Nicole
di
Kugher
genere
sentimentali
“Questo cazzo di navigatore!”
In realtà la colpa non era di google maps, quanto di Luca, l’autista che, al solito, riusciva a sbagliare le uscite anche sotto la guida elettronica.
“Ti avevo detto di attivare la guida vocale. E comunque l’uscita era tra 200 metri”.
Enrico, seduto al fianco, lo prendeva allegramente in giro, essendo ben nota la sua incapacità nel seguire “quel maledetto affare”, quasi rimpiangesse le vecchie cartine stradali con le quali aveva iniziato a girare e che aveva abbandonato controvoglia.
Il tono leggermente più alto del solito ebbe l’effetto di svegliare Nicole, seduta sul sedile posteriore.
“Ben svegliata principessa”.
Solo Enrico la chiamava in quel modo, il suo manager da anni, anzi, l’unico manager, colui che l’aveva scoperta ad una banalissima partita di pallavolo, e lanciata nel mondo della moda quale modella di successo.
Lei odiava quel nomigliolo, ma non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo.
La giovane donna era ancora assonnata mentre si guardava distrattamente in giro osservando scorrere i muri anonimi di Milano.
“Che succede?”, chiese stiracchiandosi e spingendo in fuori i seni, con quel suo modo di fare che riusciva a rendere sexy ogni mossa. Un comportamento istintivo, che colpiva per la sua naturalezza in quanto insito in lei e non forzato.
Questo aveva decretato il suo successo come modella ed il suo fallimento nell’unica esperienza da attrice, fermatasi al provino in una calda giornata di luglio quando, raccomandata da Enrico, un noto regista l’aveva, controvoglia, sottoposta ad una prova di recitazione.
Nicole era sexy al naturale ma incapace di fingere e, quindi, di recitare.
“Luca ritiene che il navigatore gli abbia indicato l’uscita sbagliata”.
Il tono divertito della voce descriveva il sorriso protetto dall’oscurità dell’abitacolo.
Ormai sveglia, la donna cominciò a guardarsi intorno. Avevano viaggiato tanto, tornando dalla sfilata di Firenze, imbottigliati nei cantieri sulla A1,
Era un periodo difficile. Le tensioni ed i ritmi nel suo mondo erano tanti e aveva sempre fatto fatica a reggerle.
Ultimamente anche con Enrico le cose non andavano benissimo a causa di un contratto che non la convinceva. Lo aveva fatto leggere ad un suo ex, un avvocato, che le aveva consigliato di modificare alcune clausole, ma il manager l’aveva praticamente costretta a firmare.
Quel mondo non la affascinava più. Si sentiva sola, invidiata dalle colleghe e corteggiata da chi la voleva solo scopare. Anche Enrico ogni tanto ci provava.
Mentre le luci dei lampioni illuminavano la via, si soffermò a giocare distrattamente con l’anello di diamanti tenuto al dito indice della mano destra. Era l’unico anello che portava, lasciatole dalla mamma e che, a sua volta, era appartenuto alla nonna, dal quale non si separava mai, quale simbolo che univa 3 generazioni.
Il pensiero corse alla sua camera da letto, nella quale, sul comò, aveva le foto dei suoi genitori. I due anni passati dalla loro perdita non erano stati sufficienti a toglierle quel peso al petto, forte al punto da trapassarla e lasciare un vuoto.
La tristezza venne scacciata d’improvviso e l’attenzione ne prese subitanea il posto quando, ad un semaforo, quei muri, inizialmente anonimi, cominciarono ad avere tratti familiari, fino a riconoscere vie, traverse e palazzi.
“Ma io qui ci sono nata!”.
La voce comunicava eccitazione e, con essa, era sparita anche la malinconia e la stanchezza.
Riconobbe il centro polifunzionale all’angolo. Ebbe modo di vederlo bene e, con esso, la scalinata che lo collegava al marciapiede.
Cercò tratti noti, quelli che, oltre ai palazzi, danno colore e calore alla città, quei segni che l’uomo lascia e che restano fermi nella memoria, al punto da provare dispiacere nel vedere i tabelloni pubblicitari recanti prodotti recenti, che le ricordarono che quelli non erano più i muri che aveva accarezzato con la mano quando, bambina, vi correva aderente.
I graffiti su quella scalinata erano nuovi e si chiese se, in un angolo, fosse rimasto quel tratto a pennarello che aveva tracciato quando, giovanissima, aveva una cotta per Fabrizio, il meccanico apprendista in quell’officina dove suo padre portava sempre la sua vecchia auto che non si poteva permettere di cambiare e che continuava a riparare cercando di spendere sempre il meno possibile.
Enrico la riportò al presente, lamentandosi della fame che si era fatta troppo pressante.
“Là c’è una pizzeria e c’è pure un parcheggio vicino”.
Era stata Nicole ad individuare il locale, mentre continuava a cercare tra i ricordi di quel pezzo di città. La pizzeria si trovava dove anni addietro ricordava esserci stata una libreria nella quale comperava i libri di scuola.
Fu la prima a scendere.
Da quanti anni mancava da quel quartiere, quanti ricordi, quanti dolori, quanti piaceri, quante emozioni.
La mente corse subito a papà e mamma che, adesso, poteva solo vedere nella foto in camera sua, in Corso Venezia, lontanissima da lì non solo per i chilometri che separavano i due luoghi, ma per le vite completamente diverse.
“Ho fame anche io”, disse Nicole con rinnovata energia.
“Sì, ma a te spetta al massimo una insalata”.
Enrico la prendeva sempre in giro sull’alimentazione e le rinunce cui era costretta.
Alle pareti del locale anonimo di periferia, c’erano immagini di vario tipo, tutte delle stesse dimensioni e appese ordinatamente in due file: la Tour Eiffel, il Colosseo, Dean Martin, la Vela di Dubai, il Gran Canyon, una scena del film Interstellar.
Nicole le guardava distrattamente, mentre i suoi compagni di viaggio si attardavano sulla scelta della pizza, avendone trovate tante che ispiravano simpatia.
Lei aveva già scelto, ricorrendo alle tristi direttive del suo nutrizionista.
Annoiata, continuava a percorrere con gli occhi le immagini sui muri, quasi tutti luoghi dove era stata.
L’attirò invece l’immagine di un giovane meccanico in un'officina, sulla quale la prima volta era passata velocemente e, non avendolo riconosciuto, era andata oltre. Ritornò su quella immagine perchè ne sentiva il bisogno, come se l’inconscio l’avesse nuovamente guidata, a ritroso, fino a soffermarsi su quella foto in bianco e nero.
Niente da fare, non riconosceva il giovane né la scena del film.
Si concentrò su Enrico che le stava parlando ma, improvvisamente, la mente si estraniò, smise di ascoltare pur sentendo quello che il manager le stava dicendo a proposito della sfilata di domani, nella sua città, Milano, nel quadrilatero della moda.
Il pensiero era altrove, attratto come una calamita fortissima da quella foto nella quale, lentamente, riconobbe i dettagli. D’improvviso si sentì precipitata nel passato, aspirata da quella immagine che, vorticosamente, la proiettò indietro nel tempo.
Gli anni che la separavano dall’epoca di quello scatto non erano misurabili in numero ma in esperienze di vita, la sua, quando lasciò quel quartiere con i suoi genitori, poi lanciata nella moda, grazie al sua bellezza e alla sensualità che era in lei, naturale e spontanea e che i bravi fotografi sapevano immortalare ed evidenziare.
Non era la scena di un film, maledizione!
Era la foto di Fabrizio, il ragazzo per il quale aveva avuto una cotta da giovanissima. Subito voltò lo sguardo in giro per il locale non pienissimo di gente. Il rumore tipico che le persone in una sala generano, era scomparso, per lasciare spazio al turbinio di pensieri e ad un lieve fischio nelle orecchie che segnalava al suo cervello ciò che il cuore in quel momento stava provando, tra i mille battiti che non riusciva a fermare né a contare.
Lo trovò alla cassa.
Era lui!
Era Fabrizio!
Evidentemente quella era la sua pizzeria.
Non pensò ad altro se non alle sensazioni di anni addietro, quando viveva tra quelle vie, alla scuola, alle amiche, alla spensieratezza ed ai discorsi in casa sulla mancanza dei soldi, sempre pochi.
Il respiro divenne affannato e non sentì Enrico che le stava chiedendo se tutto stesse andando bene.
Fabrizio!
Era ancora molto bello, con quel ciuffo che non riusciva mai a tenere a posto.
Fabrizio senza la bandana legata al polso che lo caratterizzava quando era giovane.
Fabrizio che la guardava camminare davanti all’officina e non osava avvicinarla. Lei ogni volta allungava il giro per passare davanti all’officina, anche allora con i battiti veloci.
Fabrizio!
Avvertì in quel momento ciò che negli ultimi anni le era mancato, quando, pur corteggiata, non riusciva a provare quel qualcosa in più nello stare con gli uomini, quel qualcosa che non riusciva a trasformare la scopata nel “fare l’amore”. Uomini attratti dalla sua bellezza ed eccitati dalla sua sensualità, che lei stessa frequentava, inutilmente, per sentirsi viva e che duravano pochissimo, giusto il tempo di una notte spensierata.
Non riuscì a fermarsi e si alzò, senza sapere dove andare e cosa fare.
Seguì l’istinto, quello della sua sensualità innata, quello della cacciatrice, quello che le faceva avere tutti gli uomini che voleva.
Si accorse di provare un minimo di imbarazzo perché quell’uomo era una parte dei suoi ricordi, era emozione di una ex vita fatta di preoccupazioni futili, di una vita in cui c’erano ancora sua papà e sua mamma, che ora poteva solo vedere in quella fotografia sul comò.
Andò in bagno passando davanti a Fabrizio, senza guardarlo ma muovendosi con sensualità.
Ancheggiava quel tanto da non essere volgare ma abbastanza da attirare gli sguardi.
Accortasi che la stava osservando, fece finta di girarsi, come se le fosse venuto in mente qualcosa da chiedere ai suoi amici al tavolo e, così, fece ondeggiare i lunghi capelli e vedere il seno di profilo, così come tutta la sua immagine.
Girò nuovamente su sé stessa, sicura di essere stata guardata bene e, prima di entrare in bagno, si girò per guardare Fabrizio, molto fugacemente, come se fosse distratta, ma abbastanza per far vedere i suoi occhi ed il suo corpo, come se lo stesse chiamando.
Al momento di entrare in bagno, aprì poco la porta con una mano e, come se le fosse sfuggita la presa, diede un colpo con l'anca per aprirla quel tanto che le consentisse di entrare di profilo, mostrando il culo “a mandolino” che tanto piaceva agli uomini.
Poco prima di entrare del tutto, guardò nuovamente Fabrizio, come se volesse condividere con lui la scena leggera e simpatica di una donna che non riesce ad aprire la porta.
Quando uscì, senza guardarlo sapeva di avere addosso i suoi occhi, sorridendo tra sé nel vedere, con la coda dell’occhio, che lui subito girò la testa.
Al tavolo venne lui a prendere l'ordinazione e lei lo ignorò quel tanto per disilluderlo ma, al momento dell’ordinazione, alzò gli occhi ed impercettibilmente spinse i seni in fuori.
Prima di fare l’ordinazione si sistemò i capelli dietro l’orecchio, abbassando leggermente il capo mentre guardava Fabrizio dal basso.
Cazzo!
Era eccitata!
Sì, decisamente, era eccitata da quell’uomo, dai suoi ricordi, dal desiderio che aveva di lui da ragazza quando qualche volta, immaginandolo nudo e sopra di sé, si era masturbata.
Voleva scopare col passato.
Sapeva di avere attirato la sua attenzione e vedeva i suoi occhi sempre posati su di lei.
L’uomo era troppo attratto dalla sua bellezza e sensualità per capire chi lei fosse.
Non avrebbe potuto riconoscerla, era un’altra donna, un’altra persona, un’altra anima con nuove esperienze e delusioni, solitudine.
Terminato il frugale pasto, andò ancora in bagno e, passando davanti a Fabrizio, lo guardò appena con occhi che erano un invito, occhi di desiderio, occhi di sesso, occhi di piacere, occhi pieni di promesse erotiche.
Prima che la porta del bagno si fosse chiusa alle sue spalle, si girò ancora per guardare Fabrizio.
L’uomo arrivò poco dopo.
Lei lo aspettava con la schiena al muro, per fargli capire che davanti a lui non aveva vie di fuga.
Aveva le braccia e le mani aderenti al muro, in modo da evidenziare i seni.
Una gamba era ripiegata su sé stessa e la scarpa, all’altezza dell’altro ginocchio, appoggiava alla parete, ottenendo l’effetto di aprire lo spacco del vestito e rivelare la lunga gamba.
Fabrizio era evidentemente eccitato.
Le si avvicinò e, all’ultimo, ebbe quasi un’esitazione, un timore per quella donna così bella, incredulo che volesse lui, proprio lui.
L’ultimo invito venne con le labbra appena dischiuse ed il seno leggermente spinto in avanti.
La baciò sul collo mentre il suo corpo era aderente, la mano sulla gamba fino a raggiungere la coscia e, da lì, fino al solco privo delle mutandine, tolte quando era entrata in bagno la volta precedente. Questo ebbe l’effetto di indurire un cazzo già duro, di fargli stringere la mano su quel seno piccolo e sodo in modo da averlo completamente in mano e farle sentire la presa di possesso.
La mano non impegnata all’inguine salì dal seno e le prese i capelli per farle alzare la testa, trovando quella resa che lo eccitò ancor di più, facendogli accorciare il respiro ed aumentare i battiti del cuore quasi fino a sentirseli uscire dal petto.
La lingua leccava il collo profumato, mentre il dito entrava nella figa umida, promessa di piacere e di accoglimento.
La mano sui capelli la portò a girarsi.
Fabrizio la spinse col suo corpo contro il muro.
Nicole arretrò col bacino per offrirsi e, in un attimo, si sentì penetrare da un cazzo di marmo, durissimo, pieno di quella eccitazione e desiderio che lei era riuscita a procurargli con la sua innata sensualità e bellezza.
Mentre veniva scopata, si sentì proiettata indietro nel tempo, come se una forza di luce la trascinasse attraverso una finestra e la proiettasse in una domenica di aprile, una delle ultime in quel quartiere, quando suo padre la mandò a comprare le sigarette e lei passò davanti al muretto dove vide Fabrizio, con la moto e la bandana al polso, quel Fabrizio che la guardava senza avere il coraggio di fare il passo, mentre a lei il cuore batteva da morire e lui restava muto, quasi desiderosa di avvicinarsi ma priva, al pari di lui, del coraggio sufficiente, fino a che non tornò da suo padre e si gettò sul letto in lacrime, perché sapeva che non lo avrebbe visto più.
Tornata al tavolo con lo sperma che in parte le era rimasto sulle cosce, si sentì improvvisamente vuota, perchè si rese conto di avere scopato con sè stessa, coi suoi ricordi, con le emozioni da ragazza, quando i suoi genitori c’erano ancora, quando l’unico pensiero era la scuola e il trasloco imminente che l’avrebbe strappata da quel quartiere, dal loro appartamento acquistato con sacrifici e rinunzie, anche sue, perchè i suoi dovevano pagare il mutuo.
Si sentì sola.
Come sola fu la sera, nel letto, a casa sua.
Il Fabrizio che l’aveva scopata non era Fabrizio, ma solo un ricordo, come se avesse avuto adesso ciò che desiderava all’epoca.
Aveva vissuto un momento impari, perché lei aveva scopato con i ricordi, e lui, che non l’aveva riconosciuta, aveva scopato solo con un corpo a caso, entrato per caso nella sua pizzeria.
Improvvisamente si sentì come se l’avesse tradito, usato.
Non che si fosse mai fatta scrupoli in passato.
Ma adesso no.
Adesso era diverso.
Adesso era come se avesse tradito sé stessa da giovane, coi suoi ricordi.
Pianse, da sola, senza rispondere alla chiamata di Enrico che, per la terza volta, faceva suonare il telefono finché non fosse entrata la segreteria.
Due giorni dopo, sentì che il vuoto era quasi sparito, riempito dal piacere delle emozioni dei ricordi.
Osservò i suoi genitori in quella foto posata sul comò, scattata quando erano appena entrati nell’appartamento nuovo che lei era riuscita a regalargli coi primi ricchi contratti.
In quella foto mancava lei perché reggeva la macchina fotografica e, col senno di poi, si arrabbiò con sé stessa per non avere fatto ricorso all’autoscatto.
Si vestì in fretta, con un paio di jeans ed una camicetta bianca non molto attillata e priva di scollatura.
Alle scarpe col tacco preferì un paio di Adidas bianche.
Il taxi la portò fino alla pizzeria di Fabrizio.
Era presto.
Il locale era ancora chiuso, ma dentro vide lui ed il personale che stavano preparando i tavoli.
Si avvicinò alla porta a vetri e aspettò di essere notata.
Fabrizio le aprì la porta, imbarazzato, stupito per la sua presenza, avendo ormai relegato la scopata di qualche sera addietro ai ricordi che avrebbe pensato di definire impossibili.
Era imbarazzata anche Nicole quando gli rivolse la parola.
“Ciao Fabrizio, sono Nicole…”
In realtà la colpa non era di google maps, quanto di Luca, l’autista che, al solito, riusciva a sbagliare le uscite anche sotto la guida elettronica.
“Ti avevo detto di attivare la guida vocale. E comunque l’uscita era tra 200 metri”.
Enrico, seduto al fianco, lo prendeva allegramente in giro, essendo ben nota la sua incapacità nel seguire “quel maledetto affare”, quasi rimpiangesse le vecchie cartine stradali con le quali aveva iniziato a girare e che aveva abbandonato controvoglia.
Il tono leggermente più alto del solito ebbe l’effetto di svegliare Nicole, seduta sul sedile posteriore.
“Ben svegliata principessa”.
Solo Enrico la chiamava in quel modo, il suo manager da anni, anzi, l’unico manager, colui che l’aveva scoperta ad una banalissima partita di pallavolo, e lanciata nel mondo della moda quale modella di successo.
Lei odiava quel nomigliolo, ma non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo.
La giovane donna era ancora assonnata mentre si guardava distrattamente in giro osservando scorrere i muri anonimi di Milano.
“Che succede?”, chiese stiracchiandosi e spingendo in fuori i seni, con quel suo modo di fare che riusciva a rendere sexy ogni mossa. Un comportamento istintivo, che colpiva per la sua naturalezza in quanto insito in lei e non forzato.
Questo aveva decretato il suo successo come modella ed il suo fallimento nell’unica esperienza da attrice, fermatasi al provino in una calda giornata di luglio quando, raccomandata da Enrico, un noto regista l’aveva, controvoglia, sottoposta ad una prova di recitazione.
Nicole era sexy al naturale ma incapace di fingere e, quindi, di recitare.
“Luca ritiene che il navigatore gli abbia indicato l’uscita sbagliata”.
Il tono divertito della voce descriveva il sorriso protetto dall’oscurità dell’abitacolo.
Ormai sveglia, la donna cominciò a guardarsi intorno. Avevano viaggiato tanto, tornando dalla sfilata di Firenze, imbottigliati nei cantieri sulla A1,
Era un periodo difficile. Le tensioni ed i ritmi nel suo mondo erano tanti e aveva sempre fatto fatica a reggerle.
Ultimamente anche con Enrico le cose non andavano benissimo a causa di un contratto che non la convinceva. Lo aveva fatto leggere ad un suo ex, un avvocato, che le aveva consigliato di modificare alcune clausole, ma il manager l’aveva praticamente costretta a firmare.
Quel mondo non la affascinava più. Si sentiva sola, invidiata dalle colleghe e corteggiata da chi la voleva solo scopare. Anche Enrico ogni tanto ci provava.
Mentre le luci dei lampioni illuminavano la via, si soffermò a giocare distrattamente con l’anello di diamanti tenuto al dito indice della mano destra. Era l’unico anello che portava, lasciatole dalla mamma e che, a sua volta, era appartenuto alla nonna, dal quale non si separava mai, quale simbolo che univa 3 generazioni.
Il pensiero corse alla sua camera da letto, nella quale, sul comò, aveva le foto dei suoi genitori. I due anni passati dalla loro perdita non erano stati sufficienti a toglierle quel peso al petto, forte al punto da trapassarla e lasciare un vuoto.
La tristezza venne scacciata d’improvviso e l’attenzione ne prese subitanea il posto quando, ad un semaforo, quei muri, inizialmente anonimi, cominciarono ad avere tratti familiari, fino a riconoscere vie, traverse e palazzi.
“Ma io qui ci sono nata!”.
La voce comunicava eccitazione e, con essa, era sparita anche la malinconia e la stanchezza.
Riconobbe il centro polifunzionale all’angolo. Ebbe modo di vederlo bene e, con esso, la scalinata che lo collegava al marciapiede.
Cercò tratti noti, quelli che, oltre ai palazzi, danno colore e calore alla città, quei segni che l’uomo lascia e che restano fermi nella memoria, al punto da provare dispiacere nel vedere i tabelloni pubblicitari recanti prodotti recenti, che le ricordarono che quelli non erano più i muri che aveva accarezzato con la mano quando, bambina, vi correva aderente.
I graffiti su quella scalinata erano nuovi e si chiese se, in un angolo, fosse rimasto quel tratto a pennarello che aveva tracciato quando, giovanissima, aveva una cotta per Fabrizio, il meccanico apprendista in quell’officina dove suo padre portava sempre la sua vecchia auto che non si poteva permettere di cambiare e che continuava a riparare cercando di spendere sempre il meno possibile.
Enrico la riportò al presente, lamentandosi della fame che si era fatta troppo pressante.
“Là c’è una pizzeria e c’è pure un parcheggio vicino”.
Era stata Nicole ad individuare il locale, mentre continuava a cercare tra i ricordi di quel pezzo di città. La pizzeria si trovava dove anni addietro ricordava esserci stata una libreria nella quale comperava i libri di scuola.
Fu la prima a scendere.
Da quanti anni mancava da quel quartiere, quanti ricordi, quanti dolori, quanti piaceri, quante emozioni.
La mente corse subito a papà e mamma che, adesso, poteva solo vedere nella foto in camera sua, in Corso Venezia, lontanissima da lì non solo per i chilometri che separavano i due luoghi, ma per le vite completamente diverse.
“Ho fame anche io”, disse Nicole con rinnovata energia.
“Sì, ma a te spetta al massimo una insalata”.
Enrico la prendeva sempre in giro sull’alimentazione e le rinunce cui era costretta.
Alle pareti del locale anonimo di periferia, c’erano immagini di vario tipo, tutte delle stesse dimensioni e appese ordinatamente in due file: la Tour Eiffel, il Colosseo, Dean Martin, la Vela di Dubai, il Gran Canyon, una scena del film Interstellar.
Nicole le guardava distrattamente, mentre i suoi compagni di viaggio si attardavano sulla scelta della pizza, avendone trovate tante che ispiravano simpatia.
Lei aveva già scelto, ricorrendo alle tristi direttive del suo nutrizionista.
Annoiata, continuava a percorrere con gli occhi le immagini sui muri, quasi tutti luoghi dove era stata.
L’attirò invece l’immagine di un giovane meccanico in un'officina, sulla quale la prima volta era passata velocemente e, non avendolo riconosciuto, era andata oltre. Ritornò su quella immagine perchè ne sentiva il bisogno, come se l’inconscio l’avesse nuovamente guidata, a ritroso, fino a soffermarsi su quella foto in bianco e nero.
Niente da fare, non riconosceva il giovane né la scena del film.
Si concentrò su Enrico che le stava parlando ma, improvvisamente, la mente si estraniò, smise di ascoltare pur sentendo quello che il manager le stava dicendo a proposito della sfilata di domani, nella sua città, Milano, nel quadrilatero della moda.
Il pensiero era altrove, attratto come una calamita fortissima da quella foto nella quale, lentamente, riconobbe i dettagli. D’improvviso si sentì precipitata nel passato, aspirata da quella immagine che, vorticosamente, la proiettò indietro nel tempo.
Gli anni che la separavano dall’epoca di quello scatto non erano misurabili in numero ma in esperienze di vita, la sua, quando lasciò quel quartiere con i suoi genitori, poi lanciata nella moda, grazie al sua bellezza e alla sensualità che era in lei, naturale e spontanea e che i bravi fotografi sapevano immortalare ed evidenziare.
Non era la scena di un film, maledizione!
Era la foto di Fabrizio, il ragazzo per il quale aveva avuto una cotta da giovanissima. Subito voltò lo sguardo in giro per il locale non pienissimo di gente. Il rumore tipico che le persone in una sala generano, era scomparso, per lasciare spazio al turbinio di pensieri e ad un lieve fischio nelle orecchie che segnalava al suo cervello ciò che il cuore in quel momento stava provando, tra i mille battiti che non riusciva a fermare né a contare.
Lo trovò alla cassa.
Era lui!
Era Fabrizio!
Evidentemente quella era la sua pizzeria.
Non pensò ad altro se non alle sensazioni di anni addietro, quando viveva tra quelle vie, alla scuola, alle amiche, alla spensieratezza ed ai discorsi in casa sulla mancanza dei soldi, sempre pochi.
Il respiro divenne affannato e non sentì Enrico che le stava chiedendo se tutto stesse andando bene.
Fabrizio!
Era ancora molto bello, con quel ciuffo che non riusciva mai a tenere a posto.
Fabrizio senza la bandana legata al polso che lo caratterizzava quando era giovane.
Fabrizio che la guardava camminare davanti all’officina e non osava avvicinarla. Lei ogni volta allungava il giro per passare davanti all’officina, anche allora con i battiti veloci.
Fabrizio!
Avvertì in quel momento ciò che negli ultimi anni le era mancato, quando, pur corteggiata, non riusciva a provare quel qualcosa in più nello stare con gli uomini, quel qualcosa che non riusciva a trasformare la scopata nel “fare l’amore”. Uomini attratti dalla sua bellezza ed eccitati dalla sua sensualità, che lei stessa frequentava, inutilmente, per sentirsi viva e che duravano pochissimo, giusto il tempo di una notte spensierata.
Non riuscì a fermarsi e si alzò, senza sapere dove andare e cosa fare.
Seguì l’istinto, quello della sua sensualità innata, quello della cacciatrice, quello che le faceva avere tutti gli uomini che voleva.
Si accorse di provare un minimo di imbarazzo perché quell’uomo era una parte dei suoi ricordi, era emozione di una ex vita fatta di preoccupazioni futili, di una vita in cui c’erano ancora sua papà e sua mamma, che ora poteva solo vedere in quella fotografia sul comò.
Andò in bagno passando davanti a Fabrizio, senza guardarlo ma muovendosi con sensualità.
Ancheggiava quel tanto da non essere volgare ma abbastanza da attirare gli sguardi.
Accortasi che la stava osservando, fece finta di girarsi, come se le fosse venuto in mente qualcosa da chiedere ai suoi amici al tavolo e, così, fece ondeggiare i lunghi capelli e vedere il seno di profilo, così come tutta la sua immagine.
Girò nuovamente su sé stessa, sicura di essere stata guardata bene e, prima di entrare in bagno, si girò per guardare Fabrizio, molto fugacemente, come se fosse distratta, ma abbastanza per far vedere i suoi occhi ed il suo corpo, come se lo stesse chiamando.
Al momento di entrare in bagno, aprì poco la porta con una mano e, come se le fosse sfuggita la presa, diede un colpo con l'anca per aprirla quel tanto che le consentisse di entrare di profilo, mostrando il culo “a mandolino” che tanto piaceva agli uomini.
Poco prima di entrare del tutto, guardò nuovamente Fabrizio, come se volesse condividere con lui la scena leggera e simpatica di una donna che non riesce ad aprire la porta.
Quando uscì, senza guardarlo sapeva di avere addosso i suoi occhi, sorridendo tra sé nel vedere, con la coda dell’occhio, che lui subito girò la testa.
Al tavolo venne lui a prendere l'ordinazione e lei lo ignorò quel tanto per disilluderlo ma, al momento dell’ordinazione, alzò gli occhi ed impercettibilmente spinse i seni in fuori.
Prima di fare l’ordinazione si sistemò i capelli dietro l’orecchio, abbassando leggermente il capo mentre guardava Fabrizio dal basso.
Cazzo!
Era eccitata!
Sì, decisamente, era eccitata da quell’uomo, dai suoi ricordi, dal desiderio che aveva di lui da ragazza quando qualche volta, immaginandolo nudo e sopra di sé, si era masturbata.
Voleva scopare col passato.
Sapeva di avere attirato la sua attenzione e vedeva i suoi occhi sempre posati su di lei.
L’uomo era troppo attratto dalla sua bellezza e sensualità per capire chi lei fosse.
Non avrebbe potuto riconoscerla, era un’altra donna, un’altra persona, un’altra anima con nuove esperienze e delusioni, solitudine.
Terminato il frugale pasto, andò ancora in bagno e, passando davanti a Fabrizio, lo guardò appena con occhi che erano un invito, occhi di desiderio, occhi di sesso, occhi di piacere, occhi pieni di promesse erotiche.
Prima che la porta del bagno si fosse chiusa alle sue spalle, si girò ancora per guardare Fabrizio.
L’uomo arrivò poco dopo.
Lei lo aspettava con la schiena al muro, per fargli capire che davanti a lui non aveva vie di fuga.
Aveva le braccia e le mani aderenti al muro, in modo da evidenziare i seni.
Una gamba era ripiegata su sé stessa e la scarpa, all’altezza dell’altro ginocchio, appoggiava alla parete, ottenendo l’effetto di aprire lo spacco del vestito e rivelare la lunga gamba.
Fabrizio era evidentemente eccitato.
Le si avvicinò e, all’ultimo, ebbe quasi un’esitazione, un timore per quella donna così bella, incredulo che volesse lui, proprio lui.
L’ultimo invito venne con le labbra appena dischiuse ed il seno leggermente spinto in avanti.
La baciò sul collo mentre il suo corpo era aderente, la mano sulla gamba fino a raggiungere la coscia e, da lì, fino al solco privo delle mutandine, tolte quando era entrata in bagno la volta precedente. Questo ebbe l’effetto di indurire un cazzo già duro, di fargli stringere la mano su quel seno piccolo e sodo in modo da averlo completamente in mano e farle sentire la presa di possesso.
La mano non impegnata all’inguine salì dal seno e le prese i capelli per farle alzare la testa, trovando quella resa che lo eccitò ancor di più, facendogli accorciare il respiro ed aumentare i battiti del cuore quasi fino a sentirseli uscire dal petto.
La lingua leccava il collo profumato, mentre il dito entrava nella figa umida, promessa di piacere e di accoglimento.
La mano sui capelli la portò a girarsi.
Fabrizio la spinse col suo corpo contro il muro.
Nicole arretrò col bacino per offrirsi e, in un attimo, si sentì penetrare da un cazzo di marmo, durissimo, pieno di quella eccitazione e desiderio che lei era riuscita a procurargli con la sua innata sensualità e bellezza.
Mentre veniva scopata, si sentì proiettata indietro nel tempo, come se una forza di luce la trascinasse attraverso una finestra e la proiettasse in una domenica di aprile, una delle ultime in quel quartiere, quando suo padre la mandò a comprare le sigarette e lei passò davanti al muretto dove vide Fabrizio, con la moto e la bandana al polso, quel Fabrizio che la guardava senza avere il coraggio di fare il passo, mentre a lei il cuore batteva da morire e lui restava muto, quasi desiderosa di avvicinarsi ma priva, al pari di lui, del coraggio sufficiente, fino a che non tornò da suo padre e si gettò sul letto in lacrime, perché sapeva che non lo avrebbe visto più.
Tornata al tavolo con lo sperma che in parte le era rimasto sulle cosce, si sentì improvvisamente vuota, perchè si rese conto di avere scopato con sè stessa, coi suoi ricordi, con le emozioni da ragazza, quando i suoi genitori c’erano ancora, quando l’unico pensiero era la scuola e il trasloco imminente che l’avrebbe strappata da quel quartiere, dal loro appartamento acquistato con sacrifici e rinunzie, anche sue, perchè i suoi dovevano pagare il mutuo.
Si sentì sola.
Come sola fu la sera, nel letto, a casa sua.
Il Fabrizio che l’aveva scopata non era Fabrizio, ma solo un ricordo, come se avesse avuto adesso ciò che desiderava all’epoca.
Aveva vissuto un momento impari, perché lei aveva scopato con i ricordi, e lui, che non l’aveva riconosciuta, aveva scopato solo con un corpo a caso, entrato per caso nella sua pizzeria.
Improvvisamente si sentì come se l’avesse tradito, usato.
Non che si fosse mai fatta scrupoli in passato.
Ma adesso no.
Adesso era diverso.
Adesso era come se avesse tradito sé stessa da giovane, coi suoi ricordi.
Pianse, da sola, senza rispondere alla chiamata di Enrico che, per la terza volta, faceva suonare il telefono finché non fosse entrata la segreteria.
Due giorni dopo, sentì che il vuoto era quasi sparito, riempito dal piacere delle emozioni dei ricordi.
Osservò i suoi genitori in quella foto posata sul comò, scattata quando erano appena entrati nell’appartamento nuovo che lei era riuscita a regalargli coi primi ricchi contratti.
In quella foto mancava lei perché reggeva la macchina fotografica e, col senno di poi, si arrabbiò con sé stessa per non avere fatto ricorso all’autoscatto.
Si vestì in fretta, con un paio di jeans ed una camicetta bianca non molto attillata e priva di scollatura.
Alle scarpe col tacco preferì un paio di Adidas bianche.
Il taxi la portò fino alla pizzeria di Fabrizio.
Era presto.
Il locale era ancora chiuso, ma dentro vide lui ed il personale che stavano preparando i tavoli.
Si avvicinò alla porta a vetri e aspettò di essere notata.
Fabrizio le aprì la porta, imbarazzato, stupito per la sua presenza, avendo ormai relegato la scopata di qualche sera addietro ai ricordi che avrebbe pensato di definire impossibili.
Era imbarazzata anche Nicole quando gli rivolse la parola.
“Ciao Fabrizio, sono Nicole…”
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