Pigmei - commercio di schiave (parte 19)
di
Kugher
genere
sadomaso
Chanel ed Antonio raccontarono eccitati a Monique gli accadimenti presso il campo dei pigmei.
La socia, con un misto di eccitazione ed angoscia, ascoltò la descrizione dell’amaca umana.
Chanel, probabilmente, era molto più concentrata sull’affare che erano venuti a concludere. I timori c’erano, in lei, ma erano limitati al pericolo del viaggio. Ebbe una strana sensazione, forte, che attanaglia lo stomaco, quando era entrata al campo ed aveva visto le schiave cavalle, quelle nelle buche, le sedie umane. Successivamente, complice la tensione di essere riconosciuta, si era concentrata molto sulla trattativa.
Monique, per tutto il viaggio, era stata presa da una costante sensazione di disagio allo stomaco.
Dopo la loro fuga e liberazione dalla successiva schiavitù, quando erano state rapite dagli inglesi e vendute in Francia, la sua mente aveva cercato di cancellare completamente la disavventura nella quale per anni aveva vissuto in quella terra dimenticata dagli uomini.
Si era confrontata poco con Chanel in quegli anni, se non per battute sui ricordi, ma anche la sua socia cercava di parlarne poco.
Quest’ultima invece l’aveva elaborata molto, non aveva chiuso la porta alle spalle relegando in cantina i ricordi della schiavitù, ma ci aveva fatto i conti.
Questo, viste come erano andate le cose, non le aveva impedito di essere, a sua volta, commerciante di schiave, senza farsi scrupoli di coscienza al momento del rapimento o pentimenti dopo averle vendute e consegnate ad una nuova vita in catene.
L’elaborazione le era servita per convivere col suo passato e per perdere fiducia nel genere umano se non per Monique, l’unica alla quale si era sentimentalmente attaccata.
Aveva scopato ma mai più provato amore ed il cinismo non lasciava mai il suo sguardo nei rapporti con altri.
Monique invece aveva chiuso quel periodo non in una cantina, ma in una buca in un terreno disperso, nemmeno chiuso in una cassa ma coi ricordi sparsi mentre gettava sopra la terra per seppellirli, sperando che si disperdessero nel terreno come l’acqua di un temporale che lava e pulisce.
In quel viaggio, invece, quel terreno dove aveva seppellito le sensazioni ed i ricordi era prepotentemente tornato da lei. La buca era ancora lì, aperta ed i ricordi raggruppati e mai dispersi.
Da quando avevano iniziato a parlare del viaggio in Africa, l’angoscia si era impossessata di lei. La fame le era passata anche se lei attribuiva la perdita di peso al disagio del viaggio ed al mal di mare, del quale non aveva mai sofferto.
I racconti della vita al villaggio fecero uscire i ricordi da quella stramaledetta buca per rientrare prepotentemente nel suo cuore e nella sua anima, nel più profondo per disperdersi nel corpo ed andare a conquistare ogni singolo spazio.
La descrizione dell’amaca, che tanto aveva eccitato Antonio e Chanel, in lei aveva generato contrastanti sensazioni.
Durante il racconto stavano tutti seduti sulle schiene delle schiave usate come sedie, ma a lei quasi scottava la pelle dell’animale sotto di lei della quale, improvvisamente, sentì il bisogno di saperne il nome, cercandolo nei suoi ricordi.
Le sensazioni contrastanti trovarono sfogo sulla sua sedia umana, che continuava ad essere mobilio ma l’esigenza di conoscerne il nome aveva generato sconcerto in lei che per anni aveva rapito e venduto schiave senza problemi morali.
Diede alla ragazza, sulla quale era seduta, un schiaffo prima sulla testa e poi, col bastone, la colpì sulle natiche, con la scusa di un movimento che solo lei aveva colto.
Il gesto non aveva però avuto l’effetto sperato di farle scaricare l’ansia.
Le stesse emozioni furono per l’amaca umana. Riusciva a vedersi seduta sopra, e quindi comoda ed eccitata, ma anche sotto, dolorante nella postura stretta dalle corde.
Chanel e Antonio ridevano eccitati.
L’uomo, non pago della sola sedia umana, aveva chiamato un'altra schiava e, fatta inginocchiare davanti a lui, le mise in bocca un cazzo già duro.
Monique taceva, mentre Antonio, pur eccitato, ascoltava Chanel che faceva i calcoli sul possibile guadagno che avrebbero potuto fare con le schiave portate via dal campo.
Pensava di organizzare una serata nella quale, a turno, gli interessati all’acquisto avrebbero potuto vedere la merce e provare con la loro mano la vera sottomissione, cosa inesistente in Francia ed in Italia.
Le schiave del campo erano abbastanza forti per poter fare da cavalle, anche se per un breve tragitto, agli uomini occidentali seduti sulle loro schiene con una imbragatura che avrebbero fatto realizzare da esperti pellai.
Ciascun acquirente avrebbe avuto a disposizione sedie umane sulle quali gustare il vino.
All’ingresso, dopo la cavalcata umana dal cortile al salotto, avrebbero trovato un tappeto umano sul quale avrebbero potuto camminare più volte, godendo della silente sottomissione di quegli animali.
Qualunque cosa fosse stata fatta alle schiave in Europa, non sarebbe stato nulla a confronto della schiavitù al campo, le due socie lo sapevano bene.
Con la presentazione della merce esotica durante la quale sarebbe stata evidenziata la totale schiavitù di quegli animali, cosa sconosciuta tra i Padroni europei, avrebbero potuto guadagnare moltissimo.
L’ansia non abbandonò Monique nemmeno la mattina successiva. Aveva trascorso la notte insonne e a nulla era servito farsi leccare culo e figa contemporaneamente da due schiave.
Per ricordare a sé stessa di essere una Padrona, in quella terra nella quale era stata schiava, aveva tenuto una ragazza, legata, sotto i suoi piedi tutta la notte, in fondo al suo giaciglio.
Il cuore le salì a mille quando entrarono col carro trainato dalle cavalle umane nel campo dove erano attese.
Chanel era eccitatissima, come colei che torna al paese natio dal quale, povera, se ne era andata per tornare ricca e omaggiata.
Antonio era alle stelle. Per dormire si era portato la schiava che durante il racconto serale gli aveva leccato il cazzo e l’aveva scopata anche a metà notte, quando si era svegliato eccitato.
La socia, con un misto di eccitazione ed angoscia, ascoltò la descrizione dell’amaca umana.
Chanel, probabilmente, era molto più concentrata sull’affare che erano venuti a concludere. I timori c’erano, in lei, ma erano limitati al pericolo del viaggio. Ebbe una strana sensazione, forte, che attanaglia lo stomaco, quando era entrata al campo ed aveva visto le schiave cavalle, quelle nelle buche, le sedie umane. Successivamente, complice la tensione di essere riconosciuta, si era concentrata molto sulla trattativa.
Monique, per tutto il viaggio, era stata presa da una costante sensazione di disagio allo stomaco.
Dopo la loro fuga e liberazione dalla successiva schiavitù, quando erano state rapite dagli inglesi e vendute in Francia, la sua mente aveva cercato di cancellare completamente la disavventura nella quale per anni aveva vissuto in quella terra dimenticata dagli uomini.
Si era confrontata poco con Chanel in quegli anni, se non per battute sui ricordi, ma anche la sua socia cercava di parlarne poco.
Quest’ultima invece l’aveva elaborata molto, non aveva chiuso la porta alle spalle relegando in cantina i ricordi della schiavitù, ma ci aveva fatto i conti.
Questo, viste come erano andate le cose, non le aveva impedito di essere, a sua volta, commerciante di schiave, senza farsi scrupoli di coscienza al momento del rapimento o pentimenti dopo averle vendute e consegnate ad una nuova vita in catene.
L’elaborazione le era servita per convivere col suo passato e per perdere fiducia nel genere umano se non per Monique, l’unica alla quale si era sentimentalmente attaccata.
Aveva scopato ma mai più provato amore ed il cinismo non lasciava mai il suo sguardo nei rapporti con altri.
Monique invece aveva chiuso quel periodo non in una cantina, ma in una buca in un terreno disperso, nemmeno chiuso in una cassa ma coi ricordi sparsi mentre gettava sopra la terra per seppellirli, sperando che si disperdessero nel terreno come l’acqua di un temporale che lava e pulisce.
In quel viaggio, invece, quel terreno dove aveva seppellito le sensazioni ed i ricordi era prepotentemente tornato da lei. La buca era ancora lì, aperta ed i ricordi raggruppati e mai dispersi.
Da quando avevano iniziato a parlare del viaggio in Africa, l’angoscia si era impossessata di lei. La fame le era passata anche se lei attribuiva la perdita di peso al disagio del viaggio ed al mal di mare, del quale non aveva mai sofferto.
I racconti della vita al villaggio fecero uscire i ricordi da quella stramaledetta buca per rientrare prepotentemente nel suo cuore e nella sua anima, nel più profondo per disperdersi nel corpo ed andare a conquistare ogni singolo spazio.
La descrizione dell’amaca, che tanto aveva eccitato Antonio e Chanel, in lei aveva generato contrastanti sensazioni.
Durante il racconto stavano tutti seduti sulle schiene delle schiave usate come sedie, ma a lei quasi scottava la pelle dell’animale sotto di lei della quale, improvvisamente, sentì il bisogno di saperne il nome, cercandolo nei suoi ricordi.
Le sensazioni contrastanti trovarono sfogo sulla sua sedia umana, che continuava ad essere mobilio ma l’esigenza di conoscerne il nome aveva generato sconcerto in lei che per anni aveva rapito e venduto schiave senza problemi morali.
Diede alla ragazza, sulla quale era seduta, un schiaffo prima sulla testa e poi, col bastone, la colpì sulle natiche, con la scusa di un movimento che solo lei aveva colto.
Il gesto non aveva però avuto l’effetto sperato di farle scaricare l’ansia.
Le stesse emozioni furono per l’amaca umana. Riusciva a vedersi seduta sopra, e quindi comoda ed eccitata, ma anche sotto, dolorante nella postura stretta dalle corde.
Chanel e Antonio ridevano eccitati.
L’uomo, non pago della sola sedia umana, aveva chiamato un'altra schiava e, fatta inginocchiare davanti a lui, le mise in bocca un cazzo già duro.
Monique taceva, mentre Antonio, pur eccitato, ascoltava Chanel che faceva i calcoli sul possibile guadagno che avrebbero potuto fare con le schiave portate via dal campo.
Pensava di organizzare una serata nella quale, a turno, gli interessati all’acquisto avrebbero potuto vedere la merce e provare con la loro mano la vera sottomissione, cosa inesistente in Francia ed in Italia.
Le schiave del campo erano abbastanza forti per poter fare da cavalle, anche se per un breve tragitto, agli uomini occidentali seduti sulle loro schiene con una imbragatura che avrebbero fatto realizzare da esperti pellai.
Ciascun acquirente avrebbe avuto a disposizione sedie umane sulle quali gustare il vino.
All’ingresso, dopo la cavalcata umana dal cortile al salotto, avrebbero trovato un tappeto umano sul quale avrebbero potuto camminare più volte, godendo della silente sottomissione di quegli animali.
Qualunque cosa fosse stata fatta alle schiave in Europa, non sarebbe stato nulla a confronto della schiavitù al campo, le due socie lo sapevano bene.
Con la presentazione della merce esotica durante la quale sarebbe stata evidenziata la totale schiavitù di quegli animali, cosa sconosciuta tra i Padroni europei, avrebbero potuto guadagnare moltissimo.
L’ansia non abbandonò Monique nemmeno la mattina successiva. Aveva trascorso la notte insonne e a nulla era servito farsi leccare culo e figa contemporaneamente da due schiave.
Per ricordare a sé stessa di essere una Padrona, in quella terra nella quale era stata schiava, aveva tenuto una ragazza, legata, sotto i suoi piedi tutta la notte, in fondo al suo giaciglio.
Il cuore le salì a mille quando entrarono col carro trainato dalle cavalle umane nel campo dove erano attese.
Chanel era eccitatissima, come colei che torna al paese natio dal quale, povera, se ne era andata per tornare ricca e omaggiata.
Antonio era alle stelle. Per dormire si era portato la schiava che durante il racconto serale gli aveva leccato il cazzo e l’aveva scopata anche a metà notte, quando si era svegliato eccitato.
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