Sogno: la spiaggia assolata

di
genere
etero

Stanotte ho fatto un sogno. All’alba era sorto un sole immenso che preannunciava una giornata calda nell’atmosfera estiva che permeava il golfo di questa isola così magica. Le ombre radenti del nuovo sole dettagliavano le mille piccole dune di sabbia bianca. Camminare a piedi nudi in un’alternanza di fresco e caldo dava una strana sensazione che rendeva la spiaggia ancora deserta lievemente surreale.

L’acqua trasparente era immobile come una lastra di cristallo tanto che il timore di infrangerla mi tratteneva dall’immergervi i piedi. Abbandonato il telo da mare senza forma sulla sabbia, mi sono incamminato rompendo l’incantesimo che immobilizzava il mare. La freschezza dell’acqua mi dava un fremito, una meravigliosa sensazione sulla pelle. Un tuffo deciso sotto il pelo dell’acqua e la lieve sensazione di freddo mi ha caricato come una molla e con bracciate costanti mi sono allontanato dalla riva, guardando con gli occhi aperti le bizzarrie del fondo visto senza maschera.
A largo guardavo la striscia bianca della sabbia da lontano incapace di capire perché non ci fosse ancora nessuno. Solo una figura sottile si era affacciata attraverso la pineta e si era avviata lungo la battigia con una camminata particolare, decisa e armoniosa, senza incertezze, ma contemporaneamente delicata e flessuosa. Il pareo dai colori azzurri come il mare fluttuava all’incedere della donna fino all’istante in cui si è fermata.

Distesa una grande stuoia la donna scioglie con un unico gesto il pareo e lo appoggia sulla stuoia. Da lontano non riuscivo vederne il viso, ma il corpo era snello ed agile come quello di una gazzella.

Portava un bikini bianco che quasi si confondeva con il candore della sabbia. Apparentemente distaccata dal mondo la donna si siede, si cosparge il corpo di crema e si sdraia voltandosi sulla pancia lasciando che il sole le accarezzi la schiena. Lentamente, nuotando silenziosamente, mi sono riavvicinato alla riva perplesso dell’inesistenza di anima viva, ma sicuro che la magia non si sarebbe rotta.

Sono uscito dall’acqua a pochi metri da lei, sul lato verso il quale era possibile vederne il viso in modo da annunciare immediatamente la mia presenza. Lei apre gli occhi, mi guarda per qualche secondo, mi sorride e mi saluta con un “ciao” modulato sulle frequenze della sorpresa, con un tono lievemente basso, assonnato. Finalmente la riconosco: è la donna che mi ha affollato la mente da quando l’ho vista per la prima volta, nella hall dell’albergo. Alta, silenziosa, riservata, dai modi sfuggenti, ma dagli sguardi accattivanti.
Per abbronzarsi meglio si è tolta la parte superiore del costume. Il mio sguardo ha abbandonato i suoi occhi nel momento in cui li ha richiusi lasciando il sorriso immutato. Ho iniziato a guardare i suoi capelli, color castano chiaro, sciolti sulle spalle larghe e lisce. La schiena sembra appartenere ad un’opera d’arte d’altri tempi: levigata e abbronzata con il solco tra i muscoli dorsali tanto accentuato da rivelare un’assidua attività ginnica che le ha scolpito i muscoli e non solo quelli della schiena… Infatti, sono i glutei rotondi che hanno attirato la mia attenzione: il bianco tessuto del costume li copriva appena e le forme, armonicamente simmetriche, si ergevano come colline sacre sopra le gambe lunghissime e lucide, parallelamente agiate sulla stuoia. È stato allora che la donna ha piegato una delle gambe portando il polpaccio in aria consentendomi di vedere le unghie laccate di rosso. Allora ho guardato la mano adagiata sul fianco rivolto a me e mi sono accorto dello stesso colore che ornava le unghie delle lunghe dita della mano. Lei teneva gli occhi ancora chiusi ma dal sorriso si capiva che sapeva dei miei sguardi su di lei. Non riuscivo a distogliere gli occhi e cominciavo a scrutare i dettagli della sua pelle: le pieghe, i piccoli nei, le fossette sopra il bacino, piccola voglia asimmetrica tra di loro, e la meravigliosa peluria dorata che mi faceva girare leggermente il mondo intono alla testa. Solo allora ho girato la testa per guardare il mare. Stavo per sdraiarmi lentamente sulla sabbia accanto alla sua stuoia quando la donna ha aperto gli occhi e alzando l’avambraccio mi ha chiamato verso di sé piegando il dito indice. Nel silenzio della spiaggia disturbato dal lievissimo sciabordio di lievi onde marine, mi sono sdraiato di fianco accanto a lei. Sbaglio ho avevo sentito un leggero mugolio di assenso mentre voltava la testa dall’altra parte? D’istinto avrei voluto accarezzarle la schiena, ma le mie mani bagnate sarebbero state troppo fredde. Mi sono rassegnato ed ho atteso che si asciugassero.

Mentre pensavo alle mie mani bagnate che si sarebbero dovute asciugare, mi sono accorto che la sua pelle si stava ricoprendo di microscopiche goccioline di sudore. Ho alzato una mano sopra di lei ed ho lasciato cadere qualche goccia d’acqua sulla sua schiena provocandole un piccolo brivido accompagnato da un leggero mugolio, non di protesta, ma di assenso. Ho continuato a lasciare gocce sulla pelle per un po’ finché non ne sono cadute più. La sua pelle sembrava magnetica e lentamente la mia mano si è avvicinata alle gocce d’acqua immobili. Le mie dita le hanno sfiorate senza toccarla, ma la pelle se ne è accorta e mi ha risposto con quel lieve drizzarsi della deliziosa peluria d’oro che adoro.
Non era possibile interrompere quella lieve carezza che dalle scapole si avviava verso la delicata curva della schiena dove l’acqua si era raccolta al centro. L’irresistibile tentazione di leccare l’acqua salata dal quel calice ha fatto prepotentemente forza sulla mia mente, ma dovevo assaporare quell’immagine di lei, abbronzata e bagnata, che accoglieva le mie carezze con un sommesso silenzio. Non era facile vedere l’acqua di mare accolta nelle fossette simmetriche sopra al suo sedere rotondo e non chinarsi a baciala succhiando l’acqua con una lentezza infinitesimale. Lo avrei fatto se non ci fosse stato quel microscopico movimento del bacino che ruotava impercettibilmente verso l’alto richiamando la mia attenzione a quel meraviglioso paesaggio che si stagliava poco distante. La mia mano si è sollevata dalla schiena, ha superato il piccolo tratto coperto dalla stoffa ed ho posato l’indice e il medio pianissimo sulla pelle tesa e rotonda, ma senza fermarmi ho proseguito la piccola carezza lungo la coscia lucida facendo scorrere le gocce d’acqua che incontravo sui lati, verso il basso. Prima di arrivare al polpaccio mi sono spostato mettendomi in ginocchio ed allora ho alzato anche l’altra mano e l’ho posata ancora più delicatamente sull’altro polpaccio. Tutte le mie dieci dita erano a contatto con la sua pelle, ma la sfioravano appena come se ci fosse un cuscino d’aria che separava i polpastrelli dalla cute liscissima. Mi sono chinato e le ho baciato una caviglia piano. Con la coda dell’occhio ho intravisto il suo bacino spingere la sabbia verso il basso. La mia lingua ha allora spostato la sensazione sulle gambe lasciando spazio alle mie labbra quando la pelle vibrava troppo. Con le labbra socchiuse la donna respirava piano ed io, accarezzandole le gambe con le dita delle mani, continuavo a baciarle risalendo a ritroso lungo il percorso appena fatto. Ho allontanato il volto per vedere meglio le meravigliose rotondità che mi si paravano davanti. Forse il mio apprezzamento visivo si è protratto troppo, perché un breve mugolio indispettito mi richiamava ai baci abbandonati. Con le mani completamente appoggiate sulle chiappe rotonde, ho cominciato faticosamente a sciogliere con la bocca i lacci del costume finché sempre con la bocca il costume è stato lasciato cadere sulla stuoia accanto al suo corpo nudo.

La visione era esaltante: potere, in un colpo d’occhio, vedere quella magnificenza, non era da poco.

La pelle abbronzata dei glutei lasciava un triangolo rosa al loro incontro: esattamente lì ho posato piano la punta della mia lingua. Il bacino era incerto, tremante: spingeva verso il basso premendo la sabbia e si sollevava verso l’alto per offrirmi il suo fiore profumato. Arretrando ho afferrato saldamente le caviglie e con delicatezza le ho allagato le gambe regalando baci ad entrambe le cosce insinuandomi sempre più al loro interno. Ero sdraiato di pancia e incominciavo ad assaporare il momento in cui la mia lingua si sarebbe insinuata lentamente in quella “bocca femminea”.
scritto il
2023-01-29
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