Tavolo 32

di
genere
confessioni

Da quando si era licenziato, trascorreva le sue giornate alla Caffetteria della Ragione, un grazioso locale in stile liberty sotto i portici della Piazza del Mercato, dove ogni giorno, decine di banchi di frutta e alimentari trovavano posto, cercando di attrarre avventori sempre più distratti dall’offerta della grande distribuzione.
Arrivava intorno a mezzogiorno, si sedeva sempre allo stesso tavolo, il 32, dal quale poteva vedere attraverso la grande vetrata l’andirivieni delle persone e godersi la luce naturale, nelle poche e fortunate giornate nelle quali il sole decideva di riscaldare quella landa.
Queste immagini non lo distoglievano dall’esercizio quotidiano dello scrivere, anzi, a volte erano d’aiuto, suggerendogli personaggi, modi di fare o vestire.
Alle sette si alzava, salutava garbatamente e se ne tornava nel suo solitario appartamento, posto all’ultimo piano di uno stabile senza ascensore, nel cuore della città vecchia.
C’era una cameriera che più di ogni altra aveva attirato la sua attenzione, una donna sulla quarantina, dai capelli castani tagliati corti ed uno sguardo profondo, era sempre molto cortese pur mantenendo un certo distacco, che concluse dovesse essere parte della sua natura.
Quando lo serviva l’uomo leggeva nello sguardo verde tutta la sua curiosità; così un giorno che il lavoro era calmo, quando gli portò il caffè le chiese di sedersi un momento, un po’ imbarazzata dopo essersi guardata intorno, accettò.
“Piacere, Virgilio” le disse tendendole la mano.
“Elide, piacere” mormorò stringendola. Rotto il ghiaccio si spinse oltre: “Posso farle una domanda?”
“Certo, mi dica pure Elide”
“Cosa fa qui tutti i giorni, voglio dire, che cosa scrive?”
“Racconti, scrivo racconti, prendendo spunto da ciò che osservo. La vita che attraversa questo locale è una fonte inestimabile di ispirazione”
“Che genere di racconti?”
“Storie, ognuno di noi è portatore di una storia, anche lei ne avrà una da raccontare, immagino”
“Si, probabilmente si, ma non sono sicura di volerlo fare” disse alzandosi dalla sedia.
“Quando lo vorrà, sarei lieto di ascoltarla” concluse fissandola negli occhi.
Imbarazzata ma riflessiva tornò verso la sala.
Alle nove, Elide salutò il proprietario e uscì verso casa, camminava sotto i portici illuminati, intabarrata nel suo cappotto, con un cappello di lana in testa, l’umidità le entrava fin dentro le ossa. Prese il vicolo all’incrocio con la piazza e sbucò sul corso, dove si mise in paziente attesa del tram, che arrivò quasi subito; poche fermate e fu’ davanti all’ingresso del suo palazzo. Viveva in un pianterreno accanto alla portineria di uno stabile appena fuori il centro, una vecchia costruzione degli anni ’30.
Entrò in una casa piccola ma dignitosa, accese la lampada a piantana accanto alla finestra e si abbandonò sul divano, lasciò che la mente volasse via, pensò a ciò che gli aveva detto Virgilio, alle storie; alla sua storia, che forse non era ancora pronta per essere raccontata.
Si alzò, andò in cucina, mise su dell’acqua calda preparò una tisana, proseguì per la camera da letto, si tolse il cappotto, la sciarpa ed il cappello, poi fu’ la volta delle scarpe. Rimase con degli slip di cotone e una maglietta bianca, raggiunto il bagno fece scivolare via pure quelli. Aprì l’acqua della doccia e s’infilò dentro.
Mentre insaponava i capelli, pensava che quell’uomo poteva essere quello giusto, mentre passava la spugna sui seni piccoli e puntuti, pensava che nessun uomo le aveva mai offerto le sue orecchie, mentre scivolava con la mano sui peli del pube, pensava che forse era il momento giusto. Il calore dell’acqua ed i pensieri, uniti alla stanchezza, la portarono a rilassarsi, così lasciò che due dita si prendessero cura del suo sesso e godette mordendosi il labbro.
Virgilio stava fumando il sigaro seduto nella sua poltrona verde, ascoltava Duke Ellington su un giradischi e fissava la città dalla veranda del suo appartamento, una bruma era calata dopo il tramonto, la piazza sottostante era vuota, la gente in quella stagione, a quell’ora, rimaneva al caldo, dentro casa o in qualche locale.
Aveva bisogno di aria, indossò cappello e cappotto ed uscì. Prese la via che portava verso il ponte, la strada era deserta, vide una giovane coppietta farsi le fusa al riparo sotto i portici, gli sembrò che le mani del ragazzo si stessero riscaldando tra le cosce della moretta, ma non ne era sicuro.
Incrociò l’ultima corsa del tram, che gli sferragliò accanto senza neppure vederlo e salì sul ponte.
Il fiume sottostante era nero, l’acqua scorreva con grande energia, si sporse dalla balaustra e pensò che sarebbe bastato un attimo per lasciarsi andare e mettere fine a tutto, ma non era ancora il momento, voleva prima ascoltare la storia di Elide.
Il giorno successivo Virgilio tornò come sempre al Caffè, sedette ordinatamente, scrisse con profitto e salutò con garbo e così fece per un’intera settimana. Elide aveva continuato a servirlo senza più fare alcun cenno ai racconti e lui aveva lasciato che le sue ultime parole mescolassero la mente della donna.
Un mese dopo, quando alle sette si alzò per uscire, Eli lo raggiunse al tavolo per portargli il conto ed un biglietto, Virgilio lo prese, pagò, uscì ed una volta fuori, lo lesse.
Stasera alle dieci in via Eugenio Lanzetti n.5, int. 1. Le racconterò la mia storia. Eli
Il citofono trillò alle 10.00 in punto, la donna aprì e attese di sentire i passi dell’uomo nell’androne, poi schiuse la porta e con gli occhi bassi sussurrò: “Entri la prego”.
Virgilio entrò lentamente, rimanendo nell’andito fin quando la donna, chiusa la porta, lo invitò a seguirla nel piccolo salotto.
Gli disse dove poggiare il cappotto ed il cappello e si sedette su una delle due poltrone che aveva preparato accanto ad un piccolo tavolino nel quale stava una teiera con due tazzine e dello zucchero.
Virgilio si sedette davanti a Elide, pochi centimetri dividevano le ginocchia dei due.
“Ho deciso di raccontarle la mia storia, lei mi ha offerto le sue orecchie. Nessun uomo mi aveva fatto una proposta tanto indecente” disse lei sorseggiando la tazza di tea.
“Sono settimane che aspettavo questo momento Elide” disse Virgilio bevendo la sua.
La notte li avvolse, in quella calda e confortevole stanza, la donna raccontò all’uomo da quanto lontana venisse, di quanto tempo aveva impiegato nel sentirsi parte di quella società, delle difficoltà di essere accettata per ciò che era, della sua infanzia macchiata da una grave perdita, quella del padre, portato via da alcuni uomini e mai più ritrovato, di un compagno fuggito perché attratto da orizzonti più luminosi, della solitudine, la stessa che giorno dopo giorno aveva rivisto in lui, seduto a quel tavolo alla ricerca di storie che colmassero le sue giornate, così povere.
“Sembra che siamo simili noi due” disse Virgilio quando lei ebbe finito.
“Molto più di quanto volessi ammettere, quando mi ha proposto di raccontarmi”
“Solo un mese fa in una notte come questa, con la nebbia calata come il cappello sulla testa sono uscito, ho raggiunto il ponte e mi sono sporto, guardando quel pozzo nero che era la mia vita, resistendo alla tentazione di lasciarmi andare e porre fine a questo senso di vuoto”
“Perché non l’ha fatto?” Chiese Elide allungando una mano sul dorso della sua.
“Perché da quando vengo al caffè, mi sono reso conto che c’è tanta gente come me, che continua a vivere giorno per giorno, cercando il buono che la vita può dare e poi perché c’è lei”
“Io. Cosa c’entro io?” Chiese imbarazzata.
“Lei ha osservato me come io ho osservato lei. Due anime sole forse non possono farne una ma aiutarsi si, condividere qualcosa. Le va di provarci?”
“Non lo so Virgilio, non è semplice”
“Le sto chiedendo di pensarci, non deve rispondermi adesso”
“D’accordo”
“Credo sia ora che vada, mi attende una mezz’ora di cammino, lo userò per pensare a questa bella serata. Grazie Eli, erano anni che non mi sentivo così bene insieme ad una persona”.
“E’stato bello anche per me Virgilio. Buonanotte” disse la donna alzandosi e accompagnando l’uomo alla porta.
“Buonanotte” disse uscendo.
Quella notte quasi alla stessa ora (ma questo nessuno dei due lo seppe mai), entrambi fecero un sogno simile.
Elide sognò candide lenzuola bianche, baci appassionati come mai ne aveva ricevuti prima, quei baci che nascono dal bisogno di amore, Virgilio scopriva il suo corpo, lambendolo con delicatezza, le cosce schiuse da mani ferme ed il sesso violato dal membro turgido, fino all’orgasmo.
Virgilio sognò le labbra di Elide accogliere la sua virilità, assaporandola con ingordigia e passione prima di farsi ricambiare sul suo fiore carnoso e colmo di miele. [2017]

amanuense@blu.it







scritto il
2024-08-09
8 3 2
visite
1 3
voti
valutazione
6.1
il tuo voto
Segnala abuso in questo racconto erotico

commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.