La coppietta
di
Margie
genere
voyeur
Scendo dal treno, ma resto sotto la pensilina. Li conosco bene, questi temporali del tardo autunno: poi si trasformano in una pioggia molto meno intensa o in una pioggerellina impalpabile, impercettibile, come una nebbia molto umida. Resto ferma sulla banchina ormai vuota e aspetto che il peggio passi. Accanto allo sportello di una carrozza c'è una coppietta, direi adolescenti. Si baciano come due ossessi. Sono teneri. Si nota la passione giovanile. Mi chiedo come sarei stata io con mio marito, a quell'età. Oppure con un qualsiasi ragazzo. Meglio che scacci i ricordi di quell'epoca tetra. Non ci voglio pensare. Mi basta esser con lui come sono adesso. Il treno non si muove, i due continuano a baciarsi, stretti stretti. Ispirano il mio istinto materno. Altro argomento tabù. Sono due giorni che non vedo mio marito e devo tornare a casa con le paturnie? Mi concentro su di lui e quel desiderio erotico che era sorto quando ho posato un piede sullo scalino della carrozza per tornare a casa. Guardando, non smaccatamente, certo, i due ragazzi, mi vien voglia di farlo con dolcezza, quasi lentamente, con tanti cuoricini attorno... Accade di rado che siamo sdolcinati, ma è bello anche così, purché proprio di rado e ovviamente non il giorno di san Valentino. Corro col pensiero, immagino il mio rientro, con lui che mi bacia, mi accarezza. Fra poco, basta che piova meno forte e possa arrivare alla macchina senza che sia da strizzare anche l'ombelico.
I miei pensieri s'interrompono al suono della chiusura delle porte. Continua a piovere, anche più di prima. Oggi evidentemente fa eccezione. La coppietta si lacera. Li guardo. Negli occhi di lui si vede il dolore di un'eterna separazione che magari durerà fino a domattina alle sette e mezza. Lo sportello si chiude alle sue spalle. Il suo viso è triste. La ragazzina fa un passo avanti e, mentre il treno comincia a muoversi si cala leggins neri e perizoma bianco alle ginocchia si piega in avanti e agita il sedere, quasi fosse una mano che saluta; li tira su ed esce. Guardo il suo sedere che ancheggiando si dirige verso l'uscita. Un bel sedere, osservo. Ecco, se adesso indossassi dei pantaloni mi si formerebbe una chiazza al cavallo. È per questo che indosso sempre gonne.
No, ho bisogno di essere sbattuta. Potrei andarmene alla toilette e farmi un ditalino. Sbattermi bene le dita nella figa. Ma sarebbe poco e certamente m'infiammerebbe di più. Poi sedendomi sul sedile potrei bruciarlo. Al diavolo la pioggia! Attraverso l'atrio, esco e mi dirigo verso la macchina. Ci arrivo bagnata, anche se temevo peggio. E poi chi se ne frega: devo arrivare a casa da mio marito. Oltre al motore accendo il riscaldamento. Non bastassi io! Non perdo tempo a infilarmi il plug che c'è nella tasca della portiera. Voglio mantenere quel lacerto di coscienza che mi rimane. Percorro cento metri e smette di piovere. Se fosse più tardi e girassi a destra troverei le prostitute che battono. Ci andrei, per provare, con una. Chissà quanto chiedono a una donna per una sveltina. Magari un giorno ci provo, sperando di non farmi prendere dalla passione. Dovrò scegliere con attenzione. Esco dal paese, mi dirigo verso la collina, inizia la salita... Guido con frenesia. Mi chiedo come troverò mio marito. Non nel senso che dovrò vagabondare per cercarlo. Magari s'è addormentato. Oppure sta facendosi il bagno. No, questo no. Escluso. Magari sta lavorando. Oppure sta facendo quei giochi enigmistici che sono la sua attività preferita. Proprio preferitissima no: preferisce fare sesso con me. Farlo con altre viene dopo. Penso alla ragazzina col sedere in bella vista. Guido come se stessi gareggiando in un rally. Per la verità sto soltanto andando un po' più aggressiva del solito, ma la mia sensazione è quella. Sarà eccitato? Avrà voglia di saltarmi addosso, qualcosa tipo Kato nel film “La pantera rosa”? Questo non sarebbe male. Sarà vestito oppure già nudo? Guido frenetica, nonostante la strada bagnata. Dopo il tornantino c'è il nostro cancello. Premo il pulsante del telecomando, arrivo e lascio la macchina davanti alla porta di casa.
Indossa una camicia di flanella e un paio di brache da tuta. Non noto altro che il suo cazzo è bello eretto. È questo l'importante. Non ho voglia di perder tempo a sbocchinarlo per eccitarlo. Né ho bisogno io di essere eccitata: il livello successivo al mio è l'orgasmo. Mi dirigo verso di lui, sul divano. Gli chiedo col tono di una scenata di gelosia perché abbia il cazzo così duro, se stia guardando foto di femmine nude. Non importa dove. Mi risponde con voce quasi distratta che mi ha sentita arrivare. Intanto sono già nuda. Questo cretino invece non s'è ancora tolto quell'orpello di brache. Ma non capisce niente, stasera? Gli mostro il culo e la figa gocciolante. È ora che m'inculi senza pietà. È ora che m'inculi e m'infili tre dita nella passera. È ora che mi renda cieca e sorda a forza di sbattermi. Muta no: quello è impossibile, lo sa. Fammi urlare tanto che mi sentano fino giù al paese. Lo so che in linea d'aria sono cinque chilometri, quindi datti da fare. Spaccami il culo, in modo che mi ci voglia un paio di giorni prima che si richiuda.
Lo so, ci vorrà più tempo perché spariscano i segni che ho tracciato con le unghie sulla tua schiena.
I miei pensieri s'interrompono al suono della chiusura delle porte. Continua a piovere, anche più di prima. Oggi evidentemente fa eccezione. La coppietta si lacera. Li guardo. Negli occhi di lui si vede il dolore di un'eterna separazione che magari durerà fino a domattina alle sette e mezza. Lo sportello si chiude alle sue spalle. Il suo viso è triste. La ragazzina fa un passo avanti e, mentre il treno comincia a muoversi si cala leggins neri e perizoma bianco alle ginocchia si piega in avanti e agita il sedere, quasi fosse una mano che saluta; li tira su ed esce. Guardo il suo sedere che ancheggiando si dirige verso l'uscita. Un bel sedere, osservo. Ecco, se adesso indossassi dei pantaloni mi si formerebbe una chiazza al cavallo. È per questo che indosso sempre gonne.
No, ho bisogno di essere sbattuta. Potrei andarmene alla toilette e farmi un ditalino. Sbattermi bene le dita nella figa. Ma sarebbe poco e certamente m'infiammerebbe di più. Poi sedendomi sul sedile potrei bruciarlo. Al diavolo la pioggia! Attraverso l'atrio, esco e mi dirigo verso la macchina. Ci arrivo bagnata, anche se temevo peggio. E poi chi se ne frega: devo arrivare a casa da mio marito. Oltre al motore accendo il riscaldamento. Non bastassi io! Non perdo tempo a infilarmi il plug che c'è nella tasca della portiera. Voglio mantenere quel lacerto di coscienza che mi rimane. Percorro cento metri e smette di piovere. Se fosse più tardi e girassi a destra troverei le prostitute che battono. Ci andrei, per provare, con una. Chissà quanto chiedono a una donna per una sveltina. Magari un giorno ci provo, sperando di non farmi prendere dalla passione. Dovrò scegliere con attenzione. Esco dal paese, mi dirigo verso la collina, inizia la salita... Guido con frenesia. Mi chiedo come troverò mio marito. Non nel senso che dovrò vagabondare per cercarlo. Magari s'è addormentato. Oppure sta facendosi il bagno. No, questo no. Escluso. Magari sta lavorando. Oppure sta facendo quei giochi enigmistici che sono la sua attività preferita. Proprio preferitissima no: preferisce fare sesso con me. Farlo con altre viene dopo. Penso alla ragazzina col sedere in bella vista. Guido come se stessi gareggiando in un rally. Per la verità sto soltanto andando un po' più aggressiva del solito, ma la mia sensazione è quella. Sarà eccitato? Avrà voglia di saltarmi addosso, qualcosa tipo Kato nel film “La pantera rosa”? Questo non sarebbe male. Sarà vestito oppure già nudo? Guido frenetica, nonostante la strada bagnata. Dopo il tornantino c'è il nostro cancello. Premo il pulsante del telecomando, arrivo e lascio la macchina davanti alla porta di casa.
Indossa una camicia di flanella e un paio di brache da tuta. Non noto altro che il suo cazzo è bello eretto. È questo l'importante. Non ho voglia di perder tempo a sbocchinarlo per eccitarlo. Né ho bisogno io di essere eccitata: il livello successivo al mio è l'orgasmo. Mi dirigo verso di lui, sul divano. Gli chiedo col tono di una scenata di gelosia perché abbia il cazzo così duro, se stia guardando foto di femmine nude. Non importa dove. Mi risponde con voce quasi distratta che mi ha sentita arrivare. Intanto sono già nuda. Questo cretino invece non s'è ancora tolto quell'orpello di brache. Ma non capisce niente, stasera? Gli mostro il culo e la figa gocciolante. È ora che m'inculi senza pietà. È ora che m'inculi e m'infili tre dita nella passera. È ora che mi renda cieca e sorda a forza di sbattermi. Muta no: quello è impossibile, lo sa. Fammi urlare tanto che mi sentano fino giù al paese. Lo so che in linea d'aria sono cinque chilometri, quindi datti da fare. Spaccami il culo, in modo che mi ci voglia un paio di giorni prima che si richiuda.
Lo so, ci vorrà più tempo perché spariscano i segni che ho tracciato con le unghie sulla tua schiena.
7
voti
voti
valutazione
3
3
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Il racconto di Serenaracconto sucessivo
E poi il sonno
Commenti dei lettori al racconto erotico