Aretusa. 3. La liberazione.
di
Yuko
genere
bisex
Quasi insieme ci risvegliamo, come da un sonno durato un millennio. Io mi volto e lei è ancora lì. Mi sta guardando. Una bellissima ninfa dell'antica Grecia. Aretusa, una dea in forma di magnifica donna.
Mi giro e mi adagio sul suo corpo fresco. Le accarezzo il volto e i seni e lei mi sorride. Sento il suo pube che preme sui miei peli. I capezzoli si contraggono al tocco delle mie dita e mi verrebbe voglia di ricominciare subito ad amarla. Lei mi scruta nel profondo degli occhi e una piccola contrazione delle sue sopracciglia mi manifesta un suo turbamento.
“Giovane Yuko, che cosa faremo?
Per te già brucio di un amore ardente.
Da questa gabbia noi uscire dovremo;
fuggir la vista del fiume latente.
Se in dolce amore con Alfeo giacere
nella ragione il desìo ti difetta
in altro modo dovremo solvère
l'ardua prigione e scappar, mia diletta.”
“Aspetta, Aretusa, ragioniamo la calma. Non è detto che non si possa fare, ma non vorrei che sembrasse tutto così scontato. In fondo io sono venuta a cercare te, attratta dalla tua storia e dalla tua schiavitù, e non mi sono tuffata in cerca di un'orgia.”
Lei abbassa lo sguardo verso la sabbia e si fa pensierosa, ma con un braccio continua a cingermi la schiena e a muovere le sue dita sulle mie vertebre, mentre io le accarezzo delicatamente il seno e la spalla.
“Perdona, Yuko, mia dolce orientale;
ti do ragione a sembrarti egoista.
Non so che fare e ci resto ancor male,
ma sei la prima che quaggiù s'è vista.
Nessun credette che questa leggenda
celasse invero una storia nascosta,
la verità di una schiavitù orrenda
sotto cui giaccio, in cui m'hanno posta.”
Mi guarda, ancora, e i suoi occhi azzurri si riempiono di lacrime. Sento sul mio seno il suo petto che si gonfia in profondi sospiri. Mi chino su di lei e ancora la bacio. Lei stringe le sue braccia intorno alla mia schiena e ci congediamo un lungo incontro di lingue in dolce danza congiunte.
Finchè sento una fresca ombra allungarsi dalle mie gambe fino al sedere.
Una nuvola, penso, in questa oasi in cui sembra di giacere eternamente nella primavera inoltrata.
Ma quando riapro gli occhi vedo lo sguardo di Aretusa sbarrato come se avesse visto il volto di Medusa.
Prima che possa girarmi a guardare che cosa abbia pietrificato la ninfa, alle mie spalle, mi raggiunge una voce giovane e piena di vitalità.
“Oggi ho colto gran fortuna:
ritrovarti su una duna!
Aretusa tanto amata
nella rena ho ritrovata!”
Mi giro e scorgo un giovane alto e forte. Una folta chioma di ricci neri gli ricade, lunga, sulle spalle.
Pelle abbronzata su un viso glabro illuminato da un sorriso candido. Petto liscio e muscolatura da atleta. Ma da dove sbuca quest'uomo? Sarà qualcuno della vigilanza?
La ninfa mi stringe e mi gira, come a volersi difendere dal nuovo arrivato, usandomi come scudo. Ella è nuda, infatti; ma anch'io mi rendo immediatamente conto di essere col culo per aria, sotto agli occhi del giovane. Riesco però ad accorgermi che anche lui è senza vestiti, e pare che abbia gradito parecchio la vista delle due ragazze nude in dolci effusioni. Vedo, infatti, una bella asta sollevata che gli oscilla sotto al pube, e di cui non sembra affatto turbato.
“Ma chi cazzo è? Da dove è saltato fuori questo? Dove ho messo i vestiti?” Mi affanno io, ma Aretusa mi congela con una frase lapidaria.
“Egli è Alfeo, colui che mi ha cercata
e per millenni m'ha invano inseguita;
qui sulla sabbia ora mi ha ritrovata
mentre giacevo in amore rapita.”
La situazione ci è sfuggita di mano. Rotolando sulla sabbia siamo forse scivolate fuori dai confini protetti e ora siamo alla mercè di quest'uomo che, però, tutto sembra, tranne che un vecchio e minaccioso dio dalla voce roca e cavernosa. Lui ci guarda palesando un certo interesse per le nostre forme in bella vista. E poiché io sono sdraiata sopra la mia amica, sembra proprio che stia soffermandosi esattamente sulla mia schiena e il mio sedere.
Vedendolo così giovane e di bell'aspetto, devo dire che non ho più questa gran premura di coprirmi e quasi mi piace che si dilunghi ad apprezzare il mio corpo. Già eccitata per lo stretto contatto con la ninfa, lo sguardo dell'uomo nudo su di me comincia a darmi ulteriori sensazioni positive.
“Quello è Alfeo?” Chiedo dubbiosa ad Aretusa, e lei me ne dà conferma annuendo spaventata.
“Ma non è affatto male, caspita. Un bel pezzo di ragazzo!” Devo constatare, sussurrando alla mia novella amante, “e anche molto ben equipaggiato.” Aggiungo con un sospiro.
Aretusa tace. L'imbarazzo di essersi fatta scovare dopo tanti secoli in cui era rimasta celata, forse la posa nuda, in amore con un'altra donna, la paura e l'incertezza per il suo futuro prossimo le hanno gelato la lingua. Sento che mi stringe, terrorizzata e tremante. Eppure quel giovane non sembra affatto violento o possessivo. Ma in fondo, che ne so io del mondo degli dei, dei loro trucchi e delle loro mistificazioni?
“E chi è questa tua amica?
Questa mora è una gran fica!”
'Ci risiamo, le solite rime scontate' Penso, però apprezzo il fine complimento, la velata metafora.
Mi divincolo dalle braccia di Aretusa, mi siedo rannicchiando le gambe per coprirmi il pube e con le mani mi copro il seno. Sarà pure un dio e anche molto bello, ma non sta bene farsi conoscere subito così intimamente.
“Il mio nome è Yuko, dio potente.
Mi presento: vengo dall'oriente.”
Cerco un linguaggio adeguato. Dopo aver mostrato per bene figa e culo, devo recuperare un po' di dignità e magari anche rispetto.
“Come dunque tu giungesti
nella pozza tra i foresti?
Già conosci tu Aretusa?
Questa ninfa un po' confusa?
Molto a lungo l'ho inseguita,
ma lei sempre m'è fuggita.
Ora nuda la ritrovo
senza canne, senza un rovo.
Anzi in dolce compagnia
d'una donna in leggiadrìa.
Forse allor non ho ben colto
le impressioni del suo volto.
Delle donne con più ardore
lei ricerca affetto e amore.”
Il giovane rimane assorto in pensieri. Poi si indirizza direttamente alla ninfa che, alzatasi, si è seduta al mio fianco.
“Non ti è, allor, bastata Diana,
per sanar la voglia insana?
Ma oggi è tempo di perdono,
di donare il corpo all'uomo.
Tanto ti ho desiderato
che il mio affetto ho ben provato.
Ti mostrai d'esser fedele
rinunziando al sesso e al miele
sia di dive che di donne
rimanendo spesso insonne.
Presta orecchio alla mia prece,
se l'oblio schiavo mi fece,
ora dà soddisfazione
ad Alfeo, alla sua passione!”
Guardo Aretusa, ma lei continua a fissare il dio con occhi sbarrati; terrorizzata e tremante mi prende un braccio e lo stringe, spostandosi dietro alla mia spalla in cerca di protezione. Mi irrigidisco anch'io. Questo ragazzo sembra educato e tollerante, e, in fondo, veramente ha aspettato duemila anni la sua amata, senza mai congiungersi con altra donna o dea. Segno, comunque, di serietà e fedeltà. Ma dal terrore della ragazza intuisco che forse qualcosa mi sfugge.
“O nobile Alfeo.” Prendo la parola io, per cercare di ricomporre le parti. Chi sa se, invece, alle forme gentili corrisponda anche un animo aperto e nobile?
“Fiume importante e vortice impetuoso, che con pertinacia attraversasti terre e mari per seguir questa ninfa, porgi lo sguardo alla sua condizione, che schiava è rimasta per lunghi millenni.
Rapita in forma di acqua nella crepa rocciosa, non più le corse hanno animato il suo corpo, né la caccia al fianco di Artèmide, la dea che l'ha protetta per poi abbandonarla. Nascosta dall'affetto della cacciatrice e lontana dalle sue compagne, restìa alle tue premure, timorosa delle tue brame, ella ha vissuto schiava delle mura, in attesa di una liberazione che mai le fu concessa. Or che alla luce il suo corpo è tornato e nell'amore di Saffo si è a me concessa, tu la vedi qui, così come ella ti si presenta. Nuda e indifesa, senza più Artèmide a soccorrerla; sincera nella sua passione e timorosa di conoscere uomo. Giovane e libera Aretusa è sempre stata, senza legami ha concesso il suo amore e sempre ha potuto manifestare i suoi istinti.
Eppure nella sua fedeltà all'amore fra donne, ella pure si è sacrificata rimanendo schiava dell'umida roccia. E mai più nessuno ha preso le sue parti, né si provò a ridar corpo alla giovane ninfa.
Ora, focoso dio dalle rigogliose chiome, faccio io appello al buon cuore che per te si è reso testimone, in fedele attesa per tutti questi secoli. Libera questa ninfa, perchè possa ritornare tra i boschi a servire la sua dea. Possa seguire le sue passioni e i suoi desideri, libera nei suoi gesti e nei suoi affetti, perchè non sia costretta ad unirsi in amore non voluto, a dio o uomo non desiderato, consacrando a lui la sua vita e perdendo la sua felicità.”
Mi sembra di aver detto una montagna di stupidate e per giunta, in un linguaggio inadeguato, eppure il giovane piega il capo, turbato, e rimane pensieroso.
Sento le mani di Aretusa strette sul mio corpo, la tensione che attraversa i suoi sentimenti. Certo che in tutti questi anni anche Diana avrebbe potuto sbattersi un poco per la sua ninfa.
O forse Diana temeva di dover dare al dio qualcosa in cambio? Un premio di consolazione, o almeno un trattamento di fine rapporto per la fedeltà di questo giovane che tutto sommato è rimasto qui in attesa, privandosi anche lui di una vita e di qualche soddisfazione in virginale devozione alla ninfa che amava?
Mi alzo e mi avvicino ad Alfeo, mentre Aretusa rimane in piedi dietro di me.
Il dio alza un attimo lo sguardo, ma ritorna pensoso e titubante. La fronte corrugata, la mandibola tesa, mi suggeriscono un conflitto interiore, un turbamento cui il giovane fatica a dare forma.
Mi fa tenerezza, lui pure. Che disastro, penso, questi amori antichi, questi miti e leggende di dei minori, ninfe e satiri, narrate da scrittori e poeti, ma che all'atto pratico, rivelano molta umanità, una gran confusione affettiva, una disarmante ingenuità e incapacità di gestire con un poco di razionalità le passioni di cuori indomiti.
“Alfeo!”
Gli sussurro sorridendogli. Con una mano gli accarezzo la folta chioma che sembra davvero assumere le forme e i movimenti di spume e vortici acquosi, di spire e gorghi di fresca acqua.
Con l'altra mano gli tocco un fianco, rinunciando a coprirmi il seno e il ventre.
Lui ancora alza gli occhi su di me. Mi vede. Mi guarda. Mi osserva. Mi scruta vedendomi nuda, abbandonata senza difese al suo sguardo. Il suo labbro trema e i suoi occhi sono gonfi.
Davvero questo fiume di origini divine è stato irretito e blandito dalla passione per le giovani e irresistibile forme della dea Aretusa che nuda si è abbandonata nelle carezze delle sue acque. Dotato di poteri superiori e per mano di amici più potenti, si è trasformato in uomo per poter congiungersi con le meravigliose curve della ninfa finendo per innamorarsi perdutamente della ragazza, e dopo millenni di attese, fughe, speranze e inseguimenti, si ritrova qui, nella splendida cornice della Siracusa moderna con un nulla nelle mani e la sola prospettiva di tornare nella sua patria di origine per proseguire il lento scorrimento delle sue acque dai monti verso il mare.
Lui allunga il suo braccio dietro alle mia schiena e appoggia la sua fronte sulla mia tempia.
Vorrei pensare di sentirlo piangere, ma nessun singulto muove il suo volto, né lacrima riga le sue guance.
Il suo tocco sul mio corpo è gentile, ma intuisco la sua forza e con la mano verifico la sua sublime muscolatura. Presa da commozione stringo il mio corpo al suo, lo abbraccio. Lui allarga le braccia e mi accoglie tra le sue mura. Il mio seno gli si deposita sul petto, con la delicatezza di un fiocco di neve e la freschezza di un petalo di ciliegio, e il suo sguardo se ne disseta e se ne nutre.
Lui con una mano mi sfiora una scapola e con l'altra scivola sul mio sedere. Le sue labbra sfiorano le mie in un bacio appena accennato e subito si perdono nei miei capelli, sul mio collo e sulla mia spalla. Capisco che non può e non vuole innamorarsi di nuovo di una persona sbagliata ed evita il bacio fra le bocche, come simbolo di passione e di promessa, pur concedendo effusioni sul mio corpo. Mentre la sua bocca si impossessa del mio seno, le mie mani si insinuano nella sua nuca, in quei ricci folti e neri. Presto gemo, quando con le labbra mi tocca i capezzoli, con la lingua li lambisce, in soffici carezze dai contorni sublimi.
Veramente divino è il suo approccio al mio corpo, fatto di sensuali suzioni, di accenni di baci, lasciando crescere passione e desiderio senza mai soddisfarlo pienamente, innalzando così, continuamente, la soglia del piacere.
La sua mano dopo avermi accarezzato il sedere si è spostata davanti e ora sfiora i peli del mio monte di Venere con una leggerezza tale che i brividi mi serpeggiano lungo il ventre, affondandosi profondamente nella vulva. E quando con un dito mi sfiora il clitoride proseguendo poi, superficialmente tra le grandi labbra, mi strappa un lungo gemito e un respiro che mi svuota i polmoni. Mi si piegano le gambe e mi ritrovo piegata in ginocchio davanti al suo pene eretto.
Grande, duro eppure liscio. Una gocciolina di rugiada sporge dal glande appena scoperto e la mia lingua la raccoglie con gli umori e il sentore dell'uomo forte ed eccitato. Apro le labbra per accogliere l'asta nella mia bocca. Con le labbra accarezzo il membro che mi entra tra le guance, che subito avvolgo con la lingua per stringerlo nel suo lento incedere.
Sento Alfeo che sussurra il mio nome e che scuote i lombi posseduto dal piacere, e si spinge più dentro alla mia bocca. Le sue mani mi si infilano tra i capelli e dirigono il mio capo nel lento movimento di va e vieni. Lentamente il pene si sfila, lucido della mia saliva, mentre le mie labbra si stringono sul glande, per riaprirsi, umide e morbide alla spinta successiva. La potenza virile mi gonfia le guance e mi tocca la gola, ma io stringo e imprigiono la turgida carne e solo lentamente la lascio muovere fuori dal mio caldo abbraccio. Ma il dio mi solleva per le ascelle fino alla sua altezza. Ancora affonda il volto tra i miei seni mentre le sue braccia mi stringono a lui come un fuscello. Lentamente ci pieghiamo, i nostri corpi congiunti, la punta del pene a sfiorare i peli del mio pube, fino a ritrovarci sdraiati, lui sopra di me.
Col mento liscio mi percorre il ventre mentre lascia una scia di baci sul suo percorso. Si sofferma tra i peli del pube che bacia e morde e, quando il mio desiderio diventa intollerabile, la sua lingua affronta le mie pieghe umide. Improvviso mi coglie il primo orgasmo quando la sua lingua ancora indugia sul clitoride. Avvolgo il suo busto con le mie gambe per stringermelo in grembo e lui ancora succhia e lecca in percorsi sempre nuovi tra i miei petali bagnati. Poi sono io che me lo trascino sul seno e quando la sua lingua mi tocca i capezzoli, la punta del suo pene bussa alla mia porta.
Entra con facilità nel tripudio di umori, scivola in profondità in schiume calde e vischiose che colano copiose sulle mie cosce. Lui spinge e io stringo, lui mi morde i seni e io gli graffio la schiena, quelle masse muscolari che sembrano giovani puledri che saettano in liberi prati.
Un affondo dietro l'altro, i miei gemiti coprono i suoi profondi sospiri, finchè mi scopro a urlare la mia passione, la dissolutezza del mio profondo piacere con il suo corpo saldamente conficcato dentro al mio.
Allargo la braccia sulla sabbia per esporre il seno e inarco la schiena per spingere la vulva incontro all'uomo che ancora mi penetra, entra dentro forte e possente, e dilata, spinge, muove e gonfia il mio ventre della sua potenza. Una presa gentile tocca la mia mano. Aretusa mi si è fatta vicina, mi bacia la mano risalendo fino al braccio, all'ascella e al mio volto. Le nostre lingue si incontrano, quelle labbra soffici e consistenti, quella lingua fresca e liscia. Il dio esplode al mio interno, inondandomi della sua forza fluviale, dei suoi succhi, del suo seme generatore, caldo e abbondante e mi sciolgo in un nuovo orgasmo che traduco nella bocca della ninfa che mi bacia e mi accarezza il seno, mentre il mio corpo è scosso dai colpi di Alfeo.
Il giovane dai bruni ricci si scioglie sul mio corpo. La sua potenza muscolare si adatta alle mie curve come un morbido e leggero tessuto. La forza dell'uomo si trasforma in dolcezza amorosa. Con una mano gli avvolgo la schiena, lui, ancora massicciamente dentro di me, turgido e pieno.
Con l'altra sfioro la pelle della ninfa che continua a baciarmi e a toccarmi i seni.
Così mi addormento.
Ma quando mi risveglio non c'è più traccia di Alfeo, né di Aretusa.
Ho indosso i miei vestiti e sono all'interno del giardinetto che avvolge l'antica fonte.
Ho dunque sognato tutto questo tempo? Ma cosa ho bevuto di così potentemente allucinogeno?
Sono sicura di essere stata viva e cosciente in tutto quello che ho vissuto, eppure non c'è alcuna traccia che mi confermi che tutto è stato vero e concreto.
Guardo l'orologio. Le undici di sera. È lo stesso orario di quando ho scavalcato la ringhiera per tuffarmi nella fonte. Può un sogno di pochi minuti concentrare una storia di ore?
Stupita, sopraffatta e in fondo anche un poco delusa, riscavalco la ringhiera tornando al bordo superiore della recinzione della fonte. Il bar e i ristoranti sono ancora aperti, ma la famigliola col bambino non c'è più.
Guardo la fonte e mi prende un colpo. È del tutto asciutta!
Mi guardo in giro, ma nessuno, oltre a me, si è accorto che non vi è più neanche una goccia d'acqua, né in movimento, né stagnante. Tutto asciutto fino alla crepa profonda tra le rocce.
Aretusa non c'è più. La ninfa trasformata in sorgente se ne è andata.
Corro verso il mare, al bordo inferiore della ringhiera che delimita il tempietto e scopro una scritta in greco scolpita sulla roccia. Con le mie rudimentali nozioni riesco a leggere almeno il suono, ma non capisco il senso, e non so neanche se questa scritta sia recente o se sia lì da chissà quanto tempo, perchè la noto solo ora. Fotografo la sequenza di lettere e la mando a un mio conoscente che conosce il greco antico.
La sua risposta non chiarisce nulla. La frase scritta indica solo una località in Grecia.
Confusa e affranta ritorno alla mia camera in cui giaccio tutta la notte senza riuscire a prendere sonno. Troppe cose sono successe e la mia granitica convinzione di averle veramente vissute si scontra con il violento schiaffo della realtà. Il tempo non si è mosso. È impossibile che io abbia riportato in vita miti di duemila anni fa. Dei minori e ninfe sono solo il frutto della fantasia letteraria di ingegnosi scrittori dei tempi passati.
Non ce la faccio a riprendere la mia vita normale, al mattino, quando la luce entra dalle finestre e mi ritrovo ancora sola a pensare a quanto successo.
Ritorno alla fonte di Aretusa e ancora la trovo vuota e secca. Un cappannello di persone indica e discute. La cosa è alquanto insolita, ma io, ovviamente, non dico nulla. Sarei presa per scema.
Riguardo la scritta in greco e rivedo la traduzione fatta dal mio conoscente.
Dopo un attimo di indecisione prendo l'iniziativa. Mi muovo per Siracusa finchè non trovo un'agenzia di viaggi. Entro decisa, convinta di voler uscire solo con un biglietto aereo per la Grecia e mi dirigo al bancone vuoto.
“Arrivo!”
Sento dire da una porta che dà sul retro del negozio e, quando la commessa si mostra, resto pietrificata.
È lei! Occhi azzurri, capelli biondi, lunghi, colore dell'oro vecchio. Solo che è vestita e non posso verificare altri dettagli.
Lei si ferma e mi guarda con un sorriso. Io resto immobile, la bocca spalancata.
“Sei tu?” Sussurro così piano che nemmeno io sento la mia voce e forse trasmetto solo un messaggio labiale.
Lei accentua il suo sorriso e annuisce.
Io resto paralizzata, ancora con l'indice puntato verso la commessa, che dal sorriso, si mette a ridere sonoramente. Si copre la bocca con una mano e si piega in avanti, appoggiandosi al bancone. E continua ad annuire.
“Sì, sono Aretusa!” Mi dice infine, e io cado in ginocchio mentre le lacrime mi inondano gli occhi.
Lei scavalca il bancone, mi viene incontro e mi solleva di fronte a lei.
Io ancora non ci credo e quando lei mi bacia sulle labbra, mi scuoto come da un sogno.
“Scusi, ma che fa?”
Lei mi guarda e ride. Torna dietro al bancone e tira fuori da un cassetto due biglietti di aereo.
“Sbrigati, Yuko, l'aereo è tra due ore!”
- FINE
Mi giro e mi adagio sul suo corpo fresco. Le accarezzo il volto e i seni e lei mi sorride. Sento il suo pube che preme sui miei peli. I capezzoli si contraggono al tocco delle mie dita e mi verrebbe voglia di ricominciare subito ad amarla. Lei mi scruta nel profondo degli occhi e una piccola contrazione delle sue sopracciglia mi manifesta un suo turbamento.
“Giovane Yuko, che cosa faremo?
Per te già brucio di un amore ardente.
Da questa gabbia noi uscire dovremo;
fuggir la vista del fiume latente.
Se in dolce amore con Alfeo giacere
nella ragione il desìo ti difetta
in altro modo dovremo solvère
l'ardua prigione e scappar, mia diletta.”
“Aspetta, Aretusa, ragioniamo la calma. Non è detto che non si possa fare, ma non vorrei che sembrasse tutto così scontato. In fondo io sono venuta a cercare te, attratta dalla tua storia e dalla tua schiavitù, e non mi sono tuffata in cerca di un'orgia.”
Lei abbassa lo sguardo verso la sabbia e si fa pensierosa, ma con un braccio continua a cingermi la schiena e a muovere le sue dita sulle mie vertebre, mentre io le accarezzo delicatamente il seno e la spalla.
“Perdona, Yuko, mia dolce orientale;
ti do ragione a sembrarti egoista.
Non so che fare e ci resto ancor male,
ma sei la prima che quaggiù s'è vista.
Nessun credette che questa leggenda
celasse invero una storia nascosta,
la verità di una schiavitù orrenda
sotto cui giaccio, in cui m'hanno posta.”
Mi guarda, ancora, e i suoi occhi azzurri si riempiono di lacrime. Sento sul mio seno il suo petto che si gonfia in profondi sospiri. Mi chino su di lei e ancora la bacio. Lei stringe le sue braccia intorno alla mia schiena e ci congediamo un lungo incontro di lingue in dolce danza congiunte.
Finchè sento una fresca ombra allungarsi dalle mie gambe fino al sedere.
Una nuvola, penso, in questa oasi in cui sembra di giacere eternamente nella primavera inoltrata.
Ma quando riapro gli occhi vedo lo sguardo di Aretusa sbarrato come se avesse visto il volto di Medusa.
Prima che possa girarmi a guardare che cosa abbia pietrificato la ninfa, alle mie spalle, mi raggiunge una voce giovane e piena di vitalità.
“Oggi ho colto gran fortuna:
ritrovarti su una duna!
Aretusa tanto amata
nella rena ho ritrovata!”
Mi giro e scorgo un giovane alto e forte. Una folta chioma di ricci neri gli ricade, lunga, sulle spalle.
Pelle abbronzata su un viso glabro illuminato da un sorriso candido. Petto liscio e muscolatura da atleta. Ma da dove sbuca quest'uomo? Sarà qualcuno della vigilanza?
La ninfa mi stringe e mi gira, come a volersi difendere dal nuovo arrivato, usandomi come scudo. Ella è nuda, infatti; ma anch'io mi rendo immediatamente conto di essere col culo per aria, sotto agli occhi del giovane. Riesco però ad accorgermi che anche lui è senza vestiti, e pare che abbia gradito parecchio la vista delle due ragazze nude in dolci effusioni. Vedo, infatti, una bella asta sollevata che gli oscilla sotto al pube, e di cui non sembra affatto turbato.
“Ma chi cazzo è? Da dove è saltato fuori questo? Dove ho messo i vestiti?” Mi affanno io, ma Aretusa mi congela con una frase lapidaria.
“Egli è Alfeo, colui che mi ha cercata
e per millenni m'ha invano inseguita;
qui sulla sabbia ora mi ha ritrovata
mentre giacevo in amore rapita.”
La situazione ci è sfuggita di mano. Rotolando sulla sabbia siamo forse scivolate fuori dai confini protetti e ora siamo alla mercè di quest'uomo che, però, tutto sembra, tranne che un vecchio e minaccioso dio dalla voce roca e cavernosa. Lui ci guarda palesando un certo interesse per le nostre forme in bella vista. E poiché io sono sdraiata sopra la mia amica, sembra proprio che stia soffermandosi esattamente sulla mia schiena e il mio sedere.
Vedendolo così giovane e di bell'aspetto, devo dire che non ho più questa gran premura di coprirmi e quasi mi piace che si dilunghi ad apprezzare il mio corpo. Già eccitata per lo stretto contatto con la ninfa, lo sguardo dell'uomo nudo su di me comincia a darmi ulteriori sensazioni positive.
“Quello è Alfeo?” Chiedo dubbiosa ad Aretusa, e lei me ne dà conferma annuendo spaventata.
“Ma non è affatto male, caspita. Un bel pezzo di ragazzo!” Devo constatare, sussurrando alla mia novella amante, “e anche molto ben equipaggiato.” Aggiungo con un sospiro.
Aretusa tace. L'imbarazzo di essersi fatta scovare dopo tanti secoli in cui era rimasta celata, forse la posa nuda, in amore con un'altra donna, la paura e l'incertezza per il suo futuro prossimo le hanno gelato la lingua. Sento che mi stringe, terrorizzata e tremante. Eppure quel giovane non sembra affatto violento o possessivo. Ma in fondo, che ne so io del mondo degli dei, dei loro trucchi e delle loro mistificazioni?
“E chi è questa tua amica?
Questa mora è una gran fica!”
'Ci risiamo, le solite rime scontate' Penso, però apprezzo il fine complimento, la velata metafora.
Mi divincolo dalle braccia di Aretusa, mi siedo rannicchiando le gambe per coprirmi il pube e con le mani mi copro il seno. Sarà pure un dio e anche molto bello, ma non sta bene farsi conoscere subito così intimamente.
“Il mio nome è Yuko, dio potente.
Mi presento: vengo dall'oriente.”
Cerco un linguaggio adeguato. Dopo aver mostrato per bene figa e culo, devo recuperare un po' di dignità e magari anche rispetto.
“Come dunque tu giungesti
nella pozza tra i foresti?
Già conosci tu Aretusa?
Questa ninfa un po' confusa?
Molto a lungo l'ho inseguita,
ma lei sempre m'è fuggita.
Ora nuda la ritrovo
senza canne, senza un rovo.
Anzi in dolce compagnia
d'una donna in leggiadrìa.
Forse allor non ho ben colto
le impressioni del suo volto.
Delle donne con più ardore
lei ricerca affetto e amore.”
Il giovane rimane assorto in pensieri. Poi si indirizza direttamente alla ninfa che, alzatasi, si è seduta al mio fianco.
“Non ti è, allor, bastata Diana,
per sanar la voglia insana?
Ma oggi è tempo di perdono,
di donare il corpo all'uomo.
Tanto ti ho desiderato
che il mio affetto ho ben provato.
Ti mostrai d'esser fedele
rinunziando al sesso e al miele
sia di dive che di donne
rimanendo spesso insonne.
Presta orecchio alla mia prece,
se l'oblio schiavo mi fece,
ora dà soddisfazione
ad Alfeo, alla sua passione!”
Guardo Aretusa, ma lei continua a fissare il dio con occhi sbarrati; terrorizzata e tremante mi prende un braccio e lo stringe, spostandosi dietro alla mia spalla in cerca di protezione. Mi irrigidisco anch'io. Questo ragazzo sembra educato e tollerante, e, in fondo, veramente ha aspettato duemila anni la sua amata, senza mai congiungersi con altra donna o dea. Segno, comunque, di serietà e fedeltà. Ma dal terrore della ragazza intuisco che forse qualcosa mi sfugge.
“O nobile Alfeo.” Prendo la parola io, per cercare di ricomporre le parti. Chi sa se, invece, alle forme gentili corrisponda anche un animo aperto e nobile?
“Fiume importante e vortice impetuoso, che con pertinacia attraversasti terre e mari per seguir questa ninfa, porgi lo sguardo alla sua condizione, che schiava è rimasta per lunghi millenni.
Rapita in forma di acqua nella crepa rocciosa, non più le corse hanno animato il suo corpo, né la caccia al fianco di Artèmide, la dea che l'ha protetta per poi abbandonarla. Nascosta dall'affetto della cacciatrice e lontana dalle sue compagne, restìa alle tue premure, timorosa delle tue brame, ella ha vissuto schiava delle mura, in attesa di una liberazione che mai le fu concessa. Or che alla luce il suo corpo è tornato e nell'amore di Saffo si è a me concessa, tu la vedi qui, così come ella ti si presenta. Nuda e indifesa, senza più Artèmide a soccorrerla; sincera nella sua passione e timorosa di conoscere uomo. Giovane e libera Aretusa è sempre stata, senza legami ha concesso il suo amore e sempre ha potuto manifestare i suoi istinti.
Eppure nella sua fedeltà all'amore fra donne, ella pure si è sacrificata rimanendo schiava dell'umida roccia. E mai più nessuno ha preso le sue parti, né si provò a ridar corpo alla giovane ninfa.
Ora, focoso dio dalle rigogliose chiome, faccio io appello al buon cuore che per te si è reso testimone, in fedele attesa per tutti questi secoli. Libera questa ninfa, perchè possa ritornare tra i boschi a servire la sua dea. Possa seguire le sue passioni e i suoi desideri, libera nei suoi gesti e nei suoi affetti, perchè non sia costretta ad unirsi in amore non voluto, a dio o uomo non desiderato, consacrando a lui la sua vita e perdendo la sua felicità.”
Mi sembra di aver detto una montagna di stupidate e per giunta, in un linguaggio inadeguato, eppure il giovane piega il capo, turbato, e rimane pensieroso.
Sento le mani di Aretusa strette sul mio corpo, la tensione che attraversa i suoi sentimenti. Certo che in tutti questi anni anche Diana avrebbe potuto sbattersi un poco per la sua ninfa.
O forse Diana temeva di dover dare al dio qualcosa in cambio? Un premio di consolazione, o almeno un trattamento di fine rapporto per la fedeltà di questo giovane che tutto sommato è rimasto qui in attesa, privandosi anche lui di una vita e di qualche soddisfazione in virginale devozione alla ninfa che amava?
Mi alzo e mi avvicino ad Alfeo, mentre Aretusa rimane in piedi dietro di me.
Il dio alza un attimo lo sguardo, ma ritorna pensoso e titubante. La fronte corrugata, la mandibola tesa, mi suggeriscono un conflitto interiore, un turbamento cui il giovane fatica a dare forma.
Mi fa tenerezza, lui pure. Che disastro, penso, questi amori antichi, questi miti e leggende di dei minori, ninfe e satiri, narrate da scrittori e poeti, ma che all'atto pratico, rivelano molta umanità, una gran confusione affettiva, una disarmante ingenuità e incapacità di gestire con un poco di razionalità le passioni di cuori indomiti.
“Alfeo!”
Gli sussurro sorridendogli. Con una mano gli accarezzo la folta chioma che sembra davvero assumere le forme e i movimenti di spume e vortici acquosi, di spire e gorghi di fresca acqua.
Con l'altra mano gli tocco un fianco, rinunciando a coprirmi il seno e il ventre.
Lui ancora alza gli occhi su di me. Mi vede. Mi guarda. Mi osserva. Mi scruta vedendomi nuda, abbandonata senza difese al suo sguardo. Il suo labbro trema e i suoi occhi sono gonfi.
Davvero questo fiume di origini divine è stato irretito e blandito dalla passione per le giovani e irresistibile forme della dea Aretusa che nuda si è abbandonata nelle carezze delle sue acque. Dotato di poteri superiori e per mano di amici più potenti, si è trasformato in uomo per poter congiungersi con le meravigliose curve della ninfa finendo per innamorarsi perdutamente della ragazza, e dopo millenni di attese, fughe, speranze e inseguimenti, si ritrova qui, nella splendida cornice della Siracusa moderna con un nulla nelle mani e la sola prospettiva di tornare nella sua patria di origine per proseguire il lento scorrimento delle sue acque dai monti verso il mare.
Lui allunga il suo braccio dietro alle mia schiena e appoggia la sua fronte sulla mia tempia.
Vorrei pensare di sentirlo piangere, ma nessun singulto muove il suo volto, né lacrima riga le sue guance.
Il suo tocco sul mio corpo è gentile, ma intuisco la sua forza e con la mano verifico la sua sublime muscolatura. Presa da commozione stringo il mio corpo al suo, lo abbraccio. Lui allarga le braccia e mi accoglie tra le sue mura. Il mio seno gli si deposita sul petto, con la delicatezza di un fiocco di neve e la freschezza di un petalo di ciliegio, e il suo sguardo se ne disseta e se ne nutre.
Lui con una mano mi sfiora una scapola e con l'altra scivola sul mio sedere. Le sue labbra sfiorano le mie in un bacio appena accennato e subito si perdono nei miei capelli, sul mio collo e sulla mia spalla. Capisco che non può e non vuole innamorarsi di nuovo di una persona sbagliata ed evita il bacio fra le bocche, come simbolo di passione e di promessa, pur concedendo effusioni sul mio corpo. Mentre la sua bocca si impossessa del mio seno, le mie mani si insinuano nella sua nuca, in quei ricci folti e neri. Presto gemo, quando con le labbra mi tocca i capezzoli, con la lingua li lambisce, in soffici carezze dai contorni sublimi.
Veramente divino è il suo approccio al mio corpo, fatto di sensuali suzioni, di accenni di baci, lasciando crescere passione e desiderio senza mai soddisfarlo pienamente, innalzando così, continuamente, la soglia del piacere.
La sua mano dopo avermi accarezzato il sedere si è spostata davanti e ora sfiora i peli del mio monte di Venere con una leggerezza tale che i brividi mi serpeggiano lungo il ventre, affondandosi profondamente nella vulva. E quando con un dito mi sfiora il clitoride proseguendo poi, superficialmente tra le grandi labbra, mi strappa un lungo gemito e un respiro che mi svuota i polmoni. Mi si piegano le gambe e mi ritrovo piegata in ginocchio davanti al suo pene eretto.
Grande, duro eppure liscio. Una gocciolina di rugiada sporge dal glande appena scoperto e la mia lingua la raccoglie con gli umori e il sentore dell'uomo forte ed eccitato. Apro le labbra per accogliere l'asta nella mia bocca. Con le labbra accarezzo il membro che mi entra tra le guance, che subito avvolgo con la lingua per stringerlo nel suo lento incedere.
Sento Alfeo che sussurra il mio nome e che scuote i lombi posseduto dal piacere, e si spinge più dentro alla mia bocca. Le sue mani mi si infilano tra i capelli e dirigono il mio capo nel lento movimento di va e vieni. Lentamente il pene si sfila, lucido della mia saliva, mentre le mie labbra si stringono sul glande, per riaprirsi, umide e morbide alla spinta successiva. La potenza virile mi gonfia le guance e mi tocca la gola, ma io stringo e imprigiono la turgida carne e solo lentamente la lascio muovere fuori dal mio caldo abbraccio. Ma il dio mi solleva per le ascelle fino alla sua altezza. Ancora affonda il volto tra i miei seni mentre le sue braccia mi stringono a lui come un fuscello. Lentamente ci pieghiamo, i nostri corpi congiunti, la punta del pene a sfiorare i peli del mio pube, fino a ritrovarci sdraiati, lui sopra di me.
Col mento liscio mi percorre il ventre mentre lascia una scia di baci sul suo percorso. Si sofferma tra i peli del pube che bacia e morde e, quando il mio desiderio diventa intollerabile, la sua lingua affronta le mie pieghe umide. Improvviso mi coglie il primo orgasmo quando la sua lingua ancora indugia sul clitoride. Avvolgo il suo busto con le mie gambe per stringermelo in grembo e lui ancora succhia e lecca in percorsi sempre nuovi tra i miei petali bagnati. Poi sono io che me lo trascino sul seno e quando la sua lingua mi tocca i capezzoli, la punta del suo pene bussa alla mia porta.
Entra con facilità nel tripudio di umori, scivola in profondità in schiume calde e vischiose che colano copiose sulle mie cosce. Lui spinge e io stringo, lui mi morde i seni e io gli graffio la schiena, quelle masse muscolari che sembrano giovani puledri che saettano in liberi prati.
Un affondo dietro l'altro, i miei gemiti coprono i suoi profondi sospiri, finchè mi scopro a urlare la mia passione, la dissolutezza del mio profondo piacere con il suo corpo saldamente conficcato dentro al mio.
Allargo la braccia sulla sabbia per esporre il seno e inarco la schiena per spingere la vulva incontro all'uomo che ancora mi penetra, entra dentro forte e possente, e dilata, spinge, muove e gonfia il mio ventre della sua potenza. Una presa gentile tocca la mia mano. Aretusa mi si è fatta vicina, mi bacia la mano risalendo fino al braccio, all'ascella e al mio volto. Le nostre lingue si incontrano, quelle labbra soffici e consistenti, quella lingua fresca e liscia. Il dio esplode al mio interno, inondandomi della sua forza fluviale, dei suoi succhi, del suo seme generatore, caldo e abbondante e mi sciolgo in un nuovo orgasmo che traduco nella bocca della ninfa che mi bacia e mi accarezza il seno, mentre il mio corpo è scosso dai colpi di Alfeo.
Il giovane dai bruni ricci si scioglie sul mio corpo. La sua potenza muscolare si adatta alle mie curve come un morbido e leggero tessuto. La forza dell'uomo si trasforma in dolcezza amorosa. Con una mano gli avvolgo la schiena, lui, ancora massicciamente dentro di me, turgido e pieno.
Con l'altra sfioro la pelle della ninfa che continua a baciarmi e a toccarmi i seni.
Così mi addormento.
Ma quando mi risveglio non c'è più traccia di Alfeo, né di Aretusa.
Ho indosso i miei vestiti e sono all'interno del giardinetto che avvolge l'antica fonte.
Ho dunque sognato tutto questo tempo? Ma cosa ho bevuto di così potentemente allucinogeno?
Sono sicura di essere stata viva e cosciente in tutto quello che ho vissuto, eppure non c'è alcuna traccia che mi confermi che tutto è stato vero e concreto.
Guardo l'orologio. Le undici di sera. È lo stesso orario di quando ho scavalcato la ringhiera per tuffarmi nella fonte. Può un sogno di pochi minuti concentrare una storia di ore?
Stupita, sopraffatta e in fondo anche un poco delusa, riscavalco la ringhiera tornando al bordo superiore della recinzione della fonte. Il bar e i ristoranti sono ancora aperti, ma la famigliola col bambino non c'è più.
Guardo la fonte e mi prende un colpo. È del tutto asciutta!
Mi guardo in giro, ma nessuno, oltre a me, si è accorto che non vi è più neanche una goccia d'acqua, né in movimento, né stagnante. Tutto asciutto fino alla crepa profonda tra le rocce.
Aretusa non c'è più. La ninfa trasformata in sorgente se ne è andata.
Corro verso il mare, al bordo inferiore della ringhiera che delimita il tempietto e scopro una scritta in greco scolpita sulla roccia. Con le mie rudimentali nozioni riesco a leggere almeno il suono, ma non capisco il senso, e non so neanche se questa scritta sia recente o se sia lì da chissà quanto tempo, perchè la noto solo ora. Fotografo la sequenza di lettere e la mando a un mio conoscente che conosce il greco antico.
La sua risposta non chiarisce nulla. La frase scritta indica solo una località in Grecia.
Confusa e affranta ritorno alla mia camera in cui giaccio tutta la notte senza riuscire a prendere sonno. Troppe cose sono successe e la mia granitica convinzione di averle veramente vissute si scontra con il violento schiaffo della realtà. Il tempo non si è mosso. È impossibile che io abbia riportato in vita miti di duemila anni fa. Dei minori e ninfe sono solo il frutto della fantasia letteraria di ingegnosi scrittori dei tempi passati.
Non ce la faccio a riprendere la mia vita normale, al mattino, quando la luce entra dalle finestre e mi ritrovo ancora sola a pensare a quanto successo.
Ritorno alla fonte di Aretusa e ancora la trovo vuota e secca. Un cappannello di persone indica e discute. La cosa è alquanto insolita, ma io, ovviamente, non dico nulla. Sarei presa per scema.
Riguardo la scritta in greco e rivedo la traduzione fatta dal mio conoscente.
Dopo un attimo di indecisione prendo l'iniziativa. Mi muovo per Siracusa finchè non trovo un'agenzia di viaggi. Entro decisa, convinta di voler uscire solo con un biglietto aereo per la Grecia e mi dirigo al bancone vuoto.
“Arrivo!”
Sento dire da una porta che dà sul retro del negozio e, quando la commessa si mostra, resto pietrificata.
È lei! Occhi azzurri, capelli biondi, lunghi, colore dell'oro vecchio. Solo che è vestita e non posso verificare altri dettagli.
Lei si ferma e mi guarda con un sorriso. Io resto immobile, la bocca spalancata.
“Sei tu?” Sussurro così piano che nemmeno io sento la mia voce e forse trasmetto solo un messaggio labiale.
Lei accentua il suo sorriso e annuisce.
Io resto paralizzata, ancora con l'indice puntato verso la commessa, che dal sorriso, si mette a ridere sonoramente. Si copre la bocca con una mano e si piega in avanti, appoggiandosi al bancone. E continua ad annuire.
“Sì, sono Aretusa!” Mi dice infine, e io cado in ginocchio mentre le lacrime mi inondano gli occhi.
Lei scavalca il bancone, mi viene incontro e mi solleva di fronte a lei.
Io ancora non ci credo e quando lei mi bacia sulle labbra, mi scuoto come da un sogno.
“Scusi, ma che fa?”
Lei mi guarda e ride. Torna dietro al bancone e tira fuori da un cassetto due biglietti di aereo.
“Sbrigati, Yuko, l'aereo è tra due ore!”
- FINE
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