Le foto di Vandal (parte prima)

di
genere
voyeur

L'imbarazzo di dover posare nuda davanti a un obiettivo fotografico viene stemperata dall'abilità del fotografo.
Mauro è un professionista e anche se nessuno dei due ha fatto il minimo accenno a foto di nudo integrale, anche se sappiamo che inevitabilmente il mio corpo sarà ritratto in ogni sua parte più intima, il poeta dell'immagine non ha alcuna fretta e si dedica a sprigionare dai miei contorni immagini di valore artistico.

Rapidi i passaggi obbligati, consegnati subito all'archivio dell'inevitabile.
La stretta di mano alle soglie del suo studio.
“Ciao, io sono Yuko...”
“Ti ho immaginato in mille modi, eppure sono stupefatto.”
“Ho tradito le tue aspettative?”
“No, tutt'altro. È che... è che passi i mesi a scrivere a una persona e a leggere come essa si esprime, cercando di identificare un volto, delineare una serie di particolari e scopri alla fine... rimani sorpreso da quanto la realtà possa superare ogni fantasia.”
Sorrido imbarazzata, conscia di essere una donna piacevole, forse anche carina, ma assolutamente convenzionale, nulla di così particolare.
Lui mi legge nel pensiero.
“Non fraintendermi”, si premura di dirmi, “non sto parlando di livelli estetici; è che semplicemente... semplicemente è impossibile figurarsi il volto di una persona, qualunque essa sia, e si resta sempre sopraffatti...”
“Dai, fammi entrare che qui si crepa di caldo.” Taglio corto io per toglierlo dal disagio.
E poi, non so, provo un certo imbarazzo, qui, io, una giovane donna alla porta dello studio di un noto fotografo. La gente passa, mi guarda e immagina cosa succederà a breve sotto le luci dei pannelli e io, non essendo proprio del mestiere, mi sento avvampare da un velo di vergogna.

L'ambiente di lavoro è piacevole e, dimenticato il fastidio iniziale, cerco di pensare solo all'amico di penna, allo scrittore Vandal che sa costruire con la tastiera delicate immagini fotografiche alternando filtri e contrasti per rendere visibili volti e situazioni ai suoi lettori.
“Senti”, confesso subito, “io non so assolutamente cosa fare, come devo mettermi.”
“Non preoccuparti, non devi fare nulla. Pensa solo a essere te stessa, butta la mente verso altro, altrimenti le immagini non saranno naturali. Dimenticati di me e della macchina fotografica.”
“Facile a dirsi, ma io... Devo slacciare la camicetta?” Cerco quasi di tagliar corto, come per abbreviare un supplizio, e già porto le dita ai bottoni.
“Ma no, Yuko, non preoccuparti, non ci pensare. Se ci sarà occasione faremo foto di nudo, ma mi interessa la tua personalità innanzitutto, la Yuko più profonda, le sue espressioni, i suoi sguardi, i pensieri che trapelano dai suoi minimi dettagli, i particolari del volto, le sue sensazioni.”
Sorrido rassicurata. Può anche darsi, allora, che oggi farà solo foto al volto e non so neanche se ci sarà una seconda sessione fotografica.
Mi rilasso. “Ho portato un po' dei miei vestiti preferiti, come mi hai detto. Con quale vuoi cominciare?” e prendo un ingombrante borsone in cui ho messo i miei tesori, i cappelli, gli indumenti cui sono più affezionata.
“Dimmi tu.”, proseguo, “Vuoi prima la Yuko giapponese o quella italiana? La Yuko artista o la Yuko lavoratrice?”
Lui sorride allargando le braccia in segno di resa.
“Ok, mi sa che devo decidere io. Apro la cerniera e per prima cosa trovo la larga tesa del mio cappello di paglia preferito. Lo estraggo con premura materna, lo mostro a Mauro e sorrido un po' imbarazzata.
Questi abiti parlano molto di me e della mia anima e in un certo senso mi sento già messa a nudo sotto il suo sguardo.
Me lo metto senza più esitare e, approfittando di uno specchio, me lo aggiusto in capo, governando i capelli che sfuggono ribelli.
Quando penso di essere pronta mi volto verso di lui, accorgendomi solo ora che già da un po' ha iniziato a riprendermi.
Capisco allora che non gli interessano le mie pose definitive, ma che il fotografo è più attratto dai miei atteggiamenti naturali e infatti mi mostra subito il risultato dei primi scatti sullo schermo della sua fotocamera digitale. Senza rumore, protetto dall'anonimato e dall'effetto sorpresa mi ha già ritratto in decine di pose.
Io che sposto i capelli sull'orecchio, io che mi tolgo una ciglia dallo zigomo, io che controllo se le labbra sono a posto, io che allo specchio provo decine di posizioni del cappello, inseguendo la mia sensazione estetica per non sfigurare.
Insomma, una donna che si guarda riflessa e si prepara; non una fredda, anonima e sterile posa fittizia.
“Caspita, Mauro, sei veramente bravo!”
Resto già affascinata dall'arte del fotografo, dalle riprese quasi ossessive dei particolari: il mio naso, i miei occhi, un sopracciglio, un labbro che mi viene riproposto in bianco e nero, con una differente scala di contrasti.
“Sono io questa?”
Foto sensuali che sprigionano un erotismo insospettabile e che mi lasciano disarmata.
La forma delle labbra, le ciglia riprese controluce che brillano di riflessi imprevedibili.
Le mie mani sulla tesa del cappello, la mia espressione attenta e concentrata, la mia persona e la sua immagine rispecchiata che ci scrutiamo e ci osserviamo come due vecchie amiche che discorrono pacificamente.
Ed è da quel momento che mi sento irrorata di fiducia e in buone mani; la mia immagine, il mio corpo e i sentimenti che ne trapelano sono affidate alle amorevoli cure di un cultore delle forme che saprà trarne tesori, come pietre preziose da uno scrigno.
E tutto questo non per una mia eventuale e discutibile bellezza, ma per la sua arte di valorizzare situazioni e stati d'animo trasmettendo sensazioni e creando suggestioni che prescindono da un oggettivo valore estetico di sole forme e fisionomia.
Nel contempo ho già appreso un poco cosa devo fare.
Non devo essere pronta in una certa posa, ma è importante muovermi, agire dimenticandomi di chi mi sta riprendendo, occuparmi solo di fare, agire e spostarmi nella più serena tranquillità.
Ecco che da quel momento comincio a prenderci gusto. Posso essere me stessa, anzi 'devo' farlo. E senza il timore di non essere bella o attraente, interessante o noiosa.
Posso dedicarmi a vestire come mi piace e a muovermi come mi sento, come se fossi da sola o in una cerchia di amici che mi conosce da anni.
E allora vesto il mio kimono, sistemandomi le ampie maniche e la 'obi', la tipica cintura di larga seta; indosso un vestito tradizionale nord vietnamita con il tipico cappello a cono, il 'Nón Lá', che ho comprato in un mio viaggio a Ha Noi; sfoggio i miei indumenti di cui vado più fiera e mi rimiro allo specchio mentre Mauro salta di qua e di là nello studio per cogliere più sfumature e giochi di luce.
“Ecco, mettiti davanti alla finestra!”
Mi indica una porta finestra da cui entra la luce solare; un vetro che dal primo piano del suo studio dà direttamente sulle campagne circostanti la sua abitazione.
“Girati verso di me, ecco, così. Ora prendi i bordi del vestito, lì, sulla gonna, e allargali. Ottimo. Ora piega il capo, come se volessi guardarti il ventre, col tessuto stirato dalle tue mani.”
Non capisco che effetto voglia ottenere, in preda a quale ispirazione stia costruendo la prossima sequenza di immagini.
Il sole alle mie spalle transillumina il tessuto di leggero cotone costellato di minuscoli fiori azzurri e intravedo l'ombra del mio corpo che si delinea in trasparenza.
Mauro mi tempesta di scatti, cambia posizione, si inginocchia e si rialza, si piega in avanti e si raddrizza. Cambia obiettivi e controlla il risultato degli scatti appena effettuati.
E solo dopo tante prove e tanti cambiamenti di posizione mi mostra quello che reputa il suo migliore risultato di questa sequenza di “controluce”.
E resto col fiato bloccato di fronte allo schermo della Nikon digitale.
Quella sono io, è innegabile, ma il mio volto, controluce e col capo piegato in avanti, non si riconosce.
Ma l'effetto meraviglioso creato dai giochi di luce ed enfatizzato dalle capacità artistiche dell'amico mi lascia sbalordita.
Nel rettangolo nero della porta finestra, il mio vestito di candido cotone, esplode della luce incandescente del sole che lo attraversa, delineandosi come un evanescente e velato contorno luminoso delle forme del mio corpo che nere e opache appaiono nette e precise come se avessi posato nuda davanti all'obbiettivo da 135 mm per ritratto della Nikkor.
Il collo che si allarga alle spalle, il contorno ben definito del mio seno che deborda dai profili del petto, la stretta vita che si allarga sui fianchi con le linee che si ricompongono convergendo sulle mie gambe come un imbuto nero e sinuoso. Le mie braccia che sostengono il tessuto contrastando nere nell'abbagliante sottigliezza della tela del vestito.
Un corpo nudo fotografato controluce in un'aura onirica di un impalpabile cornice luminosa e sfumata.
Resto sopraffatta dal risultato e dalle possibilità che luce, contorni, ombre e sfumature possano comporsi a nostra insaputa per creare capolavori di immagini partendo da situazioni apparentemente banali e convenzionali.
E in questo momento prendo ancor più coscienza che non proverò timore o imbarazzo se e quando poserò nuda sotto le lenti fotografiche, perchè l'artista saprà valorizzare ed enfatizzare dettagli di bellezza e inusuali situazioni di contrasti e di colori.
Mauro sembra stupito dall'intuizione che ha saputo cogliere da un'inaspettata situazione e dal risultato che è riuscito a creare.
E io ora sono curiosa di quanto ancora saprà inventare questo incantatore di pixel
e di fotoni.
Mi slaccio i primi bottoni del vestito scoprendo una spalla e un accenno del seno.
Mauro mi gira di tre quarti e mi fotografa affacciata al balconcino. Mi fa rimettere il cappello di paglia su cui applichiamo un lungo nastro azzurro. Il mento appoggiato al palmo, il gomito sulla balaustra, mi perdo a osservare la campagna infuocata dal sole mentre il fotografo cerca inquadrature sulla mia spalla nuda, sul mio seno controluce attraverso il delicato velo che mi riveste.
Poi è la volta dei miei piedi che vengono ritratti nudi e in sandali, vicini, accavallati, distesi e piegati, riproducendo messaggi a elevatissimo contenuto erotico.
E Vandal lo sa di sicuro quanto i piedi nudi significhino per una donna orientale, anche se sono cresciuta in Italia.
Ci sono donne in estremo oriente che, se esposte nude in pubblico, si preoccuperebbero di coprirsi i piedi prima ancora del seno o del sedere.
I piedi, le delicate pieghe tra le dita, la sensuale convessità dei malleoli, lo stretto collo della caviglia intorno al tendine di Achille, le variazioni di intensità di luce che dal brillante della volta decantano fino ai neri abissi tra le dita in milioni di sfumature di grigio, rappresentano per la donna orientale un universo di erotismo e Mauro sa coglierne tutte le prerogative e la complessità di tinteggiature e contrasti che riprende in più scatti, armeggiando diaframmi sull'obiettivo a ottica fissa come se stesse masturbando vivacemente il tubo di metallo nero.
Lo smalto fucsia delle unghie viene sottoposto a giochi di filtri colorati per scatti in B/N. Filtro verde che riproduce unghie nere, effetto drammatico di temporale imminente. Filtro magenta con il risultato di unghie scolorite e bianche che si immergono nell'ampia scala di grigi delle curvature della mia pelle.
Io, solo al vedere quanta premura viene dedicata a ogni centimetro della pelle dei miei piedi, sento l'eccitazione che mi cresce lungo le cosce come se una velata carezza o una lingua ossequiosa stesse risalendo fino a lambire gli inguini e le labbra vulvari.
Qualche scatto alle mie gambe, forse un po' troppo muscolose e poco femminili, ma fortunatamente glabre e poi, senza dover affrontare l'argomento “cosce”, Vandal si rivolge di nuovo al mio viso.
di
scritto il
2022-09-02
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