Confessioni di uno schiavo

di
genere
dominazione

“Stavo pensando di restituirti la libertà...” Disse Valeria con aria come annoiata, rilassatamente immersa nella schiuma da bagno della sua Jacuzzi, sorseggiando prosecco da un flute, tra le note in sottofondo della Romanza di Beethoven, mentre il vapore acqueo, misto di aromi di mentolo e lavanda, salendo lento formava una tiepida piacevole fitta nebbia bianca che aveva avvolto l'intera stanza da bagno. Nebbia che, riaprendo gli occhi, non gli impedì di scorgere Publio, ai suoi piedi incrociati sul bordo della vasca, che si era bloccato mentre le praticava un lento massaggio plantare.

“Perchè ti sei fermato? Ti ho per caso dato l'ordine di fermarti?” , gli disse in tono fra l'incuriosito e lo sprezzante.

“No padrona...e che...”, rispose Publio con la consueta reverenza alzando lo sguardo verso la sua padrona.

“Che, cosa? Che vuoi dire!” tornò a sferzarlo Valeria poggiando il flute vuoto sul mobiletto accanto. “Riprendi subito!” gli ordinò.

“Oh si padrona subito...e che le tue parole di prima...ecco...” rispose mesto il ragazzo mentre, svogliato, riprese il massaggio. Quelle parole gli avevano rotto l'incantesimo di ogni pomeriggio, quando non aspettava altro di potersi occupare dei piedi divini della sua adorata padrona, splendidi con il loro smalto rosso fuoco sulle unghia lunghe, l'anellino al medio e le cavigliere d'oro purissimo. Quello, era un momento di una sacralità mistica che andava oltre la mera eccitazione erotica.

“Quali parole? Che voglio restituirti la libertà? Ma non certo oggi o più tardi...pensavo a domani. Per adesso rimani il mio schiavo. La mia proprietà.” , rispose Valeria riprendendo in mano il flute, che il ragazzo veloce riempì di altro prosecco per poi tornare con altrettanta sollecitudine a massaggiare i piedi della padrona.

“Dovresti essere felice che ti restituisco alla tua vita da libero. Potrai tornare al tuo paese. A casa tua. Fare quello che ti pare senza più il mio assillo. La prigione che ti costringo a vivere per soddisfare i miei capricci. Le mie voglie. E subire i supplizi che mi diverte infliggerti per ricordarti che sei un verme, una nullità, uno zerbino!”, continuò Valeria alternando sorsi di prosecco e sorrisi sarcastici.

“Appunto, padrona...restituirmi la libertà. Io non voglio quella libertà. Perchè non lo è. Vivere lontano da te, senza poterti servire e adorare. Senza il privilegio che mi concedi quando mi ordini di umiliarmi ai tuoi piedi divini, sarebbe per me la vera galera. Sono nato schiavo. Il tuo schiavo. Questa è la libertà per me. L'unica libertà a cui anelo. Sento come dovere supremo, come unico scopo della mia insignificante esistenza, quello di servire una divinità come te, Padrona, di obbedire ad ogni tuo comando, di sacrificare la mia vita sul tuo altare. Non esisterei senza di te. Ti supplico, tienimi tua proprietà fino alla fine dei miei giorni, non oserò chiederti altro.” rispose con tono afflitto e supplicante Publio, baciando e poi leccando i piedi alla sua padrona.

Valeria superba lo osservava con un sorriso divertito e soddisfatto, mentre lenta la nebbia si diradava come a rendere più nitida quella verità. Era la risposta che voleva sentire. La prova che Publio era suo per sempre. Il suo nulla, il suo vuoto da riempire. Da quel momento sapeva che si sarebbe lasciato plasmare da lei. Accettando di leccarle non solo il piede nudo bellissimo, pulito ed odoroso, come stava facendo in quel momento, ma la scarpa dopo una giornata di pioggia tra il fango, di raccogliere e ingoiare quel sudiciume di cui non sarebbe riuscito a provar disgusto. Che le avrebbe consegnato per sempre la sua vita.

“Nato schiavo, dunque. Non lo sei diventato per me...” disse Valeria posando il vino, togliendo rapidamente i piedi dalla lingua del ragazzo, per accingersi ad uscire dalla vasca: “In effetti ti ho raccattato da quell'istituto proprio per questo. Il tuo essere servile ed adorante è sempre stato evidente. Non potevo desiderare di meglio. Come potrei mai liberarmi di te?” riprese, mentre Publio la avvolgeva nel telo spugna e prostrandosi le asciugava i piedi ed i polpacci.

“In quell'istituto, già! Li ho capito la mia vera natura” iniziò Publio con reverenza, ma rincuorato dal dietrofront della sua Padrona, a confessare il suo passato, mentre Valeria si stendeva sul lettino da massaggio: ”C'era una suora li. Suor Teresa si chiamava. Io ero agli albori delle mie pulsioni sessuali quando mia madre decise di affidarmi a lei. Suor Teresa, rispetto alle sue consorelle, poteva definirsi giovane, con un fisico imponente, non grassa, ma in carne, e, nei limiti consentiti ad una suora, abbastanza curata e piacente. Ma soprattutto molto autoritaria e per la somma di questi fattori io ne ero irresistibilmente attratto. Per questo in quel tempo pensai di essere strano, ciò che sentivo e bramavo non era uguale a quello degli altri miei compagni di istituto. Non capivo perchè, ma al cospetto di quella donna provavo sempre una sorta di piacevole vertigine e smarrimento. Pensavo che fosse sbagliato, che dovessi correggerlo o comunque reprimerlo. Non era facile, anzi...ogni giorno di più sentivo il bisogno di adorarla, di pormi al suo servizio, di combinare una qualsiasi marachella in modo da subire, puntuali, le sue punizioni corporali: mi vergava nelle mani o sui glutei, in questo caso il bruciore mi provocava un piacere inspiegabile. Altre volte, nell'estasi del suo sadismo, mi prendeva per i capelli e mi faceva inginocchiare sui ceci crudi a chiedere perdono per essere un peccatore fino a costringermi a comportarmi da zerbino ai suoi piedi e li non riuscivo a frenare le erezioni del mio arnese. Era lampante che Suor Teresa, avendo compreso fin da subito questa mia indole servile, questa mia propensione ad esserle sottomesso, a consegnarmi volontariamente inerme al suo abuso di potere, ai suoi capricci, provasse piacere nel suppliziarmi, nell'umiliarmi e questa cosa mi provocava erezioni durissime che dovevo sfogare in bagno o nel letto. Fino a che un pomeriggio di quasi estate arrivò all'apoteosi. Mi spalancò le porte della percezione, del nirvana”

“La tua prima padrona, insomma.” rispose pigramente Valeria stesa sul lettino a pancia in giù a godersi il massaggio con oli profumati che gli praticava il suo devoto schiavo: “Colei che ti ha aperto le porte alla percezione della tua inferiorità. Che ti ha preparato a me che ti faccio di peggio, visto che non puoi nemmeno sfogare le tue erezioni in quanto ti ho imposto il lucchetto li sotto, di cui solo io ho la chiave. Il tuo desiderio e il tuo piacere appartengono a me e decido io se ne sei degno o meno di
meritarli. Ma cosa ti fece quel pomeriggio?”

“Suor Teresa dava il suo contributo nelle cucine. Finite le faccende aveva l'abitudine di rilassarsi prendendo il sole d'inizio estate seduta nel patio retrostante la cucina posto in una posizione molto discreta. Per questo si sedeva su una poltroncina, alzava la tonaca fin sopra alle ginocchia, per far prendere un po' di sole alle sue bianche carnose gambe lisce e tornite che stendeva appoggiando i piedi nudi su un'altra sedia di fronte. Su questa sedia c'era un grosso cuscino con una forma strana, sembrava quasi umana. Lei ci piantava i piedi sopra, incrociandoli e muovendoli con lenta sensualità, sfregandoli voluttuosamente su quella che a me sembrava la faccia del cuscino.” Riprese il suo racconto Publio mentre massaggiava con dolce sicurezza, a mani unte di crema cosmetica, le belle gambe della sua divina Padrona: “Io proprio per questo per giorni avevo preso l'abitudine di spiarla nascosto dietro una grossa pianta poco distante. Quella scena mi suscitava un misto di irrefrenabile piacere, tanto che sfogavo il mio arnese durissimo eiaculando copiosamente dentro il vaso, e di rabbiosa gelosia perchè invidiavo quel cuscino e ne bramavo ardentemente prenderne il posto. Volevo la mia faccia sotto quei piedi implacabili! Non so cosa avrei dato per esserci io. Poi quel pomeriggio avvenne che Suor Teresa, per un un rumore da me involontariamente causato, si accorse della mia presenza. Mi chiamò a se col suo solito modo imperioso, ma senza ricomporsi per nulla da quella posizione, e pretese sapere cosa stessi facendo li dietro. Li per li non riuscì a darle risposta, un po' per la vergogna di essere stato scoperto. Un po' perchè incantato di piacere alla vista così da vicino dei suoi piedi ancora incrociati a tormentare la faccia del cuscino. I piedi di Suor Teresa, nonostante da suora non potesse mettere smalto, erano belli, dita grandi, monta e piante carnose e lisce, senza duroni o ingiallimenti.”

“Più belli dei miei?” Lo interruppe con un sorriso beffardo Valeria che ne frattempo si era girata di pancia e aveva alzato una gamba per mettere la pianta del suo piede sulla faccia di Publio che si stava preparando al massaggio dell'addome e poggiato le dita sulla bocca del ragazzo richiese: “Dimmi verme...più belli dei miei, dunque?”

“Oh no, Padrona, no! Mai. La bellezza e la sensualità dei tuoi piedi non ha eguale nemmeno oltre l'universo, in loro come in te c'è qualcosa che ha a che fare col divino.” Rispose lo schiavo non appena la padrona gli tolse le dita dalla bocca dopo averglieli fatti baciare e leccare: “Ma a quel tempo, alla mia prima volta, i piedi ben curati di quella suora mi apparivano di una carica erotica irresistibile. E poi quel cuscino sotto. Oh dio che rabbia quel cuscino, che invidia per la goduria immeritata, Suor Teresa, stava elargendo, senza pietà, a quell'essere inanimato quando c'ero io a sua disposizione, io il suo sottomesso, io che avrei saputo adorarli quei piedi come meritavano!”

“Già...ma infatti tu sei il mio cuscino preferito quando guardo la tv sul divano o sul letto. Tormentarti la faccia sotto i piedi, farti soffrire senza che tu possa sfogare la voglia del tuo membro eretto mentre me li adori, come solo tu sai fare, mi da piaceri da orgasmo”. Disse ridendo Valeria mentre, dopo aver tirato leggermente su la spalliera del lettino, con pigra voluttà si accendeva una sigaretta osservando il suo schiavo manipolarle le caviglie: “E quindi che successe?”

“Successe che in preda all'estasi di cosi tanta bellezza a pochi centimetri da me, le confessai il mio peccato dietro quella pianta per il mio ardente desiderio di essere il suo schiavo, di voler essere usato come quel suo cuscino da piedi. Forse mi sarei dovuto fermare, attendere, riflettere, ma non c'era più tempo, ero come vittima di un sortilegio e continuavo a precipitare in quel baratro come se agissi al di la della mia volontà. Tanto che per implorarla di farmi suo, mi inginocchiai davanti la sedia, all'incrocio dei suoi piedi. Mi abbassai sempre di più, fino a trovarmi con il volto sotto la pianta del suo piede odoroso. Da Suor Teresa mi sarei aspettato una reazione scandalizzata, di essere cacciato, invece con mio sommo stupore, era li ferma, tranquilla che mi osservava con un sorriso divertito e soddisfatto. Come se non aspettasse altro, come fosse nell'ordine naturale delle cose che dovessi umiliarmi a lei, che la riconoscessi in potenza. Quindi lasciò, partecipando col movimento lento del piede, che mi inebriassi di piacere sotto la pianta. Me la lasciò leccare fino in mezzo le dita che poi succhiai. Poi, dopo aver constatato che eravamo invisibili e completamente soli in quell'angolo di patio, mi concesse, in tono fra l'obbligo e la sfida, di prendere il posto dell'odiato cuscino. Così su quella sedia ci poggiai la faccia e Suor Teresa ci iniziò a sfregarci su entrambi i piedi, prima dolcemente, poi schiacciandomela con forza mentre mi diceva con imperio che se volevo essere il suo cuscino dovevo giurarle obbedienza e sottomissione eterna”.

“E poi?”

“E poi, Padrona...poi...certamente giurai! Non volevo altro che essere suo in maniera palese! E mentre godevo sotto quei piedi stupendi trattato come avevo sempre desiderato, ho sfogato, bagnandomi mutande e pantaloni, due volte consecutive senza nemmeno toccarmi, tanto provai piacere. Quando Suor Teresa decise di farmi alzare si accorse della grossa macchia sulla patta e mi impose mai più sfoghi solitari, ma che a sfogare il mio arnese ci doveva pensare solo lei o non mi avrebbe più voluto come suo schiavo. Così nei giorni successivi, col pretesto che il lavoro di fatica allontana dal peccato e dalla tentazione, mi diede il compito ufficiale di rassettare e pulire la sua cella. Quindi aspettava che tutte le consorelle lasciassero il dormitorio delle suore per chiudersi nella cella con me. Allora mi faceva spogliare completamente nudo e si divertiva con una verga a frustarmi le natiche ammonendomi con arroganza di essere peccatore pervertito, a farmi strisciare sul pavimento perchè mi diceva ero il serpente tentatore e lei, imitando la Vergine Maria che gli schiacciava il capo, allontanava da se il peccato schiacciandomi la faccia col suo implacabile piede nudo.”

“Hai visto la monaca!? E brava! Quasi più perversa di me! Prendo appunti..” sbottò Valeria facendosi una grassa risata.

“Infine, dopo avermi massacrato a puntino, mi faceva stendere sul letto assieme a lei, in sottoveste, stesa dall'altro capo e mi suppliziava il viso sotto i piedi. Trattava il mio viso, sfregandoci le sue piante rosee e morbide penetrandomi con le dita la bocca, proprio come quel cuscino di cui ero tanto geloso. Senza pietà. Io ero al settimo cielo dalla goduria. Quando si stancava e si accorgeva che il mio arnese diventava come il marmo, prima se lo godeva in bocca e poi ci si sedeva sopra cavalcandolo fino a farlo sfogare dentro di se e fino a che lei raggiungeva il piacere. E questo avveniva tutti i giorni, anche tre volte al giorno. Io ero in paradiso, non anelavo altro. I giorni li passavo contando l'ora, il minuto, il momento, in cui potevo raggiungerla nella sua cella per sottopormi a quello che ritenevo oramai il mio ineluttabile destino: essere il suo schiavo, il suo sollazzo, di subire i suoi implacabili abusi. Tutto durò per qualche anno, non saprei dirti quanto perchè il tempo a star sotto di lei mi sembrava sempre troppo breve, ricordo solo che quando Suor Teresa andò via, perchè chiamata in un altro istituto, caddi in uno stato di prostrazione mentale e fisica. Sentivo che la mia vita li dentro senza di lei, senza esserne lo straccio succube ai suoi comandi, senza esserne lo sguattero ubbidiente e da abusare a piacimento, non aveva più un senso. Allora mi sentivo un debole, un miserabile e mi riproponevo di porre un argine a questi impulsi che mi privavano della dignità. Così nelle mie libere uscite dall'istituto, per provare a cancellarla dalla mia anima, iniziai a conoscere altre donne e per quanto mi sforzassi per essere come tutti i maschi cosiddetti normali, loro, le Donne, continuavano ad apparirmi incommensurabili, sublimi, divinità a cui prostrarsi, inducendomi a provare un senso di inadeguatezza, di arresa e sottomissione incondizionata al loro essere. Un servo sciocco e indegno. Quindi in molte pensavano che fossi solo questo. Con crescente noncuranza, talvolta anche deridendomi, mi usavano e gettavano via "Peccato, era carino, mi piaceva, ma... ", immaginavo dicessero, mostrando pena o anche disgusto, dopo aver costatato con quanta docilità mi sottomettevo e umiliavo ai loro piedi.”

“Alla fine sono arrivata io a salvarti, dunque...no?” disse Valeria con un sorriso superbo, mentre si accomodava sulla poltrona che usava per farsi fare la pedicure dal suo schiavo. Publio rapido le accese la sigaretta che pendeva dalle sua labbra carnose e rimettendosi in ginocchio iniziò le operazioni.

“Oh si Padrona...assolutamente si! Anche se ogni giorno che passava la Donna continuava ad apparirmi incommensurabile e sublime. Un chiaroscuro da cui intravedevo qual'era ed è il mio unico scopo. Ma tu sei arrivata a togliermi lo scuro e lasciare il chiaro. Da te si diffondeva e si diffonde una bellezza che mi poneva e mi pone in uno stato di perenne soggezione, una bellezza che andava e va al di là del tuo meraviglioso aspetto esteriore, che esprimeva ed esprime la sacralità e l'assolutezza del tuo essere. Fu proprio la percezione e il presentimento di questa bellezza a far sì che io cominciassi a comprendere che il mio modo di sentire non era sbagliato. Il mio pormi al servizio della Donna nasceva da una spontanea e involontaria consapevolezza della natura imperfetta dell'essere maschio. Divenne sempre più nitida l'idea che per elevarmi ed essere un uomo migliore, io dovessi sempre e comunque sottomettermi alla Donna. Sottomettermi ed adorare Te, mia sublime e divina Padrona, accettare senza remore o vergogna di essere tuo subordinato, il tuo nulla che come aspirazione e premio per tanta fedeltà, ha solo quello di essere umiliato sotto i tuoi piedi”

“E bravo il mio servo! Tanta consapevolezza e devozione lo meritano proprio un premio” disse con superba soddisfazione Valeria mentre si controllava uno dei piedi appena smaltato. “La tua supplica di rimanere il mio schiavo a vita, il tuo riconoscere l'inferiorità tua e di tutto il genere maschile nei confronti della Donna, non solo la accolgo, ma ti permetterò, solo oggi non farci l'abitudine, di poterti sfogare il membro mentre ti supplizio il viso sotto i piedi”

“Oh si Padrona...questo mi lascia senza parole dalla felicità. Spero ardentemente di meritarmelo, di essere sempre all'altezza della tua munifica magnificenza” rispose Publio in preda alla gioia, mentre si mise in posizione affinchè la sua padrona gli aprisse il lucchetto della cintura di castità. Non appena libero, lo schiavo si stese sul letto come quel cuscino che gli suscitava tanta gelosia. Valeria già stesa, gli piazzò i suoi stupendi piedi sul volto e iniziò il supplizio che lo condusse in quel nirvana di piacere che dopo alcuni minuti, menando l'arnese duro come il marmo, manifestò con uno sfogo di sperma e di felicità mai vista.
scritto il
2024-04-05
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