Cineclub

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Da anni frequentavo quel cineclub in Prati, un vecchio cinema d’essai che alcuni conoscenti avevano rilevato dopo il fallimento e nel quale proiettavano una selezionata serie di pellicole.
Ogni giovedì, uscito dal lavoro, mi ci recavo e dopo aver visto il film, m’intrattenevo coi gestori mangiando qualcosa in trattoria, tirando le ore piccole.
Nel tempo ero stato coinvolto nelle scelte delle pellicole da proiettare e d’appassionato cinefilo, non mi ero sottratto a questa responsabilità.
Nelle settimane precedenti, dando ascolto ai miei consigli, avevano programmato la trilogia di Richard Linklater: “Before sunrise” del ‘95, nel quale i due protagonisti, Ethan Hawke e July Delpy s’incontravano su un treno innamorandosi, il seguito a distanza di dieci anni “Before sunset” e per concludere “Before midnight” del ‘13, nel quale i due attori, ormai sposati, cercavano di ricostruire un rapporto logoro.
Tutti e tre i film erano fitti di dialoghi che analizzavano la società, il mondo ed i rapporti interpersonali tra uomo e donna.
Un’opera che trovavo assai preziosa cinematograficamente e fui felice di rivederli insieme a loro, confrontandomici.
Tra il poco pubblico, anche quello molto selezionato ed affezionato, notai una donna, intorno ai quarant’anni anni, mi colpì subito perché ricordava nelle sembianze proprio la protagonista del film, l’attrice francese Delpy.
I capelli sulle spalle, di un biondo miele, un incarnato cereo, delle forme generose, fianchi morbidi e accoglienti, il fondoschiena largo ma pieno, invitante, burroso.
Non la persi di vista durante la visione, cercando un approccio dialettico al termine della proiezione, ma con estrema cordialità salutò e andò via.
Nelle settimane successive proiettarono un’altra trilogia, quella di Denys Arcand: “Il declino dell’impero americano” affresco simbolo degli anni ’80, “Le invasioni barbariche” premio Oscar come migliore film straniero nel 2004, nel quale gli stessi personaggi tornavano a confrontarsi su temi esistenziali al capezzale di un amico morente che desidera l’eutanasia ed infine “L’età barbarica” l’ultimo ma non il meno importante, nel quale il protagonista analizzava con raziocinio critico la società consumistica nella quale si trova prigioniero, fino alle conseguenze estreme.
La signora non perse una serata, al termine della quale si dileguava senza scambiare una parola con nessuno.
La bella stagione era arrivata, non ricordavo un aprile così caldo, il mio lavoro di giornalista freelance languiva, così mi concedevo lunghe passeggiate, ricordando una frase di Paolo Rumiz che più o meno diceva così: “quando non hai notizie, esci e le incontrerai” osservando l’umanità che mi circondava, che negli ultimi anni si era fatta sempre più variegata e per certi versi ferina.
Sentivo di vivere un’epoca medievale, nella quale il valore della vita stava perdendo sempre più significato, a vantaggio dei soldi e del potere; avevamo bollato gli anni ’80 come quelli di plastica, simbolo dell’apparenza, ma questi primi venti del nuovo secolo, erano una congerie di brutture sociali che non avevano molti riscontri storici, se non appunto nel medioevo, non fosse altro per la barbarie che gli uomini sprigionavano sempre più spesso.
Camminavo per Prati, il mio quartiere preferito, quando vidi la donna che da mesi albergava i miei desideri, la July Delpy di Roma, la donna che silenziosamente fruiva del cinema per poi dileguarsi in punta di piedi, con grandi sorrisi, ero deciso a seguirla.
Non dovetti fare molta strada, perché svoltando in una via laterale s’incamminò verso Borgo Pio, dove entrò in un negozio di ceramiche, la vidi parlare con una ragazza dietro il bancone e sparire dietro una porta, attesi un momento e poi varcai la soglia, una campanella avvertì del mio passaggio.
La ragazza che qualche minuto prima, avevo visto conversare con la mia July, mi sorrise dal bancone e salutandomi con un “buongiorno”, mi chiese se avessi bisogno di aiuto.
Ringraziandola mi diressi versi una vetrina nella quale c’erano delle bellissime tazze da tè, di pregevole fattura e le chiesi di vederne qualcuna.
Mi raggiunse e aprì la vetrina con una chiave, poi mi mostrò quei bellissimi pezzi e mentre si dilungava in spiegazioni tecniche, sentii una voce aggiungersi alla sua, mi voltai e la vidi.
“Buongiorno” disse allargando il suo sorriso.
“Buongiorno” risposi sorpreso ma sollevato dall’imbarazzo crescente per una spesa inutile e la sensazione di star perdendo tempo.
“Io la conosco” disse lei continuando a sorridermi.
“Si, credo di si, ci siamo incontrati nella sala d’essai qualche traversa più giù, ma non abbiamo mai avuto l’opportunità di presentarci” feci io allungando la mano “Elio”, la strinse mormorando “Olivia”
Congedò la commessa e rimise la tazza al suo posto, avendo intuito che non ero là per comprare.
Le chiesi come mai non la si vedesse più alle proiezioni, così mi spiegò che il negozio era suo e di tanto in tanto partiva per andare a scegliere la merce da acquistare, con grande dispiacere aveva dovuto rinunciare alle proiezioni degli ultimi mesi, ci appartammo nel suo piccolo ufficio, le raccontai cosa avevano programmato con il mio aiuto nel ruolo di consigliere, sembrò molto interessata, così la invitai a prendere un aperitivo quella sera stessa.
Ho sempre amato un abbigliamento informale e comodo, detesto sentirmi a disagio nei miei vestiti, per quanto possano essere eleganti.
Una camicia celeste, un paio di chinos coloro cachi e sneakers NB, ero pronto.
Attesi davanti a Portofino la mia ospite, Olivia arrivò con un semplice vestito azzurro e pianelle dello stesso colore, un trucco appena accennato ed un profumo delizioso.
La conversazione tra un sorso e l’altro prese a fluire, tra temi personali, lavorativi e cinematografici.
Aveva apprezzato molto le due trilogie, ma non sentiva la necessità di fermarsi a parlarne, così terminati i film preferiva lasciarli meditare dentro di se e tornarsene a casa.
Il pomeriggio diventò sera e dopo l’aperitivo e la passeggiata, ci trovammo sotto casa sua, in Viale Giulio Cesare, in un vecchio palazzo con cortile interno e pesante portone di legno.
“Ti va di salire?” Mi chiese mentre metteva la chiave nella toppa.
“Si” risposi semplicemente.
A ripensarci adesso, che sono steso sul suo letto e le sto guardando la bellissima schiena candida che finisce tra il solco di un culo meraviglioso e armonico nelle sue proporzioni, non ricordo con esattezza quando abbiamo cominciato a spogliarci, ma ricordo il momento preciso in cui le mie labbra si sono confuse con le sue, le nostre lingue mescolate e la mia mano cieca ha trovato il suo fodero bagnato.
Credo potrebbe diventare una consulente cinematografica all’altezza e non appena si sarà svegliata, ho intenzione di chiederle di collaborare con me. [agosto 2018]

amanuense@blu.it
scritto il
2024-07-07
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