Venga a prendere un te'
di
amanuense
genere
etero
La storia che sto per raccontarvi comincia nella sala da tè dove lavoro.
È un locale nel centro della città, frequentato da un’umanità eterogenea: donne attraenti, uomini d’affari, famiglie, turisti.
Qualche mese fa cominciò a frequentare la nostra sala, una donna che in breve attirò la mia attenzione.
Sempre elegante e curata ma con sobria semplicità, vestiva spesso tailleur o gonne, dalle quali nonostante la compostezza con la quale si muoveva, riuscivo a scorgere il pizzo delle autoreggenti, il seno generoso era a volte messo in risalto da scollature evidenti ma mai volgari. Una signora.
È la parola che più si addice a questo tipo di donna, che ti ammalia e seduce con garbo e distanza.
Arrivava intorno alle cinque e sedeva ad un tavolino in fondo alla sala che avevamo preso l’abitudine di riservarle.
Ordinava prevalentemente del tè verde, ma di tanto in tanto chiedeva consiglio al cameriere su altri tipi d’infuso, che accompagnava con dei pasticcini oppure una fetta di torta al limone.
Forte della mia posizione di responsabile delle vendite, da qualche tempo avevo preso l’abitudine di servirla personalmente e sembrava che questo “rito” a lei non spiacesse.
Qualche volta riuscivo anche a scambiare una parola in più, prendendo spunto dalla lettura dei suoi libri.
Verso le sette di sera si faceva portare il conto, saldava, lasciando sempre una lauta mancia ed usciva.
Durante i fine settimana, il lavoro per me perdeva parte della sua attrazione, avevamo pochi altri clienti così assidui e rituali, ma soprattutto, pochi che emanassero un interesse così profondo in me.
Uscito dal lavoro intorno alle otto della sera, prendevo la metro per tornare a casa, una piccola mansarda acquistata da poco tempo, nel quartiere dove avevo sempre abitato con i miei genitori.
Pochi metri ancora piuttosto spogli, ma che con soddisfazione e sacrifici avevo arredato con cura.
Rientrato a casa cucinavo qualcosa di veloce e poco impegnativo, i pasti più elaborati, se così si possono chiamare le pennette con la vodka, li riservavo ai giorni nei quali non lavoravo o comunque avevo più tempo.
La mia cena frugale era di solito un’insalata condita con noci, ciliegine di mozzarella, mais e formaggio, con mezzo bicchiere di vino rosso. Qualche volta mi cucinavo un petto di pollo e due patate fritte. Mangiavo anche di più e meglio di così nel corso della settimana, specie a pranzo, quando non mancava mai la pasta.
Se non avevo impegni con amici e amiche, mi concedevo la lettura del giornale, di un libro, navigavo in internet col mio Mac, oppure uno sguardo alla tv.
Qualche volta, quando il cielo lo permetteva, m’impegnavo nello sguardo delle stelle con il mio telescopio, un vecchio aggeggio comprato diversi anni prima.
Non conosco l’astronomia, ma osservare il cielo attraverso quella lente mi fa sentire meglio dopo una giornata di voci e rumori, tintinnii e tazze che sbattono.
Prima di andare a dormire, mi sorbivo una tisana al finocchio e liquirizia e mi concedevo le mie sei o sette ore di sonno.
Ma non ero sempre così casalingo, quando avevo il turno di mattina, in genere durante il fine settimana, mi dedicavo al cinema, mia grande passione ed all’uscita con gli amici.
Avevo visto il film di Tarantino: Bastardi senza gloria, una pellicola che non avevo esitato a paragonare ai suoi più famosi successi: Pulp fiction e Kill Bill vol. I e II.
Trovo geniale per il cinema attuale, la continua rivisitazione di generi che l’estroverso regista italo-americano ama fare.
Utilizzare la lingua originale avvalendosi dei sottotitoli, per conferire al film un realismo concreto, concedersi il vezzo di cambiare i caratteri grafici dei titoli iniziali, scoprire attori ai più sconosciuti, come quello straordinario Christoph Waltz, interprete del colonnello Hans Landa.
Tutto questo, lasciando intatte le sue innate capacità di miscelare ironia e profondità. Quentin era tornato alla grande.
Nella stessa settimana avevo visto, trascinato da un’amica, il film di Tornatore: Baarìa, di una lunghezza eccessiva e non supportato dalla necessaria dinamicità filmica.
Inoltre, tradiva in un finale surreale per me incomprensivo, quell’aspettativa che aveva sostenuto tutto il film.
Avevo passeggiato in centro alla ricerca di libri e di abiti per completare il mio guardaroba, rendendomi conto che non avevo bisogno di altro. Anche se Wilde sosteneva che del superfluo non se ne può fare a meno, da qualche tempo avevo una visione più ascetica sull’argomento.
La mia vita sentimentale non era attiva, uscito fuori da situazioni caotiche nelle quali mi ero gettato, avevo preso tempo e non cercavo altro, ero sereno e in pace con me stesso. Certo il sesso mi mancava, ma senza alcuna implicazione, in parte perdeva significato.
Trascorrevo il fine settimana fra piccoli impegni e laute concessioni di libertà.
Non mi fermavo troppo a casa dei miei durante la settimana, solo il tempo di giocare un po’ con la nipotina. La domenica a pranzo, mia madre mi riempiva di domande sulle abitudini alimentari, mentre mio padre discuteva di politica spesso alzando il tono della voce.
Quando il lunedì pomeriggio tornai al lavoro, non immaginavo che di là a qualche giorno un imprevisto avrebbe dato una svolta decisiva alla storia che vi sto raccontando.
Successe quel giovedì. La signora era abbigliata con una camicetta bianca dalla generosa scollatura, un pullover di cotone color ruggine poggiato sulle spalle e una gonna a pieghe blu.
Mentre le stavo servendo il tè, un cliente che si alzava dalla sua sedia alle mie spalle, mi urtò facendomi versare buona parte del contenuto della teiera sulla gonna della signora.
Mi scusai prontamente e mi assicurai che non si fosse ustionata, dopo un attimo di spavento minimizzò l’accaduto e mi tranquillizzò, insistetti affinchè potesse asciugarsi la gonna in bagno e naturalmente le dissi che poteva farci avere il conto della lavanderia, se il capo avesse avuto bisogno di essere smacchiato.
Accettò di recarsi in bagno per asciugare come poteva la macchia, la fornii di tovaglioli, un piccolo asciugamani e l’accompagnai nel bagno riservato al personale. C’era un antibagno prima della toilette vera e propria, così mi fermai là per essere a portata di voce se ce ne fosse stato bisogno.
La signora chiuse la porta e mi ringraziò per la cortesia che stavo dimostrandole:
“Lei è sempre così gentile con me.”
“Grazie signora, ma oltre ad essere un mio dovere mettermi al servizio della clientela, con lei è anche un piacere.”
“Mi lusinga giovanotto, una donna della mia età.”
“Non credo di essere l’unico che le riserva complimenti e poi lei è una donna molto affascinante.”
“Così m’imbarazza, in effetti diversi signori attempati sarebbe lieti di dedicarmi le loro attenzioni, sono io che non le voglio.” Sorrise da dietro la porta.
“Immagino che suo marito sia geloso di questi uomini.”
“Non sono sposata, non più.”
“Capisco.”
“Ho fatto, sto uscendo.”
La donna uscì dal bagno, ci trovammo faccia a faccia, quasi ci sfiorammo, lei visibilmente imbarazzata e con il fiato corto aggiunse:
“Sono così maleducata! Non le ho chiesto neppure il suo nome.”
“Bruno signora, mi chiamo Bruno.”
“Piacere Bruno, io sono Olivia.” Disse tendendomi la mano. La strinsi.
Quando fummo di nuovo in sala si sedette e le portai di nuovo il tè, mi fece un sorriso e mi allontanai per tornare alla mia postazione.
Fu quando le portai il conto che la serata assunse un significato particolare.
“Ho notato Bruno che sono l’unica cliente servita da lei, come mai questa esclusiva?”
“Ho chiesto ai miei colleghi di lasciarmelo fare, era un piacere al quale non volevo rinunciare.”
“Mi sento ancora una volta lusingata ma anche un po’ imbarazzata da questo trattamento.”
“Se lo desidera signora Olivia, manderò un mio collega la prossima volta.”
“Non ci provi nemmeno.” Disse seria e poi mi sorrise, mentre lampi di malizia le illuminarono gli occhi.
Pagò e prima di andare via, mi salutò con la mano.
Scendendo nella metro quella sera, non facevo altro che ripensare ai momenti trascorsi insieme a Olivia, le nostre parole, gli sguardi, tutto mi tornava in mente e cercavo di analizzarlo.
Mi stava seducendo? Le piacevo? Lanciava un gancio che dovevo cogliere? Non trovavo risposte convincenti ma al tempo stesso volevo osare, essere più audace, quella donna mi piaceva, m’intrigava, mi eccitava e sarei stato sciocco se avessi ignorato quelle sensazioni.
2
Sabato decisi di andare alle Scuderie del Quirinale, c’era una mostra su Caravaggio.
Il clima cominciava ad essere fresco, così indossai il mio giaccone da marinaio e mi avviai con l’auto alla metro.
Scesi alla fermata di Repubblica e percorsi tutta Via Nazionale, raggiunta l’entrata delle Scuderie entrai.
Nonostante la riapertura del Palazzo delle Esposizioni, quello delle Scuderie è uno dei migliori spazi espositivi di Roma; al contrario del Vittoriano, dove le opere esposte vengano schiacciate negli spazi angusti, nelle Scuderie si distendono, dando il meglio di loro stesse.
Ero già alla terza sala, quando vidi Olivia accompagnata da una signora più o meno della sua età, stavano commentando un quadro molto suggestivo del talento milanese.
Decisi di essere audace, così mi feci largo tra la folla ignorando il più della mostra, fino a quando con studiata casualità ci trovammo a fissare lo stesso quadro, la salutai fingendo sorpresa.
“Olivia!”
“Bruno! Appassionato di Caravaggio anche lei?”
“In generale di pittura signora e questo appuntamento non potevo perderlo.”
“Mi sembra giusto. Perdonate la mia maleducazione.” Fece rivolgendosi alla sua amica e poi a me.
“Lei è Lucia.”
“Piacere Bruno.” Ci stringemmo la mano.
“Lucia, questo simpatico giovanotto è il responsabile delle vendite della sala da tè dove mi reco spesso il pomeriggio.”
La sua amica sorrise debolmente, forse per nulla interessata all’argomento Bruno.
Continuammo per un po’ a seguire la mostra insieme, commentando di tanto in tanto, poi per non essere invadente mi congedai, ma prima di allontanarmi Olivia mi bisbigliò qualcosa all’orecchio.
“Aspettami fuori alle otto.”
Continuai la mia visita, poi verso le otto meno un quarto uscii e mi misi dalla parte opposta della strada.
Alle otto in punto uscirono.
Olivia mi vide, ma fece finta di nulla, si fermò ancora qualche minuto con la sua amica e poi si congedò da lei, aspettando che si allontanasse nella direzione opposta.
Attraversò la strada e mi raggiunse.
“Ci tenevo a scambiare due chiacchiere con lei, ma dovevo prima liberarmi di Lucia, non amo i pettegolezzi.”
“Certo, capisco.”
Dissi mentre con la mano la invitavo a seguirmi in direzione di Via Nazionale. Non sapevo ancora cosa avremmo fatto, ma mi faceva già piacere sapere che voleva trascorrere del tempo con me.
“È venuto con la macchina?”
“Con la metro, e lei?”
“Mi ha accompagnato la mia amica.”
“Come andrà a casa?”
“Prenderò un taxi, non è un problema. Ho detto a Lucia che avevo un altro impegno qui in zona.”
“E ce l’ha?”
“Cosa?”
“L’impegno.”
“Sicuro, con te. Non ti secca se ci diamo del tu vero?”
“Certo che no…Olivia.”
“Mi è venuta fame, ti va di mangiare qualcosa?”
“Si, hai in mente già un posto?
“Per la verità no.”
“Si potrebbe andare ad un pub irlandese su Via Nazionale, si può mangiare uno snack oppure fare una vera e propria cena, c’è ottima birra, vino e liquori, quello che vuoi.”
“Vada per il pub allora.”
Scendemmo su Via Nazionale, passando davanti al teatro Eliseo e al Palazzo delle Esposizioni.
Entrammo nel locale e chiedemmo un tavolo all’angolo, ce ne diedero uno che dava su strada.
Era accaduto tutto così in fretta che non sapevo ancora cosa aspettarmi da quell’appuntamento casuale, ma ero curioso di scoprirlo.
Fu Olivia stessa che soddisfò presto la mia aspettativa.
“Ti starai chiedendo come mai siamo qui.”
“Forse un po’.”
“È semplice Bruno, mi faceva piacere conoscerti meglio, sei un uomo interessante e non volevo lasciarmi scappare l’occasione di scoprire quanto lo fossi.”
Rimasi imbarazzato dal complimento, lei se ne rese conto e con grande intuito chiamò il cameriere per ordinare.
Presi un hamburger con patatine, mentre Olivia ordinò una bistecca con insalata, bevemmo del Chianti.
L’atmosfera era piacevole e così cominciammo a parlare del mio lavoro, i miei studi, i miei interessi.
Poi fu la volta di Olivia, le chiesi se fosse sposata, avesse figli, di cosa si occupasse. Rispose con un pizzico di reticenza.
Separata da qualche anno aveva una figlia che studiava all’estero, viveva di un vitalizio ricevuto in eredità dalla sua famiglia piuttosto abbiente, dedicandosi alle cose che più le piacevano come le mostre, il cinema, lo shopping, che a volte sosteneva era una cura antidepressiva.
Mi trovai d’accordo con lei, anche se avevo rivisto questo concetto da qualche tempo.
Finito di mangiare insistetti per pagare il conto, me lo impedì con garbo ma fermezza, la ringraziai e le chiesi se voleva che le chiamassi un taxi.
“Non mi fai compagnia ancora un po’?”.
“Volentieri Olivia, vuoi fare due passi?”
“Si, andiamo verso la stazione, prenderò là il taxi per casa.”
Ci avviammo verso Termini, il quartiere seppure illuminato, di sera ha un qualcosa di tetro, così le stavo molto vicino, fin quando non infilò il suo braccio sotto il mio e guardandomi sorridendo disse: “Ti spiace?”.
“Certo che no Olivia.”
“Sono stata bene con te stasera, mi giudicheresti sfrontata e patetica se ti lasciassi il mio numero di telefono? Mi farebbe piacere uscire ancora, un cinema, una mostra, una passeggiata.”
“Speravo me lo chiedessi Olivia.”
Ci scambiammo i numeri. Arrivati alla stazione ci baciammo sulla guancia, mi augurò la buonanotte e salì sul taxi.
Trascorsi la domenica dedicandomi alle pulizie, che una volta alla settimana m’impedivo di trascurare. Andai a pranzo dai miei e nel pomeriggio feci un salto dalla mia amica Angela, due chiacchiere e una tazza di tè.
Arrivai alla sala un po’ prima, mi cambiai e chiesi dell’andamento della giornata.
Aspettai con ansia l’orario nel quale Olivia sarebbe dovuta arrivare ma non si fece vedere, tra un cliente e l’altro continuavo a sbirciare fuori della vetrina. Ero molto distratto e il responsabile mi lanciò un’occhiata di traverso. Continuavo a guardare l’orologio, ma di lei nessuna traccia, finchè mi rassegnai cercando di concentrarmi sul lavoro. Uscii deluso, raggiunsi la metro e me ne andai a casa, l’entusiasmo del fine settimana si era tramutato in profonda prostrazione, non capivo cosa potesse esserle successo, perché non era venuta.
La notte non riuscii a dormire, cercai di distrarmi con la musica prima e la lettura poi ma la mente continuava a pensare.
Il giorno seguente arrivai tardi al lavoro, cominciai a servire i clienti nell’attesa della fatidica ora, ma anche quel pomeriggio Olivia non venne.
Quella sera tornando a casa mi ricordai del suo numero telefonico, mi sentii un idiota per non averci pensato prima ma ero indeciso se usarlo o meno, potevo essere inopportuno ma l’ansia mi stava divorando.
“Pronto?”
“Si, pronto…sono Bruno, parlo con Olivia?”
“Bruno! Ciao! Come stai?”
“Io bene, volevo sapere come stavi tu, sono due giorni che non vieni alla sala e mi sono chiesto se fosse accaduto qualcosa.”
“Si Bruno, sono malata, devo avere preso freddo sabato sera e ho qualche linea di febbre e un fastidioso raffreddore, così ho pensato fosse meglio rimanere qualche giorno a casa. Gentile da parte tua preoccuparti per me.”
“Bè…sai, la tua abitudine è diventata parte delle mie giornate, le ultime due sono state più noiose senza di te.”
“Che galanteria Bruno…”
“Allora Olivia…spero ti rimetta presto.”
“Potresti fare qualcosa per me Bruno?”
“Certo Olivia, dimmi pure.”
“Verresti a farmi compagnia…diciamo domani sera? Ti va? Hai impegni?”
“No…no…nessun impegno. Certo che verrei, molto volentieri.”
“Bene, allora segnati l’indirizzo, via Cimabue 77, sai dove si trova?”
“Per la verità no, ma lo cercherò su internet.”
“E’ una traversa tra via Flaminia e via del Ghirlandaio.”
“D’accordo. A che ora ci vediamo?”
“Per le nove ce la fai? Suona all’interno 15.”
“Si, certo.”
“Allora a domani Bruno e grazie per la telefonata.”
“A domani Olivia e riguardati.”
“Certo, buonanotte Bruno.”
“Notte Olivia.”
Mi sentivo pervaso da una strana eccitazione, le ansie di quei due giorni erano svanite, mi aveva invitato a casa sua e qualunque cosa significasse, ne ero felice.
Mi preparai la cena e mangiai con gusto, assaporando tutto con un piacere che non provavo da molto tempo, non ricordavo quanto benessere trasmettesse l’interesse di una donna.
3
Cercai di mantenermi calmo e rilassato per buona parte del giorno, all’ora della chiusura però divenni trafelato, andai nello spogliatoio e mi cambiai rapidamente, presi l’auto e mi diressi verso casa di Olivia.
Grazie all’aiuto d’internet non faticai molto a trovare la via, posteggiai con facilità e cercai il portone, suonai a Mazzerioli.
“Chi è?”
“Sono Bruno.”
“Quarto piano.”
Prendo l’ascensore, è uno di quelli vecchi con la cabina di legno e le grate alle porte. Fa uno strano rumore mentre salgo, sono emozionato.
Apro la porta e me la trovo davanti, mi sorride, indossa una gonna nera al ginocchio con uno spacco laterale, calze viola, camicetta bianca aperta sul davanti che lascia intravvedere il seno generoso, ornato da un filo di perle, indossa anche un gilet di lana lilla.
“Entra pure Bruno, ti stavo aspettando.”
Entro silenzioso e sorridente, lievemente imbarazzato, la seguo nell’andito fino ad una stanza illuminata da due lampade a terra, creano un’atmosfera calda e accogliente.
“Siediti.” Mi dice indicandomi un tavolino apparecchiato con due semplici tovagliette.
“Mangiamo qualcosa ti va? Avrai fame.”
“Si grazie, mangerò volentieri un boccone.” Mi siedo.
“Ho preparato due fettine di vitella con patate al forno, spero siano di tuo gradimento, c’è anche del vino rosso. Ci ubriachiamo, così scorderemo le sciocchezze che diremo.” Mi dice sorridendo.
Cominciamo a mangiare in silenzio, dopo i primi bocconi è lei a prendere la parola, anche se mi sento a mio agio sono come bloccato.
“Come è andata la giornata?”
“Piuttosto tranquilla, ma nel fine settimana ci sarà più caos e tu come stai?”
“Meglio, anche se per questa settimana non credo uscirò, preferisco rimettermi completamente. Detesto stare male.”
“Capisco.”
Finiamo di cenare e mi propone di spostarci sul divano color pistacchio, mi piace questo colore, sto bene mi dico, eppure non capisco ancora come andrà a finire la serata e soprattutto, se dipende da me o da lei il come.
Torniamo a parlare del mio lavoro e poi mi racconta quando si è trasferita in questo bellissimo appartamento, mi descrive l’arredo, le aggiunte ed i cambiamenti che ha fatto.
Mi piace mentre parla e gesticola, osservo il rossetto rosa tenue che forse ha messo per l’occasione, l’ombretto chiaro, quel filo di matita che mette in risalto gli occhi, tutto accennato, un trucco fine e non volgare, come spesso accade alle donne mature.
Penso che così vicini non lo siamo mai stati.
I colpi di sole sui capelli le donano una luminosità che insieme all’incarnato pallido ne fanno una figura quasi eterea, così quando mi posa la lunga e sottile mano sinistra sul braccio e m’invita a fare il giro della casa, ho un sussulto e mi rendo conto che non la stavo più ascoltando, perso tra il movimento delle sue labbra e quello del suo corpo.
Mi alzo e la seguo, mi fa strada, lei è certamente più a suo agio ma è normale, è casa sua.
Mi conduce nella cucina, moderna e accessoriata, mi spiega che ha una donna delle pulizie che viene solo una volta a settimana, il resto delle faccende le fa lei, perché è pignola e ci tiene ad occuparsene personalmente, mi piace questa cosa.
Mi mostra i doppi servizi, la camera degli ospiti e la stanza da letto, quella che lei definisce “il centro del mio mondo”. “Perché?” le chiedo, forse ingenuo.
“Perché quando sono qui dentro, mi sento veramente me stessa.”
Accetto questa spiegazione senza fare altre domande, torniamo in salotto.
Mette su il tè, sorrido quando me lo propone e mi offro di servirlo, ma lei mi dice: “Siamo a casa mia Bruno, tu me l’hai servito spesso in questi mesi, stasera tocca a me.”
Parliamo di letteratura, Olivia è una lettrice accanita, condividiamo la stima e l’apprezzamento per alcuni autori come Licalzi e Coe, ci scambiamo titoli e impressioni, mi sto sciogliendo.
Mi serve il tè, un classico tè nero, forte ma di gusto, le parlo dei racconti che scrivo, s’incuriosisce, mi chiede di che genere sono, respiro profondamente e rispondo: “Sono racconti erotici.” Sorride lei stavolta, fa un’espressione fintamente stupita e volutamente ammiccante, così voluta, che ne ridiamo entrambi.
“Me ne faresti leggere qualcuno?” Mi dice quando ha smesso di ridere, me lo dice seria non me l’aspettavo o forse si, chissà.
“Certo, se ti fa piacere.”
“Ne sarei entusiasta.”
Poi mi chiede se le storie che racconto sono vere o frutto della fantasia, rispondo con la banalità tipica dello scrittore dilettante:”C’è un po’ di tutto, esperienze, fantasie, desideri.”
Lei mi fissa con quegli occhi che sembrano spalancarsi all’infinito, si avvicina ancora di più, è un attimo e mi trovo le sue labbra sulle mie, i miei occhi nei suoi, li socchiudo, le mie mani cercano le sue spalle, mi abbandono al caldo bacio, apro la bocca e lascio che la sua lingua mi penetri, la cerco, l’intreccio alla mia, siamo immobili eppure pulsiamo, silenziosi eppure le nostre menti si stanno dicendo infinite frasi.
Non so quanto duri tutto questo, a me sembra un’eternità, poi si stacca da me, si alza e mi prende la mano: “Vieni con me Bruno.”
4
Entriamo nella sua stanza e penso come sia curioso cambiare lo stato d’animo nello stesso luogo a distanza di pochi minuti.
Accende una delle due lampade da terra, le pareti verdi s’illuminano in maniera soffusa, l’arredamento scarno ed essenziale è elegante, il letto con la testata in fodera mi sembra immenso, Olivia vede il mio sguardo rivolto all’alcova e immagina ciò che sto pensando: “Sdraiati.” Mi dice.
Mi tolgo le scarpe ed i calzini e mi accomodo sul letto, di nuovo a disagio, mi chiede di guardarla, comincia uno spogliarello.
Inizia a togliersi il gilet con gesti armoniosi e lenti, poi comincia a sbottonare la camicetta, la pelle diafana si confonde con il colore bianco del tessuto, la tira fuori dalla gonna e se la toglie, indossa un reggiseno viola, merlettato.
Non smette mai di guardarmi ed io ho gli occhi incollati su di lei.
Tira giù la zip della gonna, ancheggiando sensualmente la fa scivolare sulle cosce come forbici sulla seta.
Il coordinato viola delle brasiliane è magnifico, il fisico proporzionato, immagino sia vicina ai cinquanta, ma è una donna che cura il suo aspetto, è soda e attraente, sento il mio sesso crescere negli slip, forse se ne accorge dalla luce dei miei occhi: “Ti piaccio Bruno?” Mi sussurra dal fondo del letto.
Biascico qualcosa con quella che dovrebbe essere la mia voce, poi la schiarisco e mi ripeto con più vigore. Non capisco il mio imbarazzo, era quello che desideravo, sono qui con lei nella sua camera da
letto, è quasi nuda a pochi metri da me, ha la seria intenzione di fare l’amore con me ed io?
Mi alzo e la raggiungo in fondo al letto, l’abbraccio e la bacio con belluino vigore, sento le labbra bollenti e la lingua umida giocare con la mia, le sue mani si posano sui miei glutei, poi la mano destra si sposta verso la patta e afferra il rilievo del mio pene gonfio, slaccia i pantaloni e abbassa gli slip, è turgido.
Si mette in ginocchio, le calze autoreggenti viola mi eccitano almeno quanto la sua bocca sulla mia cappella.
La sapiente lingua carezza la pelle tesa, l’assaggia prima di cominciare a succhiarla, massaggia lo scroto e lo stringe delicatamente con la mano sinistra.
Sento i brividi corrermi lungo la schiena.
Mi spinge verso il letto, mi sfila i jeans e gli slip e si sdraia fra le mie gambe riprendendo da dove aveva lasciato, mentre mi succhia massaggia con la mano sinistra la pancia e mi guarda in una maniera tale da sentire il cazzo gonfiarsi a dismisura nella sua bocca.
Ho voglia di toccarla e leccarla anche io.
L’afferro per le braccia tirandola verso di me, la bacio di nuovo e le dico che voglio fare un 69, mi sorride maliziosa e monella, fa qualche passo indietro sul letto e poi mi scavalca con la gamba destra, sistemando il suo sedere sopra il mio viso.
Le sfilo le mutandine, le annuso e le lecco, poi le lancio per terra.
Carezzo con sensualità il suo opale prima di cominciare a leccare il buchino scuro che si trova alla sommità, lo ricopro di saliva e ci gioco con il dito allargandolo, mentre infilo la lingua nell’apertura bagnata dal suo nettare. Mugola.
Quando inizio a succhiarle il clitoride qualcosa l’esplode nella testa e intensifica il pompino che mi sta facendo godere.
Le infilo due dita dentro e mentre continuo a leccarla, le ruoto e premo sulla spugnosa parete superiore del sesso, Olivia trema dal piacere, una vibrazione la scuote, abbandona il mio pene eretto e geme, dice qualcosa ma non riesco a capire, si alza di colpo e voltandosi verso di me mi fissa negli occhi implorandomi: “Scopami!!”
“Aspettavo solo che me lo chiedessi.” Le dico con maliziosa freddezza.
Afferra il chiodo di carne e ci poggia sopra le labbra umide, guardandolo scomparire al suo interno, abbandona la testa indietro gemendo.
La tengo per i fianchi, poi sposto le mani sui seni tondi, l’impasto con vigore, mi piace sentirli fra le mani, sono piene della sua carne, schiaccio i capezzoli duri fra l’indice e il medio, Olivia si muove avanti e indietro come stesse cavalcando un puledro di razza, la sollevo tenendola per i glutei, inarco la schiena e la scopo con colpi feroci, lo faccio per qualche minuto poi torno a sdraiarmi e lascio che ruoti il bacino mentre le solletico il clitoride.
La stanza intorno a me adesso è soltanto un luogo senza tempo.
Olivia ha la testa poggiata sul cuscino, il sedere alto, il sesso spalancato, le carezzo le labbra glabre, è ancora bagnata, le mani abbandonate sui fianchi.
Appoggio la punta lucida all’imbocco della vagina, entro solo qualche centimetro, poi riesco strofinando il glande sul clitoride, Olivia mi implora di penetrarla, non ancora le rispondo, giochiamo un po’.
La torturo per qualche minuto, fin quando non spinge il bacino indietro per farsi penetrare, mi coglie di sorpresa e in un attimo sono dentro di lei, fino in fondo, il suo rantolo è riecheggiato nella stanza.
“Ti piace?”
“Si Bruno, mi piace, continua, non fermarti.”
“Non mi fermerò te lo assicuro.”
La tengo per i polsi formando un arco di piacere, nel quale il mio sesso è la lancia che penetra le morbide carni di questa donna che mi ha accolto dentro di se con un’ospitalità magnifica, sto godendo come non mi accadeva da tempo, mi sta donando tutta se stessa con passione e ardore, la sento venire mentre grida scuotendosi, allora esco da lei ed esplodo sul suo viso il mio rantolo di piacere.
Siamo abbracciati sul letto sfatto, entrambi su un fianco, la tengo per la vita, le gambe sono intrecciate, la mia testa sprofondata fra i suoi capelli profumati, il mio gomito sotto i suoi seni caldi, è il mio modo di testimoniare riconoscenza, rispetto, affetto, stima, dopo il sesso selvaggio, dopo l’animale che è in me, c’è il Bruno che ama le coccole e godersi l’abbraccio di una donna come Olivia.
Siamo rimasti così per diverso tempo, poi abbiamo fatto l’amore in maniera diversa, più calma, ricominciando dai preliminari.
Quella notte rimasi a casa sua, altre volte fu lei a dormire da me, continuò a venire alla sala e continuai a servirla io, nessuno dei miei colleghi seppe mai nulla di noi.
Adesso è partita, è andata per un periodo a stare con la figlia, non so quando tornerà, ma ho già il colino pronto per la prossima tazza di tè insieme.
[novembre 2009]
amanuense@blu.it
È un locale nel centro della città, frequentato da un’umanità eterogenea: donne attraenti, uomini d’affari, famiglie, turisti.
Qualche mese fa cominciò a frequentare la nostra sala, una donna che in breve attirò la mia attenzione.
Sempre elegante e curata ma con sobria semplicità, vestiva spesso tailleur o gonne, dalle quali nonostante la compostezza con la quale si muoveva, riuscivo a scorgere il pizzo delle autoreggenti, il seno generoso era a volte messo in risalto da scollature evidenti ma mai volgari. Una signora.
È la parola che più si addice a questo tipo di donna, che ti ammalia e seduce con garbo e distanza.
Arrivava intorno alle cinque e sedeva ad un tavolino in fondo alla sala che avevamo preso l’abitudine di riservarle.
Ordinava prevalentemente del tè verde, ma di tanto in tanto chiedeva consiglio al cameriere su altri tipi d’infuso, che accompagnava con dei pasticcini oppure una fetta di torta al limone.
Forte della mia posizione di responsabile delle vendite, da qualche tempo avevo preso l’abitudine di servirla personalmente e sembrava che questo “rito” a lei non spiacesse.
Qualche volta riuscivo anche a scambiare una parola in più, prendendo spunto dalla lettura dei suoi libri.
Verso le sette di sera si faceva portare il conto, saldava, lasciando sempre una lauta mancia ed usciva.
Durante i fine settimana, il lavoro per me perdeva parte della sua attrazione, avevamo pochi altri clienti così assidui e rituali, ma soprattutto, pochi che emanassero un interesse così profondo in me.
Uscito dal lavoro intorno alle otto della sera, prendevo la metro per tornare a casa, una piccola mansarda acquistata da poco tempo, nel quartiere dove avevo sempre abitato con i miei genitori.
Pochi metri ancora piuttosto spogli, ma che con soddisfazione e sacrifici avevo arredato con cura.
Rientrato a casa cucinavo qualcosa di veloce e poco impegnativo, i pasti più elaborati, se così si possono chiamare le pennette con la vodka, li riservavo ai giorni nei quali non lavoravo o comunque avevo più tempo.
La mia cena frugale era di solito un’insalata condita con noci, ciliegine di mozzarella, mais e formaggio, con mezzo bicchiere di vino rosso. Qualche volta mi cucinavo un petto di pollo e due patate fritte. Mangiavo anche di più e meglio di così nel corso della settimana, specie a pranzo, quando non mancava mai la pasta.
Se non avevo impegni con amici e amiche, mi concedevo la lettura del giornale, di un libro, navigavo in internet col mio Mac, oppure uno sguardo alla tv.
Qualche volta, quando il cielo lo permetteva, m’impegnavo nello sguardo delle stelle con il mio telescopio, un vecchio aggeggio comprato diversi anni prima.
Non conosco l’astronomia, ma osservare il cielo attraverso quella lente mi fa sentire meglio dopo una giornata di voci e rumori, tintinnii e tazze che sbattono.
Prima di andare a dormire, mi sorbivo una tisana al finocchio e liquirizia e mi concedevo le mie sei o sette ore di sonno.
Ma non ero sempre così casalingo, quando avevo il turno di mattina, in genere durante il fine settimana, mi dedicavo al cinema, mia grande passione ed all’uscita con gli amici.
Avevo visto il film di Tarantino: Bastardi senza gloria, una pellicola che non avevo esitato a paragonare ai suoi più famosi successi: Pulp fiction e Kill Bill vol. I e II.
Trovo geniale per il cinema attuale, la continua rivisitazione di generi che l’estroverso regista italo-americano ama fare.
Utilizzare la lingua originale avvalendosi dei sottotitoli, per conferire al film un realismo concreto, concedersi il vezzo di cambiare i caratteri grafici dei titoli iniziali, scoprire attori ai più sconosciuti, come quello straordinario Christoph Waltz, interprete del colonnello Hans Landa.
Tutto questo, lasciando intatte le sue innate capacità di miscelare ironia e profondità. Quentin era tornato alla grande.
Nella stessa settimana avevo visto, trascinato da un’amica, il film di Tornatore: Baarìa, di una lunghezza eccessiva e non supportato dalla necessaria dinamicità filmica.
Inoltre, tradiva in un finale surreale per me incomprensivo, quell’aspettativa che aveva sostenuto tutto il film.
Avevo passeggiato in centro alla ricerca di libri e di abiti per completare il mio guardaroba, rendendomi conto che non avevo bisogno di altro. Anche se Wilde sosteneva che del superfluo non se ne può fare a meno, da qualche tempo avevo una visione più ascetica sull’argomento.
La mia vita sentimentale non era attiva, uscito fuori da situazioni caotiche nelle quali mi ero gettato, avevo preso tempo e non cercavo altro, ero sereno e in pace con me stesso. Certo il sesso mi mancava, ma senza alcuna implicazione, in parte perdeva significato.
Trascorrevo il fine settimana fra piccoli impegni e laute concessioni di libertà.
Non mi fermavo troppo a casa dei miei durante la settimana, solo il tempo di giocare un po’ con la nipotina. La domenica a pranzo, mia madre mi riempiva di domande sulle abitudini alimentari, mentre mio padre discuteva di politica spesso alzando il tono della voce.
Quando il lunedì pomeriggio tornai al lavoro, non immaginavo che di là a qualche giorno un imprevisto avrebbe dato una svolta decisiva alla storia che vi sto raccontando.
Successe quel giovedì. La signora era abbigliata con una camicetta bianca dalla generosa scollatura, un pullover di cotone color ruggine poggiato sulle spalle e una gonna a pieghe blu.
Mentre le stavo servendo il tè, un cliente che si alzava dalla sua sedia alle mie spalle, mi urtò facendomi versare buona parte del contenuto della teiera sulla gonna della signora.
Mi scusai prontamente e mi assicurai che non si fosse ustionata, dopo un attimo di spavento minimizzò l’accaduto e mi tranquillizzò, insistetti affinchè potesse asciugarsi la gonna in bagno e naturalmente le dissi che poteva farci avere il conto della lavanderia, se il capo avesse avuto bisogno di essere smacchiato.
Accettò di recarsi in bagno per asciugare come poteva la macchia, la fornii di tovaglioli, un piccolo asciugamani e l’accompagnai nel bagno riservato al personale. C’era un antibagno prima della toilette vera e propria, così mi fermai là per essere a portata di voce se ce ne fosse stato bisogno.
La signora chiuse la porta e mi ringraziò per la cortesia che stavo dimostrandole:
“Lei è sempre così gentile con me.”
“Grazie signora, ma oltre ad essere un mio dovere mettermi al servizio della clientela, con lei è anche un piacere.”
“Mi lusinga giovanotto, una donna della mia età.”
“Non credo di essere l’unico che le riserva complimenti e poi lei è una donna molto affascinante.”
“Così m’imbarazza, in effetti diversi signori attempati sarebbe lieti di dedicarmi le loro attenzioni, sono io che non le voglio.” Sorrise da dietro la porta.
“Immagino che suo marito sia geloso di questi uomini.”
“Non sono sposata, non più.”
“Capisco.”
“Ho fatto, sto uscendo.”
La donna uscì dal bagno, ci trovammo faccia a faccia, quasi ci sfiorammo, lei visibilmente imbarazzata e con il fiato corto aggiunse:
“Sono così maleducata! Non le ho chiesto neppure il suo nome.”
“Bruno signora, mi chiamo Bruno.”
“Piacere Bruno, io sono Olivia.” Disse tendendomi la mano. La strinsi.
Quando fummo di nuovo in sala si sedette e le portai di nuovo il tè, mi fece un sorriso e mi allontanai per tornare alla mia postazione.
Fu quando le portai il conto che la serata assunse un significato particolare.
“Ho notato Bruno che sono l’unica cliente servita da lei, come mai questa esclusiva?”
“Ho chiesto ai miei colleghi di lasciarmelo fare, era un piacere al quale non volevo rinunciare.”
“Mi sento ancora una volta lusingata ma anche un po’ imbarazzata da questo trattamento.”
“Se lo desidera signora Olivia, manderò un mio collega la prossima volta.”
“Non ci provi nemmeno.” Disse seria e poi mi sorrise, mentre lampi di malizia le illuminarono gli occhi.
Pagò e prima di andare via, mi salutò con la mano.
Scendendo nella metro quella sera, non facevo altro che ripensare ai momenti trascorsi insieme a Olivia, le nostre parole, gli sguardi, tutto mi tornava in mente e cercavo di analizzarlo.
Mi stava seducendo? Le piacevo? Lanciava un gancio che dovevo cogliere? Non trovavo risposte convincenti ma al tempo stesso volevo osare, essere più audace, quella donna mi piaceva, m’intrigava, mi eccitava e sarei stato sciocco se avessi ignorato quelle sensazioni.
2
Sabato decisi di andare alle Scuderie del Quirinale, c’era una mostra su Caravaggio.
Il clima cominciava ad essere fresco, così indossai il mio giaccone da marinaio e mi avviai con l’auto alla metro.
Scesi alla fermata di Repubblica e percorsi tutta Via Nazionale, raggiunta l’entrata delle Scuderie entrai.
Nonostante la riapertura del Palazzo delle Esposizioni, quello delle Scuderie è uno dei migliori spazi espositivi di Roma; al contrario del Vittoriano, dove le opere esposte vengano schiacciate negli spazi angusti, nelle Scuderie si distendono, dando il meglio di loro stesse.
Ero già alla terza sala, quando vidi Olivia accompagnata da una signora più o meno della sua età, stavano commentando un quadro molto suggestivo del talento milanese.
Decisi di essere audace, così mi feci largo tra la folla ignorando il più della mostra, fino a quando con studiata casualità ci trovammo a fissare lo stesso quadro, la salutai fingendo sorpresa.
“Olivia!”
“Bruno! Appassionato di Caravaggio anche lei?”
“In generale di pittura signora e questo appuntamento non potevo perderlo.”
“Mi sembra giusto. Perdonate la mia maleducazione.” Fece rivolgendosi alla sua amica e poi a me.
“Lei è Lucia.”
“Piacere Bruno.” Ci stringemmo la mano.
“Lucia, questo simpatico giovanotto è il responsabile delle vendite della sala da tè dove mi reco spesso il pomeriggio.”
La sua amica sorrise debolmente, forse per nulla interessata all’argomento Bruno.
Continuammo per un po’ a seguire la mostra insieme, commentando di tanto in tanto, poi per non essere invadente mi congedai, ma prima di allontanarmi Olivia mi bisbigliò qualcosa all’orecchio.
“Aspettami fuori alle otto.”
Continuai la mia visita, poi verso le otto meno un quarto uscii e mi misi dalla parte opposta della strada.
Alle otto in punto uscirono.
Olivia mi vide, ma fece finta di nulla, si fermò ancora qualche minuto con la sua amica e poi si congedò da lei, aspettando che si allontanasse nella direzione opposta.
Attraversò la strada e mi raggiunse.
“Ci tenevo a scambiare due chiacchiere con lei, ma dovevo prima liberarmi di Lucia, non amo i pettegolezzi.”
“Certo, capisco.”
Dissi mentre con la mano la invitavo a seguirmi in direzione di Via Nazionale. Non sapevo ancora cosa avremmo fatto, ma mi faceva già piacere sapere che voleva trascorrere del tempo con me.
“È venuto con la macchina?”
“Con la metro, e lei?”
“Mi ha accompagnato la mia amica.”
“Come andrà a casa?”
“Prenderò un taxi, non è un problema. Ho detto a Lucia che avevo un altro impegno qui in zona.”
“E ce l’ha?”
“Cosa?”
“L’impegno.”
“Sicuro, con te. Non ti secca se ci diamo del tu vero?”
“Certo che no…Olivia.”
“Mi è venuta fame, ti va di mangiare qualcosa?”
“Si, hai in mente già un posto?
“Per la verità no.”
“Si potrebbe andare ad un pub irlandese su Via Nazionale, si può mangiare uno snack oppure fare una vera e propria cena, c’è ottima birra, vino e liquori, quello che vuoi.”
“Vada per il pub allora.”
Scendemmo su Via Nazionale, passando davanti al teatro Eliseo e al Palazzo delle Esposizioni.
Entrammo nel locale e chiedemmo un tavolo all’angolo, ce ne diedero uno che dava su strada.
Era accaduto tutto così in fretta che non sapevo ancora cosa aspettarmi da quell’appuntamento casuale, ma ero curioso di scoprirlo.
Fu Olivia stessa che soddisfò presto la mia aspettativa.
“Ti starai chiedendo come mai siamo qui.”
“Forse un po’.”
“È semplice Bruno, mi faceva piacere conoscerti meglio, sei un uomo interessante e non volevo lasciarmi scappare l’occasione di scoprire quanto lo fossi.”
Rimasi imbarazzato dal complimento, lei se ne rese conto e con grande intuito chiamò il cameriere per ordinare.
Presi un hamburger con patatine, mentre Olivia ordinò una bistecca con insalata, bevemmo del Chianti.
L’atmosfera era piacevole e così cominciammo a parlare del mio lavoro, i miei studi, i miei interessi.
Poi fu la volta di Olivia, le chiesi se fosse sposata, avesse figli, di cosa si occupasse. Rispose con un pizzico di reticenza.
Separata da qualche anno aveva una figlia che studiava all’estero, viveva di un vitalizio ricevuto in eredità dalla sua famiglia piuttosto abbiente, dedicandosi alle cose che più le piacevano come le mostre, il cinema, lo shopping, che a volte sosteneva era una cura antidepressiva.
Mi trovai d’accordo con lei, anche se avevo rivisto questo concetto da qualche tempo.
Finito di mangiare insistetti per pagare il conto, me lo impedì con garbo ma fermezza, la ringraziai e le chiesi se voleva che le chiamassi un taxi.
“Non mi fai compagnia ancora un po’?”.
“Volentieri Olivia, vuoi fare due passi?”
“Si, andiamo verso la stazione, prenderò là il taxi per casa.”
Ci avviammo verso Termini, il quartiere seppure illuminato, di sera ha un qualcosa di tetro, così le stavo molto vicino, fin quando non infilò il suo braccio sotto il mio e guardandomi sorridendo disse: “Ti spiace?”.
“Certo che no Olivia.”
“Sono stata bene con te stasera, mi giudicheresti sfrontata e patetica se ti lasciassi il mio numero di telefono? Mi farebbe piacere uscire ancora, un cinema, una mostra, una passeggiata.”
“Speravo me lo chiedessi Olivia.”
Ci scambiammo i numeri. Arrivati alla stazione ci baciammo sulla guancia, mi augurò la buonanotte e salì sul taxi.
Trascorsi la domenica dedicandomi alle pulizie, che una volta alla settimana m’impedivo di trascurare. Andai a pranzo dai miei e nel pomeriggio feci un salto dalla mia amica Angela, due chiacchiere e una tazza di tè.
Arrivai alla sala un po’ prima, mi cambiai e chiesi dell’andamento della giornata.
Aspettai con ansia l’orario nel quale Olivia sarebbe dovuta arrivare ma non si fece vedere, tra un cliente e l’altro continuavo a sbirciare fuori della vetrina. Ero molto distratto e il responsabile mi lanciò un’occhiata di traverso. Continuavo a guardare l’orologio, ma di lei nessuna traccia, finchè mi rassegnai cercando di concentrarmi sul lavoro. Uscii deluso, raggiunsi la metro e me ne andai a casa, l’entusiasmo del fine settimana si era tramutato in profonda prostrazione, non capivo cosa potesse esserle successo, perché non era venuta.
La notte non riuscii a dormire, cercai di distrarmi con la musica prima e la lettura poi ma la mente continuava a pensare.
Il giorno seguente arrivai tardi al lavoro, cominciai a servire i clienti nell’attesa della fatidica ora, ma anche quel pomeriggio Olivia non venne.
Quella sera tornando a casa mi ricordai del suo numero telefonico, mi sentii un idiota per non averci pensato prima ma ero indeciso se usarlo o meno, potevo essere inopportuno ma l’ansia mi stava divorando.
“Pronto?”
“Si, pronto…sono Bruno, parlo con Olivia?”
“Bruno! Ciao! Come stai?”
“Io bene, volevo sapere come stavi tu, sono due giorni che non vieni alla sala e mi sono chiesto se fosse accaduto qualcosa.”
“Si Bruno, sono malata, devo avere preso freddo sabato sera e ho qualche linea di febbre e un fastidioso raffreddore, così ho pensato fosse meglio rimanere qualche giorno a casa. Gentile da parte tua preoccuparti per me.”
“Bè…sai, la tua abitudine è diventata parte delle mie giornate, le ultime due sono state più noiose senza di te.”
“Che galanteria Bruno…”
“Allora Olivia…spero ti rimetta presto.”
“Potresti fare qualcosa per me Bruno?”
“Certo Olivia, dimmi pure.”
“Verresti a farmi compagnia…diciamo domani sera? Ti va? Hai impegni?”
“No…no…nessun impegno. Certo che verrei, molto volentieri.”
“Bene, allora segnati l’indirizzo, via Cimabue 77, sai dove si trova?”
“Per la verità no, ma lo cercherò su internet.”
“E’ una traversa tra via Flaminia e via del Ghirlandaio.”
“D’accordo. A che ora ci vediamo?”
“Per le nove ce la fai? Suona all’interno 15.”
“Si, certo.”
“Allora a domani Bruno e grazie per la telefonata.”
“A domani Olivia e riguardati.”
“Certo, buonanotte Bruno.”
“Notte Olivia.”
Mi sentivo pervaso da una strana eccitazione, le ansie di quei due giorni erano svanite, mi aveva invitato a casa sua e qualunque cosa significasse, ne ero felice.
Mi preparai la cena e mangiai con gusto, assaporando tutto con un piacere che non provavo da molto tempo, non ricordavo quanto benessere trasmettesse l’interesse di una donna.
3
Cercai di mantenermi calmo e rilassato per buona parte del giorno, all’ora della chiusura però divenni trafelato, andai nello spogliatoio e mi cambiai rapidamente, presi l’auto e mi diressi verso casa di Olivia.
Grazie all’aiuto d’internet non faticai molto a trovare la via, posteggiai con facilità e cercai il portone, suonai a Mazzerioli.
“Chi è?”
“Sono Bruno.”
“Quarto piano.”
Prendo l’ascensore, è uno di quelli vecchi con la cabina di legno e le grate alle porte. Fa uno strano rumore mentre salgo, sono emozionato.
Apro la porta e me la trovo davanti, mi sorride, indossa una gonna nera al ginocchio con uno spacco laterale, calze viola, camicetta bianca aperta sul davanti che lascia intravvedere il seno generoso, ornato da un filo di perle, indossa anche un gilet di lana lilla.
“Entra pure Bruno, ti stavo aspettando.”
Entro silenzioso e sorridente, lievemente imbarazzato, la seguo nell’andito fino ad una stanza illuminata da due lampade a terra, creano un’atmosfera calda e accogliente.
“Siediti.” Mi dice indicandomi un tavolino apparecchiato con due semplici tovagliette.
“Mangiamo qualcosa ti va? Avrai fame.”
“Si grazie, mangerò volentieri un boccone.” Mi siedo.
“Ho preparato due fettine di vitella con patate al forno, spero siano di tuo gradimento, c’è anche del vino rosso. Ci ubriachiamo, così scorderemo le sciocchezze che diremo.” Mi dice sorridendo.
Cominciamo a mangiare in silenzio, dopo i primi bocconi è lei a prendere la parola, anche se mi sento a mio agio sono come bloccato.
“Come è andata la giornata?”
“Piuttosto tranquilla, ma nel fine settimana ci sarà più caos e tu come stai?”
“Meglio, anche se per questa settimana non credo uscirò, preferisco rimettermi completamente. Detesto stare male.”
“Capisco.”
Finiamo di cenare e mi propone di spostarci sul divano color pistacchio, mi piace questo colore, sto bene mi dico, eppure non capisco ancora come andrà a finire la serata e soprattutto, se dipende da me o da lei il come.
Torniamo a parlare del mio lavoro e poi mi racconta quando si è trasferita in questo bellissimo appartamento, mi descrive l’arredo, le aggiunte ed i cambiamenti che ha fatto.
Mi piace mentre parla e gesticola, osservo il rossetto rosa tenue che forse ha messo per l’occasione, l’ombretto chiaro, quel filo di matita che mette in risalto gli occhi, tutto accennato, un trucco fine e non volgare, come spesso accade alle donne mature.
Penso che così vicini non lo siamo mai stati.
I colpi di sole sui capelli le donano una luminosità che insieme all’incarnato pallido ne fanno una figura quasi eterea, così quando mi posa la lunga e sottile mano sinistra sul braccio e m’invita a fare il giro della casa, ho un sussulto e mi rendo conto che non la stavo più ascoltando, perso tra il movimento delle sue labbra e quello del suo corpo.
Mi alzo e la seguo, mi fa strada, lei è certamente più a suo agio ma è normale, è casa sua.
Mi conduce nella cucina, moderna e accessoriata, mi spiega che ha una donna delle pulizie che viene solo una volta a settimana, il resto delle faccende le fa lei, perché è pignola e ci tiene ad occuparsene personalmente, mi piace questa cosa.
Mi mostra i doppi servizi, la camera degli ospiti e la stanza da letto, quella che lei definisce “il centro del mio mondo”. “Perché?” le chiedo, forse ingenuo.
“Perché quando sono qui dentro, mi sento veramente me stessa.”
Accetto questa spiegazione senza fare altre domande, torniamo in salotto.
Mette su il tè, sorrido quando me lo propone e mi offro di servirlo, ma lei mi dice: “Siamo a casa mia Bruno, tu me l’hai servito spesso in questi mesi, stasera tocca a me.”
Parliamo di letteratura, Olivia è una lettrice accanita, condividiamo la stima e l’apprezzamento per alcuni autori come Licalzi e Coe, ci scambiamo titoli e impressioni, mi sto sciogliendo.
Mi serve il tè, un classico tè nero, forte ma di gusto, le parlo dei racconti che scrivo, s’incuriosisce, mi chiede di che genere sono, respiro profondamente e rispondo: “Sono racconti erotici.” Sorride lei stavolta, fa un’espressione fintamente stupita e volutamente ammiccante, così voluta, che ne ridiamo entrambi.
“Me ne faresti leggere qualcuno?” Mi dice quando ha smesso di ridere, me lo dice seria non me l’aspettavo o forse si, chissà.
“Certo, se ti fa piacere.”
“Ne sarei entusiasta.”
Poi mi chiede se le storie che racconto sono vere o frutto della fantasia, rispondo con la banalità tipica dello scrittore dilettante:”C’è un po’ di tutto, esperienze, fantasie, desideri.”
Lei mi fissa con quegli occhi che sembrano spalancarsi all’infinito, si avvicina ancora di più, è un attimo e mi trovo le sue labbra sulle mie, i miei occhi nei suoi, li socchiudo, le mie mani cercano le sue spalle, mi abbandono al caldo bacio, apro la bocca e lascio che la sua lingua mi penetri, la cerco, l’intreccio alla mia, siamo immobili eppure pulsiamo, silenziosi eppure le nostre menti si stanno dicendo infinite frasi.
Non so quanto duri tutto questo, a me sembra un’eternità, poi si stacca da me, si alza e mi prende la mano: “Vieni con me Bruno.”
4
Entriamo nella sua stanza e penso come sia curioso cambiare lo stato d’animo nello stesso luogo a distanza di pochi minuti.
Accende una delle due lampade da terra, le pareti verdi s’illuminano in maniera soffusa, l’arredamento scarno ed essenziale è elegante, il letto con la testata in fodera mi sembra immenso, Olivia vede il mio sguardo rivolto all’alcova e immagina ciò che sto pensando: “Sdraiati.” Mi dice.
Mi tolgo le scarpe ed i calzini e mi accomodo sul letto, di nuovo a disagio, mi chiede di guardarla, comincia uno spogliarello.
Inizia a togliersi il gilet con gesti armoniosi e lenti, poi comincia a sbottonare la camicetta, la pelle diafana si confonde con il colore bianco del tessuto, la tira fuori dalla gonna e se la toglie, indossa un reggiseno viola, merlettato.
Non smette mai di guardarmi ed io ho gli occhi incollati su di lei.
Tira giù la zip della gonna, ancheggiando sensualmente la fa scivolare sulle cosce come forbici sulla seta.
Il coordinato viola delle brasiliane è magnifico, il fisico proporzionato, immagino sia vicina ai cinquanta, ma è una donna che cura il suo aspetto, è soda e attraente, sento il mio sesso crescere negli slip, forse se ne accorge dalla luce dei miei occhi: “Ti piaccio Bruno?” Mi sussurra dal fondo del letto.
Biascico qualcosa con quella che dovrebbe essere la mia voce, poi la schiarisco e mi ripeto con più vigore. Non capisco il mio imbarazzo, era quello che desideravo, sono qui con lei nella sua camera da
letto, è quasi nuda a pochi metri da me, ha la seria intenzione di fare l’amore con me ed io?
Mi alzo e la raggiungo in fondo al letto, l’abbraccio e la bacio con belluino vigore, sento le labbra bollenti e la lingua umida giocare con la mia, le sue mani si posano sui miei glutei, poi la mano destra si sposta verso la patta e afferra il rilievo del mio pene gonfio, slaccia i pantaloni e abbassa gli slip, è turgido.
Si mette in ginocchio, le calze autoreggenti viola mi eccitano almeno quanto la sua bocca sulla mia cappella.
La sapiente lingua carezza la pelle tesa, l’assaggia prima di cominciare a succhiarla, massaggia lo scroto e lo stringe delicatamente con la mano sinistra.
Sento i brividi corrermi lungo la schiena.
Mi spinge verso il letto, mi sfila i jeans e gli slip e si sdraia fra le mie gambe riprendendo da dove aveva lasciato, mentre mi succhia massaggia con la mano sinistra la pancia e mi guarda in una maniera tale da sentire il cazzo gonfiarsi a dismisura nella sua bocca.
Ho voglia di toccarla e leccarla anche io.
L’afferro per le braccia tirandola verso di me, la bacio di nuovo e le dico che voglio fare un 69, mi sorride maliziosa e monella, fa qualche passo indietro sul letto e poi mi scavalca con la gamba destra, sistemando il suo sedere sopra il mio viso.
Le sfilo le mutandine, le annuso e le lecco, poi le lancio per terra.
Carezzo con sensualità il suo opale prima di cominciare a leccare il buchino scuro che si trova alla sommità, lo ricopro di saliva e ci gioco con il dito allargandolo, mentre infilo la lingua nell’apertura bagnata dal suo nettare. Mugola.
Quando inizio a succhiarle il clitoride qualcosa l’esplode nella testa e intensifica il pompino che mi sta facendo godere.
Le infilo due dita dentro e mentre continuo a leccarla, le ruoto e premo sulla spugnosa parete superiore del sesso, Olivia trema dal piacere, una vibrazione la scuote, abbandona il mio pene eretto e geme, dice qualcosa ma non riesco a capire, si alza di colpo e voltandosi verso di me mi fissa negli occhi implorandomi: “Scopami!!”
“Aspettavo solo che me lo chiedessi.” Le dico con maliziosa freddezza.
Afferra il chiodo di carne e ci poggia sopra le labbra umide, guardandolo scomparire al suo interno, abbandona la testa indietro gemendo.
La tengo per i fianchi, poi sposto le mani sui seni tondi, l’impasto con vigore, mi piace sentirli fra le mani, sono piene della sua carne, schiaccio i capezzoli duri fra l’indice e il medio, Olivia si muove avanti e indietro come stesse cavalcando un puledro di razza, la sollevo tenendola per i glutei, inarco la schiena e la scopo con colpi feroci, lo faccio per qualche minuto poi torno a sdraiarmi e lascio che ruoti il bacino mentre le solletico il clitoride.
La stanza intorno a me adesso è soltanto un luogo senza tempo.
Olivia ha la testa poggiata sul cuscino, il sedere alto, il sesso spalancato, le carezzo le labbra glabre, è ancora bagnata, le mani abbandonate sui fianchi.
Appoggio la punta lucida all’imbocco della vagina, entro solo qualche centimetro, poi riesco strofinando il glande sul clitoride, Olivia mi implora di penetrarla, non ancora le rispondo, giochiamo un po’.
La torturo per qualche minuto, fin quando non spinge il bacino indietro per farsi penetrare, mi coglie di sorpresa e in un attimo sono dentro di lei, fino in fondo, il suo rantolo è riecheggiato nella stanza.
“Ti piace?”
“Si Bruno, mi piace, continua, non fermarti.”
“Non mi fermerò te lo assicuro.”
La tengo per i polsi formando un arco di piacere, nel quale il mio sesso è la lancia che penetra le morbide carni di questa donna che mi ha accolto dentro di se con un’ospitalità magnifica, sto godendo come non mi accadeva da tempo, mi sta donando tutta se stessa con passione e ardore, la sento venire mentre grida scuotendosi, allora esco da lei ed esplodo sul suo viso il mio rantolo di piacere.
Siamo abbracciati sul letto sfatto, entrambi su un fianco, la tengo per la vita, le gambe sono intrecciate, la mia testa sprofondata fra i suoi capelli profumati, il mio gomito sotto i suoi seni caldi, è il mio modo di testimoniare riconoscenza, rispetto, affetto, stima, dopo il sesso selvaggio, dopo l’animale che è in me, c’è il Bruno che ama le coccole e godersi l’abbraccio di una donna come Olivia.
Siamo rimasti così per diverso tempo, poi abbiamo fatto l’amore in maniera diversa, più calma, ricominciando dai preliminari.
Quella notte rimasi a casa sua, altre volte fu lei a dormire da me, continuò a venire alla sala e continuai a servirla io, nessuno dei miei colleghi seppe mai nulla di noi.
Adesso è partita, è andata per un periodo a stare con la figlia, non so quando tornerà, ma ho già il colino pronto per la prossima tazza di tè insieme.
[novembre 2009]
amanuense@blu.it
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7.2
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