Modella per una notte
di
Yuko
genere
voyeur
Perdersi nell'isola di Ortigia lungo i viottoli antichi di Siracusa, alla sera, in questi posti in cui anche le pietre grondano di storia, commistione di arti e mestieri attraverso i secoli.
Affacciarsi nei cortili e trovare, del tutto casualmente, la mostra di un pittore contemporaneo.
Entro a curiosare, affascinata dal quadro che, sull'uscio di una dimora anonima, promette immagini e spunti non convenzionali.
Giro fra le stanze in una struttura labirintica dove una illuminazione poco generosa obbliga ad atletiche contorsioni per aggirare gli impietosi riflessi e meglio cogliere i dipinti nell'insieme e perdersi nei sorprendenti particolari.
Parlare di nudi di donna sarebbe riduttivo.
L'artista ha saputo valorizzare sapientemente il corpo della donna con un punto di vista particolare e non scontato.
Non il classico sfumato richiamo erotico, non le pose convenzionali e obsolete, ma una visione differente e peculiare. Suadenti contrasti tra luci e ombreggiature, curve e rientranze, riflessi di estremo realismo e dinamica elasticità.
Le classiche curve femminili, ma incorporate in un contesto più ampio, diluite in racconti di respiro più esteso e rilassato.
Niente male questo Ricciardi.
Per un attimo accarezzo un'idea e, viaggiando tra le stanze, ho realmente l'occasione di conoscere l'artista e osservarlo mentre è al lavoro.
Non sono una modella e non mi ritengo di una bellezza sopraffina, ma il pittore, nei suoi quadri, ritrae espressioni, più che volti. Non la bellezza di un viso, ma lo studio di un'espressione carica di emotività, rilassatezza o anche svogliatezza.
La variegata mimica della donna riportata in dipinti estremamente dinamici.
Non la bellezza di un seno, non la carica erotica di una vulva, ma l’armonia dell'insieme delle curve. Solo raramente viene dipinto un sedere. Più spesso, invece, è la donna bella, il corpo interessante, le dolci curvature di muscolature tese, ma armoniche.
Pose che trasmettono movimento, salti sul punto di spiccare e solo accennati, lasciati intuire. Pose plastiche con muscolature disposte in sinuose e accattivanti curvature, magnificate dal sapiente studio dei riflessi, delle alternanze di sfumature chiare e affossamenti scuri. Un mare in movimento, le alternanze delle variegature di petali di rosa, lo scorrere di onde o di correnti fluviali.
Donne magre e donne grasse, donne gravide e donne atletiche. Piccoli seni sodi e sollevati, seni generosi e abbondanti. E le forme di corpi in statico movimento.
Piedi curati in dettagli sorprendenti e provocanti, rielaborati con ossessivo realismo e in posizioni che sottendono dinamicità, attesa di un moto, enfasi di vitali contrazioni.
Mi piacerebbe farmi ritrarre da questo poeta del colore, profeta delle forme curve, visionario dei giochi di luce e delle ombre.
Mi sentirei coccolata e vezzeggiata; valorizzata in una bellezza intrinseca e universale, quella che accomuna ogni donna, al di là del particolare, del dettaglio estetico, della perfezione di alcuni tratti.
Questo pittore saprebbe farmi sentire la carezza del suo pennello scrutarmi in ogni parte e ogni anfratto; senza volgarità o malizia.
Ho un corpo asciutto e muscoloso, non particolarmente formoso, ma dinamico e atletico e so che il maestro saprebbe valorizzare queste mie caratteristiche folgorando l'immagine, esplodendo dalla tela in un anelito, un impeto, un guizzo di movimento, come la contrazione di un gruppo muscolare, la cinesi di un gesto armonioso. E tutto questo in una poesia di riflessi e tinte morbide che saprebbero esaltare il contorno flessuoso e gentile racchiuso nella mia femminilità e per nulla sacrificato dalla tensione della posizione non convenzionale o di transizione tra due equilibri statici.
Estetica di un dolce corpo in movimento, di rilievi muscolari edulcorati da pelli setose e vellutate.
Colori caldi con accenni di sfumature irriverenti per comporre un'immagine reale che sappia riassumere la bellezza della donna in ogni sua curva, dal seno, ai fasci tendinei di minor rilevanza.
“Buonasera.”
Accenno, timida, sulla porta dell'estrema stanza, dove le pitture ad olio si trasformano in opere d'arte, i colori si compongono in corpi dai contorni poetici, dove la luce viene imbrigliata e addomesticata per asservire l'idea del pittore.
Il maestro, Danilo Ricciardi, alza appena lo sguardo. Mi guarda con curiosità.
Un saluto in un italiano pulito pronunciato da un volto di fattezze decisamente esotiche.
Un cenno del capo nasconde forse un suono di benvenuto che si perde nell'aria.
Lui resta in attesa di qualcosa, ma io taccio e sorrido un po' imbarazzata.
Lui fa per riprendere il dipinto, ma poi ci ripensa e capisce che sto cercando di dirgli qualcosa che mi si è cristallizzato tra le corde vocali.
Mi guarda e mi squadra, come farebbe un artista di fronte a una modella, cercando, per deformazione professionale, di capire se la persona di fronte può essere presa in esame per un dipinto interessante, una nuova storia da raccontare.
Io, forse senza rendermene conto, mi sollevo dritta e i lembi della giacca si discostano lasciando intravvedere l'iniziale curvatura di un seno.
Sento il suo occhio scannerizzare le mie gambe, la curvatura larga dei fianchi e la vita che si intuisce stretta sotto i lembi della giacca sportiva, il seno che può solo essere intuito e il mio viso non convenzionale, i capelli lunghi su una spalla.
“Desidera?” Riprende lui quando ha terminato l'analisi sulle mie curve.
Io non so come affrontare il discorso, mi imbarazzo e non riesco a esprimere l'argomento.
“Mi piace molto come pittura.”
Lui resta in attesa, sempre col pennello in mano e la schiena piegata verso il quadro, proprio di fronte al punto in cui stava stendendo il colore a olio.
“Come sa rendere la donna nel suo insieme”, continuo io girando intorno all'ostacolo e cercando di avvicinarmi gradualmente al mio obiettivo, “questo suo particolare punto di vista, che mette in risalto la muscolatura, la dolcezza di tutte le linee che compongono il corpo della donna.”
Lui raddrizza la schiena e mi guarda aggrottando un poco la fronte e strizzando gli occhi. Forse gli occhiali che porta gli servono per la visione da vicino.
Ancora non dice nulla e improvvisamente mi sento una scema. Ho interrotto il lavoro dell'artista per un futile motivo, una curiosità, un desiderio di cui ora mi vergogno e mi pento.
Ma ormai lui si è messo in cortese ascolto e sento che non posso tornare indietro, che lascerei le cose a metà sommando il mio disturbo al suo lavoro con il mio argomentare rimasto inesaudito.
“Mi piacerebbe...” no, ho sbagliato inizio, “mi chiedo se... come sarebbe se...” e non so più come continuare.
“Vorrebbe farmi da modella?” Prosegue lui con notevole perspicacia, guardandomi al di sopra degli occhiali. “È questo che mi sta chiedendo?”
Io mi contorco in una risata nervosa e sento avvampare il volto. Devo essere diventata color vermiglio, o magenta; insomma dovrei chiedere al pittore la giusta tonalità delle mie guance, in questo momento.
“Ecco”, proseguo imbarazzata, “guardando le sue opere, 'ammirando' le sue tele, mi chiedevo come avrebbe saputo valorizzare le mie forme, renderne la dinamicità, trarne riflessi e sfumature.” E mi blocco, rendendomi conto dell'assurdità del mio parlare, degli argomenti improponibili in cui mi sono arenata.
Lui piega la testa un po' di lato e mi guarda, mi osserva, forse questa volta più coscientemente e magari si immagina se potessi essere un soggetto interessante.
“Lei è una modella?”
“No.”
“E ha già posato... nuda?”
Di nuovo mi avvampa il volto, ma questa volta sento contrarsi i capezzoli e inumidirsi la vulva.
“No.”
“E poserebbe per me, nuda?”
Oddio, adesso sento che sto sudando veramente. La mia stupida curiosità mi ha spinto in un vicolo cieco, in una situazione che capisco di non saper gestire.
“Be', mi sono fatta l'idea che lei sia un artista molto valido e interessante”, affronto l'ostacolo con ampi cerchi, tenendo le distanze, “io non ho alcuna esperienza. È che sono stata presa da una curiosità, un interesse su come lei interpreta la bellezza femminile...” mi perdo in ragionamenti sofistici.
“Ha impegni per stasera?”
“Oddio, no. Pensavo di farmi un giro, ma non ho... non...”
“Dai!” Taglia corto lui, appoggiando la tavolozza e pulendosi le mani sul grembiule che gli cinge i fianchi. “Venga di sopra nell'atelier, mi è venuta un'ispirazione.” Continua, deciso, e si toglie gli occhiali.
Io mi do della scema. ‘Ecco, bel casino che hai combinato, Yuko! Ora dovrai spogliarti nuda e posare per un pittore!’
Ma lui continua, mentre con un braccio mi indirizza verso una rampa di scale che non avevo notato prima: “Non ho mai dipinto una giapponese.”
E mentre, dentro di me, lo ringrazio per non avermi confuso con una coreana o una cinese, sospiro considerando che non dovrò posare nuda in una stanza in cui passa di continuo gente curiosa.
La testa brulica di pensieri disparati: imbarazzo, pentimento, curiosità e persino una nota di eccitazione sessuale.
Stare nuda di fronte a un uomo, io che mi sento in imbarazzo anche in bikini, ha per me una connotazione fortemente sessuale.
Cerco di impedirmi di pensare mentre salgo le strette scale introducendomi in un ambiente spazioso e imprevedibilmente luminoso. 'Ormai la frittata è fatta', mi dico. 'Yuko, evita di pensare, o meglio, pensa ad altro. Sei da sola, in camera tua, sul tuo letto, e stai ascoltando un po' di musica. Ok?'
Lui interpreta il mio silenzio, probabilmente capisce che, non essendo una vera modella e per le mie origini orientali, sto bruciando di imbarazzo e sto maledicendo la mia lingua imprudente.
“Non si preoccupi, signorina...”
“Yuko.”
“... signorina Yuko. Non ho mai mangiato nessuna delle mie modelle.”
'Finora', penso io. E intanto mi chiedo se Klimt avrebbe potuto dire la stessa cosa delle sue modelle, a Vienna.
Non rispondo nulla, sto cercando di estraniarmi dal mio corpo. 'Cazzo! Non ho neanche fatto la doccia! Spero di non avere le mutandine bucate!' Vorrei che qualcuno mi salvasse da questa situazione assurda in cui io stessa mi sono ficcata, e tutto con le mie sole mani.
Nel silenzio sento solo il rumore dei miei passi, amplificati dalla tensione emotiva, mentre entriamo in un grande ambiente, caldo e accogliente. Bene. Mi sarebbe dispiaciuto mettermi a barbellare dal freddo. Già ho i capezzoli duri come due spilli. Come verranno rappresentati sul quadro? Come due antenne per radioamatori?
“Eccoci!” Dice lui e con un ampio gesto della mano mi presenta l'ambiente di lavoro.
Io mi guardo in giro e annuisco cercando di manifestare la mia approvazione.
Rimaniamo un minuto così, in silenzio.
“Yuko.” mi risveglia Danilo, piegando appena appena il busto verso di me.
“Si?”
“Ora dovrebbe spogliarsi.”
Ecco, sento sprofondarmi al piano di sotto. Ma non posso più dirgli che ci ho ripensato, che è stata un'idea malsana, che mi vergogno come una ladra.
“Qui?” Riesco solo a dire.
Lui sorride con un'espressione accondiscendente. Spero che abbia tutta la pazienza del mondo. Sa bene che non sono una modella e sa anche da dove vengo e la cultura del mio paese.
“No, c'è un camerino lì dietro.”
Entro e mi spoglio. Ok, non avevo buchi nella biancheria e anche se fosse stato non se ne sarebbe accorto nessuno. Il primo ostacolo è stato superato.
Esco dal camerino che sembro una cretina. Con una mano mi copro la passera e con l'altro braccio mi copro le tette. Se devo girarmi dovrò coordinare i movimenti alla perfezione per coprire il sedere.
Eppure prima o poi dovrò mollare le protezioni e lui mi vedrà tutta nuda, come mamma mi ha fatta.
Lui sorride con indulgenza mentre mi muovo a piccoli passetti verso il posto che mi ha indicato.
“Ecco, Yuko. Posso darti del tu?”
“Ma certo!”
“Bene. Mettiti seduta su quel ripiano, tira su le gambe e appoggia i piedi sullo stesso piano.”
Io obbedisco, ma per alzarmi a sedere su questa specie di tavolo devo aiutarmi con le mani e inevitabilmente devo scoprire la mercanzia: pelo, tette, culetto, insomma mi vede tutta.
Tengo la testa bassa per la vergogna, mente lui sistema le luci alla mia destra e avvicina un cavalletto con una tela già fissata. Non mi guarda neanche. Forse è così avvezzo ad avere ragazze nude sotto i suoi occhi che ne avrà alla noia di tette e di passere. O forse è così professionale che neanche ci fa caso e sta già pensando a come sviluppare la sua idea. Oppure avrà notato che non sono poi questa strafiga che sembravo. Il seno non è così massiccio. Be', se non altro sono magra, anche se, dagli altri suoi quadri, ho capito che questo dettaglio non è così vitale.
“Mettiti di profilo, girati verso sinistra; ecco, così. Non del tutto, appena appena indietro, così. Voglio rappresentare tutte e due le cosce, quella di destra in piena luce, ma l'altra appena accennata, dietro, nella penombra.”
Io eseguo. In questa posizione, con le ginocchia alte, la passera resta completamente nascosta. D'altronde in nessuno dei suoi quadri si vedono i genitali di una donna. Solo qualche pelo, al massimo.
“Tieni le ginocchia belle alte, brava. I piedi: appoggia solo le punte e solleva i talloni.”
Posizione abbastanza scomoda, ma capisco che in questo modo metto in tensione i tendini dei piedi e la fine muscolatura delle caviglie, rendendo dinamico l'aspetto. I polpacci si contraggono.
Sapevo che non avrei posato sdraiata e rilassata su un lettino e proprio le forme della muscolatura contratta mi avevano stupita e ispirata, e anche ora il maestro vorrà ripetere un gioco di figure in movimento appena accennato e lasciato solo intuire, come uno scatto in potenza, uno procedere da suggerire.
“Ora abbraccia le ginocchia e lascia le mani libere davanti alle gambe, rilassate.”
Lui mi guarda e confronta la mia posizione con l'immagine che ha nella testa e che il mio corpo dovrà aiutare a rendere su tela.
“Sì, la sinistra sopra la destra. Lasciale andare, morbide, rilassate, queste mani. Sposta un poco la destra indietro. Così. Ecco voglio rappresentare entrambe le mani. Non devono coprirsi, solo sovrapporsi appena appena. Ok.”
Io ubbidisco e cerco di figurarmi come sono, come appaio e come sia la forma che naviga come immagine latente nella sua testa; come giocano le luci sul mio corpo, come si dispongono i riflessi sulle dita delle mie mani e sui miei piedi, sulla mia schiena e sulle cosce.
“Brava, Yuko. Così. Ora appoggia il capo sulle ginocchia, solo la fronte. I capelli lasciali sulla schiena. Ecco, girati un poco. Stacca un po' il seno dalle cosce. Si deve vedere, deve prendere la sua forma, tra la luce che si riflette sulla schiena e quella che illumina le cosce. Un pochino più verso di me, così. Devo vedere entrambi i seni, quello di sinistra appena appena.”
Siamo ai seni. Mi sta guardando le tette. Troppo piccole? Be', almeno il volto è coperto, non sarò riconoscibile.
Lui sembra soddisfatto. Ora devo solo cercare di tenere questa posizione.
Lui gira i pannelli luminosi alle mie spalle e torna al cavalletto per vedere l'effetto della luce sulla mia pelle, sulle mie curve. Sposta e gira e ogni volta mi immagino le ombre che cambiano, che ruotano. I riflessi sui miei capelli, sulla mia schiena, sulle cosce. Il seno è in penombra, il volto nascosto. Quale magia sta costruendo il creatore di immagini, il tornitore di riflessi, l'architetto delle geometrie femminili?
Quando raggiunge l'effetto che desiderava e che più si avvicina alla sua intuizione, Danilo inizia ad armeggiare con matite e pennelli. Non posso vederlo da questa posizione, ma ogni tanto sbircio verso il cavalletto.
Disegna con ampi tratti, a mano libera. Gesti decisi, rapidi, al primo colpo. Definisce in poche curve la posizione del mio corpo, accenna alle ombreggiature che già si evidenziano e che danno forma, rotondità e spessore al mio ritratto. Sfumature che costruiscono rilievi e profondità, che danno tridimensionalità all'immagine piatta, dinamicità alle forme inermi.
La cosa più faticosa è mantenere i piedi in punta e ogni tanto mi viene concesso un piccolo riposo.
Il pittore lavora, crea, compone, realizza sogni e suggestioni, e tutto con una velocità impensabile.
In pochi minuti l'intero profilo del mio corpo è riprodotto sulla tela porosa, e già il pennello spalma carezze a olio con sfumature dal color carne ai riflessi più luminosi. Gioco di abilità e fuga dello sguardo è la mia chioma nera su cui audaci pennellate di bianco costruiscono riflessi di vivida nitidezza. Non vi è una particolare varietà cromatica: tutto l'insieme è composto di sfumature che dal nero corvino dei miei capelli si stemperano gradualmente fino al bianco abbagliante dei riflessi della luce sulla mia schiena e sulle mie spalle. Il color carne, intenso e saturo sulle zone in penombra del mio seno, delle mie braccia e della porzione declive delle cosce, si incendia di luce passando gradualmente alle parti colpite dalla luce diretta dei pannelli a diffusione.
E poi il fine ritocco delle sfumature più complicate nei dettagli dei miei piedi, nell'increspatura della pelle sul gomito, dei capezzoli, solo suggeriti, ma non ostentati, e delle dita delle mani, capolavoro di tecnica.
Tratti ombreggiati più vaghi danno forma vaga alla muscolatura solo accennata della schiena e delle gambe. Le cosce sono lisce e scevre di dettagli inutili, ampia superficie in cui riposa lo sguardo, si gonfiano di soave rotondità nella graduale sfumatura a largo raggio.
I capelli, ancora, come tutta la mia figura e in particolare le mani e i piedi, sono uno spettacolare esempio di realismo fotografico. Alcune ombre delle mie gambe sul ripiano in cui siedo danno ulteriore vivacità e profondità all'immagine.
Il tutto è durato una manciata di ore, mentre temevo sedute ripetute e prolungate.
Il maestro mi fa alzare porgendomi un lenzuolo con cui coprirmi, evitandomi innaturali contorsioni, per assaporare l'opera pittorica ancora gravida di umidità e degli aromi dei colori a olio.
Resto così affascinata e stupita che quasi il lenzuolo mi cade dalle mani.
A bocca aperta e occhi spalancati, mi trovo del tutto incapace di proferire anche un banale suono, di fronte al rinnovato miracolo riprodotto con le sole mani di un uomo e alcuni composti chimici, figure umane sospese tra sogno e realtà. I contrasti tra i dettagli realistici e le impressioni oniriche dei riflessi e delle sfumature della luce che avvolgono e seducono con gentile gradualità la rotondità delle mie forme, lasciano interdetti e sgomenti.
La pienezza e palpabile tridimensionalità delle impercettibile variazioni cromatiche restituiscono sulla tela un'immagine viva e pulsante, il corpo di una donna morbida e sensuale, carica di emotività e dinamismo, fonte di suggestione e di riminiscenze.
L'artista non ha bisogno delle mie parole e probabilmente il mio silenzio stupito ed esterrefatto, la mia espressione rapita e sorpresa, sono più fedeli manifestazioni della mia emozione, rispetto a centinaia di inadeguati vocaboli.
“Lei è... ma lei è... Davvero tu sei...” balbetto con suoni inadeguati.
“Un pittore.” Conclude lui, senza eccessiva enfasi.
Senza parole mi dirigo al camerino accorgendomi solo dopo di esserci andata tenendo il lenzuolo a coprirmi solo davanti, dopo aver esposto per bene le rotondità del mio sedere al maestro.
Mi rivesto e torno a essere la Yuko di sempre.
Con gli occhi umidi di emozione esco e mi avvicino a Danilo che sta ritoccando alcuni dettagli e sta dipingendo una sfumatura dal grigio chiaro al grigio scuro sullo sfondo della mia figura, unica pennellata calda di forme, riflessi e contorni nel complesso grigio dello sfondo.
“Grazie, Danilo”, riesco alla fine a dire, con la voce rotta dall'emozione, “è stata un'esperienza stupenda, un sogno ad occhi aperti. Ho assistito a un miracolo e ancora fatico a crederci!”
Lui ride di questa mia emozione, e in un certo senso sdrammatizza quest'aura di santità che gli viene intessuta tutta intorno.
“Vieni a trovarmi, domani, nel pomeriggio, che ti faccio vedere la tela rifinita. Poi mi dirai, appena sarà asciutta, come fare per fartela avere!”
Io mi sento svenire e non riesco a dire nulla. Stringo i pugni e forse anche i denti. Lui probabilmente se ne accorge perchè mi saluta con un sorriso.
Balbetto qualcosa e infine lascio la galleria ritornando nella notte antica di Siracusa.
Affacciarsi nei cortili e trovare, del tutto casualmente, la mostra di un pittore contemporaneo.
Entro a curiosare, affascinata dal quadro che, sull'uscio di una dimora anonima, promette immagini e spunti non convenzionali.
Giro fra le stanze in una struttura labirintica dove una illuminazione poco generosa obbliga ad atletiche contorsioni per aggirare gli impietosi riflessi e meglio cogliere i dipinti nell'insieme e perdersi nei sorprendenti particolari.
Parlare di nudi di donna sarebbe riduttivo.
L'artista ha saputo valorizzare sapientemente il corpo della donna con un punto di vista particolare e non scontato.
Non il classico sfumato richiamo erotico, non le pose convenzionali e obsolete, ma una visione differente e peculiare. Suadenti contrasti tra luci e ombreggiature, curve e rientranze, riflessi di estremo realismo e dinamica elasticità.
Le classiche curve femminili, ma incorporate in un contesto più ampio, diluite in racconti di respiro più esteso e rilassato.
Niente male questo Ricciardi.
Per un attimo accarezzo un'idea e, viaggiando tra le stanze, ho realmente l'occasione di conoscere l'artista e osservarlo mentre è al lavoro.
Non sono una modella e non mi ritengo di una bellezza sopraffina, ma il pittore, nei suoi quadri, ritrae espressioni, più che volti. Non la bellezza di un viso, ma lo studio di un'espressione carica di emotività, rilassatezza o anche svogliatezza.
La variegata mimica della donna riportata in dipinti estremamente dinamici.
Non la bellezza di un seno, non la carica erotica di una vulva, ma l’armonia dell'insieme delle curve. Solo raramente viene dipinto un sedere. Più spesso, invece, è la donna bella, il corpo interessante, le dolci curvature di muscolature tese, ma armoniche.
Pose che trasmettono movimento, salti sul punto di spiccare e solo accennati, lasciati intuire. Pose plastiche con muscolature disposte in sinuose e accattivanti curvature, magnificate dal sapiente studio dei riflessi, delle alternanze di sfumature chiare e affossamenti scuri. Un mare in movimento, le alternanze delle variegature di petali di rosa, lo scorrere di onde o di correnti fluviali.
Donne magre e donne grasse, donne gravide e donne atletiche. Piccoli seni sodi e sollevati, seni generosi e abbondanti. E le forme di corpi in statico movimento.
Piedi curati in dettagli sorprendenti e provocanti, rielaborati con ossessivo realismo e in posizioni che sottendono dinamicità, attesa di un moto, enfasi di vitali contrazioni.
Mi piacerebbe farmi ritrarre da questo poeta del colore, profeta delle forme curve, visionario dei giochi di luce e delle ombre.
Mi sentirei coccolata e vezzeggiata; valorizzata in una bellezza intrinseca e universale, quella che accomuna ogni donna, al di là del particolare, del dettaglio estetico, della perfezione di alcuni tratti.
Questo pittore saprebbe farmi sentire la carezza del suo pennello scrutarmi in ogni parte e ogni anfratto; senza volgarità o malizia.
Ho un corpo asciutto e muscoloso, non particolarmente formoso, ma dinamico e atletico e so che il maestro saprebbe valorizzare queste mie caratteristiche folgorando l'immagine, esplodendo dalla tela in un anelito, un impeto, un guizzo di movimento, come la contrazione di un gruppo muscolare, la cinesi di un gesto armonioso. E tutto questo in una poesia di riflessi e tinte morbide che saprebbero esaltare il contorno flessuoso e gentile racchiuso nella mia femminilità e per nulla sacrificato dalla tensione della posizione non convenzionale o di transizione tra due equilibri statici.
Estetica di un dolce corpo in movimento, di rilievi muscolari edulcorati da pelli setose e vellutate.
Colori caldi con accenni di sfumature irriverenti per comporre un'immagine reale che sappia riassumere la bellezza della donna in ogni sua curva, dal seno, ai fasci tendinei di minor rilevanza.
“Buonasera.”
Accenno, timida, sulla porta dell'estrema stanza, dove le pitture ad olio si trasformano in opere d'arte, i colori si compongono in corpi dai contorni poetici, dove la luce viene imbrigliata e addomesticata per asservire l'idea del pittore.
Il maestro, Danilo Ricciardi, alza appena lo sguardo. Mi guarda con curiosità.
Un saluto in un italiano pulito pronunciato da un volto di fattezze decisamente esotiche.
Un cenno del capo nasconde forse un suono di benvenuto che si perde nell'aria.
Lui resta in attesa di qualcosa, ma io taccio e sorrido un po' imbarazzata.
Lui fa per riprendere il dipinto, ma poi ci ripensa e capisce che sto cercando di dirgli qualcosa che mi si è cristallizzato tra le corde vocali.
Mi guarda e mi squadra, come farebbe un artista di fronte a una modella, cercando, per deformazione professionale, di capire se la persona di fronte può essere presa in esame per un dipinto interessante, una nuova storia da raccontare.
Io, forse senza rendermene conto, mi sollevo dritta e i lembi della giacca si discostano lasciando intravvedere l'iniziale curvatura di un seno.
Sento il suo occhio scannerizzare le mie gambe, la curvatura larga dei fianchi e la vita che si intuisce stretta sotto i lembi della giacca sportiva, il seno che può solo essere intuito e il mio viso non convenzionale, i capelli lunghi su una spalla.
“Desidera?” Riprende lui quando ha terminato l'analisi sulle mie curve.
Io non so come affrontare il discorso, mi imbarazzo e non riesco a esprimere l'argomento.
“Mi piace molto come pittura.”
Lui resta in attesa, sempre col pennello in mano e la schiena piegata verso il quadro, proprio di fronte al punto in cui stava stendendo il colore a olio.
“Come sa rendere la donna nel suo insieme”, continuo io girando intorno all'ostacolo e cercando di avvicinarmi gradualmente al mio obiettivo, “questo suo particolare punto di vista, che mette in risalto la muscolatura, la dolcezza di tutte le linee che compongono il corpo della donna.”
Lui raddrizza la schiena e mi guarda aggrottando un poco la fronte e strizzando gli occhi. Forse gli occhiali che porta gli servono per la visione da vicino.
Ancora non dice nulla e improvvisamente mi sento una scema. Ho interrotto il lavoro dell'artista per un futile motivo, una curiosità, un desiderio di cui ora mi vergogno e mi pento.
Ma ormai lui si è messo in cortese ascolto e sento che non posso tornare indietro, che lascerei le cose a metà sommando il mio disturbo al suo lavoro con il mio argomentare rimasto inesaudito.
“Mi piacerebbe...” no, ho sbagliato inizio, “mi chiedo se... come sarebbe se...” e non so più come continuare.
“Vorrebbe farmi da modella?” Prosegue lui con notevole perspicacia, guardandomi al di sopra degli occhiali. “È questo che mi sta chiedendo?”
Io mi contorco in una risata nervosa e sento avvampare il volto. Devo essere diventata color vermiglio, o magenta; insomma dovrei chiedere al pittore la giusta tonalità delle mie guance, in questo momento.
“Ecco”, proseguo imbarazzata, “guardando le sue opere, 'ammirando' le sue tele, mi chiedevo come avrebbe saputo valorizzare le mie forme, renderne la dinamicità, trarne riflessi e sfumature.” E mi blocco, rendendomi conto dell'assurdità del mio parlare, degli argomenti improponibili in cui mi sono arenata.
Lui piega la testa un po' di lato e mi guarda, mi osserva, forse questa volta più coscientemente e magari si immagina se potessi essere un soggetto interessante.
“Lei è una modella?”
“No.”
“E ha già posato... nuda?”
Di nuovo mi avvampa il volto, ma questa volta sento contrarsi i capezzoli e inumidirsi la vulva.
“No.”
“E poserebbe per me, nuda?”
Oddio, adesso sento che sto sudando veramente. La mia stupida curiosità mi ha spinto in un vicolo cieco, in una situazione che capisco di non saper gestire.
“Be', mi sono fatta l'idea che lei sia un artista molto valido e interessante”, affronto l'ostacolo con ampi cerchi, tenendo le distanze, “io non ho alcuna esperienza. È che sono stata presa da una curiosità, un interesse su come lei interpreta la bellezza femminile...” mi perdo in ragionamenti sofistici.
“Ha impegni per stasera?”
“Oddio, no. Pensavo di farmi un giro, ma non ho... non...”
“Dai!” Taglia corto lui, appoggiando la tavolozza e pulendosi le mani sul grembiule che gli cinge i fianchi. “Venga di sopra nell'atelier, mi è venuta un'ispirazione.” Continua, deciso, e si toglie gli occhiali.
Io mi do della scema. ‘Ecco, bel casino che hai combinato, Yuko! Ora dovrai spogliarti nuda e posare per un pittore!’
Ma lui continua, mentre con un braccio mi indirizza verso una rampa di scale che non avevo notato prima: “Non ho mai dipinto una giapponese.”
E mentre, dentro di me, lo ringrazio per non avermi confuso con una coreana o una cinese, sospiro considerando che non dovrò posare nuda in una stanza in cui passa di continuo gente curiosa.
La testa brulica di pensieri disparati: imbarazzo, pentimento, curiosità e persino una nota di eccitazione sessuale.
Stare nuda di fronte a un uomo, io che mi sento in imbarazzo anche in bikini, ha per me una connotazione fortemente sessuale.
Cerco di impedirmi di pensare mentre salgo le strette scale introducendomi in un ambiente spazioso e imprevedibilmente luminoso. 'Ormai la frittata è fatta', mi dico. 'Yuko, evita di pensare, o meglio, pensa ad altro. Sei da sola, in camera tua, sul tuo letto, e stai ascoltando un po' di musica. Ok?'
Lui interpreta il mio silenzio, probabilmente capisce che, non essendo una vera modella e per le mie origini orientali, sto bruciando di imbarazzo e sto maledicendo la mia lingua imprudente.
“Non si preoccupi, signorina...”
“Yuko.”
“... signorina Yuko. Non ho mai mangiato nessuna delle mie modelle.”
'Finora', penso io. E intanto mi chiedo se Klimt avrebbe potuto dire la stessa cosa delle sue modelle, a Vienna.
Non rispondo nulla, sto cercando di estraniarmi dal mio corpo. 'Cazzo! Non ho neanche fatto la doccia! Spero di non avere le mutandine bucate!' Vorrei che qualcuno mi salvasse da questa situazione assurda in cui io stessa mi sono ficcata, e tutto con le mie sole mani.
Nel silenzio sento solo il rumore dei miei passi, amplificati dalla tensione emotiva, mentre entriamo in un grande ambiente, caldo e accogliente. Bene. Mi sarebbe dispiaciuto mettermi a barbellare dal freddo. Già ho i capezzoli duri come due spilli. Come verranno rappresentati sul quadro? Come due antenne per radioamatori?
“Eccoci!” Dice lui e con un ampio gesto della mano mi presenta l'ambiente di lavoro.
Io mi guardo in giro e annuisco cercando di manifestare la mia approvazione.
Rimaniamo un minuto così, in silenzio.
“Yuko.” mi risveglia Danilo, piegando appena appena il busto verso di me.
“Si?”
“Ora dovrebbe spogliarsi.”
Ecco, sento sprofondarmi al piano di sotto. Ma non posso più dirgli che ci ho ripensato, che è stata un'idea malsana, che mi vergogno come una ladra.
“Qui?” Riesco solo a dire.
Lui sorride con un'espressione accondiscendente. Spero che abbia tutta la pazienza del mondo. Sa bene che non sono una modella e sa anche da dove vengo e la cultura del mio paese.
“No, c'è un camerino lì dietro.”
Entro e mi spoglio. Ok, non avevo buchi nella biancheria e anche se fosse stato non se ne sarebbe accorto nessuno. Il primo ostacolo è stato superato.
Esco dal camerino che sembro una cretina. Con una mano mi copro la passera e con l'altro braccio mi copro le tette. Se devo girarmi dovrò coordinare i movimenti alla perfezione per coprire il sedere.
Eppure prima o poi dovrò mollare le protezioni e lui mi vedrà tutta nuda, come mamma mi ha fatta.
Lui sorride con indulgenza mentre mi muovo a piccoli passetti verso il posto che mi ha indicato.
“Ecco, Yuko. Posso darti del tu?”
“Ma certo!”
“Bene. Mettiti seduta su quel ripiano, tira su le gambe e appoggia i piedi sullo stesso piano.”
Io obbedisco, ma per alzarmi a sedere su questa specie di tavolo devo aiutarmi con le mani e inevitabilmente devo scoprire la mercanzia: pelo, tette, culetto, insomma mi vede tutta.
Tengo la testa bassa per la vergogna, mente lui sistema le luci alla mia destra e avvicina un cavalletto con una tela già fissata. Non mi guarda neanche. Forse è così avvezzo ad avere ragazze nude sotto i suoi occhi che ne avrà alla noia di tette e di passere. O forse è così professionale che neanche ci fa caso e sta già pensando a come sviluppare la sua idea. Oppure avrà notato che non sono poi questa strafiga che sembravo. Il seno non è così massiccio. Be', se non altro sono magra, anche se, dagli altri suoi quadri, ho capito che questo dettaglio non è così vitale.
“Mettiti di profilo, girati verso sinistra; ecco, così. Non del tutto, appena appena indietro, così. Voglio rappresentare tutte e due le cosce, quella di destra in piena luce, ma l'altra appena accennata, dietro, nella penombra.”
Io eseguo. In questa posizione, con le ginocchia alte, la passera resta completamente nascosta. D'altronde in nessuno dei suoi quadri si vedono i genitali di una donna. Solo qualche pelo, al massimo.
“Tieni le ginocchia belle alte, brava. I piedi: appoggia solo le punte e solleva i talloni.”
Posizione abbastanza scomoda, ma capisco che in questo modo metto in tensione i tendini dei piedi e la fine muscolatura delle caviglie, rendendo dinamico l'aspetto. I polpacci si contraggono.
Sapevo che non avrei posato sdraiata e rilassata su un lettino e proprio le forme della muscolatura contratta mi avevano stupita e ispirata, e anche ora il maestro vorrà ripetere un gioco di figure in movimento appena accennato e lasciato solo intuire, come uno scatto in potenza, uno procedere da suggerire.
“Ora abbraccia le ginocchia e lascia le mani libere davanti alle gambe, rilassate.”
Lui mi guarda e confronta la mia posizione con l'immagine che ha nella testa e che il mio corpo dovrà aiutare a rendere su tela.
“Sì, la sinistra sopra la destra. Lasciale andare, morbide, rilassate, queste mani. Sposta un poco la destra indietro. Così. Ecco voglio rappresentare entrambe le mani. Non devono coprirsi, solo sovrapporsi appena appena. Ok.”
Io ubbidisco e cerco di figurarmi come sono, come appaio e come sia la forma che naviga come immagine latente nella sua testa; come giocano le luci sul mio corpo, come si dispongono i riflessi sulle dita delle mie mani e sui miei piedi, sulla mia schiena e sulle cosce.
“Brava, Yuko. Così. Ora appoggia il capo sulle ginocchia, solo la fronte. I capelli lasciali sulla schiena. Ecco, girati un poco. Stacca un po' il seno dalle cosce. Si deve vedere, deve prendere la sua forma, tra la luce che si riflette sulla schiena e quella che illumina le cosce. Un pochino più verso di me, così. Devo vedere entrambi i seni, quello di sinistra appena appena.”
Siamo ai seni. Mi sta guardando le tette. Troppo piccole? Be', almeno il volto è coperto, non sarò riconoscibile.
Lui sembra soddisfatto. Ora devo solo cercare di tenere questa posizione.
Lui gira i pannelli luminosi alle mie spalle e torna al cavalletto per vedere l'effetto della luce sulla mia pelle, sulle mie curve. Sposta e gira e ogni volta mi immagino le ombre che cambiano, che ruotano. I riflessi sui miei capelli, sulla mia schiena, sulle cosce. Il seno è in penombra, il volto nascosto. Quale magia sta costruendo il creatore di immagini, il tornitore di riflessi, l'architetto delle geometrie femminili?
Quando raggiunge l'effetto che desiderava e che più si avvicina alla sua intuizione, Danilo inizia ad armeggiare con matite e pennelli. Non posso vederlo da questa posizione, ma ogni tanto sbircio verso il cavalletto.
Disegna con ampi tratti, a mano libera. Gesti decisi, rapidi, al primo colpo. Definisce in poche curve la posizione del mio corpo, accenna alle ombreggiature che già si evidenziano e che danno forma, rotondità e spessore al mio ritratto. Sfumature che costruiscono rilievi e profondità, che danno tridimensionalità all'immagine piatta, dinamicità alle forme inermi.
La cosa più faticosa è mantenere i piedi in punta e ogni tanto mi viene concesso un piccolo riposo.
Il pittore lavora, crea, compone, realizza sogni e suggestioni, e tutto con una velocità impensabile.
In pochi minuti l'intero profilo del mio corpo è riprodotto sulla tela porosa, e già il pennello spalma carezze a olio con sfumature dal color carne ai riflessi più luminosi. Gioco di abilità e fuga dello sguardo è la mia chioma nera su cui audaci pennellate di bianco costruiscono riflessi di vivida nitidezza. Non vi è una particolare varietà cromatica: tutto l'insieme è composto di sfumature che dal nero corvino dei miei capelli si stemperano gradualmente fino al bianco abbagliante dei riflessi della luce sulla mia schiena e sulle mie spalle. Il color carne, intenso e saturo sulle zone in penombra del mio seno, delle mie braccia e della porzione declive delle cosce, si incendia di luce passando gradualmente alle parti colpite dalla luce diretta dei pannelli a diffusione.
E poi il fine ritocco delle sfumature più complicate nei dettagli dei miei piedi, nell'increspatura della pelle sul gomito, dei capezzoli, solo suggeriti, ma non ostentati, e delle dita delle mani, capolavoro di tecnica.
Tratti ombreggiati più vaghi danno forma vaga alla muscolatura solo accennata della schiena e delle gambe. Le cosce sono lisce e scevre di dettagli inutili, ampia superficie in cui riposa lo sguardo, si gonfiano di soave rotondità nella graduale sfumatura a largo raggio.
I capelli, ancora, come tutta la mia figura e in particolare le mani e i piedi, sono uno spettacolare esempio di realismo fotografico. Alcune ombre delle mie gambe sul ripiano in cui siedo danno ulteriore vivacità e profondità all'immagine.
Il tutto è durato una manciata di ore, mentre temevo sedute ripetute e prolungate.
Il maestro mi fa alzare porgendomi un lenzuolo con cui coprirmi, evitandomi innaturali contorsioni, per assaporare l'opera pittorica ancora gravida di umidità e degli aromi dei colori a olio.
Resto così affascinata e stupita che quasi il lenzuolo mi cade dalle mani.
A bocca aperta e occhi spalancati, mi trovo del tutto incapace di proferire anche un banale suono, di fronte al rinnovato miracolo riprodotto con le sole mani di un uomo e alcuni composti chimici, figure umane sospese tra sogno e realtà. I contrasti tra i dettagli realistici e le impressioni oniriche dei riflessi e delle sfumature della luce che avvolgono e seducono con gentile gradualità la rotondità delle mie forme, lasciano interdetti e sgomenti.
La pienezza e palpabile tridimensionalità delle impercettibile variazioni cromatiche restituiscono sulla tela un'immagine viva e pulsante, il corpo di una donna morbida e sensuale, carica di emotività e dinamismo, fonte di suggestione e di riminiscenze.
L'artista non ha bisogno delle mie parole e probabilmente il mio silenzio stupito ed esterrefatto, la mia espressione rapita e sorpresa, sono più fedeli manifestazioni della mia emozione, rispetto a centinaia di inadeguati vocaboli.
“Lei è... ma lei è... Davvero tu sei...” balbetto con suoni inadeguati.
“Un pittore.” Conclude lui, senza eccessiva enfasi.
Senza parole mi dirigo al camerino accorgendomi solo dopo di esserci andata tenendo il lenzuolo a coprirmi solo davanti, dopo aver esposto per bene le rotondità del mio sedere al maestro.
Mi rivesto e torno a essere la Yuko di sempre.
Con gli occhi umidi di emozione esco e mi avvicino a Danilo che sta ritoccando alcuni dettagli e sta dipingendo una sfumatura dal grigio chiaro al grigio scuro sullo sfondo della mia figura, unica pennellata calda di forme, riflessi e contorni nel complesso grigio dello sfondo.
“Grazie, Danilo”, riesco alla fine a dire, con la voce rotta dall'emozione, “è stata un'esperienza stupenda, un sogno ad occhi aperti. Ho assistito a un miracolo e ancora fatico a crederci!”
Lui ride di questa mia emozione, e in un certo senso sdrammatizza quest'aura di santità che gli viene intessuta tutta intorno.
“Vieni a trovarmi, domani, nel pomeriggio, che ti faccio vedere la tela rifinita. Poi mi dirai, appena sarà asciutta, come fare per fartela avere!”
Io mi sento svenire e non riesco a dire nulla. Stringo i pugni e forse anche i denti. Lui probabilmente se ne accorge perchè mi saluta con un sorriso.
Balbetto qualcosa e infine lascio la galleria ritornando nella notte antica di Siracusa.
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