Il feudatario
di
MJ90
genere
etero
Il villaggio sorgeva sulla collina ai piedi delle montagne. Il signore della rocca, feudatario vescovile, dominava dall’alto delle sue mura il contado circostante. Erano tempi bui per la casata dopo la discesa dei Franchi di Carlo Magno in Italia, la stirpe longobarda si stava estinguendo.
Il vescovo Teodolindo era ancora al suo posto, avido di ricchezza anno dopo anno; i raccolti del foraggio erano stati cattivi, le piogge tardive rovinato i frutti e Adolfo non sapeva come pagare le decime, dieci monete d’argento alla mensa vescovile. La notte prima della partenza la giovane moglie, sentendolo angosciato consigliò al suo signore di farsi accompagnare dalla primogenita per chiedere la grazia, una proroga all’autunno e Adolfo accettò il consiglio della sua sposa.
L’indomani, prima dell’alba, sellò due cavalli fuori dalla capanna e sul baio fece salire la figlia Willa, ormai da marito. I suoi vicini avevano sempre cercato di ingraziarsi la sua fiducia ma Adolfo desiderava per lei il migliore partito. La strada per la curia era lunga e polverosa tanto che arrivarono stanchi e accaldati poco prima del tramonto, all’ora settima.
L’attendente del vescovo prese in custodia i cavalli, Adolfo fece sedere la figlia nell’anticamera della sala consolare con la quale attese di essere ricevuto.
Il ricco prelato si palesò dopo due ore, ormai a tarda notte aprendo la postierla di servizio tra due guardie franche con la cotta di maglia.
Parlò a lungo del più e del meno con il suo vassallo, chiedendo se potesse passare la figlia di quest’ultimo. Willa, stanchissima, seguì Teodolindo all’interno: si prodigò in un accorata perorazione sulle loro difficoltà ed il vescovo sembrò molto accondiscendente. Era certamente un bell’uomo nonostante fosse un religioso: carnagione chiara, occhi verdi, fisico atletico di chi maneggiava anche la spada oltre la fede. Era infatti il tempo in cui Sacro e Profano risultavano indistinguibili.
-Fatti avanti cara figliola, sarai esausta, dissetati e mangia-
-Vostra grazia…- pedissequa mormorò la giovane raggiungendo la tavola sulla quale si trovava del pane, del burro, e del vino.
Sei una brava figlia e tuo padre è certamente orgoglioso. Siete una famiglia sempre devota a questa casata, a me. Il prelato, mentre Willa si rifocillava, prese a girarle dietro tant’è che la giovane sentì la sua presenza sempre più pressante.
-Tuttavia, è stata un annata difficile anche per me. I Franchi ci stanno contaminando ma la stirpe longobarda non si mescola con la loro feccia. Pertanto, dovrai sposare un nostro fedele suddito ma prima…-Le toccò la spalla, stringendogliela.
-Ti fermerai qui qualche giorno con tuo padre così da riprenderti delle fatiche del viaggio. Io sono un uomo anziano e mi accontento di poco-. Il tocco scendeva verso i fianchi, sollevò la veste, accarezzò i mutandoni che fasciavano i tonici glutei, tesi sotto la stoffa.
-Vostra eccellenza…Non fatelo…Mio padre-
-Tuo padre deve essere punito per la sua inadempienza e quale migliore punizione di iniziare la sua illibata primogenita? Calati le braghe ed il reggipetto, indosserai solo la tunica…Nono…slaccia i fili del corpetto…Brava così-
In automatico Willa, con le mani tremanti cominciò a far scivolare le braghe di panno sottile lungo le gambe, operazione non facile dato il caldo e il sudore. Anche per il reggipetto fu difficile ma il prelato non le tolse gli occhi di dosso dopo aver comandato alle guardie ed ad Adolfo di non ripresentarsi fino all' indomani mattina.
-Vostra figlia dorme qui, si è accasciata sulla sedia, la sveglierò io stesso-
Teodolindo si sfece della tonaca, degli stivali, rimanendo nudo di fronte alla giovane che si ergeva eretta accanto alla tavola; prese un candeliere e lo posò sulla stessa.
Unì le mani di Willa e se le portò nell’inguine mentre lei era sempre più terrorizzata ma agì come un automa tanto che il rugoso membro le si gonfiò tra le dita. Il suo signore, con sguardo lussurioso, si gustava la scena grugnendo appagato. Lo scorrere delle manine destò il turgore della sua virilità, il membro si erse dal triangolo scuro del pube. Seguendo le indicazioni del suo signore e dominatore, saggiò la consistenza dei testicoli le cui sacche si allungavano verso il basso. Raggiunta la massima erezione, Willa si sentì girare faccia al tavolo dove vi si sorresse con le braccia e sollevare alle spalle la sottoveste.
Teodolindo aprì con due dita le labbra della giovane, con la seconda tenne la punta tra di esse strusciandola ripetutamente. I genitali di Willa cominciarono a secernere liquidi e la giovane aveva il cuore che le batteva a mille. I suoi grossi seni, liberi di muoversi sotto il panno, si alzavano ed abbassavano seguendo il ritmo del membro; scoprì sensazioni contro il Credo ma che la facevano sentire viva, donna, femmina.
-Sei una piccola strega di campagna, adesso purifico la tua miscredenza- e fu così che, poggiate le mani sulle reni di Willa, entrò risoluto nel suo grembo, con un rantolo strozzato.
Willa non aveva mai goduto dei piaceri della carne ma sapeva certo che cosa fossero da quando si rigirava del letto mentre da dietro il tramezzo suo padre e suo madre generavano i suoi fratelli. Alle volte si era anche alzata a spiarli prima che una crepa nella calce del muro rivelasse il letto di suo padre. Quella notte rimase sveglia a guardare allibita i glutei maschili guizzare tra le cosce della madre, i mugugni ed i gemiti femminili perché potesse essere fecondata. Dopo alcune settimane li senti nuovamente ma quella volta era lo scudiero di suo padre che godeva tra le cosce della madre mentre lui era in guerra, lontano da casa. A quanto pare il giovane era diverso, la senti gemere più del solito.
Teodolindo dal canto suo era calato nella parte di dominatore; come il suo nome stringeva d’assedio le città, così sottometteva una nuova fanciulla al duro e crudele mondo maschilista medioevale.
L’ingroppata violenta, animalesca si accanì anche sulle zinnone di Willa contro le quali le grinfie del prelato si attaccarono nella monta. Madido di sudore, il vescovo non le dava tregua, schiaffeggiando i glutei e le cosce tornite. Sudava anche Willa, con il torso ricoperto dalla veste arrotolata fin sui fianchi; sentiva l’irruenza maschile che le scavava dentro, sempre più a fondo, fitte lancinanti la colsero per la brutalità del coito. I capelli biondi incollati alla fronte, la mandibola contratta, i denti serrati per trattenere i gemiti, le gote rosse, il respiro mozzo. D’un tratto la monta divenne più brutale, la vagina le bruciava e le dolevano le ginocchia: Teodolindo si bloccò dentro di lei.
-Non godetemi dentro mio signore…-
-Zitta zitta, terrai il mio seme sacro dentro di te!! Tieè. Hai una bella figa ed io di fighe ne ho castigate tante…Che credevi? Sai quante donne, sorelle, moglie e figlie ho sottomesso negli anni?. Comunque…Vai a letto-
Willa si distese su di una cassapanca addormentandosi di botto: il seme maschio le imbrattò le cosce.
Sognò di essere sulla torre del castello di casa sua e di addormentarsi nel suo letto di bambina ma di non riuscire a prendere sonno perché qualcosa nel basso ventre le creava fastidio mentre il letto cigolava…
Si destò, rivide le pareti della camera del prelato, ricordò la sera prima quando lui le aveva tolto l’innocenza. Teodolindo era davanti a lei, con il membro davanti al suo volto: chiuse gli occhi. Il vescovo si era destato eccitato e, vista la fanciulla ancora addormentata le si era avvicinato.
Come la più lurida delle cortigiane dovette sottostare alle sue regole subendo il sapore rancido del membro non lavato, ancora acido di sperma e liquidi.
Poco dopo, alcune ancelle entrarono portando una vasca colma d’acqua calda e sapone nella quale il prelato si immerse: vieni qui, Sali su di me.
Willa entrò nell’acqua calda, allargando le cosce per mettersi a cavallo del vescovo inforcandosi. Lo cavalcò a lungo facendosi mordere il collo, le mammelle ed i capezzoli: i muscoli delle cosce, abituati al cavallo, martoriarono il membro del suo padrone che grugniva felice. Accelerò, brutale, come egli lo era stato la sera prima, come quando spingeva il baio al galoppo.
Willa liberò i capelli all’indietro, fletté il busto anch’esso spingendo le reni verso il pube del prelato, le mani arpionate ai bordi della vasca e si abbandonò al piacere: spremette il cazzo di Teodolindo che, stravolto, le godette ancora dentro mentre schizzi di acqua zampillavano fuori dalla tinozza.
-Rivestiti piccola strega, lavati ed riprofumati, abbiamo finito. Adolfo non dovrà pagare alcunché-
Lungo la strada del ritorno, cavalcando in silenzio a fianco del padre, a Willa sembrò di sentire sempre il liquido vischioso tra le cosce.
-Guardate padre, siamo a casa!-
Da dietro l’ultima curva comparve il profilo del villaggio.
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