La bottega del pene
di
Yuko
genere
etero
“La bottega del pene”
L'insegna sulle vetrine mi colpisce al volto, come una sferzata di grandine, una secchiata d'acqua.
Il vecchio negozio del panettiere del paese in cui vado in vacanza.
Mi ricordo del signor Luigi, il prestinaio, prossimo alla pensione, che faceva ancora il pane alzandosi nella notte.
La sua gentilezza antica, la moglie, un po' malata, sempre seduta al lato del bancone, quel profumo di lievito naturale.
Poi ha ceduto l'attività. I figli fuggiti in città a inseguire titoli di studio e guadagni.
Una cooperativa ha rilevato l'attività, e ora questa insegna.
Sorrido e scuoto la testa. “Ma è mai possibile?”
Riguardo la scritta. Forse la A sembra una E?
Ma no, le altre A sono scritte alla perfezione. Qui c'è proprio un refuso!
Vorrei tirare dritto, un aneddoto da raccontare alle amiche, ma poi ci ripenso. Mi dispiace se la nuova cooperativa parte in questo modo. Che razza di opinione se ne farebbe l'intero paese?
Guardo le vetrine. Al posto di pasticcini e pane dall'aspetto genuino, ci sono vetrine grigio scuro che non permettono allo sguardo di indagare.
Il progresso. Magari è un negozio virtuale, un panettiere che prende ordini online.
Entro e vengo accolta da un ragazzone, alto almeno una spanna più di me.
Sorriso cordiale e occhi invitanti. Giovani, questi della cooperativa!
“Buongiorno!”
“Buongiorno!”
“Posso esserle utile?”
“Sì, cioè, non esattamente.”
“Scusi?”
“No, nulla, è che passavo di qui. Venivo tempo fa a prendere il pane. Ricordo ancora il signor Luigi, mi diceva sempre 'Sayonara'!”
“Eh sì, gran personaggio il vecchio proprietario.”
“E già. No, mi scusi. Ho guardato la nuova insegna e...”
“E...?”
“Cioè. C'è un piccolo errore, un refuso. Forse era passato inosservato.”
Il giovane assume un'espressione interrogativa. Mi scruta, in attesa di un chiarimento. Il mio sguardo, intanto, accarezza le insegne alle sue spalle, del tutto convenzionali. Pane arabo, pane integrale, doppia lievitazione...
“C'è una E di troppo; voglio dire, sulla parola 'Pane'. Una piccola svista”, e rido di imbarazzo, “magari è sfuggita. Mi scusi, sa...”
Lui continua a non capire. Scuote leggermente la testa.
“Pane!” scandisco io avvicinandomi al suo orecchio, una mano a fare da paravento, per pudore. “C'è una E al posto della A e il risultato è... be', insomma!”
Lui si illumina, tutto d'un colpo. Scoppia a ridere, si tiene la fronte tra le dita.
“Ha ha ha! Guardi, signorina. È tutto a posto.”
“In che senso?”
“Be', vede”, continua lui, mantenendo il tono da cospirazione con cui mi sono proposta, “negli ultimi tempi l'amministrazione comunale è diventata molto permissiva, e una 'particolare' interpretazione delle leggi vigenti ci ha permesso...” e si arresta. Un colpetto di tosse di disagio.
“Di fare che?” gli vengo incontro io, sforzandomi di capire.
“Insomma”, tono conclusivo, “questo è 'veramente' un negozio in cui si fa commercio del...”
“Pene?”
“Sì!” una ammissione sofferta, eppure ora il ragazzo appare rilassato.
Io invece sono viola di vergogna. Ma ti pare?
“Ma scusi”, proseguo io, riguardando le scritte che ho passato in rassegna. E solo ora mi accorgo che, dove leggevo, per abitudine, 'pane', invece sta scritto, a chiare lettere: 'PENE'.
“Cazzo!” mi scappa detto.
“Eh, si!” lui coglie la palla al balzo.
“Ma scusi”, mi ripeto io, avvicinandomi al bancone illuminata da una nuova rivelazione, “che cosa significano quelle scritte, pene bianco, pene nero, …?”
“Esattamente ciò che sta scritto, signorina.” E si apre in un sorriso rilassato. “Un pene italiano, un pene africano, ...”
“Minchia!”
“Eh già!”
“Ma, mi permetta. Pene integrale, allora?”
“Be', capisce... Quando l'acquirente desidera un'esperienza in tutti i, come dire, pertugi. Cioè...”
“Ok, ok, ho capito”. Molto chiaro. La mia attenzione ora è più ricettiva, in effetti. Pene arabo, pene pugliese, toscano, siciliano...
“E quei due, 'prodotti', allora? Pene con semi e pene a doppia lievitazione?”
“Ecco, dunque. Il primo è un articolo per chi, sai mai, cercasse una gravidanza, il secondo è per clienti particolarmente esigenti.”
“Cioè?”
“Cioè se si desidera una doppia esperienza con lo stesso, ehm, fornitore; a due riprese, con una doppia erez...”
“Ok, ok, ho capito. Chiarissimo.”
Lui accenna a un inchino, in segno di ringraziamento.
“Doppia 'lievitazione' eh?”
Lui sorride.
Pene con semi di papavero, pene con seme di finocchio, per non lasciare scontento nessuno. Ora tutto diventa chiaro nella mia mente.
“Vuole provare qualche articolo? Già che è qui!” Mi ridesta lui da un viaggio mentale in cui stavo perdendomi.
Arrossisco. “Scusi?”
“Può dare un'occhiata al retro del negozio. Ormai è qui!” Insiste lui.
Ora sono io che tossisco per imbarazzo. Rido per nascondere il mio disagio, arrossisco, manifestando esattamente ciò che cercavo di nascondere.
E mi stupisco sentendomi rispondere, del tutto al di fuori del controllo della ragione, “E perchè no?”
Rido come una scema e cercando di celare il più possibile il mio disagio, seguo il bel ragazzo nella zona 'acquisti'.
“Cosa desidera visionare? Poi, se vuole acquistare, ci pensa e ci fa sapere, s'intende. Pene integrale?”
Ma come si permette questo qui? Ma per chi mi ha preso? Mi irrigidisco. Ma poi ci ripenso. Magari no, non alla prima esperienza in questo avio-dispaccio. Però...
“Pene nero!” Pronuncio con decisione e subito mi pento. Ma cosa sto dicendo?
Il classico cliché, donna asiatica e uomo dell'Africa nera. Come nei più convenzionali spezzoni porno su internet.
Lui sorride e sussurra l'ordinazione in un invisibile interfono.
Non faccio nemmeno in tempo a ritrattare la mia impulsiva decisione che mi ritrovo da sola, in una stanza semibuia.
Nella penombra appare un bronzo di Riace. Forse è sempre stato qui e io lo noto solo ora, mentre emerge dall'oscurità e si sposta sotto la fioca sorgente luminosa di questo retrobottega.
Dovrei dire, per essere onesta, che prima di lui, con un percettibile anticipo, si è presentata una appendice dalle forme e dal significato inequivocabile.
Una stanga, una barra di equilibrio in ebano.
Ora l'uomo mi appare in tutta la sua magnificenza. Un trattato di anatomia.
Sembra un lanciatore di giavellotto, ma le mani sono libere.
Un siluro di cioccolato fondente, un'asta di liquirizia. E di colpo mi pento di non aver preso il pene integrale.
Lui mi guarda, il busto lievemente flesso, il capo un po' chino.
È imbarazzato, il ragazzo.
Si vede che non lo fa convenzionalmente di mestiere.
Magari è laureato in ingegneria spaziale e arrotonda il bilancio in attesa del primo impiego.
Sta di fatto che i suoi argomenti parlano chiaro.
Resto a bocca aperta, e lui se ne accorge, sorride, anche. Dolce orsacchiotto adibito alla caccia delle balene.
E io ora desidero essere un cetaceo per la sua fiocina.
La situazione standard, uomo nero e donna asiatica.
E io che sono? Non mi butterei proprio via!
Ci guardiamo negli occhi mentre mi sfilo la maglietta e rimango a seno nudo.
Le mie tette, di cui vado discretamente fiera, ora sfidano la sua erezione.
Lo costringo a guardami in volto e intanto mi slaccio il bottone dei jeans, abbasso il tessuto rimanendo in mutandine. E poi, quando scende l'elastico e spuntano i primi peli neri, trionfo vedendo i suoi occhi seguire i lenti gesti delle mie mani e arrestarsi sul mio monte di Venere che sorge come una luna piena tra le cime delle montagne.
Gli slip sono ora in terra e io sono completamente nuda di fronte ai suoi occhi.
Il suo cazzo si è irrigidito ulteriormente e oscilla gonfio di sangue arterioso.
Prendo per mano l'ingegnere e insieme ci dirigiamo nell'area 'consumazioni'.
L'insegna sulle vetrine mi colpisce al volto, come una sferzata di grandine, una secchiata d'acqua.
Il vecchio negozio del panettiere del paese in cui vado in vacanza.
Mi ricordo del signor Luigi, il prestinaio, prossimo alla pensione, che faceva ancora il pane alzandosi nella notte.
La sua gentilezza antica, la moglie, un po' malata, sempre seduta al lato del bancone, quel profumo di lievito naturale.
Poi ha ceduto l'attività. I figli fuggiti in città a inseguire titoli di studio e guadagni.
Una cooperativa ha rilevato l'attività, e ora questa insegna.
Sorrido e scuoto la testa. “Ma è mai possibile?”
Riguardo la scritta. Forse la A sembra una E?
Ma no, le altre A sono scritte alla perfezione. Qui c'è proprio un refuso!
Vorrei tirare dritto, un aneddoto da raccontare alle amiche, ma poi ci ripenso. Mi dispiace se la nuova cooperativa parte in questo modo. Che razza di opinione se ne farebbe l'intero paese?
Guardo le vetrine. Al posto di pasticcini e pane dall'aspetto genuino, ci sono vetrine grigio scuro che non permettono allo sguardo di indagare.
Il progresso. Magari è un negozio virtuale, un panettiere che prende ordini online.
Entro e vengo accolta da un ragazzone, alto almeno una spanna più di me.
Sorriso cordiale e occhi invitanti. Giovani, questi della cooperativa!
“Buongiorno!”
“Buongiorno!”
“Posso esserle utile?”
“Sì, cioè, non esattamente.”
“Scusi?”
“No, nulla, è che passavo di qui. Venivo tempo fa a prendere il pane. Ricordo ancora il signor Luigi, mi diceva sempre 'Sayonara'!”
“Eh sì, gran personaggio il vecchio proprietario.”
“E già. No, mi scusi. Ho guardato la nuova insegna e...”
“E...?”
“Cioè. C'è un piccolo errore, un refuso. Forse era passato inosservato.”
Il giovane assume un'espressione interrogativa. Mi scruta, in attesa di un chiarimento. Il mio sguardo, intanto, accarezza le insegne alle sue spalle, del tutto convenzionali. Pane arabo, pane integrale, doppia lievitazione...
“C'è una E di troppo; voglio dire, sulla parola 'Pane'. Una piccola svista”, e rido di imbarazzo, “magari è sfuggita. Mi scusi, sa...”
Lui continua a non capire. Scuote leggermente la testa.
“Pane!” scandisco io avvicinandomi al suo orecchio, una mano a fare da paravento, per pudore. “C'è una E al posto della A e il risultato è... be', insomma!”
Lui si illumina, tutto d'un colpo. Scoppia a ridere, si tiene la fronte tra le dita.
“Ha ha ha! Guardi, signorina. È tutto a posto.”
“In che senso?”
“Be', vede”, continua lui, mantenendo il tono da cospirazione con cui mi sono proposta, “negli ultimi tempi l'amministrazione comunale è diventata molto permissiva, e una 'particolare' interpretazione delle leggi vigenti ci ha permesso...” e si arresta. Un colpetto di tosse di disagio.
“Di fare che?” gli vengo incontro io, sforzandomi di capire.
“Insomma”, tono conclusivo, “questo è 'veramente' un negozio in cui si fa commercio del...”
“Pene?”
“Sì!” una ammissione sofferta, eppure ora il ragazzo appare rilassato.
Io invece sono viola di vergogna. Ma ti pare?
“Ma scusi”, proseguo io, riguardando le scritte che ho passato in rassegna. E solo ora mi accorgo che, dove leggevo, per abitudine, 'pane', invece sta scritto, a chiare lettere: 'PENE'.
“Cazzo!” mi scappa detto.
“Eh, si!” lui coglie la palla al balzo.
“Ma scusi”, mi ripeto io, avvicinandomi al bancone illuminata da una nuova rivelazione, “che cosa significano quelle scritte, pene bianco, pene nero, …?”
“Esattamente ciò che sta scritto, signorina.” E si apre in un sorriso rilassato. “Un pene italiano, un pene africano, ...”
“Minchia!”
“Eh già!”
“Ma, mi permetta. Pene integrale, allora?”
“Be', capisce... Quando l'acquirente desidera un'esperienza in tutti i, come dire, pertugi. Cioè...”
“Ok, ok, ho capito”. Molto chiaro. La mia attenzione ora è più ricettiva, in effetti. Pene arabo, pene pugliese, toscano, siciliano...
“E quei due, 'prodotti', allora? Pene con semi e pene a doppia lievitazione?”
“Ecco, dunque. Il primo è un articolo per chi, sai mai, cercasse una gravidanza, il secondo è per clienti particolarmente esigenti.”
“Cioè?”
“Cioè se si desidera una doppia esperienza con lo stesso, ehm, fornitore; a due riprese, con una doppia erez...”
“Ok, ok, ho capito. Chiarissimo.”
Lui accenna a un inchino, in segno di ringraziamento.
“Doppia 'lievitazione' eh?”
Lui sorride.
Pene con semi di papavero, pene con seme di finocchio, per non lasciare scontento nessuno. Ora tutto diventa chiaro nella mia mente.
“Vuole provare qualche articolo? Già che è qui!” Mi ridesta lui da un viaggio mentale in cui stavo perdendomi.
Arrossisco. “Scusi?”
“Può dare un'occhiata al retro del negozio. Ormai è qui!” Insiste lui.
Ora sono io che tossisco per imbarazzo. Rido per nascondere il mio disagio, arrossisco, manifestando esattamente ciò che cercavo di nascondere.
E mi stupisco sentendomi rispondere, del tutto al di fuori del controllo della ragione, “E perchè no?”
Rido come una scema e cercando di celare il più possibile il mio disagio, seguo il bel ragazzo nella zona 'acquisti'.
“Cosa desidera visionare? Poi, se vuole acquistare, ci pensa e ci fa sapere, s'intende. Pene integrale?”
Ma come si permette questo qui? Ma per chi mi ha preso? Mi irrigidisco. Ma poi ci ripenso. Magari no, non alla prima esperienza in questo avio-dispaccio. Però...
“Pene nero!” Pronuncio con decisione e subito mi pento. Ma cosa sto dicendo?
Il classico cliché, donna asiatica e uomo dell'Africa nera. Come nei più convenzionali spezzoni porno su internet.
Lui sorride e sussurra l'ordinazione in un invisibile interfono.
Non faccio nemmeno in tempo a ritrattare la mia impulsiva decisione che mi ritrovo da sola, in una stanza semibuia.
Nella penombra appare un bronzo di Riace. Forse è sempre stato qui e io lo noto solo ora, mentre emerge dall'oscurità e si sposta sotto la fioca sorgente luminosa di questo retrobottega.
Dovrei dire, per essere onesta, che prima di lui, con un percettibile anticipo, si è presentata una appendice dalle forme e dal significato inequivocabile.
Una stanga, una barra di equilibrio in ebano.
Ora l'uomo mi appare in tutta la sua magnificenza. Un trattato di anatomia.
Sembra un lanciatore di giavellotto, ma le mani sono libere.
Un siluro di cioccolato fondente, un'asta di liquirizia. E di colpo mi pento di non aver preso il pene integrale.
Lui mi guarda, il busto lievemente flesso, il capo un po' chino.
È imbarazzato, il ragazzo.
Si vede che non lo fa convenzionalmente di mestiere.
Magari è laureato in ingegneria spaziale e arrotonda il bilancio in attesa del primo impiego.
Sta di fatto che i suoi argomenti parlano chiaro.
Resto a bocca aperta, e lui se ne accorge, sorride, anche. Dolce orsacchiotto adibito alla caccia delle balene.
E io ora desidero essere un cetaceo per la sua fiocina.
La situazione standard, uomo nero e donna asiatica.
E io che sono? Non mi butterei proprio via!
Ci guardiamo negli occhi mentre mi sfilo la maglietta e rimango a seno nudo.
Le mie tette, di cui vado discretamente fiera, ora sfidano la sua erezione.
Lo costringo a guardami in volto e intanto mi slaccio il bottone dei jeans, abbasso il tessuto rimanendo in mutandine. E poi, quando scende l'elastico e spuntano i primi peli neri, trionfo vedendo i suoi occhi seguire i lenti gesti delle mie mani e arrestarsi sul mio monte di Venere che sorge come una luna piena tra le cime delle montagne.
Gli slip sono ora in terra e io sono completamente nuda di fronte ai suoi occhi.
Il suo cazzo si è irrigidito ulteriormente e oscilla gonfio di sangue arterioso.
Prendo per mano l'ingegnere e insieme ci dirigiamo nell'area 'consumazioni'.
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