La mostra d'arte
di
Margie
genere
esibizionismo
La chiazza larga che c'è su questo lenzuolo è uscita, in parte, stanotte da te. Quella che invece sta poco lontano è tutta roba mia. Le ammiro. Ti sei lavato, dopo che quel mio movimento inconsulto ti ha spinto fuori da me proprio nel momento in cui trattenerti non ti è stato più possibile. Era tutto destinato a invadermi il secondo canale, invece s'è disperso sulla mia schiena. Da come ti sei accasciato accanto a me, ansimante e rilassato non ho avuto dubbi. Il mio tracollo comunque non t'aveva deluso. Ho avuto a malapena la forza di chiedertelo. Poi il mio sonno. Poi mi sono asciugata girandomi fra le coltri, inconsapevole, nel sonno. Non dubito che tu sia tornato a letto: mi hai svegliato con un assalto repentino e annichilente. È stato difficile, per me, evitare schizzi ancor più indecenti: sono riuscita ad arrivare in bagno appena in tempo,
La visita alla mostra ci aspetta. A tavola durante la colazione ti ho proposto di lasciar perdere e sbattermi di nuovo. Eccolo, il tuo sorrisetto: quello che mi annuncia la distruzione, la devastazione. La mia assoluta incapacità. Torniamo in camera a lavarci i denti. Non mi alzi la gonna per toccarmi e farmi godere di nuovo. Per l'esattezza avviene questo: le palline cinesi escono dal borsone ed entrano nella mia passera condotte da te, senza rispetto; con mia gioia, con un sospiro di nostalgica attesa. Quanto ci sarà da camminare per arrivare là? E quando lungo sarà il percorso fra le opere d'arte? Ricordo d'aver letto che sono quarantotto. Quarantotto ritratti da tutto il mondo.
Cammino accanto a te, massaggiata dentro di me da quella tripartita invasione che mi fa vivere al rallentatore, che mi fa muovere scomposta, che vorrei durasse per l'eternità e che finisse subito. Il mio desiderio di distrarmi dal loro effetto non trova vittoria. La mia sconfitta è un campo devastato dopo la tragica ferale battaglia. La mia domanda, sussurrata lungo la via, è ridicola e anacronistica, ma soprattutto mi appende di nuovo davanti agli occhi della mente l'immagine del lenzuolo macchiato. Chissà se cambieranno le lenzuola. Sai che spero di no: avevo scelto io quell'alberghetto dall'aria sordida, squallidino ed equivoco, proprio nella speranza che i segni del nostro amore ci accompagnassero per tutto il fine settimana. Lo riconosco: mi eccitano certe soluzioni abitative. Lo ammetto davanti al mondo. Tu lo sai già benissimo e in fondo non dispiace neppure a te. Me l'hai detto, prima che la nostra relazione cominciasse ad essere tale. Una reciproca accelerazione; anche soddisfazione.
Cerco di non badare alle palline. Tentativo fallimentare. Tanto più che l'effetto interno è amplificato dagli spacchi della gonna. Gonna? Lembi di tessuto che soltanto se cuciti l'uno all'altro non mi renderebbero oscena. Chino la testa e noto che si staccano bene l'uno dall'altro. Per fortuna non troppo, ma soltanto al limite. O forse dovrei dire “purtroppo”, non “abbastanza”. Ma allora dovresti scoparmi qui, ora, su questo marciapiedi. I miei strilli, allora, soverchierebbero la sirena di questa gazzella che passa veloce urlando la sua presenza, avvisando della propria urgenza. Vedo anche che sembro trascinata dai capezzoli protesi e rigidi. Mi osservo riflessa in una vetrina, passandoci davanti: sono riuscita a sembrare molto peggio tante volte, anche senza essere al mare d'estate.
Mi fai ridere davanti ai quadri. Le tue battute creano massaggi interiori che m'impongono di appoggiarmi a te. Tu mi abbracci ma continui inesorabile. Te lo sussurro in un orecchio: un consiglio o un ordine? Non ho ambizioni analitiche. Piuttosto la necessità di una scopata intensa; anche veloce, se non fosse possibile esprimere tutti i concetti in modo esteso ed esaustivo. Le toilette ci sono per qualcosa, no? Anche le code fuori dalla porta. Gioco di causa ed effetto. Gioco di capogiri e ginocchia che reggono a stento. Giochi di sensazioni che tracciano di luccichii sulle mie cosce. Il “ritratto di donna gaudente” che lasciamo alle nostre spalle è stato una mano che mi fruga la pelle. Soprattutto quella non esposta. Stento a respirare in modo regolare. Torniamo in albergo, ti prego. Non mi cale del ritratto di donna con burqa, neanche di quello di sognatrice. Ecco: se ci fosse uno specchio, qui, sulla sua cornice potrebbero apporre la didascalia “ritratto di troia famelica”, proprio nel momento in cui appare il mio viso. Ma sarebbe riduttivo. “Ritratto di lussuriosa”? Forse sarebbe più appropriato qualcosa del tipo “ritratto di supplica di possesso”. Ma che lo intitolino come vogliono! Chissà che titolo ci sarà per il mio viso quando avremo percorso questo mezzo chilometro che ci separa da quelle mura che affermano d'averne viste di tutti i colori e non s'aspettano quello che noi riusciremo a mostrare a loro. Forse si lasceranno attraversare dalle mie invocazioni. Abbiamo sentito bene i nostri vicini, stanotte. Chi ha cominciato prima: noi o loro? È stata una bella gara. Magari potremmo anche fare conoscenza. Sì, corro con la fantasia: quando siamo usciti la loro porta era spalancata, coi segni tipici della partenza. Forse ci saranno altri. Coppia o clandestini? O forse sarà vuota. Che m'importa? Di certo saremo almeno noi due. L'importante è che anche stavolta finirò esausta, la mia vittoria mischiata alla mia sconfitta, i miei succhi in un cocktail coi tuoi. Potremmo farci un brindisi, no?
Le mie gambe molli attraversano l'uscita con te che mi sorreggi. Approfitti della mia debolezza? I passi si susseguono troppo lenti, mi sembra di essere Alice dentro lo specchio. Perché non approfittiamo di quell'androne? Ti bastano pochi attimi per liberarmi. Mi sforzerò a trattenere le palline dentro di me, ma almeno una carezza... ti prometto che sarò troia lo stesso, quando saremo arrivati alla meta.
La visita alla mostra ci aspetta. A tavola durante la colazione ti ho proposto di lasciar perdere e sbattermi di nuovo. Eccolo, il tuo sorrisetto: quello che mi annuncia la distruzione, la devastazione. La mia assoluta incapacità. Torniamo in camera a lavarci i denti. Non mi alzi la gonna per toccarmi e farmi godere di nuovo. Per l'esattezza avviene questo: le palline cinesi escono dal borsone ed entrano nella mia passera condotte da te, senza rispetto; con mia gioia, con un sospiro di nostalgica attesa. Quanto ci sarà da camminare per arrivare là? E quando lungo sarà il percorso fra le opere d'arte? Ricordo d'aver letto che sono quarantotto. Quarantotto ritratti da tutto il mondo.
Cammino accanto a te, massaggiata dentro di me da quella tripartita invasione che mi fa vivere al rallentatore, che mi fa muovere scomposta, che vorrei durasse per l'eternità e che finisse subito. Il mio desiderio di distrarmi dal loro effetto non trova vittoria. La mia sconfitta è un campo devastato dopo la tragica ferale battaglia. La mia domanda, sussurrata lungo la via, è ridicola e anacronistica, ma soprattutto mi appende di nuovo davanti agli occhi della mente l'immagine del lenzuolo macchiato. Chissà se cambieranno le lenzuola. Sai che spero di no: avevo scelto io quell'alberghetto dall'aria sordida, squallidino ed equivoco, proprio nella speranza che i segni del nostro amore ci accompagnassero per tutto il fine settimana. Lo riconosco: mi eccitano certe soluzioni abitative. Lo ammetto davanti al mondo. Tu lo sai già benissimo e in fondo non dispiace neppure a te. Me l'hai detto, prima che la nostra relazione cominciasse ad essere tale. Una reciproca accelerazione; anche soddisfazione.
Cerco di non badare alle palline. Tentativo fallimentare. Tanto più che l'effetto interno è amplificato dagli spacchi della gonna. Gonna? Lembi di tessuto che soltanto se cuciti l'uno all'altro non mi renderebbero oscena. Chino la testa e noto che si staccano bene l'uno dall'altro. Per fortuna non troppo, ma soltanto al limite. O forse dovrei dire “purtroppo”, non “abbastanza”. Ma allora dovresti scoparmi qui, ora, su questo marciapiedi. I miei strilli, allora, soverchierebbero la sirena di questa gazzella che passa veloce urlando la sua presenza, avvisando della propria urgenza. Vedo anche che sembro trascinata dai capezzoli protesi e rigidi. Mi osservo riflessa in una vetrina, passandoci davanti: sono riuscita a sembrare molto peggio tante volte, anche senza essere al mare d'estate.
Mi fai ridere davanti ai quadri. Le tue battute creano massaggi interiori che m'impongono di appoggiarmi a te. Tu mi abbracci ma continui inesorabile. Te lo sussurro in un orecchio: un consiglio o un ordine? Non ho ambizioni analitiche. Piuttosto la necessità di una scopata intensa; anche veloce, se non fosse possibile esprimere tutti i concetti in modo esteso ed esaustivo. Le toilette ci sono per qualcosa, no? Anche le code fuori dalla porta. Gioco di causa ed effetto. Gioco di capogiri e ginocchia che reggono a stento. Giochi di sensazioni che tracciano di luccichii sulle mie cosce. Il “ritratto di donna gaudente” che lasciamo alle nostre spalle è stato una mano che mi fruga la pelle. Soprattutto quella non esposta. Stento a respirare in modo regolare. Torniamo in albergo, ti prego. Non mi cale del ritratto di donna con burqa, neanche di quello di sognatrice. Ecco: se ci fosse uno specchio, qui, sulla sua cornice potrebbero apporre la didascalia “ritratto di troia famelica”, proprio nel momento in cui appare il mio viso. Ma sarebbe riduttivo. “Ritratto di lussuriosa”? Forse sarebbe più appropriato qualcosa del tipo “ritratto di supplica di possesso”. Ma che lo intitolino come vogliono! Chissà che titolo ci sarà per il mio viso quando avremo percorso questo mezzo chilometro che ci separa da quelle mura che affermano d'averne viste di tutti i colori e non s'aspettano quello che noi riusciremo a mostrare a loro. Forse si lasceranno attraversare dalle mie invocazioni. Abbiamo sentito bene i nostri vicini, stanotte. Chi ha cominciato prima: noi o loro? È stata una bella gara. Magari potremmo anche fare conoscenza. Sì, corro con la fantasia: quando siamo usciti la loro porta era spalancata, coi segni tipici della partenza. Forse ci saranno altri. Coppia o clandestini? O forse sarà vuota. Che m'importa? Di certo saremo almeno noi due. L'importante è che anche stavolta finirò esausta, la mia vittoria mischiata alla mia sconfitta, i miei succhi in un cocktail coi tuoi. Potremmo farci un brindisi, no?
Le mie gambe molli attraversano l'uscita con te che mi sorreggi. Approfitti della mia debolezza? I passi si susseguono troppo lenti, mi sembra di essere Alice dentro lo specchio. Perché non approfittiamo di quell'androne? Ti bastano pochi attimi per liberarmi. Mi sforzerò a trattenere le palline dentro di me, ma almeno una carezza... ti prometto che sarò troia lo stesso, quando saremo arrivati alla meta.
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