Mia cugina Madia

di
genere
tradimenti

Finisce sempre così: io su di lei che le schiaffeggio sistematicamente i seni, prima il sinistro, poi il destro, sempre più forte, strappandole grida di dolore mentre la chiavo con forza, il pene un tronco di carne dura che la scava senza sosta, avanti e indietro, dieci, venti, cento, mille volte.
È la mia schiava sessuale, la donna delle mie brame, la vittima sacrificale della mia lussuria.
Madia, 50 anni a Novembre, una bruna dal corpo tozzo e sodo, le labbra piene da pompinara incallita, gli occhi neri come tizzoni di brace.....la moglie di mio cugino!
Ha seni grossi e molli, striati di vene, gonfi e pesanti sotto le mie mani. Seni che ondeggiano ai miei colpi, oscillando impazziti come grandi budini consistenti. Seni da succhiare finché le labbra non lasciano il segno, con capezzoli neri e duri, grandi borchie di carne erette che si rizzano impazziti come piccoli obelischi, sconvolti dai colpi bruschi che arrossano la pelle.
Le sue cosce sono oscenamente aperte, il sesso una intrigata foresta di peli neri che si espande fino all'attaccatura delle gambe, che s'inoltrano dietro lungo il solco del culo. Peli che raramente conoscono l'affilata consistenza di un rasoio, così folti che occorre farsi strada per trovare le grandi labbra, ali di pelle che non riescono a mascherare l'ampia voragine della fica.
Sì, la fica di Madia! Un'esplosione di colori che va dal marrone scuro dei bordi al rosso intenso delle mucose interne, un buco nero scivoloso di umori dove affondare è facilissimo anche per il cazzo più grosso che ci sia.
La prima volta che entrai in lei fu alla fine di una colluttazione selvaggia, una lotta impari tra una donna e un uomo. Una cosa accaduta all'improvviso, complice l'assenza di tutta la sua famiglia una mattina d'estate in cui, stranamente infoiato, bussai alla sua porta. Un attimo prima stavamo parlando come due cugini (se pur acquisiti) e un attimo dopo la stavo braccando come un lupo mannaro, inseguendola per la casa silenziosa fino a inchiodarla nella stanza da letto alla dura legge del più forte.
Indossava un vestito leggero, che le aprii con una facilità estrema, anche se lei tentava disperatamente di tenere chiuso. La vista del reggiseno e delle mutande bianche aumentò la mia brama, e la mia forza aumentò proporzionalmente alla sua disperata resistenza.
Cercai di abbassarle le mutande, ma lei si divincolava urlando e graffiando e dovetti riprovare altre due volte prima di riuscire a bloccarle i polsi con una mano. Poi fu più facile farle scivolare in basso, anche se finii col strapparle nella foga di denudarla. Per il reggiseno non persi tempo, strattonandolo così forte che le tette balzarono fuori da sole, e lo lascia lì attaccato al suo busto, mentre mi preoccupavo solo di spingerla sul letto.
Madia gridava cercando di tenermi lontano, mi spingeva via. Leggevo il terrore nei suoi occhi, anzi no: la rabbia di chi è impotente, il timore di chi sta per soccombere (suo malgrado) a qualcosa di sbagliato, l'indignazione di chi sta subendo un oltraggio, la consapevolezza che, in quell'istante, per me, non era altro che un pezzo di carne.
La scaraventai sul letto. Rimbalzò e cercò di scappare, ma la presi per le gambe e la riportai sul materasso. Scalciò disordinatamente con poca convinzione, mentre l'afferravo per le anche e la spingevo verso di me. Cercò nuovamente di colpirmi, di graffiarmi, mentre io armeggiavo con la cerniera dei jeans, ma fu facile tenerla ferma prendendole una tetta in mano e torcendogliela in modo da non farle troppo male ma riuscendo, comunque, a farla desistere.
I mie pantaloni caddero verso le caviglie. Mi liberai il cazzo dalle mutande e ripresi Madia per le anche, sollevandole il bacino verso di me.
Gridava cercando di reagire, puntellandosi sui gomiti e provando a chiudere le gambe ma, ormai, mi ero incuneato dentro di lei.
A cosce aperte spinsi la punta verso la sua apertura, verso quella fica che, nonostante i tentativi della donna, si apriva al mio sguardo quel tanto che bastava per mostrare l'inizio del canale rosso.
E mentre Madia urlava i suoi ‘no’ io spinsi il mio membro con forza, mancando al primo affondo la penetrazione, col pene che le scivolava verso l'alto seguendo la fessura del sesso fino a incastrarsi all'apice laddove le valve si riunivano.
Frustato dal primo tentativo andato a vuoto le strinsi un capezzolo tra le dita, strappandole un gemito. Poi riprovai l'affondo e, questa volta, sentii il mio glande aprirsi un varco tra i peli e la carne.
Affondai in lei di peso, sentendola serrata come una vergine, sordo alle sue proteste rabbiose, fino a prenderla completamente.
Una volta dentro di lei, la scopai con andamento sostenuto, tenendola per le tette mentre le sue mani cercavano di strappare le mie dalle sue rotondità.
La cavalcai per parecchio tempo prima di sentire che si bagnava, beandomi del suo sguardo confuso mentre anche lei percepiva la sua eccitazione, reazione involontaria a quella penetrazione non voluta.
Quando mi accorsi che la sua resistenza era stata vinta la presi per le gambe e continuai a martellarla, alternando affondi violenti a penetrazioni più lente. Da parte sua, ormai domata, arrivavano solo singhiozzi, mentre il suo viso era rigato dalle lacrime. Quando fui certo che ormai non avrebbe più reagito la voltai come una bambola, costringendola in ginocchio a mostrami il suo enorme culo spalancato, e tastandole la fica lo infilai nuovamente nel canale vaginale.
Prenderla alla pecorina m'infuse nuove energie per cui, infoiato più di prima, aumentai il ritmo fino al parossismo, dandole decine e decine di colpi in rapida successione, schiaffeggiandole i glutei che diventarono di un rosso acceso laddove le mie dita lasciavano il segno.
Ormai i suoi ‘no’ erano finiti, al pari delle lacrime, e dalla sua bocca venivano solo gemiti al ritmo dei miei affondi. E, con sommo piacere, la sentii rantolare confusamente prima di contrarsi come colpita da una scossa elettrica, mentre l'orgasmo le invadeva ogni centimetro del suo corpo.
Sentii sotto le dita il guizzare della sua carne scossa dai brividi, mentre gli spasmi involontari le facevano contrarre le chiappe intorno alla mia asta. Allora, per percepire meglio quel magico momento, le posai le mani al centro dei glutei e li allargai più che potevo, mentre aumentavo ancor di più il ritmo della scopata.
Le convulsioni, che stavano scemando, di colpo ripresero vigore, segno che la donna stava venendo di nuovo. Cosa che pochi secondi dopo mi fu testimoniato dal ricontrarsi delle sue cosce che sembravano le morse di uno schiaccianoci intende a serrarsi.
Non le detti tregua, battendo il ferro finché era caldo!
La sollevai verso di me e ripresi a scoparla, mentre le dita della mia mano destra le tormentavano il buchetto dell'ano. Poi feci scivolare la mano sotto la sua pancia e le presi la vulva, tirandola furiosamente verso il basso mentre continuavo il va-e-vieni, con intorno a me il coro dei suoi urletti ormai eccitati. In quella posizione le snidai il clitoride e la masturbai bestialmente, ignorando le sue grida e i tentativi di metter fine a questa ennesima tortura sessuale. E più sgroppava come una vacca tentando di farmi smettere, più artigliavo la sua fica e tormentavo il suo bottoncino, sfinendola di orgasmi continui che, dopo un po’, sicuramente avrebbero lasciato il posto a un piacevole indolenzimento.
La scopai veramente tanto quella mattina, più di quel che avrei pensato di fare....
Ormai domata, la girai sulla schiena e la pompai di nuovo, accorgendomi quasi subito di come si eccitasse ancor più a ogni mio strapazzo verso il suo corpo. Fu così che presi a schiaffeggiarle le tette, prima con fare bonario, poi sempre più forte man mano che la sentivo bagnarsi e contorcersi dal dolore e dal piacere. Infine fu una gragnuola di colpi quelli che le massacrarono i seni, mentre Madia tentava disperata di proteggersi. Vedevo le tette rimbalzare sotto i colpi, contrarsi, schiacciarsi per poi schizzare verso destra e verso sinistra.
I suoi gemiti era frammisti a parole tipo basta, per pietà, mi fai male.... Ma io continuavo, fino a farla inarcare dal dolore e dal piacere, con tutto il repertorio di torture che potevo ideare e fare all'indirizzo delle sue mammelle.
Mentre veniva gridando per la terza volta le spinsi un seno verso la bocca, tappandogliela col peso della sua appendice femminea. E intanto scopavo come una locomotiva, mentre vedevo la sua lingua leccare il capezzolo come un assetato lecca l'estremità di un rubinetto dopo l'attraversata di un deserto.
La fottei a più riprese, dandogli poco tempo per riprendersi tra un orgasmo e l'altro. La fottei forse come non era mai stata scopata in vita sua!
Ormai non la violentavo più, ma mi muovevo come un amante focoso intento a incendiare i sensi della sua amata. E la cosa le piaceva tantissimo....!
Quando verso le 11.30, ormai esausto, finii di scoparla venendo a fontana sulle sue chiappe, la lascia stravolta, abbandonata sul letto, le gambe scomposte, il sesso lucido di umori, quegli stessi che gli impiastricciavano i peli del pube. Poi mi sedetti sul bordo, guardandole i glutei striati di sperma, col seme che scivolava sulle sue rotondità fino a imbrattare il pavimento.
Madia era come raggomitolata sul fianco sinistro intorno a se stessa, il culo esposto ai miei sguardi.
Non resistetti all'impulso di inginocchiarmi e, tenendola ferma in quella posizione, presi a passarle la lingua nel culo, leccandole ogni umore si fosse fermato in quella stretta e umida valle. La leccai con perizia perché sapevo di farle un grande piacere, spingendo il mio viso dentro le gambe fino a passarle la lingua sulla conchiglia ancora aperta dalle abbondanti penetrazioni. E continuai tenendo le cosce tra le mani, finché non venne di nuovo mentre cercava scampo alla dolce tortura della mia lingua, inutilmente perché al suo spostarsi io aumentavo l'azione.
Sentivo il pene nuovamente irrigidirsi tra le mie gambe.
Mi alzai, la rovescia sulla schiena e glielo misi in bocca. Pompai nuovamente mentre la durezza ritornava importante a farla da padrone, il glande nuovamente enorme e paonazzo che scompariva tra le sue labbra carnose. Tentò di rifiutarsi e le schiaffeggia le tette, poi si arrese e mi succhiò con pazienza, lentamente, fin dove la sua bocca poteva spingersi senza che si soffocasse.
Venni gridando nella sua bocca, mentre lei tentava, schifata, di evitare gli schizzi di sperma. Inutilmente, perché la tenni la testa tra le mani e non la lasciai finché l'ultima goccia del mio latte fu transitato sulla sua lingua e, da lì, inghiottito nella sua gola.
Solo allora mi ritenni soddisfatto e mi rivestii velocemente, mentre lei si levava confusa dal letto alla ricerca di quel che restava dei suoi vestiti, senza alzare lo sguardo su di me.
Le presi il viso tra le mani e la costrinsi a guardarmi negli occhi. Poi le dissi quanto fosse stato bellissimo per me e la bacia, profondamente, la lingua a invaderle il palato. Un bacio intenso da innamorato, con le sue labbra che sapevano ancora di sperma e le mie che avevano il gusto acre dei suoi umori.
Continua a baciarla a lungo e, finalmente, la sentii sciogliersi e abbracciarmi, abbandonandosi, ancora nuda, perdutamente sul mio petto.
Da quel momento io e Madia siamo diventati amanti.
scritto il
2022-09-20
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