una confidenza di vita al punto da diventare un atto formale nella sua forte intimità.
Notai però le due impercettibili smorfie di dolore, come quando inavvertitamente si va a toccare una zona del corpo reduce da un colpo o una lesione.
La loro lesione era nell’anima che, in quel genere di baci, dovrebbe trovare una calma conferma ma, nel loro caso, era una forzatura di intimità persa ed ora cercata, forse disperatamente, forse per tranquillità.
Mentre parlavano sorseggiai distrattamente la mia birra, più concentrato sulle loro espressioni nelle quali mi sembrò di vedere tristezza o rammarico.
Quando Simona se ne andò, raggiunsi il mio amico.
“Ciao, non ti ho visto entrare”.
“Ero seduto là in fondo e stavo per venire da te quando ho visto entrare Simona. Certo che per lei il tempo sembra non sia passato mai, ancora bella e fresca”.
Giorgio rise.
“Sei sempre il solito porco, comunque, anche io ancora la guardo con desiderio”.
Rimasi a guardarlo mentre ripresi a sorseggiare la mia birra, dopo avere fatto “cin” col suo bicchiere di vino.
Fu Giorgio a proseguire, come se rispondesse ad una domanda che, però, non gli avevo fatto, ma che poteva sembrare essere stesa nell’aria dopo avere assistito al loro incontro e a quel bacio sulle labbra.
“Sai, è iniziato tutto qui, in questo bar, a questo stesso tavolo”.
Rimasi in silenzio e lo osservai, dandogli modo di cercare le parole che sapevo avrebbe fatte uscire.
“Simona era seduta accanto a me, bella da morire, eccitante da paura. Dal lato del tavolino dove stai tu c’erano Franco e Giovanna”.
Feci un cenno affermativo per fare intendere che sapevo di chi stesse parlando.
“Erano, e sono tuttora, una coppia forte, nel senso di unita e complice. Loro se lo potevano permettere”.
Era un suo vizio andare avanti col discorso ma sapevo che avrebbe rimesso le parole in fila.
“Ci narrarono di una loro avventura. Erano sposati da alcuni anni, ancora innamoratissimi ma, si sa, il corpo e le voglie sessuali hanno sempre bisogno di nuove energie, nuovi stimoli. Ne parlarono a lungo ed individuarono una modalità di divertimento condivisa. Avrebbero, assieme, cercato un uomo che soddisfacesse sessualmente Giovanna, ma lo avrebbe dovuto fare davanti a Franco. Lei si eccitava moltissimo ad essere il giocattolo sessuale di un altro uomo davanti al marito. Traeva piacere dalla propria umiliazione nel dover servire sessualmente un estraneo alla coppia, ma anche nell’umiliazione del marito, costretto a vedere la propria moglie usata da altri”.
“Immagino non abbiano fatto fatica a trovare il tipo in questione. Anche Giovanna me la ricordo bella”.
“No, infatti. Non so dove lo trovarono, ma dissero che si trovavano bene e si eccitavano. Il tipo in questione, come lo hai definito tu, per loro era equiparabile ad un giocattolo sessuale, era lo strumento per eccitare loro due, la coppia. Lei si faceva trombare e il marito si segava davanti a loro, magari dopo avere chiesto il permesso al tipo in questione”.
Vedevo che stava riordinando i pensieri e attesi che continuasse.
“I nostri amici non avevano separato le esigenze del corpo da quelle dell’anima. Il tipo in questione, conscio di tutto, aveva lo scopo di rinsaldare la loro complicità con giochi diversi, piacevoli anche per lui. Questa avventura non li divise, ma li unì. Si creò anche un rapporto con questo tipo, che, al di là dell’uso sessuale di Giovanna, divenne quasi loro amico. Il gioco era forte, la sottometteva, la usava, la umiliava, la denigrava, la frustava anche, davanti al marito costretto in ginocchio a vedere la schiena di Giovanna che si segnava sempre più”.
“Cosa c'entra questo con voi?”
“Centra che qui è iniziato il nostro errore, che subito non riconoscemmo. Simona si eccitò all’idea di essere usata ed umiliata. L’idea della frusta e del dolore la faceva bagnare. Lei, donna bella e ricercata, piena di corteggiatori, nell’intimo voleva provare ad essere solo una schiava da calpestare e frustare. Questo contrasto la eccitava. Eccitava anche me”.
“Se vi eccitava dove fu l'errore?".
“Nel non avere capito che il corpo si stava staccando dall’anima. Eravamo presi dal corpo e non dalla nostra complicità. Franco e Giovanna insistettero molto su questo aspetto e sul fatto che una cosa simile va fatta se la coppia è forte al suo interno. Forse avevano visto qualcosa in noi che noi stessi avevamo trascurato. Questo non è dato saperlo. Lo abbiamo capito solo dopo, quando fu troppo tardi, quando la macchina era già lanciata in discesa e, ci accorgemmo, non avendo freni prendeva sempre più velocità, troppa velocità, fino a quando la velocità stessa non ci consentì di capire quale strada stavamo percorrendo, troppo presi dall’adrenalina. Il tutto fino all’incidente. Un incidente che si verificò in due momenti. La velocità che avevamo preso prima sbatté fuori me e vide lei correre da sola con quello che a me sembrava essere il mio consenso. Ma lì corpo e anima erano già divisi da tempo, anzi, lo erano dalla partenza del viaggio. Poi fu sbalzata fuori anche lei”.
La metafora dell’incidente era calzante. Io stesso, nel loro bacio di saluto sulle labbra, ebbi la sensazione di due corpi doloranti che si toccano dopo un incidente.
In quel momento stavo per apprendere la dinamica.
Una dinamica che, inizialmente, procurò eccitazione anche a me, ma che, verso la fine, svanì per divenire cronaca. Al termine della storia avrei compreso il senso di ciò che Giorgio mi aveva anticipato: la netta separazione tra corpo ed anima, quella separazione che li aveva visti affrontare quella velocità compiendo due viaggi diversi seppur sulla stessa vettura, almeno per una parte del loro percorso.

(*) (Estratto dalla canzone “Scirocco”, di Francesco Guccini, contenuta nell’album “Signora Bovary”, 1987)
di
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2021-11-20
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