Me l'hai chiesto tu, Lucrezia
di
Margie
genere
masturbazione
Guardo l'ora. Sono passate da poco le due. Mi scappa la pipì. Tengo duro? Certo che no! Vado in bagno, torno a letto. Penso che crollerò di nuovo nel sonno. Invece... mi si sono chiusi gli occhi, mi risveglio: sono passati tre minuti. Mi giro senza nessun risultato. Il sonno che mi schiaccia è lì, sopra di me, ma non riesco a carpirlo. Mi giro e rigiro per un po', invano. Mi metto nella mia posizione preferita. No, né a novanta né a pecora; intendo quella per dormire. Anche perché sono a letto sola, mio marito è assente per lavoro, tornerà domani, cioè a metà pomeriggio. Mi chiedo se il racconto inviato ieri sera sia stato o no duplicato. Quella telefonata di mio suocero mi ha interrotta nel momento dell'invio e temo d'averlo fatto due volte. Accendo il tablet: tutto a posto, ce n'è uno soltanto. Sto per spegnerlo e un mio dito fa scorrere la pagina in giù. Leggo un nome: Lucrezia. Leggerlo non è una tentazione. È subito un'esigenza. Me lo dice il calore che sento nella passera, me lo dicono i capezzoli che si tendono. Me lo dice un prurito che si diffonde sulla mia pelle e dentro di me. Me lo dice il pensiero di lei nuda seduta sul letto, indecisa. Mi sembra di essere gonfia, lì sotto, e ho letto soltanto le prime righe. Immagino lei e vedo me stessa. Calore umido vicino alla mano appoggiata sulla coscia, appena sotto l'inguine. Penso a ciò che farei al posto suo. Non avrei dubbi. Penso a che cosa farei se fossi lì. Eh, sì! Il mio dito potrebbe essere il suo. La mia figa potrebbe essere la sua. I miei piercing... Non ho i piercing, a parte quelli ai capezzoli e al clitoride. Come dicevo, mio marito è via. Il racconto accenna a un altro, che avevo letto tempo fa con notevole coinvolgimento. Lei si veste succinta. Lo faccio spesso anch'io. Mi accresce la disponibilità. O, se preferite, l'esigenza, che èanche un'affermazione più veritiera. Gonna plissettata inguinale. Se infilassi i piercing sporgerebbero di sotto, l'ho già provato. Non c'è più umidità, c'è bagnato lì. Controllo, così, però una scossa così forte non me l'aspettavo. Lucrezia procede con indicazioni stradali. Voglio immedesimarmi di più. Apro maps: una lunga strada diritta. Posto da puttane? Deve percorrere tutta la via seminuda... mi pizzico un capezzolo, per trasformare in mugolio questo sospiro profondo e teso. Street view. Non mi pare il posto, peccato. Rallento la masturbazione. Rallento? No, non resisto, puttane o no non posso resistere. Dopo aver schizzato, con la passera che continua a pulsare riprendo la lettura. Lucrezia cammina veloce. Immagino il suo ancheggiare sicuro, mi sembra come una melodia. Mangio l'immagine di lei che procede tesa ed eccitata cogli occhi della mente. Festeggio la sua deambulazione gridando alle pareti il mio piacere. Entra in un bar e beve una birra. No! Una birra! Come si può, coi vini favolosi del Friuli a disposizione, bere birra? Dev'essere impazzita. Trascurando che la birra è un liquido che poco mi piace, ha effetti particolari. Se mi trovassi costretta, invece di un pinot grigio ramato, di una malvasia, di una ribolla gialla o di un friulano... mi chiedo se le succederà come a me, se poi avrebbe bisogno della toilette ogni quarto d'ora. Sarà seduta, lì al bar, su uno sgabello, magari di quelli alti? Immagino di vederla, col sedere semiscoperto, bella scosciata. Lo faccio anch'io, al mare o in posti lontani dal paese. Lo faccio con disponibilità e magari allargo anche un po' le cosce. Il dito riparte, in compagnia ma non sufficiente. Mi alzo e prendo qualche giochino: due ovetti diversi, un plug, un dildo grosso... riprendo a leggere bella farcita. Mai provato un dildo insieme a un ovetto nella figa? Un'esperienza interessante, soprattutto se si perde il controllo del telecomando dell'ovetto quando la vibrazione è al massimo. E la vibrazione mi si trasmette dappertutto. Non riesco a ritrovare il telecomando. Mi sembra di essere un budino su un tagadà. Tragicamente fantastico. Penso che se avessi un bidet fra le cosce l'avrei già riempito coi miei schizzi vaginali. Ah, eccolo! Mi sento affannata come se avessi percorso dieci volte correndo a più non posso le vie che menziona. Oh, no, mica per evitare un violentatore! Diciamo piuttosto la verità: perché mi sto violentando da me. Ma ora Lucrezia deve sedersi sul bordo della fontana e mostrare la passera a tutti i passanti. Quante volte l'ho fatto? È vero, mai sul bordo di una fontana. Magari i miei schizzi distraggono gli astanti dall'ammirare quelli della fontana. L'abbordano. Io debordo. Mi viene in mente che poi dovrò andare a lavorare: penserò dopo alla scusa da addurre per passarmi la mattina a riposarmi. Presto un uomo la bacia. Vorrei essere io a baciarla. Non a scambiare sfioramenti di lingua. A baciarla fra le cosce che se sono bagnate un decimo delle mie trovo abbastanza succo per scoprirmi coi capelli come dopo una doccia. Lei lecca il cazzo dell'uomo: non deve faticare a prenderlo dentro la bocca come tocca, invece, a me con mio marito. Quello del tipo che ha in bocca è un cazzo di dimensioni normali, non la obbliga a spalancare le mandibole per farlo entrare. Infatti con mio marito mi limito a passare la lingua e le labbra su glande e cappella, e per poco. Quando lo fa prendere in bocca dura pochissimo. Mica come quando me lo sbatte in figa o in culo. In questi casi potrei morire, partecipare al mio funerale ed essere sepolta senza che lui venga. Ma anche senza che lui smetta di sbattermi con foga letale. Ed ora lei lo prende nel culo. A novanta o a pecora? Ma che importa? Importa invece, e importa proprio tanto che mi strappo il plug dal culo e me lo riempio di nuovo, adesso col dildo. Entra facile, abituato com'è al cazzo di mio marito. Già, mio marito! Arriverà a metà pomeriggio. Salterò la giornata lavorativa. Per adesso comunque penso a muovere il dildo con tutta l'energia che posso. E gioco col piercing del clitoride come se volessi o dovessi fare del male ad un'altra persona. Ma in queste condizioni penso che verrei anche per una raffica di mitra dentro la mia figa. Lucrezia e il tizio si separano. Guardo anch'io l'orologio: sono le quattro e ventiquattro minuti. È passata più di un'ora e venti minuti. Di piacere frenetico, mentale e fisico. Penso che raggiungerò mio marito alla stazione in città, vestita meno di una puttana per strada. Non sarà l'unica differenza: la puttana cerca si ottenere più soldi dando di meno, mentre io dei soldi non mi curo, però sono disponibile senza limiti.
Devo vestirmi, fra le gambe ho ancora i segni della lettura. Non sono stata al lavoro oggi. Guardo i vestiti: tailleur celeste? Oppure questo a righe sottili rosa e azzurre? Meglio questo vestito, color verde bosco. Ha il giromanica basso, che facilita la visione laterale delle tette, ma soprattutto l'accesso alle tette per le mani; due spacchi laterali sotto la cintura dalla cui altezza si dipartono due semicerchi di tessuto, uno davanti e uno dietro, che mi arrivano a metà coscia. Va bene questo, sì. Stivali bianchi col tacco alto, che si chiudono sopra il ginocchio. Più puttana per questi che per l'abito. In ogni caso parecchio esibita. Mi viene in mente l'esperienza del braccialetto. Ci sta. Torno in camera, lo prendo, mi siedo sul bordo del letto e lo attacco al piercing del clitoride. Eviterò di attraversare il paese. La strada così richiede un quarto d'ora in più, ma non stuzzicherò le male lingue. In tutti questi anni nessuno ha mai neppure pensato che io non sia una moglie casta e fedele. È duretta, così, la vita! Mi guardo un'ultima volta nello specchio. Sollevo la parte bassa anteriore del vestito: va benissimo, così, perché resto nuda senza sforzo. La lascio scendere; sono bagnata. Per questo scopo il braccialetto non serviva, ma poi, quando mi troverò a camminare... penso a Lucrezia e al suo attraversamento di Udine. Rabbrividisco, di voglia.
Parcheggio vicino alla stazione. Un centinaio di metri, mica come quella strada del racconto. Ma un centinaio di metri da brivido, non per le puttane che a quest'ora non ci sono. Per tutto il resto. Cerco di simulare un passo sicuro, ma tremo. Lo vedo: è lì che mi aspetta davanti all'entrata. Sto già rinnovando la bagnatura della figa. Solo un bacio, invece della sbattuta che mi servirebbe. Sì, qui fra le schiere di viaggiatori che passano, accanto allo scorrere intenso e lento del traffico. Una sbattuta bella forte. Mentre ci avviciniamo all'auto nel parcheggio mi dice che ha sentito per radio che in Friuli c'è “Cantine aperte”. Potremmo recarci là, domani, a vagabondare per il Collio e per i Colli Orientali. si può fare un po' di scorta. Anche se il meteo preannuncia pioggia. Vini? Ripenso alla birra di Lucrezia. E se per caso ci capitasse d'incontrarla? Il braccialetto dondola mentre spiego del racconto. Mi chiede se sia eccitata. Mi guardo intorno, fra le auto parcheggiate, prendo la sua mano e me la porto alla passera. La ritira, la guarda. Gli sfugge un'espressione di meraviglia, un “cazzo!” che mi costringe a chiedergli che guidi lui. Gli faccio presente che non ho vestiti di ricambio e che sarà facile che sia freddo. Una passeggiata per le vie del centro è la soluzione. Però prima tolgo il braccialetto dalla figa. Suggerisco di cercare un alberghetto senza neppure una stella. Il navigatore satellitare mi risponde metallico “Almeno una stella! Ma fino a che punto sei troia?” Gli rispondo: “Hai presente l'infinito? Ecco, un po' più in là.” Ovviamente non capisce. Mica ha letto il racconto di Lucrezia, l'imbecille elettronico. È una stupida macchina, anche se adesso nel dotto chiacchiericcio ha raggiunto lo status di “device”. Mio marito frattanto telefona al primo della lista comparsa sul suo smartphone. Parla un attimo e mi dice che è un posto a una stella, si paga a ore. È il posto ideale, lo sa, ma mi chiede lo stesso se mi vada bene. Gli rispondo con una carezza al cazzo. Vorrei già essere arrivata, anche se è certo che durante il percorso avrò modo di non stare tranquilla e questo mi conforta.
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