Le foto di Vandal (seconda parte)

di
genere
voyeur

Tutto un turbinare di filtri si alterna ad avvolgere e riprodurre i miei occhi, le mie ciglia, il mio naso, i capelli sempre in pose diverse sulla fronte e sulle orecchie, il sorriso e le labbra.
'Duto', 'Softone', 'Foggy', una famiglia di filtri per intenerire e addomesticare i confini del mio corpo e renderli docili e dolci.
I miei contorni ammorbiditi, avvolti da calze di seta e nebbie sottili, luce dispersa in delicate sfumature tra zone scure e parti in luce, ammaestrati e edulcorati dai vari filtri per riprese soft.
Rimembranze autunnali e fughe impressionistiche; riminiscenze oniriche e ricordi sfumati in carta patinata.
Il mio seno in contorni irreali, i capezzoli appena accennati sulla rotondità delle mammelle.
La piega tra le mammelle quando le stringo nell'abbraccio e la costellazione di vertebre sulla mia schiena che emerge dai capelli sciolti, come un rettile che fugge dalle onde marine e che si distende sulle dune fino all'incavo che suggerisce, senza mostrarlo, l'inizio della piega del sedere.
Artigli neri, i miei crini, con delicati riflessi da “cross screen”, a croce e a stella, e poi la soffice incipriatura del filtro “softone” per le linee della mia schiena, le scapole accennate in timide ombreggiature mantecate in una dolce resa dei contrasti, e la curvatura dei glutei.
Sono nuda, ormai, sotto le lenti della Nikon, ma mi sento a mio agio, pennellata, accarezzata dai soffici movimenti dei fotoni abilmente orchestrati dal menestrello della fotoriproduzione.
Il fiocco lungo del cappello di paglia che porto al capo è il solo indumento che ancora indugia sulla mia schiena in una nuova serie di scatti in cui giaccio prona, nuda, la schiena inarcata mentre appoggio il capo al gomito e con l'altra mano sembro discorrere con una farfalla che vezzosamente mi si è posata sull'indice. Una gamba distesa e l'altra flessa con un piede sollevato in bilico sul ginocchio. La piega sotto le chiappotte e le due fossette lombari.
Scatti frontali, laterali, prospettive sulle mie cosce e sul mio sedere, con luci dirette e raggi radenti per enfatizzare ogni particolare e porosità della mia pelle.
Il mio culetto in primo piano o come sfondo. Il seno che si intravede come per sbaglio e solo il minimo accenno ai peli della mia vulva che fanno capolino tra le gambe disgiunte.
Io al davanzale, col seno sollevato, all'aria aperta. Capezzoli scuri o chiari negli scatti in bianco e nero, a seconda dei filtri colorati che Mauro continua a cambiare. Scatti a colori e scatti in grigio.
I minuti particolari del mio petto e delle mie ascelle con un obiettivo macro che riproduce il capezzolo, formoso e poroso come una meringa di cioccolato.
La pelle del seno e quella del ventre, là dova la curvatura cambia affondando nel gorgo ineffabile dello scuro ombelico. Minime irregolarità e peluria invisibile a occhio nudo, ma esaltata dalle foto a elevato ingrandimento per raccontare un'enciclopedia di storie sulla pelle delicata e vellutata di centinaia di migliaia di donne.
Poi Mauro si ferma di scatto.
È da un po' che smanetta con i comandi del monitor della fotocamera.
Soddisfatto dalle tinte a colori e dalle sfumature, ma poco convinto dai contrasti più esacerbati e disgustato da pessimi effetti di sgranamento.
Guarda corrucciato la sua Nikon e poi, con una piccola smorfia che denota una decisione sofferta, ma finalmente risolutiva, si dirige verso un vecchio armadio. Armeggia rumorosamente dentro non so quali scatoloni e si illumina in volto.
Riemerge dal tuffo nel suo passato con una Canon AE-1 e una mangiata di pellicole di cui riconosco il nome sintetico: “Tri X”. L'intramontabile pellicola in bianco e nero ad alta sensibilità della Kodak.
“Ah, ma allora adesso si fa sul serio!” esclamo, fingendomi una intenditrice.
“Ora voglio contrasti non convenzionali e una grana da sbucciarsi i polpastrelli!”
Sorrido vedendo il bambino che sfodera i suoi giocattoli migliori e mi stringo nelle spalle in attesa di cosa mi dirà di fare.
“Ce l'hai un rossetto?”
“Questo proprio no.”
Espressione delusa. Chissà a cosa stava architettando.
Medito un attimo. “Va bene un lucidalabbra stick?”
“Ottimo!”
Le foto successive sono dedicate alle mie labbra.
La mia bocca ad elevato ingrandimento, in bianco e nero. Un filtro verde trasforma le mie mucose rendendole quasi nere e gli effetti di contrasto fanno risaltare le piccole increspature che riflettono la luce come cristalli di quarzo sul velluto nero della notte. Un lieve effetto soft con un filtro 'duto' che sfuma solo i contorni lasciando nitido il centro, e mentre mi passo lo stick, il mio labbro superiore si contorce, si gonfia e si deforma sotto la pressione del cosmetico. Gli incisivi accennano solo a una velata presenza, bianchissimi sotto la scura ombra che il contrasto dell'emulsione fotografica renderà insostenibile.
Le immagini della pellicola saranno visibili solo dopo lo sviluppo, ma Mauro effettua una doppia esposizione con l'attrezzatura digitale, per verificare luci, ombre e contrasti e per farsi un'idea in anteprima, non potendo visionare subito l'effetto sulla pellicola.
E così mi rivedo nell'atto quotidiano del truccarmi le labbra e di passarmi la matita sotto gli occhi.
Così ingrandita, così dettagliata e sensuale che finalmente capisco perchè non mi è stato ancora chiesto di posare in un nudo frontale o in pose dichiaratamente erotiche. Non foto delle mie dita che me la toccano, né cosce aperte sui miei genitali, né macrofotografia dei miei pertugi più intimi.
C'è già qui una irresistibile carica erotica esaltata anche dal fatto dei particolari femminili non convenzionali, per foto volutamente sensuali.
La sensazione dell'attesa, l'accenno al resto del corpo della donna che si intuisce, si conosce ed è scontato, per cui , senza mettere in discussione il resto, viene magnificata la rappresentazione di tutti i minimi dettagli così spesso trascurati, eppure dotati di cosi potente e particolare, insospettabile allusione sessuale.
Di nuovo vengono prese di mira le ciglia mentre applico il mascara, gli zigomi che spolvero di cipria. E pensare che non sono neanche capace di truccarmi!
Ma qui non conta il risultato della cosmesi quanto il gesto, il particolare, il corpo della donna nei suoi dettagli più intimi e scabrosi sebbene così convenzionali.
Immagino le foto in cui la grana grossa della pellicola si intensifica dalla punta del naso al contorno delle narici.
Poi Mauro mi si fa vicinissimo con un obiettivo macro.
“Guarda la campagna, quella fila di alberi, laggiù.”
E così mi accorgo che il pomeriggio è volato e il sole si appresta ad abbracciare le cime dei platani e dei pioppi della campagna del pavese.
Sulle mie cornee il riflesso dell'intero tramonto in cui i neri profili degli alberi si confondono con le mie iridi e il sole occhieggia brillando tra le fronde.
Decine di scatti per ogni movimento impresso dal vento sugli stanchi rami e per il lento declinare dell'astro.
Foto a colori e scatti in bianco e nero, spessi cristalli d'argento e contrasto elevato contro granulosità impalpabile e fini sfumature, pellicola e digitale e tutta la campagna a cui l'amico è intimamente affezionato, racchiusa nei pochi millimetri della curvatura della parte trasparente dei miei occhi.
Ultime foto con la luce arancione sulla mia pelle giallastra che, come i picchi dolomitici, per affinità di sfumature cromatiche, si carica di colori saturi e caldi. Pellicola Fuji Velvia in diapositive a 50 ASA per la migliore esaltazione dei gialli e delle varie sfumature dei sali di cromo, e immagini digitali per effetti da elaborare con photoshop.
Ultimi scatti sul mio corpo nudo alla luce del tramonto, mentre mi avvito come una ballerina, senza altri vestiti se non l'immancabile cappello di paglia. Posa lunghissima per rendere il movimento rotatorio alla luce calda del tramonto, con fotocamera sul cavalletto e filtro scuro. I miei capelli come rondini impazzite, il cappello fra le dita e le braccia distese. Il corpo nudo e libero di esprimersi negli elementi primordiali e poi, felice e libera come una brezza al mattino, corro sorridente verso il fotografo e lo abbraccio, leggiadra e vaporosa come una piuma.
Così, nuda come mi ritrovo, ma con lo sguardo carico di gioia per questa bella giornata, per questo ritorno alle sensazioni più vivide e intime che il mio corpo mi ha ricordato.
Poesie suggerite ed estratte dall'abilità del cultore dell'immagine che le ha sapute esaltare scalfendole dalla superficie della mia anima su cui giacevano incastonate da miliardi di anni.
Mi avvolge con il suo abbraccio, l'amico e collega scrittore, e la sua mano segue l'incavo della mia schiena, assaporando con le dita la superficie liscia della mia pelle già svelata con professionalità dai riflessi della luce sul mio corpo e catturati da sensori e pellicole.
La mano si attarda sul mio sedere in una carezza proibita che mi sento di concedere in virtù dell'intimità che si è creata lasciando parlare il mio corpo e le mie curve, i miei contorni e le mie sfumature sotto l'occhio attendo delle lenti fotografiche.
Poi con tranquillità mi rivesto mentre già Vandal è al lavoro per scaricare qualche giga di scatti, mettendo al sicuro le delicate pellicole in bianco e nero della Kodak.
“Che sviluppo userai per sgranare le foto? Esiste ancora il 'Fino ST 33' della Ornano?”
“Ha ha ha!” ride lui come se sentisse nominare un vecchio amico si scorribande passate in età giovanili.
“C'è, c'è ancora, ma come fai a conoscerlo?”
“Lo usavo quando sviluppavo nella tank le foto alle stelle.”
Annuisce con una specie di inchino in segno di rispetto.
“No, Yuko, ho bisogno di una grana esagerata. Le foto in bianco e nero a grana fine e media me le lavoro dagli scatti digitali con fotoshop. Ma qui devo spingere su effetti che il PC non riesce ancora ad ottenere.”
Annuisco, soddisfatta che esista ancora spazio alla manualità artistica non ancora conquistata dall'informatica e dalla rivoluzione digitale.
“Hai in mente lo sviluppo DX 16?”
“No, per nulla.”
“Eeh quello ha una grana elefantiasica, immensa, e un contrasto bello elevato.”
Ascolto interessata.
“Di sicuro non lo conosci, perchè per le stelle non va bene. Ma invece userò un HC 110: grana vistosa, contrasto vigoroso. Anche se l'Acuspeed FX-20 non è male.”
Stiamo andando troppo sul tecnico e lui, accorgendosene, cambia discorso, si gratta la barba grigia, soddisfatto, molto soddisfatto della seduta fotografica e si mi si avvicina per mettermi un braccio intorno ai fianchi.
“Madame!” mi invita verso l'uscita dallo studio.
In un certo senso mi sembra di essere di fronte a Vincent van Gogh dopo un focoso pomeriggio ad Arles. Le dita che si grattano la barba arancione mentre contempla i colori sparsi sulle tele a colpi di spatola e pennello.
Nessuno dei due se la sente di parlare. Vorremo ringraziarci a vicenda perchè per entrambi questa è stata una giornata intensa e ricca, piena di spunti, di sensualità e di erotismo latente, più che accennato, ma mai volgarizzato, e dopo il reciproco imbarazzo iniziale abbiano lavorato e ci siamo divertiti immensamente tutti e due.
“Una birretta?” mi propone.
Sorrido e lo guardo sorridere. La soddisfazione sublima dai suoi occhi sornioni.
“Meglio un assaggio di un vinello bianco del posto. Potrei schiantarmi alla prima curva se mi faccio una birra intera!”
“Va bene. Ma allora cena di pesce!”
“E sia!”

E davanti al Riesling superiore che brilla nei calici, direttamente dalla cantina 'Il Montù', ripensiamo alle sfumature dei campi di grano di Vincent e alle meraviglie che un artista sa cogliere nel gioco intimo e sensuale con il corpo di una donna.
di
scritto il
2022-09-02
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