Capezzolo nero
di
Yuko
genere
saffico
Un seno color mogano, la pelle lucida, la sfumatura scura, molto scura.
Un seno grande e sodo, una luna nera.
Un seno pieno e ubertoso.
Un seno abbondante.
Un seno accogliente, eccitante.
Un seno invitante.
La forma lievemente appuntita culmina in un capezzolo nero.
Non nero nero, ben lungi dall'inchiostro.
Un capezzolo di quella profondità che richiama la notte.
Quella tenebra che non è buio assoluto, che si lascia penetrare, che è fata dei fini bagliori delle stelle, di quella luminescenza che è il profondo cielo, a cui la vista si abitua, che si lascia indagare, e che sa regalare particolari inconsueti all'occhio che li sa ricercare.
Un capezzolo di cioccolato fondente.
Il cacao grezzo, la passione divorante.
L'anima più vera dell'esotica bacca, quella per i cultori e i sacerdoti del cioccolato.
Un capezzolo che ti ammalia, ti avvinghia, ti rapisce, ti costringe.
L'areola larga e profonda come il buio delle profondità vulcaniche e oceaniche.
Il capezzolo ne emerge, irregolarità provocante nella monotona perfezione del cerchio scuro al centro della mammella.
Colori nativi.
Anima profonda della primordiale razza umana.
Africa nativa che narra di antiche evoluzioni nella culla della Rift Valley, quando l'Australopiteco si trasformò in Homo.
Donna antica, sembianza primigenia e primitiva.
Capezzolo scuro che ha nutrito migliaia di generazioni, prima che la pelle si schiarisse nei paesi del nord e nel lontano oriente, prima che i capelli da ricci diventassero lunghi e talvolta biondi.
Melanina pura a protezione del sole cocente, il caldo che punisce. Il calore che uccide chi non è stato selezionato in percorsi della durata di milioni di anni.
Un capezzolo quasi nero, grosso e tozzo.
Finemente rugoso, eppure morbido e accogliente.
Solo al contatto con la mia vista, si irrobustisce e svetta sulla spianata dell'areola.
Mora irresistibile, sapore indescrivibile, come erano i “profumi indescrivibili nell'aria della sera”.
Con le dita lo avvicino, senza osare toccarlo, indecisa se accarezzarlo con dita leggere o con labbra morbide.
O il tocco caldo e umido della mia lingua.
Con rispetto lo ammiro, lo studio, lo contemplo.
Mi lascio inebriare dalla visione della piccola escrescenza che prende vita e forma sotto il mio sguardo.
Africa nera.
Profondo continente inesplorato.
Cuore di tenebra lungo il fiume Congo alla ricerca di Kurtz.
Non lo tocco con le dita, eppure ne percepisco vividamente la consistenza sotto i miei polpastrelli inadeguati.
Lo circondo con le mie labbra.
Timida corolla di tumida infiorescenza, le mie labbra carnose e scure ne avvolgono con delicato rispetto la soffice cedevolezza.
Fiato caldo e umidità latente, la mia bocca lo sfiora sentendolo sussultare.
Vibra il morbido tessuto ghiandolare, piccoli gemiti mi indicano che la retta via non è smarrita.
Tocco impalpabile, il gonfio capezzolo scompare tra le mie labbra ossequiose.
Solo sfioramenti impercettibili tra mucose di continenti diversi.
Il mio prolabio viola scuro circumnaviga il cioccolato fondente che come un impettito alfiere svetta fiero a sfidare i confini del desiderio.
Il labbro sfiora, il labbro scorre, il capezzolo si irrigidisce incontro alla tiepida carezza.
Alito sussurrato, gravido dell'umidità della mia bocca.
La lingua si affaccia in un anelito, incerta presenza, titubante appendice di saliva calda e vischiosa.
Solo l'accenno di un tocco.
La punta della lingua sull'apice del capezzolo.
Piccolo bacio, estasi sussurrata.
Languido sfioramento, incontro tra razze lontane.
Con le labbra lo abbraccio, lo circondo, lo proteggo.
E mentre la nera appendice riposa nella profonda coltre delle mie labbra, furtivamente la lingua lo accoglie, lo rinfranca.
“Ma pétite, tu me fais mourir. Pétite jaune...”
Il francese, con quella cadenza altalenante delle donne dell'Africa occidentale.
Sapori di Dakar.
Solo un sussurro, come una brezza nella notte, mentre chiudo gli occhi e consegno la mia coscienza all'unico organo del tatto.
Tatto labiale su mora calda e cedevole.
Il resto è frutto dell'immaginazione.
Le tue labbra che si spalancano quando ti abbandoni al piacere.
Il tuo odore forte e pungente di donna africana.
Il tuo respiro che si fa profondo quando ti consegni alla passione.
Il tuo sapore ancestrale e inconsueto.
Il silenzio rotto da accenni di sospiri incontrollati.
Vibrazioni impercettibili che solo i miei sensi di donna affamata percepiscono.
Mi stringi le mani sulla nuca e io sprofondo, il viso avvolto dalla morbidezza del tuo seno, rapita nel gorgo nero della passione insondabile, persa nelle oscurità del buio intergalattico.
Un seno grande e sodo, una luna nera.
Un seno pieno e ubertoso.
Un seno abbondante.
Un seno accogliente, eccitante.
Un seno invitante.
La forma lievemente appuntita culmina in un capezzolo nero.
Non nero nero, ben lungi dall'inchiostro.
Un capezzolo di quella profondità che richiama la notte.
Quella tenebra che non è buio assoluto, che si lascia penetrare, che è fata dei fini bagliori delle stelle, di quella luminescenza che è il profondo cielo, a cui la vista si abitua, che si lascia indagare, e che sa regalare particolari inconsueti all'occhio che li sa ricercare.
Un capezzolo di cioccolato fondente.
Il cacao grezzo, la passione divorante.
L'anima più vera dell'esotica bacca, quella per i cultori e i sacerdoti del cioccolato.
Un capezzolo che ti ammalia, ti avvinghia, ti rapisce, ti costringe.
L'areola larga e profonda come il buio delle profondità vulcaniche e oceaniche.
Il capezzolo ne emerge, irregolarità provocante nella monotona perfezione del cerchio scuro al centro della mammella.
Colori nativi.
Anima profonda della primordiale razza umana.
Africa nativa che narra di antiche evoluzioni nella culla della Rift Valley, quando l'Australopiteco si trasformò in Homo.
Donna antica, sembianza primigenia e primitiva.
Capezzolo scuro che ha nutrito migliaia di generazioni, prima che la pelle si schiarisse nei paesi del nord e nel lontano oriente, prima che i capelli da ricci diventassero lunghi e talvolta biondi.
Melanina pura a protezione del sole cocente, il caldo che punisce. Il calore che uccide chi non è stato selezionato in percorsi della durata di milioni di anni.
Un capezzolo quasi nero, grosso e tozzo.
Finemente rugoso, eppure morbido e accogliente.
Solo al contatto con la mia vista, si irrobustisce e svetta sulla spianata dell'areola.
Mora irresistibile, sapore indescrivibile, come erano i “profumi indescrivibili nell'aria della sera”.
Con le dita lo avvicino, senza osare toccarlo, indecisa se accarezzarlo con dita leggere o con labbra morbide.
O il tocco caldo e umido della mia lingua.
Con rispetto lo ammiro, lo studio, lo contemplo.
Mi lascio inebriare dalla visione della piccola escrescenza che prende vita e forma sotto il mio sguardo.
Africa nera.
Profondo continente inesplorato.
Cuore di tenebra lungo il fiume Congo alla ricerca di Kurtz.
Non lo tocco con le dita, eppure ne percepisco vividamente la consistenza sotto i miei polpastrelli inadeguati.
Lo circondo con le mie labbra.
Timida corolla di tumida infiorescenza, le mie labbra carnose e scure ne avvolgono con delicato rispetto la soffice cedevolezza.
Fiato caldo e umidità latente, la mia bocca lo sfiora sentendolo sussultare.
Vibra il morbido tessuto ghiandolare, piccoli gemiti mi indicano che la retta via non è smarrita.
Tocco impalpabile, il gonfio capezzolo scompare tra le mie labbra ossequiose.
Solo sfioramenti impercettibili tra mucose di continenti diversi.
Il mio prolabio viola scuro circumnaviga il cioccolato fondente che come un impettito alfiere svetta fiero a sfidare i confini del desiderio.
Il labbro sfiora, il labbro scorre, il capezzolo si irrigidisce incontro alla tiepida carezza.
Alito sussurrato, gravido dell'umidità della mia bocca.
La lingua si affaccia in un anelito, incerta presenza, titubante appendice di saliva calda e vischiosa.
Solo l'accenno di un tocco.
La punta della lingua sull'apice del capezzolo.
Piccolo bacio, estasi sussurrata.
Languido sfioramento, incontro tra razze lontane.
Con le labbra lo abbraccio, lo circondo, lo proteggo.
E mentre la nera appendice riposa nella profonda coltre delle mie labbra, furtivamente la lingua lo accoglie, lo rinfranca.
“Ma pétite, tu me fais mourir. Pétite jaune...”
Il francese, con quella cadenza altalenante delle donne dell'Africa occidentale.
Sapori di Dakar.
Solo un sussurro, come una brezza nella notte, mentre chiudo gli occhi e consegno la mia coscienza all'unico organo del tatto.
Tatto labiale su mora calda e cedevole.
Il resto è frutto dell'immaginazione.
Le tue labbra che si spalancano quando ti abbandoni al piacere.
Il tuo odore forte e pungente di donna africana.
Il tuo respiro che si fa profondo quando ti consegni alla passione.
Il tuo sapore ancestrale e inconsueto.
Il silenzio rotto da accenni di sospiri incontrollati.
Vibrazioni impercettibili che solo i miei sensi di donna affamata percepiscono.
Mi stringi le mani sulla nuca e io sprofondo, il viso avvolto dalla morbidezza del tuo seno, rapita nel gorgo nero della passione insondabile, persa nelle oscurità del buio intergalattico.
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