Gioco doppio (parte 7)
di
Kugher
genere
sadomaso
Luisa viaggiava spesso da sola, arrivando a litigare con i genitori che erano timorosi, sapendola in giro con pochi soldi ed in nazioni sconosciute.
Aveva iniziato a viaggiare così già dal primo anno di università, con il suo immancabile zainetto rosso.
Per lei era normale cercare passaggi da sconosciuti che le trasmettevano simpatia e tranquillità. Non era la prima volta, solo che, per la prima volta, aveva sbagliato la sua valutazione, anche di molto.
La ragazza pensava a genitori, ai quali aveva solamente detto che sarebbe andata a fare un giro in barca con amici senza approfondire troppo, per non lasciarli preoccupati.
Ormai erano tre giorni che loro non avevano più sue notizie e sarebbero stati angosciati. Al massimo restava due giorni senza dare notizie e questo tempo già li angosciava. Mai era stata tre giorni, che per i genitori equivalevano ad una eternità.
Era rinchiusa in una cabina, al buio, con una lunga catena al collo che le consentiva solo di raggiungere la tazza del water.
Le lasciarono precluso il letto, costringendola così a dormire a terra, su un tappeto, nuda.
Fortunatamente faceva molto caldo.
Per tre giorni non le diedero da mangiare, solo acqua, anche se poca.
Entravano due volte al giorno per portarle la razione di acqua che si faceva bastare sino alla prossima.
Chi entrava la frustava. Pochi colpi e senza eccedere col dolore.
Dovevano fiaccarla, non distruggerla.
Al terzo giorno entrarono con qualcosa da mangiare e, debole e sfinita, Franco non ci mise molto a farsi fare un pompino in cambio del cibo.
Era entrato con un piatto ancora fumante, dal cibo speziato che emanava un profumo che avrebbe fatto venire l'acquolina anche a chi avesse appena terminato il pasto.
Lo mise sul tavolino e si sedette sul bordo del letto, posto limite raggiungibile per la catena.
“Vieni puttana”.
Si avvicinò timorosa, a 4 zampe, avendo paura di ricevere frustate che, aveva capito, riuscivano ad eccitarli. Cambiava loro la voce, le movenze del corpo, financo gli occhi nei quali leggeva bramosia e desiderio, desiderio di lei che, in quel momento, evidentemente controllavano, più tesi a raggiungere ben altro risultato. Questo, però, lo avrebbe capito solo tempo dopo.
Franco cominciò ad accarezzarla con lascivia, per eccitarsi, per prendere piacere per sé, non per darlo.
Luisa subiva le carezze, non sapeva come comportarsi, cosa fare. Così rimase ferma, in attesa. I giorni passati l’avevano provata ed aveva ceduto, decidendo di non reagire ma unicamente di subire.
Franco le toccò il seno e poi, prendendola per i capelli, le diresse la bocca verso il suo cazzo già semirigido.
Inizialmente la schiava fu timorosa, poi prese confidenza e si concentrò nel dargli piacere.
Avrebbe comunque cercato soluzioni per fuggire. Al momento avrebbe dedicato le sue attenzioni sulla conoscenza dei suoi rapitori, per capirne le reazioni e le intenzioni.
Non sapeva quale fosse il suo destino o, almeno, quello che loro avevano pensato per lei. Era portata a pensare che l’avrebbero tenuta, usata e poi uccisa, testimone scomoda dei loro piaceri. Non aveva pensato alla tratta di esseri umani.
Questo le diede molta paura in quanto la posta in gioco era altissima e pensava che tutto per lei si sarebbe concluso su quella barca. Questa convinzione le fece capire che al momento opportuno avrebbe dovuto giocarsi tutto in quanto pensava che il suo tempo fosse limitato a pochi giorni, al tempo del loro divertimento, sicura che dopo quanto successo non avrebbero certo potuto lasciarla libera.
Così cercò di studiare le loro abitudini e di soddisfarli al meglio. Sperava che le avrebbero consentito di uscire da quella cabina.
Finché fosse stata lì dentro non avrebbe avuto alcuna possibilità, bloccata da quella catena saldamente infissa nel muro. Non aveva strumenti per cercare di rompere il lucchetto che legava il guinzaglio di catena al collare, anch’esso di catena. Le avevano tolto ogni possibile utensile ed il cibo le veniva dato in una ciotola senza posate.
Aveva quindi bisogno di uscire da quella stanza e, per fare questo, pensò che avrebbe dovuto ingenerare nei suoi rapitori la convinzione che fosse divenuta docile.
Qualche risultato lo ottenne.
Iniziò infatti ad essere ubbidiente e a soddisfare sessualmente entrambi. Aveva iniziato a venire in cabina da lei anche Anna da sola. Forse i primi tempi temeva che avrebbe potuto soccombere in una lotta con una ragazza comunque più giovane e forte.
Dopo l’arrendevolezza dimostrata nei confronti di Franco, anche la donna venne da lei, inizialmente in compagnia del marito e poi anche da sola, in vari momenti della giornata.
Adorava sottometterla, tenerla ai propri piedi, farseli leccare e farsi dare piacere con la lingua alla figa ed al culo.
Luisa eseguiva tutto, ogni ordine, eccitandoli sempre più.
Iniziarono a portarla sul ponte, sempre tenendola legata al guinzaglio di catena.
Nel tragitto dalla cabina alla coperta le lasciavano incatenate le caviglie ed i polsi dietro la schiena. Una volta sul ponte, all’aperto, prima legavano la catena in maniera salda e poi, frequentemente, le scioglievano i polsi, anche per avere modo di godere dell’uso delle sue mani per i loro piaceri sessuali.
Luisa si guardava in giro.
Erano sempre in mare aperto. Non avrebbe avuto modo di fuggire a nuoto.
Cercò di capire come fosse ancorata la scialuppa di salvataggio ma, anche in quel caso, non avrebbe saputo in quale direzione andare.
Cercava di avere informazioni dai loro discorsi, sempre, però, troppo ermetici.
Intanto si conquistava la loro fiducia dimostrandosi arrendevole.
Aveva ottenuto un leggero allentamento delle precauzioni, forse anche forti del fatto che solo loro sapessero dove si trovavano.
Luisa cercava anche di capire come fare a sopraffarli nel caso in cui, per qualsiasi motivo, si fosse trovata con un ridotto margine di manovra delle mani.
Aveva individuato qualche utensile che avrebbe potuto utilizzare per colpirli alla testa e, così, prendere magari il controllo dello yacht.
Nel frattempo aveva osservato attentamente le mosse di Franco, quando lo accendeva e lo muoveva.
Aveva iniziato a viaggiare così già dal primo anno di università, con il suo immancabile zainetto rosso.
Per lei era normale cercare passaggi da sconosciuti che le trasmettevano simpatia e tranquillità. Non era la prima volta, solo che, per la prima volta, aveva sbagliato la sua valutazione, anche di molto.
La ragazza pensava a genitori, ai quali aveva solamente detto che sarebbe andata a fare un giro in barca con amici senza approfondire troppo, per non lasciarli preoccupati.
Ormai erano tre giorni che loro non avevano più sue notizie e sarebbero stati angosciati. Al massimo restava due giorni senza dare notizie e questo tempo già li angosciava. Mai era stata tre giorni, che per i genitori equivalevano ad una eternità.
Era rinchiusa in una cabina, al buio, con una lunga catena al collo che le consentiva solo di raggiungere la tazza del water.
Le lasciarono precluso il letto, costringendola così a dormire a terra, su un tappeto, nuda.
Fortunatamente faceva molto caldo.
Per tre giorni non le diedero da mangiare, solo acqua, anche se poca.
Entravano due volte al giorno per portarle la razione di acqua che si faceva bastare sino alla prossima.
Chi entrava la frustava. Pochi colpi e senza eccedere col dolore.
Dovevano fiaccarla, non distruggerla.
Al terzo giorno entrarono con qualcosa da mangiare e, debole e sfinita, Franco non ci mise molto a farsi fare un pompino in cambio del cibo.
Era entrato con un piatto ancora fumante, dal cibo speziato che emanava un profumo che avrebbe fatto venire l'acquolina anche a chi avesse appena terminato il pasto.
Lo mise sul tavolino e si sedette sul bordo del letto, posto limite raggiungibile per la catena.
“Vieni puttana”.
Si avvicinò timorosa, a 4 zampe, avendo paura di ricevere frustate che, aveva capito, riuscivano ad eccitarli. Cambiava loro la voce, le movenze del corpo, financo gli occhi nei quali leggeva bramosia e desiderio, desiderio di lei che, in quel momento, evidentemente controllavano, più tesi a raggiungere ben altro risultato. Questo, però, lo avrebbe capito solo tempo dopo.
Franco cominciò ad accarezzarla con lascivia, per eccitarsi, per prendere piacere per sé, non per darlo.
Luisa subiva le carezze, non sapeva come comportarsi, cosa fare. Così rimase ferma, in attesa. I giorni passati l’avevano provata ed aveva ceduto, decidendo di non reagire ma unicamente di subire.
Franco le toccò il seno e poi, prendendola per i capelli, le diresse la bocca verso il suo cazzo già semirigido.
Inizialmente la schiava fu timorosa, poi prese confidenza e si concentrò nel dargli piacere.
Avrebbe comunque cercato soluzioni per fuggire. Al momento avrebbe dedicato le sue attenzioni sulla conoscenza dei suoi rapitori, per capirne le reazioni e le intenzioni.
Non sapeva quale fosse il suo destino o, almeno, quello che loro avevano pensato per lei. Era portata a pensare che l’avrebbero tenuta, usata e poi uccisa, testimone scomoda dei loro piaceri. Non aveva pensato alla tratta di esseri umani.
Questo le diede molta paura in quanto la posta in gioco era altissima e pensava che tutto per lei si sarebbe concluso su quella barca. Questa convinzione le fece capire che al momento opportuno avrebbe dovuto giocarsi tutto in quanto pensava che il suo tempo fosse limitato a pochi giorni, al tempo del loro divertimento, sicura che dopo quanto successo non avrebbero certo potuto lasciarla libera.
Così cercò di studiare le loro abitudini e di soddisfarli al meglio. Sperava che le avrebbero consentito di uscire da quella cabina.
Finché fosse stata lì dentro non avrebbe avuto alcuna possibilità, bloccata da quella catena saldamente infissa nel muro. Non aveva strumenti per cercare di rompere il lucchetto che legava il guinzaglio di catena al collare, anch’esso di catena. Le avevano tolto ogni possibile utensile ed il cibo le veniva dato in una ciotola senza posate.
Aveva quindi bisogno di uscire da quella stanza e, per fare questo, pensò che avrebbe dovuto ingenerare nei suoi rapitori la convinzione che fosse divenuta docile.
Qualche risultato lo ottenne.
Iniziò infatti ad essere ubbidiente e a soddisfare sessualmente entrambi. Aveva iniziato a venire in cabina da lei anche Anna da sola. Forse i primi tempi temeva che avrebbe potuto soccombere in una lotta con una ragazza comunque più giovane e forte.
Dopo l’arrendevolezza dimostrata nei confronti di Franco, anche la donna venne da lei, inizialmente in compagnia del marito e poi anche da sola, in vari momenti della giornata.
Adorava sottometterla, tenerla ai propri piedi, farseli leccare e farsi dare piacere con la lingua alla figa ed al culo.
Luisa eseguiva tutto, ogni ordine, eccitandoli sempre più.
Iniziarono a portarla sul ponte, sempre tenendola legata al guinzaglio di catena.
Nel tragitto dalla cabina alla coperta le lasciavano incatenate le caviglie ed i polsi dietro la schiena. Una volta sul ponte, all’aperto, prima legavano la catena in maniera salda e poi, frequentemente, le scioglievano i polsi, anche per avere modo di godere dell’uso delle sue mani per i loro piaceri sessuali.
Luisa si guardava in giro.
Erano sempre in mare aperto. Non avrebbe avuto modo di fuggire a nuoto.
Cercò di capire come fosse ancorata la scialuppa di salvataggio ma, anche in quel caso, non avrebbe saputo in quale direzione andare.
Cercava di avere informazioni dai loro discorsi, sempre, però, troppo ermetici.
Intanto si conquistava la loro fiducia dimostrandosi arrendevole.
Aveva ottenuto un leggero allentamento delle precauzioni, forse anche forti del fatto che solo loro sapessero dove si trovavano.
Luisa cercava anche di capire come fare a sopraffarli nel caso in cui, per qualsiasi motivo, si fosse trovata con un ridotto margine di manovra delle mani.
Aveva individuato qualche utensile che avrebbe potuto utilizzare per colpirli alla testa e, così, prendere magari il controllo dello yacht.
Nel frattempo aveva osservato attentamente le mosse di Franco, quando lo accendeva e lo muoveva.
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