Birichina

di
genere
feticismo

I piedi, queste estremità tanto indispensabili, quanto importanti, sono da secoli divenuti anche simbolo estetico, li si cura, specie durante la bella stagione con smalti, anellini e quant’altro.
Ero seduto al bar sulla spiaggia, sorseggiavo un Campari con uno spicchio di limone, sul tavolo giaceva stancamente il giornale, troppo distratto da quell’umanità che mi circondava e si muoveva a velocità folle: bambini urlanti e ridenti, attempate signore che si alternavano al bagno oppure davanti ad un gelato, giovani ragazzine che si confidavano i loro maliziosi segreti.
Con gli occhi bassi sul selciato chiaro e bollente che conduceva alla sabbia, vidi avanzare due piedi, non alzai subito lo sguardo, perché rimasi così incuriosito e affascinato da quelle due estremità che non m’interessava scoprire subito il resto del corpo.
Erano di lunghezza media, forse un numero 37, un’abbronzatura non troppo evidente, curati e lisci, lo si poteva capire dalla luminosità della pelle, avanzavano con eleganza e velocità, segno che le piante lisce soffrivano il calore del selciato infuocato, si fermarono vicino ad un corto rubinetto posto di lato, verso le docce e si bagnarono abbondantemente per ricavarne sollievo.
Questo mi permise di notare meglio alcuni altri particolari, come lo smalto albicocca delle unghie, un piccolo anellino infilato nel dito medio del piede destro e una cavigliera d’oro bianco, molto sottile che impreziosiva il modellato collo del piede.
Pensai a come sarebbe stato piacevole farsi massaggiare il cazzo da quelle estremità così graziose, fino a sporcargliele col mio balsamo per poi spalmarglielo fino alle caviglie. Prima che scomparisse all’interno delle docce alzai lo sguardo sul suo corpo flessuoso come un giunco, sorrisi compiaciuto che tali estremità appartenessero ad un corpo così armonioso.
Tirai una boccata del mio toscanello, raccolsi il giornale ed il mio cappello panama dal tavolino e raggiunsi il mio ombrellone alla spiaggia, ebbro di quella visione.



La strada, oltre ad essere un famoso film di Fellini, a Roma è una libreria di Via Veneto, collocazione scelta non a caso. Tutti conoscono la passione di Fellini per quella striscia di negozi e locali che nei primi anni ’60 rappresentò il salotto mondano della Capitale.
Questa libreria piuttosto grande e ben fornita, si trova sul lato destro del marciapiedi, scendendo verso Piazza Barberini.
È aperta fino a molto tardi la notte e questo particolare, permette ad un lettore e girovago della notte romana come me, di farci una capatina ogni tanto, alla ricerca di silenzio e tranquillità.
L’estate stava finendo, era poco dopo la metà di settembre, non ricordo con precisione il giorno.
Entrai dopo avere fatto una lunga passeggiata per Via Nazionale, passando per il Quirinale, ero accaldato, anche se l’aria notturna era fresca, spensi il sigaro che stavo fumando ed entrai.
L’aria condizionata mi diede una frustata improvvisa, ci misi qualche minuto ad abituarmi alla nuova temperatura, cominciai a girare per gli stretti corridoi sbirciando la disposizione e gli autori, poi mi misi a cercare un volume che ricordavo avere inserito nella lista dei libri da comprare, ne tengo una sempre aggiornata, dalla quale pesco ogni volta.
Ma non trascuro il fascino della scoperta, quell’imprevedibile sensazione di un buon libro, che hai soltanto quando all’interno della libreria scorri i titoli o le trame, tante volte ero entrato con delle idee precise e me n’ero andato con altri libri sotto il braccio.
Fu mentre leggevo qualche pagina di quel libro che abbassando lo sguardo a terra, intravidi quei piedi, gli stessi piedi che avevo ammirato qualche mese prima sulla battigia, ero un po’ lontano dalla donna che li possedeva e la visuale veniva coperta da alcuni scaffali, mi spostai con la testa ma il suo volto era affondato in un libro, non riuscivo a scorgerne i tratti, tornai a osservare i piedi per dare a me stesso la certezza che non fossi completamente impazzito, mi sembrava tutto così strano, così letterario, come era

possibile incontrare dopo tanto tempo la stessa persona in posti così diversi? Eppure non era poi tanto strano, se mi ci fermavo a pensare, Roma è grande certo, ma il caso opera nelle forme più incredibili.
La cavigliera, l’anello al medio del piede destro, il collo del piede così armonioso, soltanto lo smalto era diverso, adesso ne portava uno celeste, ma ero certo che fosse la stessa persona.
Chiusi il libro, mi girai per sistemarlo nello scaffale, ma quando mi voltai, non la vidi più.
Guadagnai velocemente l’uscita alla sua ricerca.
La raggiunsi un centinaio di metri più avanti, scendeva per via del Tritone alla volta del Corso, aveva il culo fasciato da un vestitino stampato a fiori, si muoveva ancheggiando, le gambe abbronzate e tornite incedevano con grazia e sicurezza, una cascata di ricci castani si accomodava sulle spalle accanto ad una piccola tracolla e un’aria sbarazzina che notai quando si fermò per accendersi una sigaretta.
Il Corso era illuminato e pieno di turisti, dovetti faticare non poco per tenere il suo passo, fino a via Tomacelli, l’affiancai al semaforo di Ponte Cavour ed in quei tre minuti la sbirciai di traverso: il viso limpido di una ragazza per bene ma la sensazione che sotto quell’aspetto pudico si nascondesse molto di più mi convinse a continuare il pedinamento.
Attraversato ponte Cavour raggiungemmo la piazza omonima e da lì costeggiammo il marciapiedi per giungere finalmente in un locale all’angolo con via Cicerone, entrammo.
Ci sedemmo entrambi al bancone e ordinammo da bere, un Bitter io e un cocktail lei, seduta sullo sgabello le cosce si scoprirono del tutto, poi chiese al barman dove fosse il bagno, aspettai qualche minuto e la seguii. Scesi delle scale e mi ritrovai davanti a due porte, quando da una di queste spuntò una mano che afferrò il mio polso, trascinandomi dentro.
Mi fissò per qualche istante, che mi sembrò eterno e poi mi disse: “Fammi tutto quello che hai pensato da quando hai cominciato a seguirmi”.
Pur non essendo un ragazzino rimasi sorpreso, poi le misi una mano tra le cosce trovando la misera resistenza di un triangolo di lycra bagnato, lo scostai ed immersi le dita nel miele più dolce che una donna possa distillare, poi le leccai.
“Sei un porco!” bisbigliò lei.
“E tu una puttana” risposi io.
Poi in silenzio, salì sulla tavoletta del water e alzò il corto vestito, infilai la testa tra le sue cosce spalancate e iniziai a percorrere con la lingua la fessura gonfia e liscia, con la punta scappucciai il clitoride appiccicoso e pronto ad esplodere, le scoprii i seni tondi e perfetti con i capezzoli turgidi al centro di piccole areole scure, li succhiai, mentre lei gemeva bisbigliandomi oscene richieste all’orecchio, la feci scivolare già dal water e dopo aver abbassato il coperchio l’adagiai sopra, mi sbottonò la patta dei pantaloni tirandolo fuori già duro, gli occhi le scintillarono e lo fece scivolare all’interno della sua piccola bocca, le labbra carnose lo avvolsero, mentre la lingua roteava sul frenulo e la cappella, succhiandolo come un ghiacciolo in pieno agosto, chiusi gli occhi, godendomi la mano che massaggiava le mie palle, qualche istante dopo si sistemò sul water e spalancando le gambe mi attirò a se guidando il mio membro al suo interno, lentamente la percorsi fino alla fine, rimanendo fermo, poi senza mai staccare i miei occhi dai suoi, cominciai a muovermi, con un ritmo crescente e mentre le sue cosce stringevano i miei fianchi venni dentro di lei.
“Complimenti, per essere un vecchietto te la sei cavata molto bene” disse abbassando il vestito sulle cosce e uscendo dal bagno.
Tornai al bancone e pagai la consumazione di entrambi.
“La conosce?” Mi disse il barista.
“Chi, la ragazza?” risposi incerto.
“Si, lei” continuò lui.
“No, perché?” chiesi incuriosito.
“Ogni sera la stessa storia, entra, beve qualcosa, va al bagno e poi qualcuno paga sempre per lei”.
Sorrisi ed uscii. (2018)

amanuense@blu.it

scritto il
2024-07-06
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