Pigmei – nuovamente schiava (parte 7)
di
Kugher
genere
sadomaso
Chanel era seduta a terra, sul pavimento freddo in quella cella buia.
Accanto a lei vi era un pagliericcio, ma preferiva sentire le natiche sul freddo del pavimento in modo che il disagio le tenesse viva la voglia di fuga.
Vi era, in alto, tra la parete ed il soffitto, una piccolissima bocca di lupo, utile per il ricambio dell’aria in quel locale piccolo ed angusto che, evidentemente, si trovava sotto la soglia del terreno.
La nudità, ormai, era vissuta come cosa normale nella anormalità della situazione nella quale si trovava da moltissimi mesi.
Aveva le ginocchia raccolte al petto e tenute strette dalle braccia, quasi ad avere una sorta di protezione da tutto ciò che la circondava, come se le sue braccia e le sue gambe fossero l’unica protezione della cassa toracica che accoglieva il suo cuore e, da qualche parte, anche la sua anima.
Il collare era ritornato ad essere in ferro. Non ci si era mai abituata. Quando era schiava della tribù dei pigmei al collo aveva una corda resistente.
Il ferro era apparso dopo la cattura al momento della sua fuga, quando era stata presa dai commercianti di schiavi.
Il materiale era pesante e maggiormente le faceva avvertire il suo stato.
Attaccato ad esso vi era una catena che le limitava il raggio di azione in quella cella già piccola.
Non ne capiva l’utilità, posto che una fuga da quel locale era pressoché impossibile.
Non si sentivano rumori, fatta eccezione per il ritmico cadere di una goccia amplificato da un minimo rimbombo.
La bocca di lupo le dava il senso del tempo che passava per l’alternarsi della luce e del buio.
Aveva imparato a distinguere anche mattina e pomeriggio.
Altra cosa che aveva memorizzato era più o meno la cadenza della guardia che le portava cibo e acqua.
In realtà era solo un servo che la osservava con lascivia ma che non osava toccarla, benché i suoi occhi denunciassero ben altri pensieri per quell’uomo anziano e senza tre denti che si trovava di fronte una giovane ragazza nuda e incatenata.
Evidentemente era fortissima la paura di toccare le cose dei Padroni perché, a differenza delle altre “cose”, quella avrebbe potuto parlare.
Ormai ne riconosceva i passi.
Le linee nel terreno erano 6 quando sentì nel corridoio passi diversi, più imperiosi, sicuri, tipici di colui che possiede il potere e si muove con sicurezza e decisione.
Erano passi di più persone.
Un paio appartenevano sicuramente al servo. Gli altri ai Padroni. Una era una donna, sicuramente.
Evidentemente venivano ad osservare il loro ultimo acquisto.
Chanel si impose di tenere il comportamento che da subito aveva adottato, docile e remissivo.
Quando vide i nuovi Padroni, però, Chanel venne colta prima da sconforto e, poi, da un eccesso di rabbia e ribellione per lei inaspettata. Per evitare conseguenze spiacevoli le era dunque stato messo il collare incatenato al muro con una catena corta. Se ne rese conto quando, scagliatasi in avanti con gli occhi fuori dalle orbite, venne trattenuta bruscamente cadendo rovinosamente a terra, ai piedi dei Padroni, confermando il loro ed il proprio stato.
Si era sempre imposta di adottare un comportamento remissivo e sottotono, conscia che era inutile creare allarmismi nei Padroni che li avrebbe solo costretti a tenerla maggiormente controllata, oltre a procurare, sicuramente, inutili punizioni.
Lei avrebbe dovuto liberarsi della schiavitù fuggendo, non certo reagendo a chi la possedeva che, in quanto tale, avrebbe potuto fare di lei tutto ciò che avrebbe voluto.
Da subito voleva che il Padrone la considerasse non come una fonte di pericolo e, così, avrebbe prima o poi allentato la stretta del controllo, cosa della quale avrebbe potuto approfittarne per fuggire.
Tuttavia, quando vide che era stata acquistata dal Duca D’Amboise, Sebastien e da sua moglie, la Duchessa Chloé, i suoi nervi cedettero.
Il Duca e la Duchessa erano amici della sua famiglia, spesso ospiti nelle rispettive residenze.
I Padroni la osservavano compiaciuti, stesa a terra, ai loro piedi, inerme ed incatenata, in una situazione che aveva evidenziato la diversità dei ruoli e la incolmabile distanza tra le due nuove posizioni.
Ripensando a quanto accaduto in quel momento, a mente fredda, ore dopo nella solitudine della cella, Chanel provò rabbia per la sua reazione che aveva fatto il gioco dei Padroni. Lo aveva capito dal loro sorriso beffardo ed eccitato quando era caduta ai loro piedi, trattenuta dalla catena.
Tuttavia al momento non era riuscita a trattenersi e, non paga, aveva profferito una serie infinita di improperi.
I Padroni l’avevano fatta terminare mantenendo sempre il loro sguardo e sorriso compiaciuti, come di coloro che osservano divertiti gli sforzi di una mosca che cerca di uscire da un barattolo di vetro chiuso con un coperchio.
La rabbia aveva impedito a Chanel di vedere che il Duca aveva in mano uno scudiscio che, cessato il divertimento determinato dalla reazione della schiava, consentì di sostituirlo con bel altro divertimento, sicuramente più eccitante.
La schiava non riuscì a tenere il conto delle frustate ricevute. Nemmeno poteva vedere la pelle segnata che avrebbe potuto denunciarne il numero, in quanto raggomitolata su sé stessa a difesa.
La pausa servì solo a trasferire lo scudiscio in mano alla Duchessa che, cessato definitivamente lo scopo punitivo dei colpi, iniziò a provare molta eccitazione.
Nemmeno i Padroni seppero quanti colpi avessero dato alla loro nuova proprietà. Smisero solo quando si sentirono soddisfatti e pronti per altro tipo di eccitazione e piacere.
“Bellissima Chanel, inutile che ti ribelli. Ti abbiamo acquistata ed ora sei e sarai, finchè ne avremo voglia e piacere, la nostra schiava”.
Da un tempo che le sembrava infinito non sentiva il suo nome.
Avvertì anche una sorta di piacere nella sua pronuncia nei Padroni, come se ricordasse loro le sue origini in contrasto con il suo attuale stato.
“In un modo o nell’altro otterremo la tua totale ubbidienza. Sta solo a te non trasformare il divertimento dettato dalla tua riottosità, in fastidio per noi. A quel punto, la tua presenza qui diviene inutile. Non intendo qui nel castello, intendo qui in Francia o, meglio ancora, in questo continente, forse meglio destinata a bordelli arabi dove le bianche sono sempre ben gradite, finché utilizzabili”.
Ormai la sua mente si era placata e Chanel recepì pienamente il significato di quanto appena comunicatole.
Non poteva permettersi di finire in altro continente.
La mente prese il sopravvento sul cuore e, mestamente, si stese sul ventre e iniziò a strisciare sul pavimento fino a raggiungere la tensione massima nella catena legata al collare.
Per manifestare la sua sottomissione, allungò il collo e fece uscire la lingua.
La Duchessa allungò il piede con la sicurezza di chi sa di avere ottenuto ciò che desiderava, esponendolo alle umili leccate di quella bella nobile ridotta in schiavitù.
Chloé spostò il piede in modo da esporre alla lingua ogni parte della scarpetta. prima una e poi l’altra.
Anche il Conte non volle rinunciare a tale piacere. La Padrona gli lasciò volentieri il posto privilegiato e mise il piede sulla schiena del loro nuovo giocattolo.
“Credo sia il caso di provare diversamente la sua lingua”.
Tutti compresero il vero significato di quella frase.
“André, preparala e portacela di sopra”.
Prima di allontanarsi, più per piacere che per necessità, la Contessa diede un calcio alla schiava ai suoi piedi.
Il Conte e la Duchessa erano seduti su quello che loro definivano Trono, che usavano quando ricevevano i contadini ed i servi che venivano a supplicare, in ginocchio, per le loro umili richieste.
La differenza consisteva nel cazzo esposto e già duro del Duca, mentre la Duchessa aveva la gonna sollevata e le cosce allargate, sprovvista dei mutandoni, quando il servo arrivò in sala, portando al guinzaglio la bella Chanel che, nel frattempo, era stata fatta lavare e profumare.
“A 4 zampe!”.
Dovette percorrere in quella umiliante posizione tutto lo spazio che la divideva dalla porta di ingresso alla sala del Trono fino ai suoi Padroni che dovette allietare con la sua lingua.
Mentre Chanel leccava la figa della Padrona, il Duca, avendo l’eccitazione raggiunto un livello prossimo al colmo, fece mettere a 4 zampe la schiava e la penetrò fino a spruzzare dentro di lei tutto il suo piacere.
L’eccitazione venne sostituita dal più semplice piacere quando i Padroni la costrinsero, nuda, a servirli a tavola.
Accanto a lei vi era un pagliericcio, ma preferiva sentire le natiche sul freddo del pavimento in modo che il disagio le tenesse viva la voglia di fuga.
Vi era, in alto, tra la parete ed il soffitto, una piccolissima bocca di lupo, utile per il ricambio dell’aria in quel locale piccolo ed angusto che, evidentemente, si trovava sotto la soglia del terreno.
La nudità, ormai, era vissuta come cosa normale nella anormalità della situazione nella quale si trovava da moltissimi mesi.
Aveva le ginocchia raccolte al petto e tenute strette dalle braccia, quasi ad avere una sorta di protezione da tutto ciò che la circondava, come se le sue braccia e le sue gambe fossero l’unica protezione della cassa toracica che accoglieva il suo cuore e, da qualche parte, anche la sua anima.
Il collare era ritornato ad essere in ferro. Non ci si era mai abituata. Quando era schiava della tribù dei pigmei al collo aveva una corda resistente.
Il ferro era apparso dopo la cattura al momento della sua fuga, quando era stata presa dai commercianti di schiavi.
Il materiale era pesante e maggiormente le faceva avvertire il suo stato.
Attaccato ad esso vi era una catena che le limitava il raggio di azione in quella cella già piccola.
Non ne capiva l’utilità, posto che una fuga da quel locale era pressoché impossibile.
Non si sentivano rumori, fatta eccezione per il ritmico cadere di una goccia amplificato da un minimo rimbombo.
La bocca di lupo le dava il senso del tempo che passava per l’alternarsi della luce e del buio.
Aveva imparato a distinguere anche mattina e pomeriggio.
Altra cosa che aveva memorizzato era più o meno la cadenza della guardia che le portava cibo e acqua.
In realtà era solo un servo che la osservava con lascivia ma che non osava toccarla, benché i suoi occhi denunciassero ben altri pensieri per quell’uomo anziano e senza tre denti che si trovava di fronte una giovane ragazza nuda e incatenata.
Evidentemente era fortissima la paura di toccare le cose dei Padroni perché, a differenza delle altre “cose”, quella avrebbe potuto parlare.
Ormai ne riconosceva i passi.
Le linee nel terreno erano 6 quando sentì nel corridoio passi diversi, più imperiosi, sicuri, tipici di colui che possiede il potere e si muove con sicurezza e decisione.
Erano passi di più persone.
Un paio appartenevano sicuramente al servo. Gli altri ai Padroni. Una era una donna, sicuramente.
Evidentemente venivano ad osservare il loro ultimo acquisto.
Chanel si impose di tenere il comportamento che da subito aveva adottato, docile e remissivo.
Quando vide i nuovi Padroni, però, Chanel venne colta prima da sconforto e, poi, da un eccesso di rabbia e ribellione per lei inaspettata. Per evitare conseguenze spiacevoli le era dunque stato messo il collare incatenato al muro con una catena corta. Se ne rese conto quando, scagliatasi in avanti con gli occhi fuori dalle orbite, venne trattenuta bruscamente cadendo rovinosamente a terra, ai piedi dei Padroni, confermando il loro ed il proprio stato.
Si era sempre imposta di adottare un comportamento remissivo e sottotono, conscia che era inutile creare allarmismi nei Padroni che li avrebbe solo costretti a tenerla maggiormente controllata, oltre a procurare, sicuramente, inutili punizioni.
Lei avrebbe dovuto liberarsi della schiavitù fuggendo, non certo reagendo a chi la possedeva che, in quanto tale, avrebbe potuto fare di lei tutto ciò che avrebbe voluto.
Da subito voleva che il Padrone la considerasse non come una fonte di pericolo e, così, avrebbe prima o poi allentato la stretta del controllo, cosa della quale avrebbe potuto approfittarne per fuggire.
Tuttavia, quando vide che era stata acquistata dal Duca D’Amboise, Sebastien e da sua moglie, la Duchessa Chloé, i suoi nervi cedettero.
Il Duca e la Duchessa erano amici della sua famiglia, spesso ospiti nelle rispettive residenze.
I Padroni la osservavano compiaciuti, stesa a terra, ai loro piedi, inerme ed incatenata, in una situazione che aveva evidenziato la diversità dei ruoli e la incolmabile distanza tra le due nuove posizioni.
Ripensando a quanto accaduto in quel momento, a mente fredda, ore dopo nella solitudine della cella, Chanel provò rabbia per la sua reazione che aveva fatto il gioco dei Padroni. Lo aveva capito dal loro sorriso beffardo ed eccitato quando era caduta ai loro piedi, trattenuta dalla catena.
Tuttavia al momento non era riuscita a trattenersi e, non paga, aveva profferito una serie infinita di improperi.
I Padroni l’avevano fatta terminare mantenendo sempre il loro sguardo e sorriso compiaciuti, come di coloro che osservano divertiti gli sforzi di una mosca che cerca di uscire da un barattolo di vetro chiuso con un coperchio.
La rabbia aveva impedito a Chanel di vedere che il Duca aveva in mano uno scudiscio che, cessato il divertimento determinato dalla reazione della schiava, consentì di sostituirlo con bel altro divertimento, sicuramente più eccitante.
La schiava non riuscì a tenere il conto delle frustate ricevute. Nemmeno poteva vedere la pelle segnata che avrebbe potuto denunciarne il numero, in quanto raggomitolata su sé stessa a difesa.
La pausa servì solo a trasferire lo scudiscio in mano alla Duchessa che, cessato definitivamente lo scopo punitivo dei colpi, iniziò a provare molta eccitazione.
Nemmeno i Padroni seppero quanti colpi avessero dato alla loro nuova proprietà. Smisero solo quando si sentirono soddisfatti e pronti per altro tipo di eccitazione e piacere.
“Bellissima Chanel, inutile che ti ribelli. Ti abbiamo acquistata ed ora sei e sarai, finchè ne avremo voglia e piacere, la nostra schiava”.
Da un tempo che le sembrava infinito non sentiva il suo nome.
Avvertì anche una sorta di piacere nella sua pronuncia nei Padroni, come se ricordasse loro le sue origini in contrasto con il suo attuale stato.
“In un modo o nell’altro otterremo la tua totale ubbidienza. Sta solo a te non trasformare il divertimento dettato dalla tua riottosità, in fastidio per noi. A quel punto, la tua presenza qui diviene inutile. Non intendo qui nel castello, intendo qui in Francia o, meglio ancora, in questo continente, forse meglio destinata a bordelli arabi dove le bianche sono sempre ben gradite, finché utilizzabili”.
Ormai la sua mente si era placata e Chanel recepì pienamente il significato di quanto appena comunicatole.
Non poteva permettersi di finire in altro continente.
La mente prese il sopravvento sul cuore e, mestamente, si stese sul ventre e iniziò a strisciare sul pavimento fino a raggiungere la tensione massima nella catena legata al collare.
Per manifestare la sua sottomissione, allungò il collo e fece uscire la lingua.
La Duchessa allungò il piede con la sicurezza di chi sa di avere ottenuto ciò che desiderava, esponendolo alle umili leccate di quella bella nobile ridotta in schiavitù.
Chloé spostò il piede in modo da esporre alla lingua ogni parte della scarpetta. prima una e poi l’altra.
Anche il Conte non volle rinunciare a tale piacere. La Padrona gli lasciò volentieri il posto privilegiato e mise il piede sulla schiena del loro nuovo giocattolo.
“Credo sia il caso di provare diversamente la sua lingua”.
Tutti compresero il vero significato di quella frase.
“André, preparala e portacela di sopra”.
Prima di allontanarsi, più per piacere che per necessità, la Contessa diede un calcio alla schiava ai suoi piedi.
Il Conte e la Duchessa erano seduti su quello che loro definivano Trono, che usavano quando ricevevano i contadini ed i servi che venivano a supplicare, in ginocchio, per le loro umili richieste.
La differenza consisteva nel cazzo esposto e già duro del Duca, mentre la Duchessa aveva la gonna sollevata e le cosce allargate, sprovvista dei mutandoni, quando il servo arrivò in sala, portando al guinzaglio la bella Chanel che, nel frattempo, era stata fatta lavare e profumare.
“A 4 zampe!”.
Dovette percorrere in quella umiliante posizione tutto lo spazio che la divideva dalla porta di ingresso alla sala del Trono fino ai suoi Padroni che dovette allietare con la sua lingua.
Mentre Chanel leccava la figa della Padrona, il Duca, avendo l’eccitazione raggiunto un livello prossimo al colmo, fece mettere a 4 zampe la schiava e la penetrò fino a spruzzare dentro di lei tutto il suo piacere.
L’eccitazione venne sostituita dal più semplice piacere quando i Padroni la costrinsero, nuda, a servirli a tavola.
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