Pigmei - la cattura delle schiave (parte 4)
di
Kugher
genere
sadomaso
La sosta era giunta ormai al termine.
Le pause servivano anche per cambiare le cavalle, turnandole in quell’uso.
Quelle utilizzate avevano modo di riposarsi un poco, mangiando e bevendo.
Il cibo e l’acqua non mancavano mai, nemmeno per le schiave. Gli uomini sapevano che era indispensabile un’ottima nutrizione per conservare gli animali in forze.
Occorreva anche che riposassero il corpo oltre a rifocillarlo.
Il pigmeo che aveva usato Chanel per godere, dopo essersi fatto pulire da un’altra schiava, le camminò sopra e andò dalla sua precedente cavalla per toglierle l’imbragatura.
Ritornò da lei che era rimasta stesa a terra, sia per riprendersi da quanto accaduto, sia perché non sapeva come comportarsi non avendo ricevuto alcun ordine.
Si sentì gelare quando vide tornare il Padrone che si fermò accanto a lei, le diede una spinta col piede e indicò l’imbragatura.
Temeva quel momento, sapeva che sarebbe arrivato prima o poi.
Non accennò nemmeno ad opporre resistenza in quanto da tempo si era rassegnata a questo utilizzo. Inoltre la punizione appena ricevuta l’aveva resa docile e mansueta.
Aveva timore di non farcela.
Sul punto quegli uomini avevano dimostrato attenzione, scegliendo a turno le schiave da usare come cavalle, sapendo che, benché giovani, non avevano ancora la forza e la resistenza necessarie.
Chanel li aveva osservati. Come tutti gli uomini che vivono con gli animali, avevano dimostrato di essere attenti a dosare i loro sforzi ma, al tempo stesso, ad essere fermi e inflessibili ben sapendo che le stavano addomesticando ai loro bisogni.
Come con tutti gli animali, occorre che il domatore si faccia vedere fermo e deciso.
Erano attenti ma non mancavano punizioni se l’animale umano non impiegava la dovuta attenzione e forza.
Probabilmente gli anni di esperienza di quella intera tribù, avevano fatto sì che riuscissero a capire quando una schiava era svogliata oppure proprio non ce la faceva.
Era diverso il loro comportamento in questi casi. Nel primo non mancavano frustate forti, punitive. Nel secondo l’uso della frusta era più un incentivo, uno sprone a resistere e a portare sempre oltre la soglia del dolore per migliorare la resistenza.
Temeva anche che quell’uomo avrebbe ancora utilizzato il suo potere per divertirsi con lei, non pago della sua vittoria di alcuni minuti addietro.
Si alzò, mesta ma con lo sguardo fiero, di sfida seppur mansueto.
Docilmente si fece imbragare e si abbassò sulle gambe per consentire al cavaliere di montarle in groppa.
La sua vita precedente, in Francia, era più dedita alle cavalcata in qualità di cavallerizza, nonché alle feste ed ai ricevimenti.
Le ragazze, in genere, non erano dedite all’attività fisica e, quindi, era abbastanza debole.
Quegli uomini dovevano avere esperienza anche per individuare la provenienza delle schiave.
Le americane erano più forti, così come le tedesche.
Incideva anche la qualità della vita. Le nobili erano più belle ma meno forti a differenza delle contadine che, invece, erano più forti ma meno belle.
Il cavaliere strinse le ginocchia e diede colpetti alle redini per fare capire alla cavalla che doveva alzarsi.
Chanel ce la fece mantenendo l'equilibrio nonostante il nuovo peso che le spostava il baricentro.
L’uomo, evidentemente esperto, si spostava per agevolare l’animale, controbilanciando quando doveva.
Una volta in piedi attese che la cavalla riprendesse equilibrio e, con un colpo alle redini e con le ginocchia, le indicò di cominciare a camminare.
Il suo timore di prima risultò infondato.
Lei ce la metteva tutta per eseguire l’ordine e portare il suo domatore. Quest’ultimo, dimentico della “sfida” di poco prima, era ora più attento ad addomesticare la nuova cavalla.
Stava attento a bilanciare il peso e a gestire le forze dell’animale.
Le consentì di prendere confidenza con la sua nuova funzione.
Il cavaliere capiva che lei era debole, a differenza di quelle che facevano già parte del gruppo e che, evidentemente, erano cavalle da molto tempo.
Queste portavano gli uomini che stavano all’inizio ed alla fine della carovana.
Il cavaliere si mostrò sempre attento con lei per insegnarle a muoversi e a gestire le energie. Ogni tanto usava il frustino sulle natiche o sulle cosce ma in modo leggero, quale incentivo alla resistenza.
Chanel non poté non riconoscere l’esperienza del suo cavaliere che, in quel momento, pensava solamente ad addomesticarla e a insegnarle ad essere una cavalla senza più pensare a quanto accaduto che, probabilmente, per lui era cosa normale.
Lei si concentrò sull’equilibrio, cercando di disperdere energie il meno possibile e a capire gli ordini dell’uomo, assecondando i movimenti e cercando di adeguarsi per imparare ciò che, evidentemente, sarebbe stata la normalità in futuro, almeno fino a che non fosse riuscita a fuggire.
Tanto valeva, infatti, imparare il più possibile e rafforzare il corpo, cosa che le sarebbe stata sicuramente utile in quell’ambiente straniero e duro.
Quando fosse riuscita a fuggire, aveva bisogno di avere il corpo allenato in quanto avrebbe avuto molta strada da percorrere.
Durante il cammino non avevano mai incontrato nessuno né visto segni di altri accampamenti.
Questo, però, non voleva dire che non ci fossero in zona altri umani. Avrebbe potuto essere che, conoscendo i percorsi, semplicemente li evitavano per non esporre il loro carico.
La motivazione avrebbe anche potuto risiedere nella piccola statura dei loro Padroni che, forse a confronto con altri, avrebbero potuto soccombere. Pur vero che non ne conosceva le doti guerriere.
Le sarebbe piaciuto sapere se ci fossero altri umani e che tipi fossero. Le sarebbe stato utile il giorno in cui si fosse trovata in quei territori da sola per ritornare a casa.
Con il cavaliere in groppa fu costretta ad abbandonare quei pensieri che, invece, le facevano costante compagnia mentre, animale da trasporto, camminava in carovana con la sua parte di soma.
Smise di guardarsi in giro e, quando si accorse di ciò, provò rabbia verso sé stessa in quanto stava perdendo attenzione verso il territorio.
D’altro canto non era facile muoversi con il cavaliere in groppa. Voleva e doveva concentrarsi per portarlo a dovere.
Lui stava attento ai movimenti della cavalla e, al minimo cenno di disattenzione, lui se ne accorgeva e la richiamava o con le ginocchia strette ai fianchi, o con le redini o, nel peggiore dei casi, con un colpo si fristino sulle natiche la cui forza era proporzionata alla ritenuta distrazione.
Non guardava più nemmeno le altre schiave, tutta tesa alla propria attività.
Quell’uomo ci sapeva fare come domatore di cavalle. Doveva averne addestrate tante perché riusciva ad entrare in simbiosi con lei e a trarre il meglio che potesse dare.
Le dava fastidio il morso. Aveva avuto modo di vedere che anche alle altre cavalla dava fastidio.
Qualcuna si era lamentata ma, in cambio, aveva ricevuto molte frustate. Evidentemente era uno strumento indispensabile e non era possibile farne a meno.
Ogni tanto le faceva aumentare l’andatura e, quando si accorgeva della sua eccessiva difficoltà, la faceva rallentare tirando indietro le redini.
Chanel imparò presto a conoscere i significati ed i movimenti delle redini.
Era quello l’unico mezzo di comunicazione tra uomo e animale. Anche lei, quando era cavallerizza, comunicava con il suo cavallo nello stesso modo: talloni, redini e frustino.
Questa presa di coscienza, già nota e forse ignorata per il suo forte significato, le fece aumentare il buco nero nell’anima, in quando non poté più nascondere a sé stessa che, per quegli uomini, lei era solo un animale.
Anche le altre erano tali, ovviamente, ma lei pensava solo a sé stessa ed alla sua sorte, staccandola da quella del gruppo.
Un animale, da solo, è debole. Più forte quando è in branco.
Tuttavia i pigmei impedivano le comunicazioni tra animali per evitare, evidentemente, che si formasse un branco, così da renderle individualiste e, pertanto, deboli.
Le pause servivano anche per cambiare le cavalle, turnandole in quell’uso.
Quelle utilizzate avevano modo di riposarsi un poco, mangiando e bevendo.
Il cibo e l’acqua non mancavano mai, nemmeno per le schiave. Gli uomini sapevano che era indispensabile un’ottima nutrizione per conservare gli animali in forze.
Occorreva anche che riposassero il corpo oltre a rifocillarlo.
Il pigmeo che aveva usato Chanel per godere, dopo essersi fatto pulire da un’altra schiava, le camminò sopra e andò dalla sua precedente cavalla per toglierle l’imbragatura.
Ritornò da lei che era rimasta stesa a terra, sia per riprendersi da quanto accaduto, sia perché non sapeva come comportarsi non avendo ricevuto alcun ordine.
Si sentì gelare quando vide tornare il Padrone che si fermò accanto a lei, le diede una spinta col piede e indicò l’imbragatura.
Temeva quel momento, sapeva che sarebbe arrivato prima o poi.
Non accennò nemmeno ad opporre resistenza in quanto da tempo si era rassegnata a questo utilizzo. Inoltre la punizione appena ricevuta l’aveva resa docile e mansueta.
Aveva timore di non farcela.
Sul punto quegli uomini avevano dimostrato attenzione, scegliendo a turno le schiave da usare come cavalle, sapendo che, benché giovani, non avevano ancora la forza e la resistenza necessarie.
Chanel li aveva osservati. Come tutti gli uomini che vivono con gli animali, avevano dimostrato di essere attenti a dosare i loro sforzi ma, al tempo stesso, ad essere fermi e inflessibili ben sapendo che le stavano addomesticando ai loro bisogni.
Come con tutti gli animali, occorre che il domatore si faccia vedere fermo e deciso.
Erano attenti ma non mancavano punizioni se l’animale umano non impiegava la dovuta attenzione e forza.
Probabilmente gli anni di esperienza di quella intera tribù, avevano fatto sì che riuscissero a capire quando una schiava era svogliata oppure proprio non ce la faceva.
Era diverso il loro comportamento in questi casi. Nel primo non mancavano frustate forti, punitive. Nel secondo l’uso della frusta era più un incentivo, uno sprone a resistere e a portare sempre oltre la soglia del dolore per migliorare la resistenza.
Temeva anche che quell’uomo avrebbe ancora utilizzato il suo potere per divertirsi con lei, non pago della sua vittoria di alcuni minuti addietro.
Si alzò, mesta ma con lo sguardo fiero, di sfida seppur mansueto.
Docilmente si fece imbragare e si abbassò sulle gambe per consentire al cavaliere di montarle in groppa.
La sua vita precedente, in Francia, era più dedita alle cavalcata in qualità di cavallerizza, nonché alle feste ed ai ricevimenti.
Le ragazze, in genere, non erano dedite all’attività fisica e, quindi, era abbastanza debole.
Quegli uomini dovevano avere esperienza anche per individuare la provenienza delle schiave.
Le americane erano più forti, così come le tedesche.
Incideva anche la qualità della vita. Le nobili erano più belle ma meno forti a differenza delle contadine che, invece, erano più forti ma meno belle.
Il cavaliere strinse le ginocchia e diede colpetti alle redini per fare capire alla cavalla che doveva alzarsi.
Chanel ce la fece mantenendo l'equilibrio nonostante il nuovo peso che le spostava il baricentro.
L’uomo, evidentemente esperto, si spostava per agevolare l’animale, controbilanciando quando doveva.
Una volta in piedi attese che la cavalla riprendesse equilibrio e, con un colpo alle redini e con le ginocchia, le indicò di cominciare a camminare.
Il suo timore di prima risultò infondato.
Lei ce la metteva tutta per eseguire l’ordine e portare il suo domatore. Quest’ultimo, dimentico della “sfida” di poco prima, era ora più attento ad addomesticare la nuova cavalla.
Stava attento a bilanciare il peso e a gestire le forze dell’animale.
Le consentì di prendere confidenza con la sua nuova funzione.
Il cavaliere capiva che lei era debole, a differenza di quelle che facevano già parte del gruppo e che, evidentemente, erano cavalle da molto tempo.
Queste portavano gli uomini che stavano all’inizio ed alla fine della carovana.
Il cavaliere si mostrò sempre attento con lei per insegnarle a muoversi e a gestire le energie. Ogni tanto usava il frustino sulle natiche o sulle cosce ma in modo leggero, quale incentivo alla resistenza.
Chanel non poté non riconoscere l’esperienza del suo cavaliere che, in quel momento, pensava solamente ad addomesticarla e a insegnarle ad essere una cavalla senza più pensare a quanto accaduto che, probabilmente, per lui era cosa normale.
Lei si concentrò sull’equilibrio, cercando di disperdere energie il meno possibile e a capire gli ordini dell’uomo, assecondando i movimenti e cercando di adeguarsi per imparare ciò che, evidentemente, sarebbe stata la normalità in futuro, almeno fino a che non fosse riuscita a fuggire.
Tanto valeva, infatti, imparare il più possibile e rafforzare il corpo, cosa che le sarebbe stata sicuramente utile in quell’ambiente straniero e duro.
Quando fosse riuscita a fuggire, aveva bisogno di avere il corpo allenato in quanto avrebbe avuto molta strada da percorrere.
Durante il cammino non avevano mai incontrato nessuno né visto segni di altri accampamenti.
Questo, però, non voleva dire che non ci fossero in zona altri umani. Avrebbe potuto essere che, conoscendo i percorsi, semplicemente li evitavano per non esporre il loro carico.
La motivazione avrebbe anche potuto risiedere nella piccola statura dei loro Padroni che, forse a confronto con altri, avrebbero potuto soccombere. Pur vero che non ne conosceva le doti guerriere.
Le sarebbe piaciuto sapere se ci fossero altri umani e che tipi fossero. Le sarebbe stato utile il giorno in cui si fosse trovata in quei territori da sola per ritornare a casa.
Con il cavaliere in groppa fu costretta ad abbandonare quei pensieri che, invece, le facevano costante compagnia mentre, animale da trasporto, camminava in carovana con la sua parte di soma.
Smise di guardarsi in giro e, quando si accorse di ciò, provò rabbia verso sé stessa in quanto stava perdendo attenzione verso il territorio.
D’altro canto non era facile muoversi con il cavaliere in groppa. Voleva e doveva concentrarsi per portarlo a dovere.
Lui stava attento ai movimenti della cavalla e, al minimo cenno di disattenzione, lui se ne accorgeva e la richiamava o con le ginocchia strette ai fianchi, o con le redini o, nel peggiore dei casi, con un colpo si fristino sulle natiche la cui forza era proporzionata alla ritenuta distrazione.
Non guardava più nemmeno le altre schiave, tutta tesa alla propria attività.
Quell’uomo ci sapeva fare come domatore di cavalle. Doveva averne addestrate tante perché riusciva ad entrare in simbiosi con lei e a trarre il meglio che potesse dare.
Le dava fastidio il morso. Aveva avuto modo di vedere che anche alle altre cavalla dava fastidio.
Qualcuna si era lamentata ma, in cambio, aveva ricevuto molte frustate. Evidentemente era uno strumento indispensabile e non era possibile farne a meno.
Ogni tanto le faceva aumentare l’andatura e, quando si accorgeva della sua eccessiva difficoltà, la faceva rallentare tirando indietro le redini.
Chanel imparò presto a conoscere i significati ed i movimenti delle redini.
Era quello l’unico mezzo di comunicazione tra uomo e animale. Anche lei, quando era cavallerizza, comunicava con il suo cavallo nello stesso modo: talloni, redini e frustino.
Questa presa di coscienza, già nota e forse ignorata per il suo forte significato, le fece aumentare il buco nero nell’anima, in quando non poté più nascondere a sé stessa che, per quegli uomini, lei era solo un animale.
Anche le altre erano tali, ovviamente, ma lei pensava solo a sé stessa ed alla sua sorte, staccandola da quella del gruppo.
Un animale, da solo, è debole. Più forte quando è in branco.
Tuttavia i pigmei impedivano le comunicazioni tra animali per evitare, evidentemente, che si formasse un branco, così da renderle individualiste e, pertanto, deboli.
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