Come iniziare 2
di
zorrogatto
genere
gay
Dimenticavo di aggiungere un... dettaglio che può essere importante: ero un bambino (e poi un ragazzo) non portato alla socialità, alle compagnie di amici e inoltre mio padre era andato a vivere per conto suo, lasciandomi con una madre che cercava ogni pretesto per picchiarmi o sminuirmi, vantando i miei cugini o i figli delle sue amiche che erano sempre più bravi, intelligenti, studiosi, sportivi, educati, eccetera di me... Inoltre, pur essendo di sempre stato il più alto della classe, venivo regolarmente bullizzato dai miei compagni, che mi saltavano addosso in tre o quattro e mi pestavano come il sale...
A quell'epoca, lamentarsi in casa faceva correre seriamente il rischio di “prendere il resto” e perciò mi mi medicavo le escoriazioni, prendevo gli scapaccioni per i pantaloni strappati e tiravo avanti.
Così, liberato dalla scuola (dove mi annoiavo e stavo abbastanza malvolentieri) dopo aver pranzato e fatto finta di studiare un po', mi rintanavo nel box, dove avevo potuto allestire un mio... laboratorio per fare il modellismo statico -le scatole di montaggio di plastica stampata, per intenderci- dove trascorrevo i pomeriggi, isolandomi dal crudele mondo; effetto collaterale di questo hobby era che, essendo molto curioso di natura, sfruttavo le mie nozioni di inglese per cercare di comprendere la breve storia del mezzo che stavo assemblando... Ma essendo appunto curioso, poi andavo a curiosare anche nelle altre tre lingue presenti (francese, tedesco e spagnolo: mettere un testo in italiano doveva essere severamente vietato da qualche legge, forse!), cercando le analogie tra le lingue latine e quelle sassoni e quindi imparicchiando qualcosina -molto poco, ma pur sempre più che nulla!- anche di quegli idiomi.
Tutto questo, condito da una severa educazione formale comprese buone regole di galateo eccetera, mi impedirono di diventare un giovane volitivo, ma invece piuttosto ubbidiente e portato ad accontentare il mio interlocutore, sopratutto se era un “grande” (e a 14 anni, mi veniva naturale dare del 'lei' ai ventenni!)
Ma torniamo all'estate del '69!
Le serate ed i relativi spostamenti si susseguivano, ma del mio principeazzurro, nessuna traccia: al massimo -tra pomeriggi e, più raramente, la sera- incappavo in qualcuno tutto contento di andare con me nei vespasiani della stazione (i bagni erano in un casottino separato di una ventina di metri dall'edificio principale), ma solo per guardarmelo e farmelo vedere e magari anche toccarci, ma sempre pronto a fare gli indifferenti se si fosse palesato qualcuno.
Ed io, puntata dopo puntata, sera dopo sera, tornavo con l'ultimo treno utile sempre più mogio.
Una sera, dopo la solita infruttuosa caccia, mi ero seduto in uno scompartimento vuoto a guardare la successione di mare e gallerie che si snodava fuori dal finestrino (la linea era ancora quella ottocentesca ad un unico binario; l'altra l'avrebbero inaugurata l'anno successivo), quando percepii la presenza di un'altra persona che si era seduta nel mio scompartimento: un 'signore, grande' (a ripensarci mentre invecchiavo anche io penso che potesse essere intorno ai 25 anni, non di più) che mi sorrise e volle fare conversazione:
«Ma viaggi tutto solo? Non hai paura?» e io, imbarazzato e quindi laconico: «Sì, viaggio solo, son poche fermate»
«Ah! E dove scendi?» Glie lo dissi e quando mi chiese dove fossi andato, gli dissi «Sestri»
«Capito... E... cosa sei andato a fare?» il mio istinto (che solo con gli anni ho imparato ad ascoltare!) mi suggerì di essere sincero e accomodante: «A cercare... Ehm... trovare un amico...»
Gli vidi spuntare un sorrisetto: «Ma... è un amico che conosci?» Mi buttai: «No...»
Lui sembrava un gatto davanti alla gabbia aperta col canarino dentro: «E... come mai lo stai cercando?»
Come tuffarsi da uno scoglio nel mare che immagini freddo, mi buttai e gli raccontai brevemente la vicenda del lunedì di Pasqua e che volevo reincontrarle qulla persona... o qualcuno come lui.
«Ma poi cosa ci vuoi fare?» «Io... beh, mi metto cose nel culetto, ma so che che qualcuno ci mette anche il... il coso, il cazzo e... e volevo provare...»
Ci rifletté dieci secondi: «Se vuoi, posso fartelo provare io... ma non qui sul treno, che può capitare il capotreno...
Senti, facciamo così: scendo anche io alla tua stazione, ci troviamo un angolino tranquillo, lo facciamo e poi io mi prendo i treno seguente...»
Accettai.
Così scendemmo alla mia fermata e cercammo un angolino tranquillo all'ombra del magazzino merci della stazione.
Ricordo ancora perfettamente com'ero vestito: portavo un paio di bermuda di cotone bianco con stampati grossi fiori in blu (o in verde o in rosso scuro, ma i miei era blu!), di gran moda al mare quell'anno ed una camiciola di cotone leggero a maniche corte, con righe sottili irregolari verticali giallo, ocra scuro, forse rosso e bianco... Ai piedi non ricordo: forse sandali o ciabatte da mare... ma non è importante!
E' importante quello che successe: quel 'signore' mi disse: «Se vuoi che ti inculi, prima succhiamelo!» e mi premette la mano sulla testa per farmi accucciare...
“Ma dio, che schifo! E' il 'cannello della pipì'!!! Ma no, come faccio?” mi turbinarono i pensieri in mente, disgustato.
Ma lui, implacabile: «Avanti, succhia!» e io come potevo rifiutarmi? Come potevo disobbedire ad un adulto?
Così, facendomi forza per vincere il disgusto, prima gli baciai la cappella e poi, sempre seguendo le sue istruzioni, gli leccai l'asta e infine glie lo imboccai.
A quattordici anni avevo le conoscenze sul sesso e sui suoi fenomeni che forse adesso farebbero ridere un bambino ai primi anni delle elementari, ma era così, per me.
Difatti, dopo un po' che succhiavo, mi sentii un liquido vischioso in bocca e subito pensai che fosse la secrezione di certe mie ghiandole che dovevo avere in bocca, stimolate da quella inusuale attività.
Non volevo smettere o mettermi a sputare per non fare brutta figura e farmi sgridare da quel signore, che magari avrebbe pensato che mi facesse schifo lui, così zitto zitto ingoiai tutto.
Poi me lo levò dalla bocca, mi disse «Bravo» e poi aggiunse: «Ora se vuoi, te lo metto nel culo...»
Come, “se vuoi”??? Non desideravo altro da mesi!!!
Così mi abbassai i bermuda, appoggiai gli avambracci su un basso parapetto (che esiste ancora: ah, se potesse parlare... Ehehehehe) e gli dissi di mettermelo.
E lui me lo mise: non ricordo particolare dolore e quindi la cosa doveva essere andata -grazie ai miei... allenamenti ed alla sua dotazione nella norma- abbastanza liscia.
La cosa mi dava sensazioni piacevoli ed io restai lì, con i gomiti appoggiati al muretto a farmi inculare per la prima volta da uno sconosciuto, m dopo qualche minuto valutai l'esperienza gradevole, da rifare, ma al momento reputai che stava diventando monotona.
Per cui lo ringraziai con un «Basta così, grazie» e lui si sfilò e svani dalla mia vita come se fosse fatto di fumo...
A quell'epoca, lamentarsi in casa faceva correre seriamente il rischio di “prendere il resto” e perciò mi mi medicavo le escoriazioni, prendevo gli scapaccioni per i pantaloni strappati e tiravo avanti.
Così, liberato dalla scuola (dove mi annoiavo e stavo abbastanza malvolentieri) dopo aver pranzato e fatto finta di studiare un po', mi rintanavo nel box, dove avevo potuto allestire un mio... laboratorio per fare il modellismo statico -le scatole di montaggio di plastica stampata, per intenderci- dove trascorrevo i pomeriggi, isolandomi dal crudele mondo; effetto collaterale di questo hobby era che, essendo molto curioso di natura, sfruttavo le mie nozioni di inglese per cercare di comprendere la breve storia del mezzo che stavo assemblando... Ma essendo appunto curioso, poi andavo a curiosare anche nelle altre tre lingue presenti (francese, tedesco e spagnolo: mettere un testo in italiano doveva essere severamente vietato da qualche legge, forse!), cercando le analogie tra le lingue latine e quelle sassoni e quindi imparicchiando qualcosina -molto poco, ma pur sempre più che nulla!- anche di quegli idiomi.
Tutto questo, condito da una severa educazione formale comprese buone regole di galateo eccetera, mi impedirono di diventare un giovane volitivo, ma invece piuttosto ubbidiente e portato ad accontentare il mio interlocutore, sopratutto se era un “grande” (e a 14 anni, mi veniva naturale dare del 'lei' ai ventenni!)
Ma torniamo all'estate del '69!
Le serate ed i relativi spostamenti si susseguivano, ma del mio principeazzurro, nessuna traccia: al massimo -tra pomeriggi e, più raramente, la sera- incappavo in qualcuno tutto contento di andare con me nei vespasiani della stazione (i bagni erano in un casottino separato di una ventina di metri dall'edificio principale), ma solo per guardarmelo e farmelo vedere e magari anche toccarci, ma sempre pronto a fare gli indifferenti se si fosse palesato qualcuno.
Ed io, puntata dopo puntata, sera dopo sera, tornavo con l'ultimo treno utile sempre più mogio.
Una sera, dopo la solita infruttuosa caccia, mi ero seduto in uno scompartimento vuoto a guardare la successione di mare e gallerie che si snodava fuori dal finestrino (la linea era ancora quella ottocentesca ad un unico binario; l'altra l'avrebbero inaugurata l'anno successivo), quando percepii la presenza di un'altra persona che si era seduta nel mio scompartimento: un 'signore, grande' (a ripensarci mentre invecchiavo anche io penso che potesse essere intorno ai 25 anni, non di più) che mi sorrise e volle fare conversazione:
«Ma viaggi tutto solo? Non hai paura?» e io, imbarazzato e quindi laconico: «Sì, viaggio solo, son poche fermate»
«Ah! E dove scendi?» Glie lo dissi e quando mi chiese dove fossi andato, gli dissi «Sestri»
«Capito... E... cosa sei andato a fare?» il mio istinto (che solo con gli anni ho imparato ad ascoltare!) mi suggerì di essere sincero e accomodante: «A cercare... Ehm... trovare un amico...»
Gli vidi spuntare un sorrisetto: «Ma... è un amico che conosci?» Mi buttai: «No...»
Lui sembrava un gatto davanti alla gabbia aperta col canarino dentro: «E... come mai lo stai cercando?»
Come tuffarsi da uno scoglio nel mare che immagini freddo, mi buttai e gli raccontai brevemente la vicenda del lunedì di Pasqua e che volevo reincontrarle qulla persona... o qualcuno come lui.
«Ma poi cosa ci vuoi fare?» «Io... beh, mi metto cose nel culetto, ma so che che qualcuno ci mette anche il... il coso, il cazzo e... e volevo provare...»
Ci rifletté dieci secondi: «Se vuoi, posso fartelo provare io... ma non qui sul treno, che può capitare il capotreno...
Senti, facciamo così: scendo anche io alla tua stazione, ci troviamo un angolino tranquillo, lo facciamo e poi io mi prendo i treno seguente...»
Accettai.
Così scendemmo alla mia fermata e cercammo un angolino tranquillo all'ombra del magazzino merci della stazione.
Ricordo ancora perfettamente com'ero vestito: portavo un paio di bermuda di cotone bianco con stampati grossi fiori in blu (o in verde o in rosso scuro, ma i miei era blu!), di gran moda al mare quell'anno ed una camiciola di cotone leggero a maniche corte, con righe sottili irregolari verticali giallo, ocra scuro, forse rosso e bianco... Ai piedi non ricordo: forse sandali o ciabatte da mare... ma non è importante!
E' importante quello che successe: quel 'signore' mi disse: «Se vuoi che ti inculi, prima succhiamelo!» e mi premette la mano sulla testa per farmi accucciare...
“Ma dio, che schifo! E' il 'cannello della pipì'!!! Ma no, come faccio?” mi turbinarono i pensieri in mente, disgustato.
Ma lui, implacabile: «Avanti, succhia!» e io come potevo rifiutarmi? Come potevo disobbedire ad un adulto?
Così, facendomi forza per vincere il disgusto, prima gli baciai la cappella e poi, sempre seguendo le sue istruzioni, gli leccai l'asta e infine glie lo imboccai.
A quattordici anni avevo le conoscenze sul sesso e sui suoi fenomeni che forse adesso farebbero ridere un bambino ai primi anni delle elementari, ma era così, per me.
Difatti, dopo un po' che succhiavo, mi sentii un liquido vischioso in bocca e subito pensai che fosse la secrezione di certe mie ghiandole che dovevo avere in bocca, stimolate da quella inusuale attività.
Non volevo smettere o mettermi a sputare per non fare brutta figura e farmi sgridare da quel signore, che magari avrebbe pensato che mi facesse schifo lui, così zitto zitto ingoiai tutto.
Poi me lo levò dalla bocca, mi disse «Bravo» e poi aggiunse: «Ora se vuoi, te lo metto nel culo...»
Come, “se vuoi”??? Non desideravo altro da mesi!!!
Così mi abbassai i bermuda, appoggiai gli avambracci su un basso parapetto (che esiste ancora: ah, se potesse parlare... Ehehehehe) e gli dissi di mettermelo.
E lui me lo mise: non ricordo particolare dolore e quindi la cosa doveva essere andata -grazie ai miei... allenamenti ed alla sua dotazione nella norma- abbastanza liscia.
La cosa mi dava sensazioni piacevoli ed io restai lì, con i gomiti appoggiati al muretto a farmi inculare per la prima volta da uno sconosciuto, m dopo qualche minuto valutai l'esperienza gradevole, da rifare, ma al momento reputai che stava diventando monotona.
Per cui lo ringraziai con un «Basta così, grazie» e lui si sfilò e svani dalla mia vita come se fosse fatto di fumo...
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