La fotografia mancante
di
Kugher
genere
sentimentali
La finestra aperta lasciava passare l’aria calda e la luce forte di quella giornata di agosto.
Non aveva mai sopportato la climatizzazione estiva.
L’aria era comunque mossa a sufficienza dalle pale silenziose sul soffitto che generavano benessere.
Adorava i profumi dell’estate ed il rumore di vita proveniente dall’esterno. Amava soprattutto il vociare delle persone in strada, anche se non riusciva a percepire i dialoghi, ed il rumore delle auto, simbolo di autonomia e movimento.
Accanto, sul lenzuolo, vi era appoggiato il libro aperto con la copertina rigida verso l’alto. Sul comodino vi erano altri 2 libri in attesa di essere letti, di quelli che si studiano a scuola oppure che ci accompagnano in epoca molto più matura, quando possono essere maggiormente apprezzati.
Il passaggio alla veglia venne provocato da una frenata in strada accompagnata da un deciso colpo di clacson, cui aveva fatto seguito un improperio pronunciato a voce alta che aveva provocato un sorriso.
Bevve un sorso di acqua ed appoggiò la bottiglietta appena iniziata accanto al libro sul quale posò la mano, come se volesse proseguire la lettura ma che, invece, rimase appoggiata sopra, quasi a manifestare la volontà di voler dedicare concentrazione al testo che, però, veniva momentaneamente rinviata.
La passione per la fotografia era stata compagna fedele per tutta la sua vita. Adorava fermare in uno scatto il momento, cercando sempre di cogliere nell’immagine l’emozione vissuta. Trovava accattivante l’idea di poter rivivere quella sensazione, a distanza di anni, quando altri umori avessero albergato nella sua anima, magari inquieta o nostalgica.
Aveva acquistato il comò più per poter utilizzare il ripiano per l’esposizione delle foto, che per l’uso dei cassettoni, non mancando lo spazio negli armadi nei quali erano riposti gli abiti di due sole persone in quella casa senza culla.
Le cornici avevano una funzione di contorno, ma importante. A seconda della foto che voleva esporre, procedeva alla ricerca dell’oggetto che l’avrebbe ospitata in maniera da meglio sottolineare l’emozione che quello scatto generava.
Vi erano quindi cornici d’argento o di acciaio, semplici o lavorate, moderne o classiche, al naturale o colorate.
Bevve un altro sorso di acqua e avvitò il tappo mentre già aveva iniziato a concentrarsi sulle fotografie, dopo essersi sistemato gli occhiali con quelle fastidiose lenti bifocali.
La foto scattata al Grand Canyon era una delle ultime messe in vista, anche se era la più datata. A quel tempo doveva ancora fidanzarsi e quel viaggio era stato una scoperta, cui aveva aderito solo per l’entusiasmo dell’organizzatore al quale non aveva saputo dire di no. Fu entusiasmante dormire di notte all’aperto. Il gruppo era stato colto da ilarità quando, davanti al fuoco, evocarono l’immagine di loro stessi quali guardiani di bestiame.
Aveva fatto fatica ad addormentarsi, trovando difficoltà a staccare gli occhi da quel mare di stelle. Erano tantissime, mai avrebbe immaginato che potessero essere così tante. L'inquinamento atmosferico e luminoso della città impediva la vista di tanto spettacolo.
In realtà la fatica a prendere sonno era dovuta anche al dolore ad ogni parte del corpo provocato dalla cavalcata, altra esperienza che ricordava con piacere, ora che i muscoli avevano dimenticato le conseguenze e restava solo il pensiero felice di un'avventura mai più ripetuta.
Lo sguardo si spostò sullo scatto che ritraeva la persona con la quale aveva condiviso e stava condividendo la vita. Era uno scatto anonimo, fatto davanti al Colosseo, durante una trasferta di lavoro nella capitale. Ne avevano approfittato e dal venerdì, giorno della riunione, avevano protratto il soggiorno fino alla domenica.
La posa era quella tipica di chi, appunto, si mette in posa. Avevano chiesto ad un agente della Polizia Locale la cortesia di riprenderli con il telefono.
Non ricordava nemmeno l’anno e, se non fosse stato per la foto, forse non avrebbe nemmeno ricordato quel weekend.
La cornice era in acciaio, senza lavorazioni, anonima, come quello scatto.
Lo sguardo passò subito oltre.
Eccola, quella era una delle sue preferite: capo nord, il mappamondo in ferro con il sole dietro, scattata alle 1.30 di quella notte illuminata, la gente con le giacche a vento nonostante fosse ai primi di luglio. In terra c’erano le tracce della recente nevicata. Ricordò che in quel momento, con non poca soddisfazione, aveva pensato a tutti coloro che a Milano o a Palermo o a Roma stavano affogando nel caldo umido.
Il giorno dopo era stato destinato all’escursione fino al vero NordKapp, non quello turistico con l’ufficio postale più a nord ed il parcheggio enorme dei pullman.
Il vento freddo tagliava mani e viso in un corpo che, fino a 10 giorni prima, era abituato ai 35 gradi umidi.
Il mappamondo non rappresentava la meta del viaggio ma, bensì, il viaggio stesso, come se quel punto più a nord potesse riassumere in sé le strade percorse lentamente ai bordi dei fiordi, dove chilometri e chilometri separavano una fattoria dall’altra, un viaggio in cui lo stress era costituito dal timore di trovare le renne in mezzo alla strada dopo una curva stretta, e poi Geiranger, la ripida e tortuosa strada dei Troll, fino a Trondheim e poi ancora più a sud, a Bergen, dove il gruppo aveva preso l’aereo per tornare nella grigia Milano.
La fotografia dei genitori era la più dolorosa. Ancora vivi ma non più in salute. Il dolore procurato da quella foto era costituito anche dal confronto con sé, con le aspettative di vita quando era studente e le sue scelte successive, quelle giuste ma anche quelle sbagliate, fino alle scelte non fatte.
Tra le foto c’era un vuoto, come se qualcuno avesse asportato la cornice per pulirla. In realtà quella cornice non c’era mai stata. Il coniuge, che conosceva la sua passione per la fotografia quale memoria delle emozioni, non aveva mai chiesto il motivo di quel vuoto, limitandosi, invece, a rispettarlo e a non riempirlo.
Su quello spazio si soffermò molto, nonostante l’angoscia che dentro montava sempre più.
La fotografia mancante avrebbe dovuto ospitare le sue emozioni di vita, quelle forti, quelle vissute a metà, quelle generate dall’amante, amante da intendersi nel suo significato più alto, cioè di persona amata, persona anch’essa vincolata ad un matrimonio, persona che, al suo pari, non aveva avuto la forza di sciogliere quel vincolo, per le impossibilità pratiche, per paura, per…per…per…per tante cose che avevano accettato, entrambi, fino a vivere una vita parallela che non avrebbe mai potuto essere immortalata in uno scatto da esporre. Quella non fotografia ricordava le emozioni, anche quelle sessuali, vissute serenamente con tante sperimentazioni, tutte eccitanti e che avevano aumentato la loro complicità ed il loro legame. La fotografia mancante riassumeva un mondo di emozioni, un mondo enorme, un mondo infinito. Guardando quello spazio, volta per volta la sua anima si riempiva delle sensazioni generate da ricordi vari che, senza un particolare motivo, riaffioravano. Quella volta vennero alla mente i 3 giorni a Praga, strappati da entrambi alle rispettive vite ufficiali.
Rivide loro due sul Ponte Carlo nella passeggiata che, eccitati, li aveva portati dall’albergo fino ai piedi della Torre delle polveri, dove si erano incontrati con Inge, con la quale si erano dati appuntamento e che, per un giorno intero, sarebbe stata la loro schiava, li avrebbe serviti in ogni capriccio e soddisfatto ogni esigenza sessuale o di divertimento.
Quello spazio vuoto, benchè pieno di emozioni, continuava a restare vuoto, nascosto, sconosciuto.
Quello spazio vuoto continuava a essere parte del bilancio della sua vita.
Non aveva mai sopportato la climatizzazione estiva.
L’aria era comunque mossa a sufficienza dalle pale silenziose sul soffitto che generavano benessere.
Adorava i profumi dell’estate ed il rumore di vita proveniente dall’esterno. Amava soprattutto il vociare delle persone in strada, anche se non riusciva a percepire i dialoghi, ed il rumore delle auto, simbolo di autonomia e movimento.
Accanto, sul lenzuolo, vi era appoggiato il libro aperto con la copertina rigida verso l’alto. Sul comodino vi erano altri 2 libri in attesa di essere letti, di quelli che si studiano a scuola oppure che ci accompagnano in epoca molto più matura, quando possono essere maggiormente apprezzati.
Il passaggio alla veglia venne provocato da una frenata in strada accompagnata da un deciso colpo di clacson, cui aveva fatto seguito un improperio pronunciato a voce alta che aveva provocato un sorriso.
Bevve un sorso di acqua ed appoggiò la bottiglietta appena iniziata accanto al libro sul quale posò la mano, come se volesse proseguire la lettura ma che, invece, rimase appoggiata sopra, quasi a manifestare la volontà di voler dedicare concentrazione al testo che, però, veniva momentaneamente rinviata.
La passione per la fotografia era stata compagna fedele per tutta la sua vita. Adorava fermare in uno scatto il momento, cercando sempre di cogliere nell’immagine l’emozione vissuta. Trovava accattivante l’idea di poter rivivere quella sensazione, a distanza di anni, quando altri umori avessero albergato nella sua anima, magari inquieta o nostalgica.
Aveva acquistato il comò più per poter utilizzare il ripiano per l’esposizione delle foto, che per l’uso dei cassettoni, non mancando lo spazio negli armadi nei quali erano riposti gli abiti di due sole persone in quella casa senza culla.
Le cornici avevano una funzione di contorno, ma importante. A seconda della foto che voleva esporre, procedeva alla ricerca dell’oggetto che l’avrebbe ospitata in maniera da meglio sottolineare l’emozione che quello scatto generava.
Vi erano quindi cornici d’argento o di acciaio, semplici o lavorate, moderne o classiche, al naturale o colorate.
Bevve un altro sorso di acqua e avvitò il tappo mentre già aveva iniziato a concentrarsi sulle fotografie, dopo essersi sistemato gli occhiali con quelle fastidiose lenti bifocali.
La foto scattata al Grand Canyon era una delle ultime messe in vista, anche se era la più datata. A quel tempo doveva ancora fidanzarsi e quel viaggio era stato una scoperta, cui aveva aderito solo per l’entusiasmo dell’organizzatore al quale non aveva saputo dire di no. Fu entusiasmante dormire di notte all’aperto. Il gruppo era stato colto da ilarità quando, davanti al fuoco, evocarono l’immagine di loro stessi quali guardiani di bestiame.
Aveva fatto fatica ad addormentarsi, trovando difficoltà a staccare gli occhi da quel mare di stelle. Erano tantissime, mai avrebbe immaginato che potessero essere così tante. L'inquinamento atmosferico e luminoso della città impediva la vista di tanto spettacolo.
In realtà la fatica a prendere sonno era dovuta anche al dolore ad ogni parte del corpo provocato dalla cavalcata, altra esperienza che ricordava con piacere, ora che i muscoli avevano dimenticato le conseguenze e restava solo il pensiero felice di un'avventura mai più ripetuta.
Lo sguardo si spostò sullo scatto che ritraeva la persona con la quale aveva condiviso e stava condividendo la vita. Era uno scatto anonimo, fatto davanti al Colosseo, durante una trasferta di lavoro nella capitale. Ne avevano approfittato e dal venerdì, giorno della riunione, avevano protratto il soggiorno fino alla domenica.
La posa era quella tipica di chi, appunto, si mette in posa. Avevano chiesto ad un agente della Polizia Locale la cortesia di riprenderli con il telefono.
Non ricordava nemmeno l’anno e, se non fosse stato per la foto, forse non avrebbe nemmeno ricordato quel weekend.
La cornice era in acciaio, senza lavorazioni, anonima, come quello scatto.
Lo sguardo passò subito oltre.
Eccola, quella era una delle sue preferite: capo nord, il mappamondo in ferro con il sole dietro, scattata alle 1.30 di quella notte illuminata, la gente con le giacche a vento nonostante fosse ai primi di luglio. In terra c’erano le tracce della recente nevicata. Ricordò che in quel momento, con non poca soddisfazione, aveva pensato a tutti coloro che a Milano o a Palermo o a Roma stavano affogando nel caldo umido.
Il giorno dopo era stato destinato all’escursione fino al vero NordKapp, non quello turistico con l’ufficio postale più a nord ed il parcheggio enorme dei pullman.
Il vento freddo tagliava mani e viso in un corpo che, fino a 10 giorni prima, era abituato ai 35 gradi umidi.
Il mappamondo non rappresentava la meta del viaggio ma, bensì, il viaggio stesso, come se quel punto più a nord potesse riassumere in sé le strade percorse lentamente ai bordi dei fiordi, dove chilometri e chilometri separavano una fattoria dall’altra, un viaggio in cui lo stress era costituito dal timore di trovare le renne in mezzo alla strada dopo una curva stretta, e poi Geiranger, la ripida e tortuosa strada dei Troll, fino a Trondheim e poi ancora più a sud, a Bergen, dove il gruppo aveva preso l’aereo per tornare nella grigia Milano.
La fotografia dei genitori era la più dolorosa. Ancora vivi ma non più in salute. Il dolore procurato da quella foto era costituito anche dal confronto con sé, con le aspettative di vita quando era studente e le sue scelte successive, quelle giuste ma anche quelle sbagliate, fino alle scelte non fatte.
Tra le foto c’era un vuoto, come se qualcuno avesse asportato la cornice per pulirla. In realtà quella cornice non c’era mai stata. Il coniuge, che conosceva la sua passione per la fotografia quale memoria delle emozioni, non aveva mai chiesto il motivo di quel vuoto, limitandosi, invece, a rispettarlo e a non riempirlo.
Su quello spazio si soffermò molto, nonostante l’angoscia che dentro montava sempre più.
La fotografia mancante avrebbe dovuto ospitare le sue emozioni di vita, quelle forti, quelle vissute a metà, quelle generate dall’amante, amante da intendersi nel suo significato più alto, cioè di persona amata, persona anch’essa vincolata ad un matrimonio, persona che, al suo pari, non aveva avuto la forza di sciogliere quel vincolo, per le impossibilità pratiche, per paura, per…per…per…per tante cose che avevano accettato, entrambi, fino a vivere una vita parallela che non avrebbe mai potuto essere immortalata in uno scatto da esporre. Quella non fotografia ricordava le emozioni, anche quelle sessuali, vissute serenamente con tante sperimentazioni, tutte eccitanti e che avevano aumentato la loro complicità ed il loro legame. La fotografia mancante riassumeva un mondo di emozioni, un mondo enorme, un mondo infinito. Guardando quello spazio, volta per volta la sua anima si riempiva delle sensazioni generate da ricordi vari che, senza un particolare motivo, riaffioravano. Quella volta vennero alla mente i 3 giorni a Praga, strappati da entrambi alle rispettive vite ufficiali.
Rivide loro due sul Ponte Carlo nella passeggiata che, eccitati, li aveva portati dall’albergo fino ai piedi della Torre delle polveri, dove si erano incontrati con Inge, con la quale si erano dati appuntamento e che, per un giorno intero, sarebbe stata la loro schiava, li avrebbe serviti in ogni capriccio e soddisfatto ogni esigenza sessuale o di divertimento.
Quello spazio vuoto, benchè pieno di emozioni, continuava a restare vuoto, nascosto, sconosciuto.
Quello spazio vuoto continuava a essere parte del bilancio della sua vita.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Nicoleracconto sucessivo
Ceduta ad una asta
Commenti dei lettori al racconto erotico