Il regalo di nozze (parte 1)

di
genere
sadomaso

Erano venuti a prenderla nel pomeriggio.
Sapeva che sarebbero arrivati quel giorno ma non sapeva a che ora. Da molte notti non dormiva. Anzi, aveva iniziato a non dormire quando era iniziato il processo.
Ormai, con le leggi in vigore da molti anni, prima ancora che lei fosse nata, per quasi tutte le condanne non c’era la prigione (ormai, utilizzata solo in attesa di processo) ma la condanna alla schiavitù. Con il ricavato della vendita sarebbero stati soddisfatti lo Stato e gli eventuali creditori.
Questo aveva risolto il problema del sovraccarico delle carceri e, soprattutto, dei costi per i quali lo Stato non si sarebbe più fatto carico.
Dal giorno della condanna, il sonno era ridotto a poche ore, nemmeno tutte di fila. Mangiava poco e, cosa che più la faceva stare male, il suo compagno, convivente da anni, aveva preso le distanze. Non le era stato vicino e, una volta condannata, era praticamente sparito.
Non era rimasto a casa nemmeno il giorno in cui sarebbero venuti a prenderla per la vendita quale schiava.
Era uscito il mattino presto, senza nemmeno salutarla.
Non dormivano nemmeno più assieme.
Lei lo aveva sentito vestirsi e uscire piano piano nemmeno per l’ultimo saluto dopo anni di fidanzamento e di convivenza.
Lei stessa, ormai, si sentiva appartenente ad un altro mondo ma le sarebbe piaciuto un saluto finale a quello vecchio, nel quale era stata fino a pochi giorni addietro.
Lei stessa, nella sua precedente vita, aveva avuto qualche schiava. Una era stata acquistata dai suoi genitori, ed una durante la convivenza con Diego. Si era divertita e se ne era servita per una vita comoda ed eccitante, mai avendo disdegnato gli usi sessuali.
Aveva anche insistito per acquistare uno schiavo maschio ed aveva quasi convinto il suo amore. Erano anche andati a vederne un paio nei saloni delle vendite, ma si erano fermati quando era arrivato il capo di imputazione che aveva bloccato il mondo, il suo, almeno.
Le avevano sequestrato subito la schiava, che era intestata a lei. Non si era mai chiesta che fine avesse fatto, nemmeno adesso, che anche lei era stata traghettata in quell’altro mondo.
Non furono gentili gli addetti al prelievo. Nemmeno l’ufficiale giudiziario, incaricato dell’esecuzione, lo era stato.
L’aveva fatta spogliare ed inginocchiare, davanti agli operai addetti al trasporto, come fosse una cosa.
Sapeva come venivano trattati e considerati gli schiavi, ma non si era mai resa conto di cosa avrebbero potuto provare, quando era lei la Padrona.
Adesso cominciava a vedere l’altro lato della medaglia e sapeva che non ci si sarebbe mai abituata.
Era particolarmente bella e si aspettava di essere abusata dagli operai addetti al trasporto. Invece non accadde nulla. Nuda, la incatenarono e la portarono nel camion merci, dove già c’erano altri schiavi e schiave, tutti incatenati.
Non si era mai chiesta cosa potesse accadere nei centri di addestramento, né aveva fatto domande alle sue schiave, semplicemente perchè non le interessava, così come non interessa cosa accade ad una autovettura al momento della costruzione: la si acquista e la si usa, altro non importa.
Si aspettava, però, che nel centro di addestramento al quale era stata portata venisse frustata e abusata.
Invece nulla di tutto questo.
Aveva capito che c’erano diversi trattamenti nel centro. Lei si trovava in un’ala in cui le schiave e gli schiavi erano tenuti bene. Veniva comunque insegnata l’ubbidienza e la sottomissione, ma senza mezzi coercitivi che lasciassero segni. Quando le capitava di incrociare altre schiave o schiavi, aveva modo di vedere i loro corpi segnati dalle frustate.
Da quanto aveva avuto modo di sentire, in quell’area si trovavano coloro che erano già stati acquistati o, almeno, vi era stata una dimostrazione di interesse.
Ogni tanto, da lontano, sentiva lamenti maschili e femminili e ringraziava quella che cominciava a considerare la sua buona stella, pur senza sapere quale fosse ma che, al momento, le aveva assicurato un trattamento quasi umano.
Lei stessa si impegnava ad imparare la sottomissione e si mostrava docile, sapendo che comunque non avrebbe dovuto lasciarsi scappare quell’occasione. Se veniva trattata bene al centro, con buone probabilità anche con chi l’avesse acquistata si sarebbe trovato bene. Questa, almeno, era la sua speranza e non voleva fare nulla per infrangerla.
Così, si inginocchiava a dovere avendo imparato le posizioni con i relativi nomi. Leccava piedi, cazzi, fighe e culi in maniera tale da imparare a soddisfare.
Sempre più si chiedeva quanto sarebbe rimasta ancora in quel centro, sempre con la paura di vedere cambiato il trattamento magari, per qualche strano motivo, perché chi aveva manifestato interesse per lei aveva nel frattempo cambiato idea.
Sperava di essere portata dal Padrone o dai Padroni il più presto possibile e, si era ripromessa, li avrebbe serviti al meglio, più per il timore di perdere quella sensazione o, meglio, quella speranza, che per il senso di devozione che, sapeva, non avrebbe mai avuto.
Nemmeno dalle sue schiave aveva avuto devozione. Anzi, sapeva che le sue schiave avevano timore dei Padroni, di lei, dei suoi genitori e del suo (ormai ex) compagno. Non le interessava. A lei piaceva l’ubbidienza e, anzi, quella paura negli occhi le dava piacere, le trasmetteva quel senso di potere che eccita e che, temeva, ora avrebbero avuto i suoi Padroni verso di lei.
Aveva paura, sì, ne aveva ed anche tanta. Si era imposta di comportarsi il meglio possibile perché sapeva cosa avrebbero potuto fare i Padroni ad una schiava.
Vedeva che in quel centro veniva trattata bene, anzi, meglio delle altre e questo le dava speranza, alla quale voleva attaccarsi.
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2023-09-19
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