Un'imperdonabile provocazione
di
Yuko
genere
trio
Come la Flora di Tiziano, scappata dagli Uffizi, mi presento un po' discinta alla porta del soggiorno di Lucrezia, la mia sorella adottiva.
Sono vestita con solo una camicina leggera e trasparente, per i suoi occhi e quelli di Giovanna.
Una tetta quasi scoperta, ma solo poco.
Il bordo scuro del capezzolo si mostra, ma è più quello che si nasconde di quello che si vede.
“Hey, che si dice da queste parti?” le apostrofo con nonchalance.
Provocante e maliziosa, appoggiata allo stipite dell'ampio salone in cui le due donne giacciono su sontuosi divani come due leonesse marine spiaggiate sulle coste di Lignano Sabbiadoro.
Manco una risposta, un accenno di manifestazione verbale.
Due pantere partono all'attacco inventando una manovra a tenaglia, e io scappo tra gridolini di eccitazione.
Ma quelle due arrapate mica mandano gridolini.
Ruggiti di belve assatanate fanno tremare i vetri dell'appartamento, mentre io mi do alla fuga.
Corro inciampando in tappeti, sedie e vestiti sparsi per la casa in cerca di un rifugio, ma scivolo maldestramente su una maglia di Zico, intramontabile eroe calcistico dell'Udinese. Ma che minchia ci faceva qui?
Sta di fatto che volo per terra, dritta come un kamikaze nel fumaiolo di un incrociatore.
Le mie chiappe contro il pavimento in marmo di Carrara, il suono di uno schiaffo.
Scivolata fatale, Lucrezia e Giovanna mi sono subito addosso.
La mia provocazione è durata il battere di un occhio, la mia fuga anche meno.
Mi dimeno come un'anguilla, ma quelle non mollano la presa. Due segugi, due tagliole.
Vengo trasportata immediatamente su un letto.
La camicina che mi ha ispirato il pittore di Pieve di Cadore viene brutalmente sfilata e scagliata lontano, e mi ritrovo a seno nudo e imprigionata tra le mani e i rostri aguzzi di due aquile avide delle mie carni.
Giovanna mi si siede sopra le cosce mentre Lucrezia mi blocca le braccia dietro alla testa.
La prima affonda la faccia tra le mie tette con la voracità di un piraña incurante delle mie urla di terrore ed eccitazione.
Si ciba delle mie membra e mi tornisce le poppe con precisi e prolungati lavori di lingua.
Alza poi la bocca dal fiero pasto e si rivolge a Lucrezia: “Vuoi anche tu del sushi?”
“Adoro cibarmi di giapponese!”
Si alternano di posto mentre io, ancora in preda all'affanno per il lavoretto appena svolto sulla mia mercanzia, mi ritrovo incapace di reagire.
Lucrezia, quasi con disappunto si accorge solo ora che vesto ancora le mutandine.
Un oltraggio deprecabile.
Giovanna ancora mi trattiene per le braccia; le tette, le mie, bellamente al vento, tremano di brividi di piacere nell'attesa di cosa passerà nella mente della bionda friulana.
Mia sorella mi arpiona le cosce e le spalanca come se stesse preparando la faraona da mettere in forno con le patate.
Sì, appunto. Un contorno di patate belle sugose.
Avendo ora le mani occupate sulle mie cosce mi guarda in cagnesco le mutandine cercando un modo per liberarsene.
Il mio respiro non si placa e il ventre trasmette gli affanni dei miei polmoni.
Un odore di figa bagnata si diffonde nella stanza, sembra di vederlo colare dai vetri.
L'ambiente ne è pregno. Toscana e Friuli si contendono i sentori di una donna orientale eccitata e completamente in possesso di due sacerdotesse dell'erotismo più sfrenato.
Lù ringhia mostrando i canini e prima che io possa scoppiare in una risata di fronte all'espressione felina della donna dalla bionda criniera, lei si avventa in picchiata sul mio pube.
Ma invece della pugnalata cui mi ero rassegnata, la mangiatrice di giapponesi mi afferra coi denti il bordo delle mutandine e con studiata lentezza inizia a sfilarmele.
Ovviamente mi tira anche una bella ciocca di peli e comincio a urlare di dolore e di eccitazione, mentre Giovanna, invece di impietosirsi per la mia infelice sorte, se la ride. Mi ha legata alla spalliera del letto e ora mi morde i capezzoli con la precisione di un chirurgo sadico.
Lucrezia mi abbassa il cotone degli slip, la sua saliva si mescola con il moto ondoso che mi è sgorgato dalla passera. I peli, quelli che non mi ha ancora strappato e che non sono imprigionati tra i suoi incisivi, insieme alle mie povere mutandine, si affacciano impettiti e le stuzzicano il naso facendole il solletico.
Scuote la testa, la Venere bionda, e trattiene a stento uno starnuto mentre io scoppio in un'altra risata.
Ma il moto di spirito mi si mozza nella trachea perchè Giovanna mi risucchia una tetta quasi interamente nella bocca. Ma come ha fatto? Ce ne avrà almeno metà in gola e ancora non è soffocata! Sta di fatto che questa suzione mi strappa un gemito di piacere e la risata abortisce a metà.
Lucrezia non ha gradito questa mia insubordinazione e mi strappa le mutandine.
Una di quelle situazioni in cui avrei fatto meglio a vestirmi di zucchero filato.
Con qualche contorsionismo la Lù dribbla l'elastico e la sua lingua mi atterra sul clitoride come un asso di briscola all'ultima mano di un'avvincente partita a carte.
Mi si forma addosso un paciugo di saliva, cotone e uno tsunami si secrezioni ghiandolari, finché, presa una decisione, le mutandine, zuppe e pesanti, mi vengono sfilate per finire sull'abat jour lì sul comodino di fianco.
La friulana riprende le leve del comando, al secolo le mie cosce. Le divarica come si potrebbe fare in un mattino di primavera con le ante di una finestra di una baita in montagna, e scompare come una tuffatrice acrobatica tra le mie labbra vulvari.
La sento che mi lavora dall'interno, la sua lingua sembra piuttosto un ventilatore, mentre Giovanna, la sua degna compare, mi mangia le tette pensando di trovarsi di fronte a un lampredotto.
Urlo peggio dell'attrice di 'Shining' mentre esplodo in un fuoco d'artificio di orgasmi, dimenandomi come se fossi stata morsa da una tarantola, ma quelle due figlie del demonio non mollano.
Non so se sono io che schizzo dalla passera emulando la fontana di Trevi, o se è Lucrezia che fa le bolle di sapone con i miei umori, ma sta di fatto che ci ritroviamo a guazzare in una pozzanghera di bagnato che neanche il materasso riesce più ad assorbire.
E quando, ormai praticamente afona, mi sento svenire, Giovanna si alterna alla sorella e il supplizio riprende.
“Così impari, impudente giapponesina!” Sento solo nominare, poi quello che sento sono solo le mie urla e uno squalo che mi sprofonda tra le cosce.
Sono vestita con solo una camicina leggera e trasparente, per i suoi occhi e quelli di Giovanna.
Una tetta quasi scoperta, ma solo poco.
Il bordo scuro del capezzolo si mostra, ma è più quello che si nasconde di quello che si vede.
“Hey, che si dice da queste parti?” le apostrofo con nonchalance.
Provocante e maliziosa, appoggiata allo stipite dell'ampio salone in cui le due donne giacciono su sontuosi divani come due leonesse marine spiaggiate sulle coste di Lignano Sabbiadoro.
Manco una risposta, un accenno di manifestazione verbale.
Due pantere partono all'attacco inventando una manovra a tenaglia, e io scappo tra gridolini di eccitazione.
Ma quelle due arrapate mica mandano gridolini.
Ruggiti di belve assatanate fanno tremare i vetri dell'appartamento, mentre io mi do alla fuga.
Corro inciampando in tappeti, sedie e vestiti sparsi per la casa in cerca di un rifugio, ma scivolo maldestramente su una maglia di Zico, intramontabile eroe calcistico dell'Udinese. Ma che minchia ci faceva qui?
Sta di fatto che volo per terra, dritta come un kamikaze nel fumaiolo di un incrociatore.
Le mie chiappe contro il pavimento in marmo di Carrara, il suono di uno schiaffo.
Scivolata fatale, Lucrezia e Giovanna mi sono subito addosso.
La mia provocazione è durata il battere di un occhio, la mia fuga anche meno.
Mi dimeno come un'anguilla, ma quelle non mollano la presa. Due segugi, due tagliole.
Vengo trasportata immediatamente su un letto.
La camicina che mi ha ispirato il pittore di Pieve di Cadore viene brutalmente sfilata e scagliata lontano, e mi ritrovo a seno nudo e imprigionata tra le mani e i rostri aguzzi di due aquile avide delle mie carni.
Giovanna mi si siede sopra le cosce mentre Lucrezia mi blocca le braccia dietro alla testa.
La prima affonda la faccia tra le mie tette con la voracità di un piraña incurante delle mie urla di terrore ed eccitazione.
Si ciba delle mie membra e mi tornisce le poppe con precisi e prolungati lavori di lingua.
Alza poi la bocca dal fiero pasto e si rivolge a Lucrezia: “Vuoi anche tu del sushi?”
“Adoro cibarmi di giapponese!”
Si alternano di posto mentre io, ancora in preda all'affanno per il lavoretto appena svolto sulla mia mercanzia, mi ritrovo incapace di reagire.
Lucrezia, quasi con disappunto si accorge solo ora che vesto ancora le mutandine.
Un oltraggio deprecabile.
Giovanna ancora mi trattiene per le braccia; le tette, le mie, bellamente al vento, tremano di brividi di piacere nell'attesa di cosa passerà nella mente della bionda friulana.
Mia sorella mi arpiona le cosce e le spalanca come se stesse preparando la faraona da mettere in forno con le patate.
Sì, appunto. Un contorno di patate belle sugose.
Avendo ora le mani occupate sulle mie cosce mi guarda in cagnesco le mutandine cercando un modo per liberarsene.
Il mio respiro non si placa e il ventre trasmette gli affanni dei miei polmoni.
Un odore di figa bagnata si diffonde nella stanza, sembra di vederlo colare dai vetri.
L'ambiente ne è pregno. Toscana e Friuli si contendono i sentori di una donna orientale eccitata e completamente in possesso di due sacerdotesse dell'erotismo più sfrenato.
Lù ringhia mostrando i canini e prima che io possa scoppiare in una risata di fronte all'espressione felina della donna dalla bionda criniera, lei si avventa in picchiata sul mio pube.
Ma invece della pugnalata cui mi ero rassegnata, la mangiatrice di giapponesi mi afferra coi denti il bordo delle mutandine e con studiata lentezza inizia a sfilarmele.
Ovviamente mi tira anche una bella ciocca di peli e comincio a urlare di dolore e di eccitazione, mentre Giovanna, invece di impietosirsi per la mia infelice sorte, se la ride. Mi ha legata alla spalliera del letto e ora mi morde i capezzoli con la precisione di un chirurgo sadico.
Lucrezia mi abbassa il cotone degli slip, la sua saliva si mescola con il moto ondoso che mi è sgorgato dalla passera. I peli, quelli che non mi ha ancora strappato e che non sono imprigionati tra i suoi incisivi, insieme alle mie povere mutandine, si affacciano impettiti e le stuzzicano il naso facendole il solletico.
Scuote la testa, la Venere bionda, e trattiene a stento uno starnuto mentre io scoppio in un'altra risata.
Ma il moto di spirito mi si mozza nella trachea perchè Giovanna mi risucchia una tetta quasi interamente nella bocca. Ma come ha fatto? Ce ne avrà almeno metà in gola e ancora non è soffocata! Sta di fatto che questa suzione mi strappa un gemito di piacere e la risata abortisce a metà.
Lucrezia non ha gradito questa mia insubordinazione e mi strappa le mutandine.
Una di quelle situazioni in cui avrei fatto meglio a vestirmi di zucchero filato.
Con qualche contorsionismo la Lù dribbla l'elastico e la sua lingua mi atterra sul clitoride come un asso di briscola all'ultima mano di un'avvincente partita a carte.
Mi si forma addosso un paciugo di saliva, cotone e uno tsunami si secrezioni ghiandolari, finché, presa una decisione, le mutandine, zuppe e pesanti, mi vengono sfilate per finire sull'abat jour lì sul comodino di fianco.
La friulana riprende le leve del comando, al secolo le mie cosce. Le divarica come si potrebbe fare in un mattino di primavera con le ante di una finestra di una baita in montagna, e scompare come una tuffatrice acrobatica tra le mie labbra vulvari.
La sento che mi lavora dall'interno, la sua lingua sembra piuttosto un ventilatore, mentre Giovanna, la sua degna compare, mi mangia le tette pensando di trovarsi di fronte a un lampredotto.
Urlo peggio dell'attrice di 'Shining' mentre esplodo in un fuoco d'artificio di orgasmi, dimenandomi come se fossi stata morsa da una tarantola, ma quelle due figlie del demonio non mollano.
Non so se sono io che schizzo dalla passera emulando la fontana di Trevi, o se è Lucrezia che fa le bolle di sapone con i miei umori, ma sta di fatto che ci ritroviamo a guazzare in una pozzanghera di bagnato che neanche il materasso riesce più ad assorbire.
E quando, ormai praticamente afona, mi sento svenire, Giovanna si alterna alla sorella e il supplizio riprende.
“Così impari, impudente giapponesina!” Sento solo nominare, poi quello che sento sono solo le mie urla e uno squalo che mi sprofonda tra le cosce.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Frammenti di una donna: gli occhi di Flying Kittyracconto sucessivo
Gocce di pioggia sulla tua pelle
Commenti dei lettori al racconto erotico