Penetrazione mentale
di
Gioia 73
genere
interviste
Il rientro in ufficio non presenta solo aspetti negativi.
Scendo dal taxi e ti invio il WhatsApp che ho in testa da un po’: “Sto entrando. Nella tua testa e, a breve, anche nel tuo corpo”.
Quando mi comporto così, riesco ancora a stupirmi di me stessa. So indossare maschere diverse a seconda del partner, a seconda del gioco che decidiamo di avviare e a seconda degli stimoli del momento. Alcune volte, come oggi, mi attira comportarmi come un uomo. Esprimermi come uno di quelli stronzi, strafottenti e irresistibili, che a noi donne fanno impazzire. Mi piace usare il mio compagno di giochi come un giocattolo da cui trarre il massimo piacere, senza implicazioni emotive. E la mia esperienza mi dice che alcuni sono in grado di farlo, altri si innamorano, altri si sentono usati e umiliati. Altri sono eccitati dalla sfida. Questi ultimi sono i miei preferiti. Soprattutto quando la perdono…
Entro, insieme a Carlotta, collega e complice, nell’edificio dove lavori. Ti ho avvisato solo perché mi diverte creare un po’ di suspence. E perché, come dice G.E. Lessing, l’attesa del piacere è essa stessa piacere. E io adoro farti godere.
Spingo la porta a vetri e incomincio ad annusare l’aria. E’ la parte animale che entra in azione. E’ l’istinto di caccia, o forse di difesa, che si risveglia e apre tutti i ricettori per osservare segnali, percepire movimenti, sentire odori. E mi lascia addosso una sensazione strana. Preda o predatore?
Non so se mi sento la cacciatrice che entra nella gabbia del leone o la leonessa che si avventura nell’accampamento del cacciatore. Forse più la seconda. Odio le gabbie. E sorrido, pensando allo stereotipo con cui abbiamo convissuto per anni, al paradigma dell’uomo dedito alla caccia e alla donna dedita al focolare e alla cura dei figli, scardinato ormai da anni dalla ricerca scientifica. E penso che nel mondo animale sono le leonesse ad occuparsi della caccia, mentre i leoni difendono il branco e le prede già catturate. La strategia delle leonesse è semplice. Un avvicinamento lento, cauto e silenzioso. Fino a raggiungere una distanza che permette l’affondo più profondo, quello che toglie il respiro e la vita, azzannando la preda al collo.
Il morso al collo fa tornare il pensiero a te. E’ una parte del tuo corpo che vorrei sentire da vicino, da molto vicino. Vorrei assaporarla con le labbra e sentirne la carne tra i denti. E’ tremendamente erotica ed erogena, collegata con un filo invisibile agli istinti sessuali più intimi.
A differenza della leonessa, non mi appropinquo silenziosa. Mi piace farmi sentire e farti sapere che ci sono, sto arrivando, sono ormai molto vicina. Mi attira l’idea di farti percepire la tensione crescente ed immaginare il tuo desiderio che aumenta e si dilata nelle tue vene.
Non so cosa succederà oggi o tra un mese e se succederà qualcosa, tra noi.
Ma mi piace sollecitare il tuo cervello, provocandoti stimoli capaci di scatenare sensazioni simili ad un orgasmo fisico, ma molto più intenso. E mi piace quando tu lo fai con me. E’ lui, il cervello, la chiave di tutto, è lui che provoca l’attivazione delle aree cerebrali e l’innesco delle reazioni chimiche. Innesco. Direi che è un termine appropriato. Quando sono eccitata, ho bisogno di essere disinnescata o, preferibilmente, deflagrata.
Oltre all’adrenalina e alla noradrenalina, viene rilasciata un’altra sostanza, che raggiunge livelli altissimi durante la fase di corteggiamento. Si chiama feniletilamina. La semplice vista dell’altro/a ne provoca il rilascio e la dilatazione delle pupille. E quando le pupille sono dilatate, a loro volta, provocano attrazione e dilatazione nelle pupille dell’altro. Non serve parlarsi, conoscersi o altro. Basta guardarsi. E’ una penetrazione profonda e sofisticata.
Dico il mio nome all’avvenente segretaria alla reception, segnalandole che ho un appuntamento con te. Ci fanno accomodare in attesa dell’incontro. Lei ti avvisa. Pochi secondi dopo mi arriva un tuo sms “Molto bene. Sei pronta?”
Sì, sono pronta a vederti, tesoro, o meglio ad incontrarti, visto che non ci siamo mai incontrati di persona. Tutto è iniziato grazie ad un progetto che, inizialmente, mi interessava molto poco, per non dire per nulla. Sono stata tirata dentro, controvoglia, da una collega entusiasta. Poi tu mi hai incuriosito. Ti ho studiato durante le riunioni online, ho osservato come ti comportavi e cosa dicevi. E al momento giusto ti ho scritto una mail. E tu hai abboccato…o sei caduto nella trappola, come preferisci.
Sono pronta. Certamente. Sono venuta io nella tua tana. Non ho paura. Vediamo cosa sai fare. Sorrido e ti rispondo “Sempre. Sono abituata a questi incontri”. Dopo pochi minuti, arrivi.
Anche se ti avevo osservato attentamente nei diversi meeting prima di oggi, la presenza fisica regala sempre sensazioni diverse. Sei un uomo indubbiamente molto affascinante, anche se non sei decisamente il mio tipo. Saranno gli occhi chiari, quelli più misteriosi, quelli a tratti algidi, che incutono un po’ di paura, quelli nella cui profondità rischi di perderti. Sarà la tua bocca perfettamente disegnata, quasi finta, come quella delle bambole. Saranno i tuoi tratti aristocratici, da gentiluomo di altri tempi, che vanno a braccetto con i tuoi pensieri osceni, con le tue frasi volgari, con le tue voglie scabrose.
La tua presenza fisica nella stanza si sente. Saranno i feromoni che trasmetti. Li percepisco chiaramente. Entrano dentro di me e vengono poi trasmessi direttamente al cervello, nell’ippotalamo, il centro di controllo degli istinti primordiali.
Anche Carlotta percepisce l’elettricità nell’aria e chiede alla segretaria se può utilizzare i servizi. Nel frattempo, tu ci inviti a spostarci nella sala riunioni. Carlotta si alza per prima, io dietro di lei e tu dietro di me. Sento il tuo respiro addosso. Sento i tuoi occhi, come se fossero mani, che mi toccano. Mi vengono i brividi, piccole scosse elettriche lungo tutta la spina dorsale e la pelle d’oca.
Quando entriamo nella sala riunioni, ti siedi e mi fai accomodare nella poltrona di fronte a te. Mi guardi le scarpe, le caviglie, le gambe, e poi sali… e mi fissi la bocca. Pensi di riuscire a mettermi a disagio, ma dovresti saperlo, sono abituata a gestire uomini e a fulminare con uno sguardo. E soprattutto la cosa che dovresti aver capito è che mi piace sentirti addosso. Mi siedo e incrocio le gambe. E’ il modo con cui mi ricordo di essere profondamente femmina…
Mentre aspettiamo, rimaniamo in silenzio, a guardarci. Io e te. Una sfida silenziosa di sguardi. Non capisco se stai cercando di dominarmi, come fanno gli animali quando si incontrano o se è una partita a scacchi, di quelle lente, di quelle in cui devi immaginare tutte le successive mosse e contromosse. Continuiamo a fissarci intensamente. Ora cambia il ritmo. Sembra una galoppata, con un puledro. Di quelli giovani, con grande foga, enorme energia e intensa passione. Di quelli con i quali devi stare molto attenta a battere bene la sella, puntando le ginocchia verso terra, contraendo intensamente i muscoli dell’interno coscia e sollevando ritmicamente il bacino. E’ l’unico modo per riuscire a sentirli e domarli.
Mentre ci guardiamo, mi cade dalle mani il cellulare. Pensi di aver vinto, tesoro, e ti rallegri con te stesso perché ho spostato lo sguardo. Lo vedo dal tuo sorriso. Mi piace darti la sensazione di aver vinto. E’ il momento in cui abbassi la guardia. Mi alzo dalla sedia per prendere il cellulare che è scivolato lontano e allungo indietro maliziosamente una gamba per rimanere in equilibrio mentre mi piego in avanti. Mi piace farlo, mi piace mostrarti il bordo di pizzo della calza autoreggente e il reggicalze che fuoriescono monelli dallo spacco della gonna. Mi giro, ti guardo e ti trovo con lo sguardo imbambolato e con gli occhi piantati sul mio culo. “Tutto bene?” Ti chiedo. Mi guardi “Sarà divertente questa riunione”. Bene, ora possiamo iniziare.
Scendo dal taxi e ti invio il WhatsApp che ho in testa da un po’: “Sto entrando. Nella tua testa e, a breve, anche nel tuo corpo”.
Quando mi comporto così, riesco ancora a stupirmi di me stessa. So indossare maschere diverse a seconda del partner, a seconda del gioco che decidiamo di avviare e a seconda degli stimoli del momento. Alcune volte, come oggi, mi attira comportarmi come un uomo. Esprimermi come uno di quelli stronzi, strafottenti e irresistibili, che a noi donne fanno impazzire. Mi piace usare il mio compagno di giochi come un giocattolo da cui trarre il massimo piacere, senza implicazioni emotive. E la mia esperienza mi dice che alcuni sono in grado di farlo, altri si innamorano, altri si sentono usati e umiliati. Altri sono eccitati dalla sfida. Questi ultimi sono i miei preferiti. Soprattutto quando la perdono…
Entro, insieme a Carlotta, collega e complice, nell’edificio dove lavori. Ti ho avvisato solo perché mi diverte creare un po’ di suspence. E perché, come dice G.E. Lessing, l’attesa del piacere è essa stessa piacere. E io adoro farti godere.
Spingo la porta a vetri e incomincio ad annusare l’aria. E’ la parte animale che entra in azione. E’ l’istinto di caccia, o forse di difesa, che si risveglia e apre tutti i ricettori per osservare segnali, percepire movimenti, sentire odori. E mi lascia addosso una sensazione strana. Preda o predatore?
Non so se mi sento la cacciatrice che entra nella gabbia del leone o la leonessa che si avventura nell’accampamento del cacciatore. Forse più la seconda. Odio le gabbie. E sorrido, pensando allo stereotipo con cui abbiamo convissuto per anni, al paradigma dell’uomo dedito alla caccia e alla donna dedita al focolare e alla cura dei figli, scardinato ormai da anni dalla ricerca scientifica. E penso che nel mondo animale sono le leonesse ad occuparsi della caccia, mentre i leoni difendono il branco e le prede già catturate. La strategia delle leonesse è semplice. Un avvicinamento lento, cauto e silenzioso. Fino a raggiungere una distanza che permette l’affondo più profondo, quello che toglie il respiro e la vita, azzannando la preda al collo.
Il morso al collo fa tornare il pensiero a te. E’ una parte del tuo corpo che vorrei sentire da vicino, da molto vicino. Vorrei assaporarla con le labbra e sentirne la carne tra i denti. E’ tremendamente erotica ed erogena, collegata con un filo invisibile agli istinti sessuali più intimi.
A differenza della leonessa, non mi appropinquo silenziosa. Mi piace farmi sentire e farti sapere che ci sono, sto arrivando, sono ormai molto vicina. Mi attira l’idea di farti percepire la tensione crescente ed immaginare il tuo desiderio che aumenta e si dilata nelle tue vene.
Non so cosa succederà oggi o tra un mese e se succederà qualcosa, tra noi.
Ma mi piace sollecitare il tuo cervello, provocandoti stimoli capaci di scatenare sensazioni simili ad un orgasmo fisico, ma molto più intenso. E mi piace quando tu lo fai con me. E’ lui, il cervello, la chiave di tutto, è lui che provoca l’attivazione delle aree cerebrali e l’innesco delle reazioni chimiche. Innesco. Direi che è un termine appropriato. Quando sono eccitata, ho bisogno di essere disinnescata o, preferibilmente, deflagrata.
Oltre all’adrenalina e alla noradrenalina, viene rilasciata un’altra sostanza, che raggiunge livelli altissimi durante la fase di corteggiamento. Si chiama feniletilamina. La semplice vista dell’altro/a ne provoca il rilascio e la dilatazione delle pupille. E quando le pupille sono dilatate, a loro volta, provocano attrazione e dilatazione nelle pupille dell’altro. Non serve parlarsi, conoscersi o altro. Basta guardarsi. E’ una penetrazione profonda e sofisticata.
Dico il mio nome all’avvenente segretaria alla reception, segnalandole che ho un appuntamento con te. Ci fanno accomodare in attesa dell’incontro. Lei ti avvisa. Pochi secondi dopo mi arriva un tuo sms “Molto bene. Sei pronta?”
Sì, sono pronta a vederti, tesoro, o meglio ad incontrarti, visto che non ci siamo mai incontrati di persona. Tutto è iniziato grazie ad un progetto che, inizialmente, mi interessava molto poco, per non dire per nulla. Sono stata tirata dentro, controvoglia, da una collega entusiasta. Poi tu mi hai incuriosito. Ti ho studiato durante le riunioni online, ho osservato come ti comportavi e cosa dicevi. E al momento giusto ti ho scritto una mail. E tu hai abboccato…o sei caduto nella trappola, come preferisci.
Sono pronta. Certamente. Sono venuta io nella tua tana. Non ho paura. Vediamo cosa sai fare. Sorrido e ti rispondo “Sempre. Sono abituata a questi incontri”. Dopo pochi minuti, arrivi.
Anche se ti avevo osservato attentamente nei diversi meeting prima di oggi, la presenza fisica regala sempre sensazioni diverse. Sei un uomo indubbiamente molto affascinante, anche se non sei decisamente il mio tipo. Saranno gli occhi chiari, quelli più misteriosi, quelli a tratti algidi, che incutono un po’ di paura, quelli nella cui profondità rischi di perderti. Sarà la tua bocca perfettamente disegnata, quasi finta, come quella delle bambole. Saranno i tuoi tratti aristocratici, da gentiluomo di altri tempi, che vanno a braccetto con i tuoi pensieri osceni, con le tue frasi volgari, con le tue voglie scabrose.
La tua presenza fisica nella stanza si sente. Saranno i feromoni che trasmetti. Li percepisco chiaramente. Entrano dentro di me e vengono poi trasmessi direttamente al cervello, nell’ippotalamo, il centro di controllo degli istinti primordiali.
Anche Carlotta percepisce l’elettricità nell’aria e chiede alla segretaria se può utilizzare i servizi. Nel frattempo, tu ci inviti a spostarci nella sala riunioni. Carlotta si alza per prima, io dietro di lei e tu dietro di me. Sento il tuo respiro addosso. Sento i tuoi occhi, come se fossero mani, che mi toccano. Mi vengono i brividi, piccole scosse elettriche lungo tutta la spina dorsale e la pelle d’oca.
Quando entriamo nella sala riunioni, ti siedi e mi fai accomodare nella poltrona di fronte a te. Mi guardi le scarpe, le caviglie, le gambe, e poi sali… e mi fissi la bocca. Pensi di riuscire a mettermi a disagio, ma dovresti saperlo, sono abituata a gestire uomini e a fulminare con uno sguardo. E soprattutto la cosa che dovresti aver capito è che mi piace sentirti addosso. Mi siedo e incrocio le gambe. E’ il modo con cui mi ricordo di essere profondamente femmina…
Mentre aspettiamo, rimaniamo in silenzio, a guardarci. Io e te. Una sfida silenziosa di sguardi. Non capisco se stai cercando di dominarmi, come fanno gli animali quando si incontrano o se è una partita a scacchi, di quelle lente, di quelle in cui devi immaginare tutte le successive mosse e contromosse. Continuiamo a fissarci intensamente. Ora cambia il ritmo. Sembra una galoppata, con un puledro. Di quelli giovani, con grande foga, enorme energia e intensa passione. Di quelli con i quali devi stare molto attenta a battere bene la sella, puntando le ginocchia verso terra, contraendo intensamente i muscoli dell’interno coscia e sollevando ritmicamente il bacino. E’ l’unico modo per riuscire a sentirli e domarli.
Mentre ci guardiamo, mi cade dalle mani il cellulare. Pensi di aver vinto, tesoro, e ti rallegri con te stesso perché ho spostato lo sguardo. Lo vedo dal tuo sorriso. Mi piace darti la sensazione di aver vinto. E’ il momento in cui abbassi la guardia. Mi alzo dalla sedia per prendere il cellulare che è scivolato lontano e allungo indietro maliziosamente una gamba per rimanere in equilibrio mentre mi piego in avanti. Mi piace farlo, mi piace mostrarti il bordo di pizzo della calza autoreggente e il reggicalze che fuoriescono monelli dallo spacco della gonna. Mi giro, ti guardo e ti trovo con lo sguardo imbambolato e con gli occhi piantati sul mio culo. “Tutto bene?” Ti chiedo. Mi guardi “Sarà divertente questa riunione”. Bene, ora possiamo iniziare.
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