Tutto cambia
di
Flying Kitty
genere
saffico
Dal finestrino si vede la vasta piana arida del deserto di Atacama.
Abbiamo da poco lasciato Calama, in direzione San Juan sotto il picco del
Qaral, l'ingresso al Salar de Uyuni.
Un luogo magico che con le prime piogge si trasforma in un immenso
specchio nel quale si riflette il mondo.
La leggenda locale narra di una fanciulla bellissima di nome Tunupa
che aveva partorito una bambina di pari bellezza.
Tutti gli uomini ne erano innamorati e le donne, spinte dalla gelosia, un bel giorno decisero di far sparire la figlia di Tunupa che iniziò a piangere senza mai fermarsi.
Tanto pianse la povera Tunupa che le sue lacrime allagarono tutti i campi rendendoli sterili fino a che, al loro posto, si formò un immenso deserto di sale.
Ho letto tanto di questo luogo e, finalmente, sono a sole poche ore di distanza.
Sono in viaggio su questo minibus con Chiara, la mia coinquilina a
Londra, e 2 ragazze canadesi che abbiamo conosciuto all'ostello dove abbiamo alloggiato a Calama.
Passeremo parte del viaggio insieme visto che anche loro, dopo il Salar, si stanno dirigendo a La Paz.
Con noi ci sono anche una coppia tedesca ed un ragazzo svizzero.
Sono un po' assopita, con la testa appoggiata al vetro del finestrino.
Nel dormiveglia sento uno strano rumore, il motore del minivan sembra
avere problemi, come sotto sforzo.
Rallenta, poi continua così per qualche chilometro. Nessuno parla
all'interno del veicolo.
Finalmente incontriamo una stazione di
servizio dove ci fermiamo.
Scendiamo per sgranchirci un po’ le gambe, mentre l'autista
controlla il motore.
Dai suoi "Joder" e "Ma cago en la puta" capisco che non ci sono buone
notizie in arrivo.
Infatti poco piú tardi ci viene a dire che ci sono problemi con la frizione
e che dobbiamo aspettare il giorno dopo per ripararla, visto
che manca un pezzo di ricambio che devono portare dalla cittá.
La stazione di servizio è in mezzo al niente, lontano dalla civiltá, e dovremo arrangiarci per dormire, magari nel minibus.
Iniziamo a discutere con gli altri viaggiatori, quando un signore di mezza etá dopo averci ascoltato si avvicina e si presenta.
Il suo nome è Javier ed é un medico che sta lavorando per una ONG medica in una comunità andina nel villaggio di San Juan.
Ci dice che se vogliamo ci sono un paio di stanze con dei letti liberi nell’edificio che ospita la clinica
e che se vogliamo sarebbe lieto di farci fare un giro anche nell’osservatorio astronomico.
E’ un uomo sui 50 anni, alto, con un fisico asciutto, capelli brizzolati corti, occhi grandi ed espressivi, color nocciola, e occhiali con la montatura nera che gli danno un certo fascino da professore.
“Mica male il tipo” mi dice Chiara, ben sapendo il mio debole per la figura del professore un po´ maturo.
“Mi conosci” le rispondo ridendo maliziosa “Con l´occasione giusta gli farei vedere io le stelle”.
Cosí saliamo tutti nel suo furgone e ci dirigiamo verso San Juan, venti minuti sulla polverosissima Ruta 21 e arriviamo a destinazione.
Javier ci mostra le stanze, molto semplici, con brandine e coperte di lana, ci fa vedere dove sono i bagni e le docce in comune.
Lasciamo gli zaini nelle stanze. Sono gia’ le 19 e Javier ci dice che quella sera c’e’ una festa nel villaggio per celebrare Ekeko, il dio dell’abbondanza degli Aymara, e ci saranno balli in piazza e altri spettacoli.
Con gli altri ragazzi della comitiva ci prepariamo per uscire e andiamo con Javier verso il centro del villaggio. A noi si aggregano anche altre persone dello staff medico dell’ambulatorio.
Durante il tragitto, Javier spiega un po’ le varie usanze degli Aymara e alcune pratiche locali.
Lo fisso con una certa insistenza, ma senza essere ricambiata. Mi sento comunque osservata e mi guardo intorno fino a che il mio sguardo si incrocia con quello di una ragazza dello staff medico, più o meno della mia stessa età.
La serata trascorre in allegria, mangiando un po’ di Chairo, il tipico stufato locale fatto con carne di llama, bevendo singani mischiato con ginger ale, e ballando con i ragazzi del gruppo.
Il mio sguardo si incrocia spesso con quello della ragazza che mi fissava prima, un po’ mi incuriosisce, ha tratti orientali. Mi chiedo che cosa ci faccia qui, in questo villaggio sperduto nelle Ande.
Si avvicina a me e con uno spagnolo un po’ incerto mi offre un altro bicchiere di singani.
Iniziamo così a chiacchierare e mi racconta che e’ un medico che si è laureata da poco e che ha accettato di fare un anno come volontaria per Medici Senza Frontiere.
Verso le 23 facciamo ritorno ai nostri alloggi per la notte.
Dopo una lunga giornata tra minivan, deserto e balli sento un incredibile bisogno di farmi una doccia e così mi dirigo verso il locale comune attraverso il lungo corridoio del dormitorio.
Dalla finestra osservo una lucina rossa che sembra muoversi lentamente, mi fermo ad osservare cos'è e dietro la lucina rossa scorgo una sagoma scura.
La luce del lampione inizia ad illuminare quella sagoma oscura, osservo meglio e vedo Javier che cammina fumando un sigaro, alza lo sguardo che incrocia il mio. Ci fissiamo per qualche secondo, poi distolgo lo sguardo e cammino fino ai bagni con le docce.
Appoggio i miei indumenti puliti e l'asciugamano su una panca. I due grandi specchi riflettono sull'entrata della zona doccia. Un rumore di passi e intravedo una figura nella penombra.
Mi sento osservata e mi prende una certa eccitazione nel sapere che qualcuno mi sta guardando. Mi sfilo le mie Converse rosse, ingiallite dalla polvere del deserto andino, mi tolgo i calzini e mi alzo.
Sbottono i pantaloni cargo verde scuro, piuttosto aderenti su fianchi e sedere, abbasso la zip e, girandomi verso lo specchio, li abbasso con lentezza. Si intravede il bordo del mio slip nero alla brasiliana, continuo ad abbassare i pantaloni, i glutei escono prepotenti dalla forzata restrizione dei pantaloni. Arrivano alle caviglie e li sfilo del tutto, poi mi tolgo il pullover e il top rosso.
Adesso sono solo con l'intimo.
Faccio attenzione che la figura sconosciuta sia ancora lì a guardarmi.
Mi sfilo il reggiseno, uno di quelli sportivi, comodi, che tengono il
seno ben stretto ma che allo stesso tempo non creano fastidi. Lo tolgo come si fa con una T-shirt, cerco di farlo più lentamente possibile, mentre lo sconosciuto mi guarda.
Sento il tessuto salire da sotto il seno fino ad arrivare al bordo dell'areola, poi ancora più su.
Il capezzolo giá fa capolino, sento il seno sollevarsi per poi cadere una volta che il sostegno del reggiseno viene meno, lo sento rimbalzare, il che mi provoca un leggero fastidio, uno dei piccoli effetti collaterali di avere un seno generoso.
Poi é il momento di sfilare gli slip. Questa volta lo faccio frontalmente, metto le dita sui fianchi e lo faccio scendere lungo le cosce fino alle caviglie, la sottile striscia di peli neri ben curati
come un giardinetto inglese si fa ben vedere.
Poi muovendo vistosamente il culo mi dirigo verso una delle docce.
Dopo una lunga doccia calda, esco dal box, prendo l'asciugamano e mi ci avvolgo.
Bianco, morbido, profumato.
Dal riflesso dello specchio vedo la figura sconosciuta ancora nella penombra, mi sento eccitata sapendo che é ancora e che mi guarda.
Ancora un po´bagnata mi infilo la t-shirt bianca che avevo portato con me, la pelle é ancora bagnata, e questo rende la maglietta abbastanza trasparente.
A questo punto, non vedendo alcuna reazione, mi faccio piú sfacciata e dico “Pensi di restare li tutto il tempo a guardare? Non preferisci avere una visuale migliore?”
Sorpresa! E’ la giovane dottoressa che si avvicina ed entra nel locale.
“Scusa se ti disturbo, ma era una spettacolo troppo bello vederti spogliare e poi vederti sotto la doccia”
Sento una strana sensazione, è la prima volta che ricevo dei complimenti cosi da un’altra donna, sento i capezzoli indurirsi. Una forte eccitazione si impadronisce di me.
Mi fissa con quegli enormi occhi marroni, si avvicina senza distogliere lo sguardo dal mio.
Siamo a pochi centimetri l’una dall’altra, lei appoggia una mano sulla mia guancia accarezzandomi, avvicina il suo viso al mio, le sue labbra sfiorano le mie, si toccano.
Sono presa da un po’ di incertezza. “Che faccio adesso?”.
Istintivamente schiudo le labbra e accolgo la sua lingua dentro di me. Un lento inizio, ma il ritmo aumenta.
Prendo la sua mano e la porto sul mio seno. Lei inizia a palparlo con desiderio, l´altra mano si infila sotto la maglietta e mi prende l´altra mammella. La solleva, sento il palmo della sua mano che struscia contro il capezzolo, eretto, rigido, eccitato.
Ha voglia di me anche lei.
Si inginocchia, il suo viso a pochi centimetri dal mio pube.
Le sue unghie corrono sulle mie cosce, verso il basso.
L’eccitazione sta diventando insopportabile, quasi dolorosa. Mi porta a inarcare la schiena, voglio di più. Ma cosa?
Adesso è la sua lingua che, con tocco languido e caldo, scivola creando una linea immaginaria ma umida tra il mio ventre e il mio pube.
Soffoco un gemito e intreccio le dita nei suoi capelli, lascio che le mie mani si perdano tra le ciocche scarmigliate e, in un gesto silenzioso e disperato, le tiro per avvicinare il suo viso al mio corpo.
Lei coglie il messaggio e, dopo aver lasciato un piccolo morso nella parte bassa dell’addome, mi bacia dolcemente il Monte di Venere, prima di schiudermi le cosce.
Sento la sua lingua umida che cattura immediatamente la mia intimitá.
Chiudo gli occhi per le sensazioni che questa immagine mi suscita e sono così sensibile che percepisco ogni suo respiro caldo contro il mio sesso.
Ne voglio ancora.
Non sono capace di formare un solo pensiero. Anche i miei muscoli si sono arresi, hanno perso tutta la forza.
Mi abbandono alle sensazioni che genera in me la punta della sua lingua che segue i contorni delle mie labbra più intime. La pelle rabbrividisce, il brivido mi attraversa.
Le sue mani, che mantengono le mie cosce lontane l’una dall’altra, adesso mi afferrano le natiche e accompagnano i movimenti cadenzati che fa con la bocca.
Mi fa stendere sulla panca e mi divarica le gambe quasi con forza.
Il piacere si accumula al centro del mio essere come l’occhio di un ciclone.
Nasce, cresce e si trasforma, insostenibile.
Le sue labbra succhiano, accarezzano.
I suoi denti mordono gentili e decisi.
La sua lingua lecca, lenta e delicata.
Il mio corpo é percorso da una sensazione di benessere assoluto, che si concentra nella parte bassa del bacino, la tensione sessuale sta arrivando al culmine, ecco le contrazioni ritmiche dei muscoli della vagina rapita da questa incredibile e meravigliosa sensazione: un’onda che mi travolge e mi porta con sé, un gemito di approvazione involontario esce della mia bocca.
Una sensazione bellissima e allo stesso tempo quasi imbarazzante: scoprire questa parte di me che avevo nascosta, scoprire altri modi di vivere la propria sessualita’.
Passivamente mi sto godendo quei momenti, sento le sue mani morbide accarezzare i miei seni, stuzzicarli.
Poi lei si stende su di me.
Prende la mia mano, la fa scivolare tra i nostri corpi fino ad arrivare al suo cespuglio folto, invitandomi ad esplorarla.
E’ la prima volta che tocco le parti intime di un’altra donna, ma è tutto naturale, le mie dita scivolano dentro di lei, sento tutto il suo umido desiderio.
Voglio regalarle le stesse emozioni che ogni tanto mi concedo da sola.
Lei fa lo stesso con le sue dita, le sento decise e al tempo stesso dolci dentro di me.
Sa bene dove andare per farmi impazzire. I nostri gemiti ne sono un chiaro segnale.
Fino al glorioso epilogo. Il mio miagolio e’ spento dalla sua bocca che copre la mia.
Non avevo mai pensato di godere così tanto con una donna.
Lei mi guarda con estrema dolcezza “E’ la tua prima volta vero?”
“Si” le rispondo.
Mi sorride, ci rivestiamo. Poi la bacio per congedarmi da lei.
A domani.
Abbiamo da poco lasciato Calama, in direzione San Juan sotto il picco del
Qaral, l'ingresso al Salar de Uyuni.
Un luogo magico che con le prime piogge si trasforma in un immenso
specchio nel quale si riflette il mondo.
La leggenda locale narra di una fanciulla bellissima di nome Tunupa
che aveva partorito una bambina di pari bellezza.
Tutti gli uomini ne erano innamorati e le donne, spinte dalla gelosia, un bel giorno decisero di far sparire la figlia di Tunupa che iniziò a piangere senza mai fermarsi.
Tanto pianse la povera Tunupa che le sue lacrime allagarono tutti i campi rendendoli sterili fino a che, al loro posto, si formò un immenso deserto di sale.
Ho letto tanto di questo luogo e, finalmente, sono a sole poche ore di distanza.
Sono in viaggio su questo minibus con Chiara, la mia coinquilina a
Londra, e 2 ragazze canadesi che abbiamo conosciuto all'ostello dove abbiamo alloggiato a Calama.
Passeremo parte del viaggio insieme visto che anche loro, dopo il Salar, si stanno dirigendo a La Paz.
Con noi ci sono anche una coppia tedesca ed un ragazzo svizzero.
Sono un po' assopita, con la testa appoggiata al vetro del finestrino.
Nel dormiveglia sento uno strano rumore, il motore del minivan sembra
avere problemi, come sotto sforzo.
Rallenta, poi continua così per qualche chilometro. Nessuno parla
all'interno del veicolo.
Finalmente incontriamo una stazione di
servizio dove ci fermiamo.
Scendiamo per sgranchirci un po’ le gambe, mentre l'autista
controlla il motore.
Dai suoi "Joder" e "Ma cago en la puta" capisco che non ci sono buone
notizie in arrivo.
Infatti poco piú tardi ci viene a dire che ci sono problemi con la frizione
e che dobbiamo aspettare il giorno dopo per ripararla, visto
che manca un pezzo di ricambio che devono portare dalla cittá.
La stazione di servizio è in mezzo al niente, lontano dalla civiltá, e dovremo arrangiarci per dormire, magari nel minibus.
Iniziamo a discutere con gli altri viaggiatori, quando un signore di mezza etá dopo averci ascoltato si avvicina e si presenta.
Il suo nome è Javier ed é un medico che sta lavorando per una ONG medica in una comunità andina nel villaggio di San Juan.
Ci dice che se vogliamo ci sono un paio di stanze con dei letti liberi nell’edificio che ospita la clinica
e che se vogliamo sarebbe lieto di farci fare un giro anche nell’osservatorio astronomico.
E’ un uomo sui 50 anni, alto, con un fisico asciutto, capelli brizzolati corti, occhi grandi ed espressivi, color nocciola, e occhiali con la montatura nera che gli danno un certo fascino da professore.
“Mica male il tipo” mi dice Chiara, ben sapendo il mio debole per la figura del professore un po´ maturo.
“Mi conosci” le rispondo ridendo maliziosa “Con l´occasione giusta gli farei vedere io le stelle”.
Cosí saliamo tutti nel suo furgone e ci dirigiamo verso San Juan, venti minuti sulla polverosissima Ruta 21 e arriviamo a destinazione.
Javier ci mostra le stanze, molto semplici, con brandine e coperte di lana, ci fa vedere dove sono i bagni e le docce in comune.
Lasciamo gli zaini nelle stanze. Sono gia’ le 19 e Javier ci dice che quella sera c’e’ una festa nel villaggio per celebrare Ekeko, il dio dell’abbondanza degli Aymara, e ci saranno balli in piazza e altri spettacoli.
Con gli altri ragazzi della comitiva ci prepariamo per uscire e andiamo con Javier verso il centro del villaggio. A noi si aggregano anche altre persone dello staff medico dell’ambulatorio.
Durante il tragitto, Javier spiega un po’ le varie usanze degli Aymara e alcune pratiche locali.
Lo fisso con una certa insistenza, ma senza essere ricambiata. Mi sento comunque osservata e mi guardo intorno fino a che il mio sguardo si incrocia con quello di una ragazza dello staff medico, più o meno della mia stessa età.
La serata trascorre in allegria, mangiando un po’ di Chairo, il tipico stufato locale fatto con carne di llama, bevendo singani mischiato con ginger ale, e ballando con i ragazzi del gruppo.
Il mio sguardo si incrocia spesso con quello della ragazza che mi fissava prima, un po’ mi incuriosisce, ha tratti orientali. Mi chiedo che cosa ci faccia qui, in questo villaggio sperduto nelle Ande.
Si avvicina a me e con uno spagnolo un po’ incerto mi offre un altro bicchiere di singani.
Iniziamo così a chiacchierare e mi racconta che e’ un medico che si è laureata da poco e che ha accettato di fare un anno come volontaria per Medici Senza Frontiere.
Verso le 23 facciamo ritorno ai nostri alloggi per la notte.
Dopo una lunga giornata tra minivan, deserto e balli sento un incredibile bisogno di farmi una doccia e così mi dirigo verso il locale comune attraverso il lungo corridoio del dormitorio.
Dalla finestra osservo una lucina rossa che sembra muoversi lentamente, mi fermo ad osservare cos'è e dietro la lucina rossa scorgo una sagoma scura.
La luce del lampione inizia ad illuminare quella sagoma oscura, osservo meglio e vedo Javier che cammina fumando un sigaro, alza lo sguardo che incrocia il mio. Ci fissiamo per qualche secondo, poi distolgo lo sguardo e cammino fino ai bagni con le docce.
Appoggio i miei indumenti puliti e l'asciugamano su una panca. I due grandi specchi riflettono sull'entrata della zona doccia. Un rumore di passi e intravedo una figura nella penombra.
Mi sento osservata e mi prende una certa eccitazione nel sapere che qualcuno mi sta guardando. Mi sfilo le mie Converse rosse, ingiallite dalla polvere del deserto andino, mi tolgo i calzini e mi alzo.
Sbottono i pantaloni cargo verde scuro, piuttosto aderenti su fianchi e sedere, abbasso la zip e, girandomi verso lo specchio, li abbasso con lentezza. Si intravede il bordo del mio slip nero alla brasiliana, continuo ad abbassare i pantaloni, i glutei escono prepotenti dalla forzata restrizione dei pantaloni. Arrivano alle caviglie e li sfilo del tutto, poi mi tolgo il pullover e il top rosso.
Adesso sono solo con l'intimo.
Faccio attenzione che la figura sconosciuta sia ancora lì a guardarmi.
Mi sfilo il reggiseno, uno di quelli sportivi, comodi, che tengono il
seno ben stretto ma che allo stesso tempo non creano fastidi. Lo tolgo come si fa con una T-shirt, cerco di farlo più lentamente possibile, mentre lo sconosciuto mi guarda.
Sento il tessuto salire da sotto il seno fino ad arrivare al bordo dell'areola, poi ancora più su.
Il capezzolo giá fa capolino, sento il seno sollevarsi per poi cadere una volta che il sostegno del reggiseno viene meno, lo sento rimbalzare, il che mi provoca un leggero fastidio, uno dei piccoli effetti collaterali di avere un seno generoso.
Poi é il momento di sfilare gli slip. Questa volta lo faccio frontalmente, metto le dita sui fianchi e lo faccio scendere lungo le cosce fino alle caviglie, la sottile striscia di peli neri ben curati
come un giardinetto inglese si fa ben vedere.
Poi muovendo vistosamente il culo mi dirigo verso una delle docce.
Dopo una lunga doccia calda, esco dal box, prendo l'asciugamano e mi ci avvolgo.
Bianco, morbido, profumato.
Dal riflesso dello specchio vedo la figura sconosciuta ancora nella penombra, mi sento eccitata sapendo che é ancora e che mi guarda.
Ancora un po´bagnata mi infilo la t-shirt bianca che avevo portato con me, la pelle é ancora bagnata, e questo rende la maglietta abbastanza trasparente.
A questo punto, non vedendo alcuna reazione, mi faccio piú sfacciata e dico “Pensi di restare li tutto il tempo a guardare? Non preferisci avere una visuale migliore?”
Sorpresa! E’ la giovane dottoressa che si avvicina ed entra nel locale.
“Scusa se ti disturbo, ma era una spettacolo troppo bello vederti spogliare e poi vederti sotto la doccia”
Sento una strana sensazione, è la prima volta che ricevo dei complimenti cosi da un’altra donna, sento i capezzoli indurirsi. Una forte eccitazione si impadronisce di me.
Mi fissa con quegli enormi occhi marroni, si avvicina senza distogliere lo sguardo dal mio.
Siamo a pochi centimetri l’una dall’altra, lei appoggia una mano sulla mia guancia accarezzandomi, avvicina il suo viso al mio, le sue labbra sfiorano le mie, si toccano.
Sono presa da un po’ di incertezza. “Che faccio adesso?”.
Istintivamente schiudo le labbra e accolgo la sua lingua dentro di me. Un lento inizio, ma il ritmo aumenta.
Prendo la sua mano e la porto sul mio seno. Lei inizia a palparlo con desiderio, l´altra mano si infila sotto la maglietta e mi prende l´altra mammella. La solleva, sento il palmo della sua mano che struscia contro il capezzolo, eretto, rigido, eccitato.
Ha voglia di me anche lei.
Si inginocchia, il suo viso a pochi centimetri dal mio pube.
Le sue unghie corrono sulle mie cosce, verso il basso.
L’eccitazione sta diventando insopportabile, quasi dolorosa. Mi porta a inarcare la schiena, voglio di più. Ma cosa?
Adesso è la sua lingua che, con tocco languido e caldo, scivola creando una linea immaginaria ma umida tra il mio ventre e il mio pube.
Soffoco un gemito e intreccio le dita nei suoi capelli, lascio che le mie mani si perdano tra le ciocche scarmigliate e, in un gesto silenzioso e disperato, le tiro per avvicinare il suo viso al mio corpo.
Lei coglie il messaggio e, dopo aver lasciato un piccolo morso nella parte bassa dell’addome, mi bacia dolcemente il Monte di Venere, prima di schiudermi le cosce.
Sento la sua lingua umida che cattura immediatamente la mia intimitá.
Chiudo gli occhi per le sensazioni che questa immagine mi suscita e sono così sensibile che percepisco ogni suo respiro caldo contro il mio sesso.
Ne voglio ancora.
Non sono capace di formare un solo pensiero. Anche i miei muscoli si sono arresi, hanno perso tutta la forza.
Mi abbandono alle sensazioni che genera in me la punta della sua lingua che segue i contorni delle mie labbra più intime. La pelle rabbrividisce, il brivido mi attraversa.
Le sue mani, che mantengono le mie cosce lontane l’una dall’altra, adesso mi afferrano le natiche e accompagnano i movimenti cadenzati che fa con la bocca.
Mi fa stendere sulla panca e mi divarica le gambe quasi con forza.
Il piacere si accumula al centro del mio essere come l’occhio di un ciclone.
Nasce, cresce e si trasforma, insostenibile.
Le sue labbra succhiano, accarezzano.
I suoi denti mordono gentili e decisi.
La sua lingua lecca, lenta e delicata.
Il mio corpo é percorso da una sensazione di benessere assoluto, che si concentra nella parte bassa del bacino, la tensione sessuale sta arrivando al culmine, ecco le contrazioni ritmiche dei muscoli della vagina rapita da questa incredibile e meravigliosa sensazione: un’onda che mi travolge e mi porta con sé, un gemito di approvazione involontario esce della mia bocca.
Una sensazione bellissima e allo stesso tempo quasi imbarazzante: scoprire questa parte di me che avevo nascosta, scoprire altri modi di vivere la propria sessualita’.
Passivamente mi sto godendo quei momenti, sento le sue mani morbide accarezzare i miei seni, stuzzicarli.
Poi lei si stende su di me.
Prende la mia mano, la fa scivolare tra i nostri corpi fino ad arrivare al suo cespuglio folto, invitandomi ad esplorarla.
E’ la prima volta che tocco le parti intime di un’altra donna, ma è tutto naturale, le mie dita scivolano dentro di lei, sento tutto il suo umido desiderio.
Voglio regalarle le stesse emozioni che ogni tanto mi concedo da sola.
Lei fa lo stesso con le sue dita, le sento decise e al tempo stesso dolci dentro di me.
Sa bene dove andare per farmi impazzire. I nostri gemiti ne sono un chiaro segnale.
Fino al glorioso epilogo. Il mio miagolio e’ spento dalla sua bocca che copre la mia.
Non avevo mai pensato di godere così tanto con una donna.
Lei mi guarda con estrema dolcezza “E’ la tua prima volta vero?”
“Si” le rispondo.
Mi sorride, ci rivestiamo. Poi la bacio per congedarmi da lei.
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