Paura sull'Airbus A320
di
Yuko
genere
saffico
La noia del viaggio è interrotta da alcune hostess che attraversano il corridoio con fare concitato. Si inginocchiano a ogni fila e chiedono qualcosa per poi spostarsi alla fila successiva.
Quando una giovane si palesa di fianco a me, la posso guardare in viso da vicino.
Finalmente il mito delle hostess, le più belle donne in transito tra stati e continenti, sopra catene montuose, mari e oceani, in ginocchio di fianco a me.
Un bellissimo volto mi affascina con un sorriso radioso di denti bianchissimi e perfetti.
Un tono da cospirazione, uno sguardo che subito rivela un certo imbarazzo.
“Mi scusi, signorina, nulla di grave, sia chiaro”, la tipica premessa per enfatizzare la gravità di una situazione, “stiamo cercando un medico a bordo.”
“Io sono un medico” rispondo sorridente e dentro di me maledico il mio altruismo che mi spinge sempre in situazioni di estremo disagio.
Come quella volta che, attraversando un mare impetuoso tra Sardegna e Corsica, mi hanno chiamata per assistere una gravida con nausea.
Ovvio, con quel mare, solo che stavo anche io lottando per non vomitare il purceddu, esattamente a metà traghetto, fissando la linea dell'orizzonte per avere un riferimento.
La gravida l'ho messa sdraiata ed è stata subito meglio e io, perdendo i riferimenti fissi, ho vomitato l'anima.
E ora che mi aspetta? Almeno questa ragazza è molto più attraente del marinaio della precedente avventura.
Lei si morde il labbro in un gesto che irradia entusiasmo e mi fa cenno di seguirla.
Mi porta verso la cabina di pilotaggio mentre altre assistenti vedendo che una vittima è stata trovata, tirano un sospiro di sollievo.
Io vado incontro al mio destino e la mia accompagnatrice si gode il meritato trionfo.
In cabina di volo (finalmente ne vedo una dal vivo) mi presentano il caso distogliendomi dalla visione del cielo attraverso gli ampi vetri della postazione di comando.
A un assistente manca il respiro.
Tipica emergenza sanitaria già vissuta sul lavoro, ma qui non ho radiografie, esami del sangue né farmaci.
“Che succede?” Chiedo subito al malato che, seduto dietro le poltrone dei piloti, la cravatta e il bottone della camicia slacciata, mi guarda con espressione affranta, il viso pallido imperlato di sudore.
“Mi manca il fiato!”
Be', questo l'aveva capito. Ma fortunatamente il respiro sibilante mi indirizza alla diagnosi.
“Ma lei è asmatico?”
Quando quello mi fa cenno di sì, la mia bella hostess si accende con un sorriso di sorpresa, mentre io, ai suoi occhi, vivo momenti di gloria. Che medico! Ai loro occhi sembrerò una super-eroina.
“Ma non ha il suo Ventolin?”
“Dimenticato!”, risponde lui, “ma era da anni che non avevo crisi.”
Mi giro verso la mia adorabile accompagnatrice: “Avete farmaci a bordo?”
“No, non abbiamo nulla.” Mi risponde, seccato, quello che potrebbe essere il comandante. Visibilmente irritato per il contrattempo, sembra guardarmi con ostilità perchè non riesco a risolvergli il problema con la sola imposizione delle mie mani.
“Malissimo!” lo rimprovero senza pietà, e torno a rivolgermi verso la mia hostess, che mi sta guardando con uno sguardo trasognato.
“Ma cosa crede, signorina, di essere in ospedale?” riprende lui, che non deve aver gradito il mio rimprovero davanti a tutti.
“Dottoressa.” Lo correggo. Più passa il tempo e più questo tizio mi irrita.
“Mi scusi” fa lui, a denti stretti.
“Dovreste sempre avere i farmaci dell'urgenza, capo aereo, no?”
“Comandante.” Mi corregge, ma io non recedo dal mio sguardo severo.
“Bravissimo, capo” proseguo io nella mia impietosa tortura, “ma non sa che lei è responsabile di tutti i passeggeri? Ma non esiste una procedura?” continuo io, mentre il malato sbalza il suo sguardo tra me e lui, come in una partita di tennis.
“No, non esiste, dottoressa.” E deglutisce, visibilmente contrariato, “E l'abbiamo chiamata per risolverci un problema, non per crearne altri.” Rincara la dose.
Malvolentieri devo rivolgermi di nuovo a lui invece di perdermi nello sguardo della hostess; con quel tono mi ha fatto irritare.
“Va bene, allora comandi un atterraggio di emergenza, 'comandante'.” E mi alzo in piedi, sfidandolo con tutta la mia altezza. “Subito, oppure la riterrò responsabile dell'esito di questa insufficienza respiratoria.”
Stavolta è lui che impallidisce. “Ma siamo appena sopra Parigi!”
“Ottimo. Conosco un posto a Montmartre in cui rifarmi le unghie.” Concludo, e mi controllo lo smalto che, in effetti, richiede un ritocco.
Ovviamente ho già capito che il mio paziente non ha alcun segno di gravità o di allarme, ma voglio dare una regolata a questo prepotente.
Quello si accascia sulla sua poltrona in pelle umana e abbassa la guardia.
“Mi scusi...” si arrende, finalmente. “Ci dica cosa possiamo fare, poi proporrò di rivedere alcune procedure.” E mi guarda con un'espressione che sembra sinceramente contrita.
“Come va?” Chiedo intanto al mio paziente.
“Molto meglio!” Risponde lui, mentendo, forse impaurito che gli pianti degli aghi sotto le unghie. In mancanza di farmaci e visto il mio aspetto esotico ora si aspetta di tutto, anche di essere paracadutato a diecimila metri di quota.
La mia meravigliosa hostess segue tutti i dialoghi, voltando il capo come se si trovasse in prima fila a teatro; quando ero in ginocchio di fronte al mio paziente, forse senza accorgersene, mi ha posato una mano sulla coscia.
Ora che siamo in piedi ci guardiamo con interesse.
“Non mi sembra molto migliorato, ma forse ho la soluzione” dico, rivolta all'asfittico.
“¡Guau!” si lascia scappare intanto l'angelo al mio fianco, facendo quasi un saltino per l'entusiasmo.
Io le sorrido senza aver capito cosa volesse intendere.
“Può accompagnarmi al mio posto? Ho visto che la passeggera di fianco a me ha alcuni farmaci che potrebbero esserci utili.”
“¡Caray!” Esclama la giovane assistente che, evidentemente, in situazioni di intenso entusiasmo si lascia andare in un idioma non convenzionale in questo contesto di lingua inglese.“¡No me digas!”
Mi prende per mano e, risoluta, mi trascina nella zona passeggeri.
“Grazie tantissimo!” riprende subito dopo, in una lingua più consona e con uno sguardo di scuse, forse per essersi lasciata andare poco prima e sento che mi stringe la mano con più forza.
“E scusi il comandante. È un ottimo pilota, ma un po', come dire... maschilista.”
Sorrido con accondiscendenza e, insieme, andiamo a cercare la cura che salverà il destino dell'intero contenuto di risorse umane dell'Airbus A320.
In breve trovo i farmaci, torniamo in cabina di guida, somministro la terapia e, dopo aver aspettato il giusto tempo, io tranquilla, il resto dell'equipaggio in trepida attesa, risolvo l'emergenza.
“Ora come va?” chiedo infine al giovane asmatico quando mi sembra che il respiro si sia normalizzato.
“Bene, direi che ora sono veramente a posto.” Conclude quello e si alza per sistemarsi la divisa.
“Possiamo proseguire il volo.” E, con disinvoltura, come tutti i supereroi, mi accingo a ritornare al mio libro.
Il comandante si lascia andare in un sospiro finale. Mi guarda con rispetto e mi sorride benevolo.
“Grazie, dottoressa. Come possiamo ringraziarla?”
Normalmente rifiuto tributi, ma questa volta vorrei togliermi una soddisfazione.
La mia hostess preferita mi ha ripreso per mano. Mi guarda con ammirazione e orgoglio e il suo sguardo intenso, non posso negarlo, la sua bellezza mediterranea, quelle sopracciglia scure sugli splendidi occhi, mi stanno provocando una tempesta di sensazioni.
E poi continua a tenermi per mano.
“Senta, comandante”, riprendo con tono distaccato. “Già che siamo in ballo farei un controllino sul restante equipaggio. Non si sa mai.”
Quello mi guarda con due occhi stralunati. Apre la bocca per dire qualcosa, ma non ne esce alcun suono.
“Questa bella hostess, per esempio!” Ormai, sull'onda del mio successo, sento che mi sono lasciata prendere la mano, stavolta in senso metaforico.
La ragazza, immagino di origini iberiche, mi guarda a bocca aperta, paralizzata.
“Ha mai sofferto di cuore?”
“Io? Proprio no!”
“Mmmm... Mai avuto dolorini al petto?”
“No, no!” risponde, ma non sembra così sicura.
“Neanche una piccola fitta, una punta; mai? Neanche in passato?” La tempesto io, giocando sporca, completamente padrona della scena.
“Be', sì, raramente.”
“Ecco!” dico io, puntando, vittoriosa un indice al suo seno, che si gonfia provocante sotto una camicetta diventata di colpo troppo stretta.
“E mancanza di fiato?”
“Ah no! Quella proprio mai!” risponde lei con affrettata sicurezza, rivolgendo lo sguardo al collega asmatico.
“Neanche quando sale le scale?” la tempesto io.
“Non molto.”
“Quando le sale di corsa?”
“Be', ovviamente sì. Perchè, non è normale?” E la ragazza si guarda intorno con un po' di preoccupazione.
“Per nulla!” Sentenzio io, falsa come Giuda, ma determinata a ricevere il mio compenso.
“E quindi cosa devo fare?” Chiede lei in evidente imbarazzo.
“Si sdrai subito, qui.” Il mio tono è perentorio.
Sotto lo sguardo sbigottito dell'equipaggio, quella si sdraia ai miei piedi. Io mi chino su di lei.
“Ma cosa mi deve fare?” Mi chiede, con una espressione tra lo spavento e il divertito.
“Ovvio, la respirazione bocca a bocca!” rispondo, come se si trattasse della cosa più normale.
“Jajajajajaja!” esplode lei, ma intanto si guarda in giro imbarazzata.
“Guardi che non sto scherzando.” La redarguisco io, seria, e nella cabina di volo si crea un clima di attesa ansiosa.
“Alcune patologie si manifestano proprio così, quando sono all'inizio. E io ho il dovere di verificare. Comandante?” mi rivolgo al capo, il quale rilascia un gesto di assenso, visibilmente interessato alle mie manovre.
La ragazza è sdraiata sotto di me. Io mi chino sul suo volto e, mentre le nostre bocche si aprono, le mie labbra si appoggiano sulle sue.
E quando, invece delle attese insufflazioni, la hostess sente la mia lingua che la cerca, come per incanto risponde accogliendomi con la sua, in un bacio che si prolunga per alcuni minuti.
Le mie mani trovano posto sotto il suo capo; sento il suo abbraccio sulla schiena che inizia a stringermi, sempre più forte mentre il nostro bacio continua e le nostre salive, i nostri sapori si mescolano, in un vortice di passione e sentimenti.
Quando, a malincuore, mi stacco da lei, tutte e due siamo ansimanti di passione ed erotismo.
“Caspita, aveva ragione, dottoressa!” Mi elogia il comandante vedendo che la sua assistente fatica a recuperare un respiro normale.
“Eh sì. Ma non si preoccupi. Nulla di grave. La sua hostess potrà continuare tranquillamente a esercitare la sua professione.” Tranquillizzo tutti con il mio tono determinato e professionale.
“Ma ora vediamo il cuore!” e faccio cenno alla hostess di slacciarsi la camicetta.
Quella, senza esitazione, si sfila il cravattino di ordinanza e comincia a slacciarsi il primo bottone.
“Ma proprio qui? Davanti a tutti?” Interviene il secondo pilota, decisamente gay, che inizia a sudare.
“Sì, in effetti ha ragione, se mi permettete, mi sposto nella postazione radio.”
Immediatamente ci fanno entrare in uno stanzino dove io e la giovane ci chiudiamo a chiave la porta alle spalle.
“Allora, dottoressa”, la ragazza mi sorride senza nascondere una certa malizia, “continuiamo la diagnostica?” e intanto si slaccia la camicetta esponendo un magnifico seno incorniciato in un indumento di seta rosa scura.
“Ma certo!”. L'aiuto a sfilarsi la camicetta e mi offro di slacciarle il reggiseno. La professionalità, prima di tutto. Lei acconsente, sentendosi in buone mani.
Due tette stupende mi rapiscono lo sguardo. I capezzoli tradiscono l'eccitazione dell'assistente di volo.
“Su, dunque, vediamo se questo corazòn funziona bene!” riesco a sussurrare io, mentre sento la mia coscienza vacillare in preda a una crescente passione sensuale.
Adagio la hostess sul tappetino, riprendo la respirazione bocca a bocca e con la mano accenno a un breve massaggio cardiaco.
Ma presto le mie dita passano alle carezze, eseguendo rotte circolari sui suoi seni, con andamento concentrico e atterrando sui suoi capezzoli, dritti come antenne. In fondo siamo in sala radio.
Le nostre lingue si avvolgono e ruotano come turboeliche finchè sento la sua mano sfilarmi la maglietta dai calzoni e cercare il mio petto.
Mi sdraio di fianco a lei lasciandola giocare col mio seno.
La sento sospirare nella mia bocca, soffocando gemiti di stupore e di piacere quando la mia mano varca il confine dei suoi slip, accarezzando il suo corto pelo.
Sotto le sue morbide carezze le entro dentro e la conduco all'orgasmo che si spegne nella mia bocca con le sue mani che mi artigliano le tette. Le mie ultime carezze sulla sua passerina aspettano che il suo respiro ritorni normale, e mi alzo delicatamente dalle sue labbra.
La hostess giace nuda, ora, sotto ai miei occhi. La camicetta della divisa aperta sul suo seno tondo e pieno, i calzoni e le mutandine abbassate sul delta scuro del suo pube.
Apre quei suoi splendidi occhi e mi si scioglie sotto lo sguardo, come una noce di burro in un pentolino sul fuoco.
“Ora tocca a te, dottoressa” mi bisbiglia mentre con una mano mi offre ancora il suo seno.
Ma un'impietosa voce gracchia all'interfono invitando a raggiungere i propri posti in vista del previsto atterraggio.
Mi guarda con un'espressione addolorata mentre, mio malgrado, mi tocca rivestirmi, rinunciando all'invito. Non oso dire nulla, potrei scoppiare a piangere.
Bussano al camerino dell'addetto radio per sollecitarci.
“Devo andare” singhiozzo io, ancora in preda all'eccitazione.
Lei si aggiusta i capelli nella cuffietta della divisa, ma quando apro la chiave dello stanzino, mi allunga un bigliettino.
“Playa Hotel. Stasera chiedi di Consuelo.”
Quando una giovane si palesa di fianco a me, la posso guardare in viso da vicino.
Finalmente il mito delle hostess, le più belle donne in transito tra stati e continenti, sopra catene montuose, mari e oceani, in ginocchio di fianco a me.
Un bellissimo volto mi affascina con un sorriso radioso di denti bianchissimi e perfetti.
Un tono da cospirazione, uno sguardo che subito rivela un certo imbarazzo.
“Mi scusi, signorina, nulla di grave, sia chiaro”, la tipica premessa per enfatizzare la gravità di una situazione, “stiamo cercando un medico a bordo.”
“Io sono un medico” rispondo sorridente e dentro di me maledico il mio altruismo che mi spinge sempre in situazioni di estremo disagio.
Come quella volta che, attraversando un mare impetuoso tra Sardegna e Corsica, mi hanno chiamata per assistere una gravida con nausea.
Ovvio, con quel mare, solo che stavo anche io lottando per non vomitare il purceddu, esattamente a metà traghetto, fissando la linea dell'orizzonte per avere un riferimento.
La gravida l'ho messa sdraiata ed è stata subito meglio e io, perdendo i riferimenti fissi, ho vomitato l'anima.
E ora che mi aspetta? Almeno questa ragazza è molto più attraente del marinaio della precedente avventura.
Lei si morde il labbro in un gesto che irradia entusiasmo e mi fa cenno di seguirla.
Mi porta verso la cabina di pilotaggio mentre altre assistenti vedendo che una vittima è stata trovata, tirano un sospiro di sollievo.
Io vado incontro al mio destino e la mia accompagnatrice si gode il meritato trionfo.
In cabina di volo (finalmente ne vedo una dal vivo) mi presentano il caso distogliendomi dalla visione del cielo attraverso gli ampi vetri della postazione di comando.
A un assistente manca il respiro.
Tipica emergenza sanitaria già vissuta sul lavoro, ma qui non ho radiografie, esami del sangue né farmaci.
“Che succede?” Chiedo subito al malato che, seduto dietro le poltrone dei piloti, la cravatta e il bottone della camicia slacciata, mi guarda con espressione affranta, il viso pallido imperlato di sudore.
“Mi manca il fiato!”
Be', questo l'aveva capito. Ma fortunatamente il respiro sibilante mi indirizza alla diagnosi.
“Ma lei è asmatico?”
Quando quello mi fa cenno di sì, la mia bella hostess si accende con un sorriso di sorpresa, mentre io, ai suoi occhi, vivo momenti di gloria. Che medico! Ai loro occhi sembrerò una super-eroina.
“Ma non ha il suo Ventolin?”
“Dimenticato!”, risponde lui, “ma era da anni che non avevo crisi.”
Mi giro verso la mia adorabile accompagnatrice: “Avete farmaci a bordo?”
“No, non abbiamo nulla.” Mi risponde, seccato, quello che potrebbe essere il comandante. Visibilmente irritato per il contrattempo, sembra guardarmi con ostilità perchè non riesco a risolvergli il problema con la sola imposizione delle mie mani.
“Malissimo!” lo rimprovero senza pietà, e torno a rivolgermi verso la mia hostess, che mi sta guardando con uno sguardo trasognato.
“Ma cosa crede, signorina, di essere in ospedale?” riprende lui, che non deve aver gradito il mio rimprovero davanti a tutti.
“Dottoressa.” Lo correggo. Più passa il tempo e più questo tizio mi irrita.
“Mi scusi” fa lui, a denti stretti.
“Dovreste sempre avere i farmaci dell'urgenza, capo aereo, no?”
“Comandante.” Mi corregge, ma io non recedo dal mio sguardo severo.
“Bravissimo, capo” proseguo io nella mia impietosa tortura, “ma non sa che lei è responsabile di tutti i passeggeri? Ma non esiste una procedura?” continuo io, mentre il malato sbalza il suo sguardo tra me e lui, come in una partita di tennis.
“No, non esiste, dottoressa.” E deglutisce, visibilmente contrariato, “E l'abbiamo chiamata per risolverci un problema, non per crearne altri.” Rincara la dose.
Malvolentieri devo rivolgermi di nuovo a lui invece di perdermi nello sguardo della hostess; con quel tono mi ha fatto irritare.
“Va bene, allora comandi un atterraggio di emergenza, 'comandante'.” E mi alzo in piedi, sfidandolo con tutta la mia altezza. “Subito, oppure la riterrò responsabile dell'esito di questa insufficienza respiratoria.”
Stavolta è lui che impallidisce. “Ma siamo appena sopra Parigi!”
“Ottimo. Conosco un posto a Montmartre in cui rifarmi le unghie.” Concludo, e mi controllo lo smalto che, in effetti, richiede un ritocco.
Ovviamente ho già capito che il mio paziente non ha alcun segno di gravità o di allarme, ma voglio dare una regolata a questo prepotente.
Quello si accascia sulla sua poltrona in pelle umana e abbassa la guardia.
“Mi scusi...” si arrende, finalmente. “Ci dica cosa possiamo fare, poi proporrò di rivedere alcune procedure.” E mi guarda con un'espressione che sembra sinceramente contrita.
“Come va?” Chiedo intanto al mio paziente.
“Molto meglio!” Risponde lui, mentendo, forse impaurito che gli pianti degli aghi sotto le unghie. In mancanza di farmaci e visto il mio aspetto esotico ora si aspetta di tutto, anche di essere paracadutato a diecimila metri di quota.
La mia meravigliosa hostess segue tutti i dialoghi, voltando il capo come se si trovasse in prima fila a teatro; quando ero in ginocchio di fronte al mio paziente, forse senza accorgersene, mi ha posato una mano sulla coscia.
Ora che siamo in piedi ci guardiamo con interesse.
“Non mi sembra molto migliorato, ma forse ho la soluzione” dico, rivolta all'asfittico.
“¡Guau!” si lascia scappare intanto l'angelo al mio fianco, facendo quasi un saltino per l'entusiasmo.
Io le sorrido senza aver capito cosa volesse intendere.
“Può accompagnarmi al mio posto? Ho visto che la passeggera di fianco a me ha alcuni farmaci che potrebbero esserci utili.”
“¡Caray!” Esclama la giovane assistente che, evidentemente, in situazioni di intenso entusiasmo si lascia andare in un idioma non convenzionale in questo contesto di lingua inglese.“¡No me digas!”
Mi prende per mano e, risoluta, mi trascina nella zona passeggeri.
“Grazie tantissimo!” riprende subito dopo, in una lingua più consona e con uno sguardo di scuse, forse per essersi lasciata andare poco prima e sento che mi stringe la mano con più forza.
“E scusi il comandante. È un ottimo pilota, ma un po', come dire... maschilista.”
Sorrido con accondiscendenza e, insieme, andiamo a cercare la cura che salverà il destino dell'intero contenuto di risorse umane dell'Airbus A320.
In breve trovo i farmaci, torniamo in cabina di guida, somministro la terapia e, dopo aver aspettato il giusto tempo, io tranquilla, il resto dell'equipaggio in trepida attesa, risolvo l'emergenza.
“Ora come va?” chiedo infine al giovane asmatico quando mi sembra che il respiro si sia normalizzato.
“Bene, direi che ora sono veramente a posto.” Conclude quello e si alza per sistemarsi la divisa.
“Possiamo proseguire il volo.” E, con disinvoltura, come tutti i supereroi, mi accingo a ritornare al mio libro.
Il comandante si lascia andare in un sospiro finale. Mi guarda con rispetto e mi sorride benevolo.
“Grazie, dottoressa. Come possiamo ringraziarla?”
Normalmente rifiuto tributi, ma questa volta vorrei togliermi una soddisfazione.
La mia hostess preferita mi ha ripreso per mano. Mi guarda con ammirazione e orgoglio e il suo sguardo intenso, non posso negarlo, la sua bellezza mediterranea, quelle sopracciglia scure sugli splendidi occhi, mi stanno provocando una tempesta di sensazioni.
E poi continua a tenermi per mano.
“Senta, comandante”, riprendo con tono distaccato. “Già che siamo in ballo farei un controllino sul restante equipaggio. Non si sa mai.”
Quello mi guarda con due occhi stralunati. Apre la bocca per dire qualcosa, ma non ne esce alcun suono.
“Questa bella hostess, per esempio!” Ormai, sull'onda del mio successo, sento che mi sono lasciata prendere la mano, stavolta in senso metaforico.
La ragazza, immagino di origini iberiche, mi guarda a bocca aperta, paralizzata.
“Ha mai sofferto di cuore?”
“Io? Proprio no!”
“Mmmm... Mai avuto dolorini al petto?”
“No, no!” risponde, ma non sembra così sicura.
“Neanche una piccola fitta, una punta; mai? Neanche in passato?” La tempesto io, giocando sporca, completamente padrona della scena.
“Be', sì, raramente.”
“Ecco!” dico io, puntando, vittoriosa un indice al suo seno, che si gonfia provocante sotto una camicetta diventata di colpo troppo stretta.
“E mancanza di fiato?”
“Ah no! Quella proprio mai!” risponde lei con affrettata sicurezza, rivolgendo lo sguardo al collega asmatico.
“Neanche quando sale le scale?” la tempesto io.
“Non molto.”
“Quando le sale di corsa?”
“Be', ovviamente sì. Perchè, non è normale?” E la ragazza si guarda intorno con un po' di preoccupazione.
“Per nulla!” Sentenzio io, falsa come Giuda, ma determinata a ricevere il mio compenso.
“E quindi cosa devo fare?” Chiede lei in evidente imbarazzo.
“Si sdrai subito, qui.” Il mio tono è perentorio.
Sotto lo sguardo sbigottito dell'equipaggio, quella si sdraia ai miei piedi. Io mi chino su di lei.
“Ma cosa mi deve fare?” Mi chiede, con una espressione tra lo spavento e il divertito.
“Ovvio, la respirazione bocca a bocca!” rispondo, come se si trattasse della cosa più normale.
“Jajajajajaja!” esplode lei, ma intanto si guarda in giro imbarazzata.
“Guardi che non sto scherzando.” La redarguisco io, seria, e nella cabina di volo si crea un clima di attesa ansiosa.
“Alcune patologie si manifestano proprio così, quando sono all'inizio. E io ho il dovere di verificare. Comandante?” mi rivolgo al capo, il quale rilascia un gesto di assenso, visibilmente interessato alle mie manovre.
La ragazza è sdraiata sotto di me. Io mi chino sul suo volto e, mentre le nostre bocche si aprono, le mie labbra si appoggiano sulle sue.
E quando, invece delle attese insufflazioni, la hostess sente la mia lingua che la cerca, come per incanto risponde accogliendomi con la sua, in un bacio che si prolunga per alcuni minuti.
Le mie mani trovano posto sotto il suo capo; sento il suo abbraccio sulla schiena che inizia a stringermi, sempre più forte mentre il nostro bacio continua e le nostre salive, i nostri sapori si mescolano, in un vortice di passione e sentimenti.
Quando, a malincuore, mi stacco da lei, tutte e due siamo ansimanti di passione ed erotismo.
“Caspita, aveva ragione, dottoressa!” Mi elogia il comandante vedendo che la sua assistente fatica a recuperare un respiro normale.
“Eh sì. Ma non si preoccupi. Nulla di grave. La sua hostess potrà continuare tranquillamente a esercitare la sua professione.” Tranquillizzo tutti con il mio tono determinato e professionale.
“Ma ora vediamo il cuore!” e faccio cenno alla hostess di slacciarsi la camicetta.
Quella, senza esitazione, si sfila il cravattino di ordinanza e comincia a slacciarsi il primo bottone.
“Ma proprio qui? Davanti a tutti?” Interviene il secondo pilota, decisamente gay, che inizia a sudare.
“Sì, in effetti ha ragione, se mi permettete, mi sposto nella postazione radio.”
Immediatamente ci fanno entrare in uno stanzino dove io e la giovane ci chiudiamo a chiave la porta alle spalle.
“Allora, dottoressa”, la ragazza mi sorride senza nascondere una certa malizia, “continuiamo la diagnostica?” e intanto si slaccia la camicetta esponendo un magnifico seno incorniciato in un indumento di seta rosa scura.
“Ma certo!”. L'aiuto a sfilarsi la camicetta e mi offro di slacciarle il reggiseno. La professionalità, prima di tutto. Lei acconsente, sentendosi in buone mani.
Due tette stupende mi rapiscono lo sguardo. I capezzoli tradiscono l'eccitazione dell'assistente di volo.
“Su, dunque, vediamo se questo corazòn funziona bene!” riesco a sussurrare io, mentre sento la mia coscienza vacillare in preda a una crescente passione sensuale.
Adagio la hostess sul tappetino, riprendo la respirazione bocca a bocca e con la mano accenno a un breve massaggio cardiaco.
Ma presto le mie dita passano alle carezze, eseguendo rotte circolari sui suoi seni, con andamento concentrico e atterrando sui suoi capezzoli, dritti come antenne. In fondo siamo in sala radio.
Le nostre lingue si avvolgono e ruotano come turboeliche finchè sento la sua mano sfilarmi la maglietta dai calzoni e cercare il mio petto.
Mi sdraio di fianco a lei lasciandola giocare col mio seno.
La sento sospirare nella mia bocca, soffocando gemiti di stupore e di piacere quando la mia mano varca il confine dei suoi slip, accarezzando il suo corto pelo.
Sotto le sue morbide carezze le entro dentro e la conduco all'orgasmo che si spegne nella mia bocca con le sue mani che mi artigliano le tette. Le mie ultime carezze sulla sua passerina aspettano che il suo respiro ritorni normale, e mi alzo delicatamente dalle sue labbra.
La hostess giace nuda, ora, sotto ai miei occhi. La camicetta della divisa aperta sul suo seno tondo e pieno, i calzoni e le mutandine abbassate sul delta scuro del suo pube.
Apre quei suoi splendidi occhi e mi si scioglie sotto lo sguardo, come una noce di burro in un pentolino sul fuoco.
“Ora tocca a te, dottoressa” mi bisbiglia mentre con una mano mi offre ancora il suo seno.
Ma un'impietosa voce gracchia all'interfono invitando a raggiungere i propri posti in vista del previsto atterraggio.
Mi guarda con un'espressione addolorata mentre, mio malgrado, mi tocca rivestirmi, rinunciando all'invito. Non oso dire nulla, potrei scoppiare a piangere.
Bussano al camerino dell'addetto radio per sollecitarci.
“Devo andare” singhiozzo io, ancora in preda all'eccitazione.
Lei si aggiusta i capelli nella cuffietta della divisa, ma quando apro la chiave dello stanzino, mi allunga un bigliettino.
“Playa Hotel. Stasera chiedi di Consuelo.”
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