Pigmei - la cattura delle schiave (parte 5)
di
Kugher
genere
sadomaso
Finalmente la carovana si fermò.
Il pigmeo che stava in cima alla fila, sulla cavalla che a Chanel era sembrato avesse la maggior forza ed esperienza, al pari di quella che portava il cavaliere che chiudeva la fila, tirò le redini per far fermare il suo animale e alzò il braccio nel gesto universale che annuncia la fermata di una carovana.
Chanel tirò un sospiro di sollievo.
Era stanca, provata. Da tempo, senza che sapesse effettivamente a quanto corrispondesse quel “tempo”, si concentrava sempre più per reggere allo sforzo, cercando energie in tutto il corpo e non cedere.
Il suo cavaliere si doveva essere accorto di questa sua condizione e, sapientemente, le aveva fatto tenere un'andatura costante, cercando di dosarle le energie.
Lei, istintivamente, aveva cercato di rallentare ma lui l’aveva con pochi e sapienti colpi di gambe ai fianchi, spronata a non mollare.
Lei sapeva che se si fosse fermata non avrebbe ripreso la marcia e, questo, evidentemente era noto a colui che la stava montando.
Usò le ultime sue energie per abbassarsi sulle ginocchia e consentire al suo cavaliere di scendere agevolmente.
Chanel, esausta, si accasciò a terra. Il pigmeo, con una spinta del piede e alcune tirate alle redini, le impose di alzarsi e di seguirlo.
La condusse in gruppo con le altre cavalle. Le schiave utilizzate per il trasporto, arrivarono con ciotole piene di acqua per consentire loro di idratarsi.
Diedero anche alcuni frutti ricchi di zuccheri.
Quegli uomini evidentemente conoscevano l’importanza di un certo tipo di alimentazione per gli animali.
Anche le schiave dedite al trasporto poterono bere e rifocillarsi, ma solo dopo le cavalle le quali furono portate a riposare.
Il pigmeo che le aveva in cura, mise picchetti a terra infissi nel terreno.
Poi fece sdraiare le cavalle a terra e, ad una ad una, fece passare una spessa corda negli anelli ai collari che ornavano il collo di tutte le schiave.
La corda era a livello terreno e così le cavalle furono praticamente costrette a stare stese a terra senza alcun agio per muoversi, in quanto la corda al collare le teneva fisse a terra nella loro posizione.
Accanto vennero lasciati acqua e frutta.
Nessuna oppose resistenza in quanto avevano imparato quella consuetudine.
Questo dava modo ai Padroni di non dedicare a loro nessuna attenzione temendo una improbabile fuga in quanto, di fatto, incatenate a terra e, quindi, costrette a riposarsi.
Prima che fossero tutte legate, Chanel, già stesa a terra, vide che una cavalla veniva messa al centro dello spazio intorno al quale tutti si erano sistemati descrivendo un cerchio.
Conosceva da tempo quella ragazza. Era una Contessa, Sophie, promessa in sposa ad un Duca. L’aveva conosciuta a Versailles, durante un ricevimento alla presenza di Re Luigi XVI.
Le malelingue dicevano che fosse l’amante del Re al quale era stata presentata dai suoi genitori.
Il regnante doveva essere molto soddisfatto delle sue prestazioni sessuali al punto da averla promessa in sposa ad un uomo insignificante che, però, aveva il titolo di Duca, titolo posto appena sotto a quello di Principe.
L’avanzamento di titolo era importante ed il Duca, anziano, avrebbe preteso favori sessuali per ancora poco tempo, dopodiché lei avrebbe ereditato tutto a condizione, però, che restasse fedele al Re.
Tanto era sottomessa al regnante, tanto era arrogante con tutti coloro che lei, forte della sua futura posizione, vedeva nella loro inferiorità.
La sua riottosità alle regole, da sempre infrante forte della sua immunità, le stava costando cara in quel paese a loro straniero che le aveva declassate alla schiavitù.
Anche Sophie era stata usata come cavalla per la prima volta e aveva dato filo da torcere al suo cavaliere che a fatica l’aveva tenuta.
Adesso era in ginocchio al centro del cerchio.
Tutti la potevano vedere, anche le sue amiche (che in realtà mai erano state tali) dedite al servizio dei Padroni oppure incatenate a terra come Chanel.
Questo forse la ferì maggiormente delle innumerevoli frustate che ricevette.
Non cercò nemmeno di resistere, era gracile e poco portata alle sofferenze.
Si mise subito a piangere e fece ciò che ormai aveva imparato essere il rito in quelle punizioni.
Abbassò il capo a terra e raggiunge i piedi del suo cavaliere.
Era inutile che parlasse, in quanto i pigmei non si sforzavano di capire il linguaggio delle schiave, più attenti agli atti di sottomissione.
Sophie bagnò con le lacrime i piedi dell’uomo.
I pigmei stavano attenti e capivano la reale sottomissione di coloro che stavano ai loro piedi. Se si fossero accorti della finzione sarebbe stato peggio.
Le schiave avevano invece imparato in fretta il segnale di stop in quella lingua gutturale.
Così diede ulteriore seguito al rito che aveva imparato per averlo osservato in altre schiave riottose.
Si stese a terra sulla schiena offrendo il suo corpo a coloro che le camminarono sopra, cioè tutti i pigmei.
Era un gesto utile ad affermare il potere degli uomini e la sottomissione, fisica, delle schiave.
Chi poneva il piede sui seni per passare dall’altra parte. Chi preferiva il ventre. Alcuni, invece di lasciarle trasversali, preferivano usarle in maniera longitudinale e, quindi, ponevano prima un piede sul ventre e il successivo sui seni per scendere dal corpo poco dopo la testa, usandole così come una passatoia.
Il pianto non abbandonò mai Sophie. Era sicuramente un pianto di umiliazione dovuta alla resa sempre più definitiva, in quanto quegli uomini non potevano essere tanto pesanti da recare dolore così insopportabile.
Per essere sicuri che la schiava percepisse molto bene il suo stato, le passarono sopra tutti due volte, sfinendola fisicamente.
Fu anche il suo turno di ricevere cibo e acqua ma non venne legata assieme alle altre cavalle ma lasciata nel centro dell’accampamento.
In corrispondenza del suo collo, venne infisso a terra un picchetto e a questo legata con una corda cortissima che passava nell’anello del suo collare.
Praticamente non si poteva muovere restando esposta alla vista di tutti.
I pigmei avevano imparato che l’esposizione era una forza di umiliazione che otteneva sempre ottimi risultati in termini di sottomissione e docilità.
Intanto alcune schiave avevano costruito una piccola infrastruttura che proteggesse le altre cavalle dal sole.
Un pigmeo restò vicino a loro per evitare che parlassero.
Chanel notò questo particolare e lo elaborò, adesso che la sua mente, priva della concentrazione dedicata allo sforzo, aveva ricominciato ad elaborare le informazioni.
Quegli uomini volevano impedire che facessero gruppo, branco, ma restassero sempre isolate e, così, più debole e propense alla docilità.
Cercò di stare sveglia il più possibile, sempre avida di informazioni.
Cercò con lo sguardo tutte coloro che conosceva.
Vide la sua serva Louise che, in quel pezzo di strada, era stata utilizzata come animale da trasporto.
Stava servendo gli uomini portando loro da bere e qualche frutto.
La schiave da soma erano le ultime a bere e a mangiare.
Le soste non erano mai brevi.
Evidentemente per quegli uomini il tempo non era un problema. Il territorio nel quale si muovevano non doveva rappresentare un pericolo, posto che non accennavano ad avere fretta di allontanarsi.
Due giorni prima, invece, avevano saltato la pausa per uscire in fretta da uno spazio nel quale i pigmei avevano innalzato l’attenzione.
Per quel tratto di strada avevano tutti scelto cavalle forti che consentissero loro di evitare la pausa di riposo.
Chanel non aveva subito capito cosa stesse accadendo.
Lo aveva realizzato solo successivamente, osservando la differenza di comportamento, la lunghezza del percorso tra una pausa e l’altra e le cavalle utilizzate.
Quando si ritenevano tranquilli, usavano schiave non robuste, in modo da curare il loro allenamento.
La rilassatezza, dovuta alla posizione forzata da stesa, il cibo e l’acqua, nonché l’ombra e la leggera brezza che caratterizzava quel territorio, la cullarono al punto da portarla dalla veglia al sonno.
Non fece tanta resistenza anche perché sapeva di avere bisogno di recuperare le forze.
Alla ripresa del viaggio sicuramente non sarebbe più stata usata come cavalla e sarebbe stato meno faticoso.
In ogni caso cominciava a sentire la stanchezza dei giorni precedenti ed il riposo era sempre cosa necessaria.
Vedeva le cavalle più forti che, evidentemente, erano tali da tempo. Si stancavano poco ed avevano sempre energia e vigore.
Lei era ancora convinta di fuggire e lo avrebbe sicuramente fatto prima di diventare una cavalla come quelle, ormai trasformate in animali docili e resistenti.
Il pigmeo che stava in cima alla fila, sulla cavalla che a Chanel era sembrato avesse la maggior forza ed esperienza, al pari di quella che portava il cavaliere che chiudeva la fila, tirò le redini per far fermare il suo animale e alzò il braccio nel gesto universale che annuncia la fermata di una carovana.
Chanel tirò un sospiro di sollievo.
Era stanca, provata. Da tempo, senza che sapesse effettivamente a quanto corrispondesse quel “tempo”, si concentrava sempre più per reggere allo sforzo, cercando energie in tutto il corpo e non cedere.
Il suo cavaliere si doveva essere accorto di questa sua condizione e, sapientemente, le aveva fatto tenere un'andatura costante, cercando di dosarle le energie.
Lei, istintivamente, aveva cercato di rallentare ma lui l’aveva con pochi e sapienti colpi di gambe ai fianchi, spronata a non mollare.
Lei sapeva che se si fosse fermata non avrebbe ripreso la marcia e, questo, evidentemente era noto a colui che la stava montando.
Usò le ultime sue energie per abbassarsi sulle ginocchia e consentire al suo cavaliere di scendere agevolmente.
Chanel, esausta, si accasciò a terra. Il pigmeo, con una spinta del piede e alcune tirate alle redini, le impose di alzarsi e di seguirlo.
La condusse in gruppo con le altre cavalle. Le schiave utilizzate per il trasporto, arrivarono con ciotole piene di acqua per consentire loro di idratarsi.
Diedero anche alcuni frutti ricchi di zuccheri.
Quegli uomini evidentemente conoscevano l’importanza di un certo tipo di alimentazione per gli animali.
Anche le schiave dedite al trasporto poterono bere e rifocillarsi, ma solo dopo le cavalle le quali furono portate a riposare.
Il pigmeo che le aveva in cura, mise picchetti a terra infissi nel terreno.
Poi fece sdraiare le cavalle a terra e, ad una ad una, fece passare una spessa corda negli anelli ai collari che ornavano il collo di tutte le schiave.
La corda era a livello terreno e così le cavalle furono praticamente costrette a stare stese a terra senza alcun agio per muoversi, in quanto la corda al collare le teneva fisse a terra nella loro posizione.
Accanto vennero lasciati acqua e frutta.
Nessuna oppose resistenza in quanto avevano imparato quella consuetudine.
Questo dava modo ai Padroni di non dedicare a loro nessuna attenzione temendo una improbabile fuga in quanto, di fatto, incatenate a terra e, quindi, costrette a riposarsi.
Prima che fossero tutte legate, Chanel, già stesa a terra, vide che una cavalla veniva messa al centro dello spazio intorno al quale tutti si erano sistemati descrivendo un cerchio.
Conosceva da tempo quella ragazza. Era una Contessa, Sophie, promessa in sposa ad un Duca. L’aveva conosciuta a Versailles, durante un ricevimento alla presenza di Re Luigi XVI.
Le malelingue dicevano che fosse l’amante del Re al quale era stata presentata dai suoi genitori.
Il regnante doveva essere molto soddisfatto delle sue prestazioni sessuali al punto da averla promessa in sposa ad un uomo insignificante che, però, aveva il titolo di Duca, titolo posto appena sotto a quello di Principe.
L’avanzamento di titolo era importante ed il Duca, anziano, avrebbe preteso favori sessuali per ancora poco tempo, dopodiché lei avrebbe ereditato tutto a condizione, però, che restasse fedele al Re.
Tanto era sottomessa al regnante, tanto era arrogante con tutti coloro che lei, forte della sua futura posizione, vedeva nella loro inferiorità.
La sua riottosità alle regole, da sempre infrante forte della sua immunità, le stava costando cara in quel paese a loro straniero che le aveva declassate alla schiavitù.
Anche Sophie era stata usata come cavalla per la prima volta e aveva dato filo da torcere al suo cavaliere che a fatica l’aveva tenuta.
Adesso era in ginocchio al centro del cerchio.
Tutti la potevano vedere, anche le sue amiche (che in realtà mai erano state tali) dedite al servizio dei Padroni oppure incatenate a terra come Chanel.
Questo forse la ferì maggiormente delle innumerevoli frustate che ricevette.
Non cercò nemmeno di resistere, era gracile e poco portata alle sofferenze.
Si mise subito a piangere e fece ciò che ormai aveva imparato essere il rito in quelle punizioni.
Abbassò il capo a terra e raggiunge i piedi del suo cavaliere.
Era inutile che parlasse, in quanto i pigmei non si sforzavano di capire il linguaggio delle schiave, più attenti agli atti di sottomissione.
Sophie bagnò con le lacrime i piedi dell’uomo.
I pigmei stavano attenti e capivano la reale sottomissione di coloro che stavano ai loro piedi. Se si fossero accorti della finzione sarebbe stato peggio.
Le schiave avevano invece imparato in fretta il segnale di stop in quella lingua gutturale.
Così diede ulteriore seguito al rito che aveva imparato per averlo osservato in altre schiave riottose.
Si stese a terra sulla schiena offrendo il suo corpo a coloro che le camminarono sopra, cioè tutti i pigmei.
Era un gesto utile ad affermare il potere degli uomini e la sottomissione, fisica, delle schiave.
Chi poneva il piede sui seni per passare dall’altra parte. Chi preferiva il ventre. Alcuni, invece di lasciarle trasversali, preferivano usarle in maniera longitudinale e, quindi, ponevano prima un piede sul ventre e il successivo sui seni per scendere dal corpo poco dopo la testa, usandole così come una passatoia.
Il pianto non abbandonò mai Sophie. Era sicuramente un pianto di umiliazione dovuta alla resa sempre più definitiva, in quanto quegli uomini non potevano essere tanto pesanti da recare dolore così insopportabile.
Per essere sicuri che la schiava percepisse molto bene il suo stato, le passarono sopra tutti due volte, sfinendola fisicamente.
Fu anche il suo turno di ricevere cibo e acqua ma non venne legata assieme alle altre cavalle ma lasciata nel centro dell’accampamento.
In corrispondenza del suo collo, venne infisso a terra un picchetto e a questo legata con una corda cortissima che passava nell’anello del suo collare.
Praticamente non si poteva muovere restando esposta alla vista di tutti.
I pigmei avevano imparato che l’esposizione era una forza di umiliazione che otteneva sempre ottimi risultati in termini di sottomissione e docilità.
Intanto alcune schiave avevano costruito una piccola infrastruttura che proteggesse le altre cavalle dal sole.
Un pigmeo restò vicino a loro per evitare che parlassero.
Chanel notò questo particolare e lo elaborò, adesso che la sua mente, priva della concentrazione dedicata allo sforzo, aveva ricominciato ad elaborare le informazioni.
Quegli uomini volevano impedire che facessero gruppo, branco, ma restassero sempre isolate e, così, più debole e propense alla docilità.
Cercò di stare sveglia il più possibile, sempre avida di informazioni.
Cercò con lo sguardo tutte coloro che conosceva.
Vide la sua serva Louise che, in quel pezzo di strada, era stata utilizzata come animale da trasporto.
Stava servendo gli uomini portando loro da bere e qualche frutto.
La schiave da soma erano le ultime a bere e a mangiare.
Le soste non erano mai brevi.
Evidentemente per quegli uomini il tempo non era un problema. Il territorio nel quale si muovevano non doveva rappresentare un pericolo, posto che non accennavano ad avere fretta di allontanarsi.
Due giorni prima, invece, avevano saltato la pausa per uscire in fretta da uno spazio nel quale i pigmei avevano innalzato l’attenzione.
Per quel tratto di strada avevano tutti scelto cavalle forti che consentissero loro di evitare la pausa di riposo.
Chanel non aveva subito capito cosa stesse accadendo.
Lo aveva realizzato solo successivamente, osservando la differenza di comportamento, la lunghezza del percorso tra una pausa e l’altra e le cavalle utilizzate.
Quando si ritenevano tranquilli, usavano schiave non robuste, in modo da curare il loro allenamento.
La rilassatezza, dovuta alla posizione forzata da stesa, il cibo e l’acqua, nonché l’ombra e la leggera brezza che caratterizzava quel territorio, la cullarono al punto da portarla dalla veglia al sonno.
Non fece tanta resistenza anche perché sapeva di avere bisogno di recuperare le forze.
Alla ripresa del viaggio sicuramente non sarebbe più stata usata come cavalla e sarebbe stato meno faticoso.
In ogni caso cominciava a sentire la stanchezza dei giorni precedenti ed il riposo era sempre cosa necessaria.
Vedeva le cavalle più forti che, evidentemente, erano tali da tempo. Si stancavano poco ed avevano sempre energia e vigore.
Lei era ancora convinta di fuggire e lo avrebbe sicuramente fatto prima di diventare una cavalla come quelle, ormai trasformate in animali docili e resistenti.
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