Barber shop
di
amanuense
genere
sentimentali
Mi ha dato appuntamento alle otto di lunedì, oggi rimarrà chiuso e lei ha deciso di dedicarsi a me.
Si è raccomandata di non radermi per almeno una settimana, ho raggiunto i dieci giorni. La mia barba è morbida, ha bisogno di crescere qualche millimetro prima di essere di nuovo tagliata, altrimenti rischio graffi, tagli e peli incarniti.
Raggiungo il vicolo del centro a piedi, ho lasciato la macchina ad un paio di chilometri, non c’era alternativa, mi sono concesso una passeggiata ristoratrice, fermato a fare colazione con un cornetto al miele ed un cappuccino denso e cremoso, poi ho stretto la sciarpa di cachemire color cammello intorno al collo e sono rientrato nel mondo sporco e freddo della capitale, città tanto bella quanto inospitale negli ultimi trent’anni, da quando un sindaco appariscente ha pensato fosse meglio mettere in piedi un festival del cinema, invece di sporcarsi le mani con i trasporti pubblici e la monnezza.
La tramontana che regala cielo azzurro e freddo tagliente, s’infila tra le auto posteggiate sghembe ed i palazzi di fine ottocento.
Davanti al salone alzo la testa e leggo l’insegna: Antica Barbieria dal 1920, un tocco di clessidra allo scorrere del tempo.
La serranda è a metà, io ne sollevo ancora mezzo metro e abbassando la testa busso al portoncino di legno e vetro. Ci mette qualche minuto ad uscire dal retro bottega e venirmi ad aprire.
Le luci sono soffuse, per non infastidire occhi ancora chiusi, i faretti sapientemente disposti creano un’atmosfera fumosa e antica, come lo è la splendida sedia sulla quale mi fa accomodare. Pelle ed acciaio. Mi spoglio della giacca maremmana e del berretto floscio. Indosso un dolcevita magenta che dopo essermi accomodato, con le lunghe mani arrotola alla base del collo. Vedo, davanti al grande specchio incorniciato di verde, allineati sul ripiano, gli strumenti: lozione prebarba, pennello di crine di cavallo, crema da barba, asciugamani per scaldare la pelle, rasoio a mano libera con impugnatura in tartaruga e lozione dopo barba.
Indossa una camicia bianca, aperta sul seno e dei pantaloni con le pence, da uno dei passanti pende la catena d’oro di un orologio da tasca. Allaccia col feltro adesivo la mantella amaranto intorno al collo e comincia.
Si versa la lozione prebarba sulla mano sinistra e inizia a massaggiare il viso, sento un calore salire fino alle tempie, la frizione dura qualche minuto, ogni punto viene raggiunto.
I miei occhi continuano a vagare all’interno del salone, non mi aveva mai invitato qua, chissà, forse per gelosia. I suoi movimenti precisi e misurati, si muove come in una danza silenziosa; tira fuori dal vaporizzatore l’asciugamano caldo e lo sistema come una benda sul viso, i pori si allargano, sento un benessere immediato. Mentre i miei occhi non vedono, le mie orecchie vengono carezzate da una musica, arrivata chissà da dove.
Chopin, Op. 9 N. 2, Notturno. Soave.
Siamo pronti per cominciare, il pennello fresco, spalma con regolarità la crema da barba alla menta, fragranza sempre attuale. Vedo afferrare il rasoio, aprirlo e percorrere la forma del viso seguendo il verso del pelo. È la prima volta che mi lascio fare la barba, avverto il tocco sicuro e solido della sua mano e mi rilasso.
Osservo lo sguardo celeste fissare i bordi del mio volto diventare nudi sotto la crema, lo scollo della camicia più evidente, lo smalto nero sulle dita. Mi domina.
Ha finito la prima parte, adesso mi pulisce e mi adagia di nuovo l’asciugamano caldo sulla pelle.
Dovrei farlo più spesso, questo rito mi riporta indietro nel tempo, quello lento dello scorso secolo, quando le giornate si misuravano diversamente.
Mentre la spugna solletica i miei pori, mi torna alla mente la prima volta che l’ho vista. Era un sabato mattina autunnale, quelli che a Roma scivolano via tra ottobre e novembre, con temperature dolci. Piazza Augusto Imperatore, accanto al Mausoleo di Augusto, il più grande, sotto i portici dei palazzi razionalistici, che qua sembrano essere calati da un’epoca troppo vicina, si tiene il mercatino dell’antiquariato. Bancarelle messe in piedi da dilettanti del settore, che vendono un po’ di tutto. Entrambi ci aggiravamo curiosi e solitari per il percorso quasi obbligato, fino a ritrovarsi a Via del Corso. Avevamo fissato un piccolo trumeau, sarebbe stato bene nel mio salotto; il prezzo era scritto sul cartellino, ma lei fece un’offerta più alta, io non volevo rinunciarci senza combattere, così rilanciai, tra le sommesse risate del proprietario che in una manciata di minuti vide salire il suo scrittoio di un centinaio di euro rispetto al prezzo di vendita. Alla fine lo prese lei e ora, aprendo gli occhi dopo che mi ha tolto l’asciugamani dal viso, lo vedo in un angolo proprio accanto alla porta del retro bottega.
Non è una mia impressione, ha realmente aperto un altro bottone della sua camicia; adesso dalla mia posizione, quando si piega su di me posso scorgere la punta del seno, sormontata dal pallido capezzolo. Il pennello cosparge il mio viso di crema ed il suo tocco torna a radermi, questa volta contropelo.
Movimenti brevi ma decisi, senza strappare, carezzando la pelle, che nella rasatura perde un sottile strato di epidermide. La sensazione è gradevole, chiudo gli occhi continuando ad ascoltare Chopin, mentre lei in silenzio sta terminando il lavoro.
Il pizzico arriva all’improvviso, un sottile bruciore sale netto al cervello, mi ha tagliato.
Apro gli occhi e non vedo panico nei suoi, posa il rasoio e si abbassa su di me, leccandomi via la goccia di sangue che punge il mento. Vedo la sua lingua rientrare nella bocca e sorridere, mentre mi assaggia, poi prende la lozione alcolica e la spalma con calma sul viso. Brucia sul taglio e lei ci soffia sopra. Quel gesto, inaspettato e sorprendente mi ha eccitato, lungo il cavallo, sotto la mantella una leggera erezione prende vita, la rasatura è finita. Mi libera e si mette davanti a me, con quella camicia che ormai nasconde veramente poco, mi rivolge uno sguardo inclinato mentre torno in piedi, si gira e comincia a spogliarsi raggiungendo il retro bottega, mi carezzo il viso, liscio, profumato e la seguo. [settembre 2023]
amanuense@blu.it
Si è raccomandata di non radermi per almeno una settimana, ho raggiunto i dieci giorni. La mia barba è morbida, ha bisogno di crescere qualche millimetro prima di essere di nuovo tagliata, altrimenti rischio graffi, tagli e peli incarniti.
Raggiungo il vicolo del centro a piedi, ho lasciato la macchina ad un paio di chilometri, non c’era alternativa, mi sono concesso una passeggiata ristoratrice, fermato a fare colazione con un cornetto al miele ed un cappuccino denso e cremoso, poi ho stretto la sciarpa di cachemire color cammello intorno al collo e sono rientrato nel mondo sporco e freddo della capitale, città tanto bella quanto inospitale negli ultimi trent’anni, da quando un sindaco appariscente ha pensato fosse meglio mettere in piedi un festival del cinema, invece di sporcarsi le mani con i trasporti pubblici e la monnezza.
La tramontana che regala cielo azzurro e freddo tagliente, s’infila tra le auto posteggiate sghembe ed i palazzi di fine ottocento.
Davanti al salone alzo la testa e leggo l’insegna: Antica Barbieria dal 1920, un tocco di clessidra allo scorrere del tempo.
La serranda è a metà, io ne sollevo ancora mezzo metro e abbassando la testa busso al portoncino di legno e vetro. Ci mette qualche minuto ad uscire dal retro bottega e venirmi ad aprire.
Le luci sono soffuse, per non infastidire occhi ancora chiusi, i faretti sapientemente disposti creano un’atmosfera fumosa e antica, come lo è la splendida sedia sulla quale mi fa accomodare. Pelle ed acciaio. Mi spoglio della giacca maremmana e del berretto floscio. Indosso un dolcevita magenta che dopo essermi accomodato, con le lunghe mani arrotola alla base del collo. Vedo, davanti al grande specchio incorniciato di verde, allineati sul ripiano, gli strumenti: lozione prebarba, pennello di crine di cavallo, crema da barba, asciugamani per scaldare la pelle, rasoio a mano libera con impugnatura in tartaruga e lozione dopo barba.
Indossa una camicia bianca, aperta sul seno e dei pantaloni con le pence, da uno dei passanti pende la catena d’oro di un orologio da tasca. Allaccia col feltro adesivo la mantella amaranto intorno al collo e comincia.
Si versa la lozione prebarba sulla mano sinistra e inizia a massaggiare il viso, sento un calore salire fino alle tempie, la frizione dura qualche minuto, ogni punto viene raggiunto.
I miei occhi continuano a vagare all’interno del salone, non mi aveva mai invitato qua, chissà, forse per gelosia. I suoi movimenti precisi e misurati, si muove come in una danza silenziosa; tira fuori dal vaporizzatore l’asciugamano caldo e lo sistema come una benda sul viso, i pori si allargano, sento un benessere immediato. Mentre i miei occhi non vedono, le mie orecchie vengono carezzate da una musica, arrivata chissà da dove.
Chopin, Op. 9 N. 2, Notturno. Soave.
Siamo pronti per cominciare, il pennello fresco, spalma con regolarità la crema da barba alla menta, fragranza sempre attuale. Vedo afferrare il rasoio, aprirlo e percorrere la forma del viso seguendo il verso del pelo. È la prima volta che mi lascio fare la barba, avverto il tocco sicuro e solido della sua mano e mi rilasso.
Osservo lo sguardo celeste fissare i bordi del mio volto diventare nudi sotto la crema, lo scollo della camicia più evidente, lo smalto nero sulle dita. Mi domina.
Ha finito la prima parte, adesso mi pulisce e mi adagia di nuovo l’asciugamano caldo sulla pelle.
Dovrei farlo più spesso, questo rito mi riporta indietro nel tempo, quello lento dello scorso secolo, quando le giornate si misuravano diversamente.
Mentre la spugna solletica i miei pori, mi torna alla mente la prima volta che l’ho vista. Era un sabato mattina autunnale, quelli che a Roma scivolano via tra ottobre e novembre, con temperature dolci. Piazza Augusto Imperatore, accanto al Mausoleo di Augusto, il più grande, sotto i portici dei palazzi razionalistici, che qua sembrano essere calati da un’epoca troppo vicina, si tiene il mercatino dell’antiquariato. Bancarelle messe in piedi da dilettanti del settore, che vendono un po’ di tutto. Entrambi ci aggiravamo curiosi e solitari per il percorso quasi obbligato, fino a ritrovarsi a Via del Corso. Avevamo fissato un piccolo trumeau, sarebbe stato bene nel mio salotto; il prezzo era scritto sul cartellino, ma lei fece un’offerta più alta, io non volevo rinunciarci senza combattere, così rilanciai, tra le sommesse risate del proprietario che in una manciata di minuti vide salire il suo scrittoio di un centinaio di euro rispetto al prezzo di vendita. Alla fine lo prese lei e ora, aprendo gli occhi dopo che mi ha tolto l’asciugamani dal viso, lo vedo in un angolo proprio accanto alla porta del retro bottega.
Non è una mia impressione, ha realmente aperto un altro bottone della sua camicia; adesso dalla mia posizione, quando si piega su di me posso scorgere la punta del seno, sormontata dal pallido capezzolo. Il pennello cosparge il mio viso di crema ed il suo tocco torna a radermi, questa volta contropelo.
Movimenti brevi ma decisi, senza strappare, carezzando la pelle, che nella rasatura perde un sottile strato di epidermide. La sensazione è gradevole, chiudo gli occhi continuando ad ascoltare Chopin, mentre lei in silenzio sta terminando il lavoro.
Il pizzico arriva all’improvviso, un sottile bruciore sale netto al cervello, mi ha tagliato.
Apro gli occhi e non vedo panico nei suoi, posa il rasoio e si abbassa su di me, leccandomi via la goccia di sangue che punge il mento. Vedo la sua lingua rientrare nella bocca e sorridere, mentre mi assaggia, poi prende la lozione alcolica e la spalma con calma sul viso. Brucia sul taglio e lei ci soffia sopra. Quel gesto, inaspettato e sorprendente mi ha eccitato, lungo il cavallo, sotto la mantella una leggera erezione prende vita, la rasatura è finita. Mi libera e si mette davanti a me, con quella camicia che ormai nasconde veramente poco, mi rivolge uno sguardo inclinato mentre torno in piedi, si gira e comincia a spogliarsi raggiungendo il retro bottega, mi carezzo il viso, liscio, profumato e la seguo. [settembre 2023]
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