Nicola e Alberto Cap: X La monta
di
Andrea10F09
genere
zoofilia
La monta
“Rientra e vai all’angolo. Hai cinque minuti per fare i tuoi bisogni.”
Era stato trovato fuori dalla stalla singhiozzante con accanto un custode lanoso che lo aspergeva di bave. Si staccò a malincuore dall’unico essere che lo aveva scaldato e consolato in quell’ inizio di percorso correttivo. Erano in tre, accovacciati come cani. Percepiva con piacere il calore di quei corpi addossati. “Ora, giratevi e chinatevi!” La voce del primo assaggiatore non permetteva tentennamenti. Costui era uno schiavo soddisfatto di poter comandare ad altri schiavi, appagando così i suoi desideri più reconditi, lascivi e riprovevoli, ma era anche colui che doveva igienizzare, disinfettare, purificare la porcilaia e i suoi utilizzatori. Assalì tutti con uno spruzzo d’acqua fredda, gelida. La violenza del getto ripuliva completamente, ma nello stesso tempo dava dolore.
Bagnato, infreddolito, dolente per la violenta spazzolata con l’acqua, seguì i suoi nuovi compagni di schiavitù per l’igiene e disinfezioni del cacatoio, dei recipienti di raccolta, della dispensa, per le sterilizzazioni delle cannule, per la preparazione dei clisteri, per la messa in fermentazione e decomposizione delle creme da consumare nelle punizioni agli schiavi da formare.
A causa della nausea, dei conati trattenuti, della lontananza mentale alla refrattaria, dura, dolorosa, ardua, terribile formazione, assecondò e permise che il suo fisico fosse bloccato ed appeso ad una trave per ascoltare i primi cracker di frusta del giorno. Risveglio, urla, disperazione e accettazione finale a consumare la colazione prescritta appena sfornata, calda, morbida. Provvide a pulire attorno e dentro la fessura di uscita lentamente, ripetutamente, a lungo sino a vederla detersa, lucida, rosata, palpitante. Seguì alla fine i suoi insegnanti nell’esaminare con la vista, con il tatto, con l’olfatto, con il gusto le deiezioni degli ospiti per riconoscerne la purezza, la bontà, la bellezza, le proprietà terapeutiche, aromatiche, salutari, benefiche se prodotte da un fisico in buona salute.
Biasimato, rimproverato, condannato da tutti gli ospiti per la condotta avuta prima del suo arrivo e durante i suoi primi momenti di soggiorno in quel luogo; osservato in lontananza dallo zio e dal direttore in silenzio, che con movimenti del capo lo compativano e forse … Dall’inizio del riposo a mattinata inoltrata era stato obbligato a sedersi appartato nell’angolo dello stabbio riservato alle deiezioni notturne; ad essere trattato come water di una latrina; a uscire dalla stalla per poter piangere senza essere visto, abbracciato, scaldato e confortato da un cane; obbligato, lavato e nettato da incrostazioni fecali con un getto violento di acqua gelida; a partecipare alle pulizie come operatore affiancato; ad essere fustigato e ad accettare di prendere colazione direttamente dalla fonte con annessa pulizia rettale di lingua e poi, a conoscere sfumature di colori, di morbidezza, di sapori, di profumi, ma ora quei due, con lo zio …
L’atmosfera non prometteva nulla di buono. Passò del tempo che sembrò interminabile, ma, anche questa è tortura, sottile, psicologica: l’angoscia dell’attesa per non conoscere o capire quello che sta per succederti; sai solo che, per le infrazioni fatte, per comportamento avuto, quello che potrebbe accaderti sarà terribile, doloroso, umiliante, infamante, ma non sai quanto e quando. Dentro di te s’alternano il desiderio di conoscere con quello di ignorare, la curiosità e la paura, che non ti succeda nulla o il più tardi possibile, che non ti vedano o si dimentichino, ma come potrà lo zio, avutoti dalla mamma per drizzarti, per rieducarti, per dissuaderti dal proseguo della tua condotta estremamente negativa, correggerti, riprenderti anche con l’uso di certe pratiche sadiche, violente fatte di percosse e umiliazioni, ignorare e perdonare? Come potrà averti, lontano dal suo falso ambiente sociale, se non in quel luogo e tramite inganni, espedienti, pretesti. Lui, come te, si vergogna di essere gay, ma pratica l’omosessualità dove altri l’hanno da sempre accettata, come Francesco, Enrico, Stefano o Nicola che la vive con gioia e grande desiderio di conoscersi. Probabilmente lo zio ha un problema o gli è stato causato. Tu conducevi una vita immorale, intemperante, licenziosa, perché non accettato da tua madre, amante della tonaca del prete e dallo stesso tuo zio, che su di te vuole sfogare i suoi istinti inibiti e lavare le sue colpe e paure per non perdere vantaggi sociali; ma spesso la vita mescola le carte e quello che ai primi indizi poteva far pensare allo zio di poter consumare, di usufruire di un bocconcino in tempi e modi diversi, in posti lontani dal suo cerchio sociale, potrebbe per motivi imprevedibili e misteriosi non essere più suo. Certamente il soggetto oppresso, vessato, vittima di ambienti e persone tarde, pazze, non passerà un bel momento, probabilmente conoscerà l’inferno, ma quando costui comprenderà, allora il tempo potrebbe essere maturo per fargli girare pagina e, facilmente nello stesso luogo scelto per possederlo, per schiavizzarlo e anche per venderlo. Ora: pensieri, paure, incubi, sensazioni, emozioni.
Dei bovidi stavano preparando la scena e la strumentazione per il nuovo spettacolo. La paura e la tensione nervosa gli facevano tremare le gambe, l’infermiere lo incitò ad aumentare il passo e dopo a stendersi con l’addome sul cuscino di una cavallina senza supporti, con il sedere in alto, aperto e testa sul ghiaino di roccia frantumata della platea. Lo bloccano e legano per impedirgli qualsiasi movimento, qualsiasi vano tentativo di fuga. Ha paura della frusta, che già conosce e teme, ma non sembra vogliano picchiarlo, anzi … lo osservano, lo toccano, lo scuotono, lo stringono, lo massaggiano, impastando, battendo o tirando muscoli. Gli piace, ma ha paura, tanta … Spingono, penetrano, rovistano. Piace. Qualcosa di freddo gli invade l’intestino: sensazione spiacevole. Trattiene il fiato, ora riprende ad avere angoscia, fifa. Un inizio di bruciore, come di sale su una ferita. Pizzica, punge, morsica. Dolore, freddo, sudore. Piange, urla, si lamenta; il dolore è forte, intenso, si agita dal male e il suo corpo oscilla, peggiorando la condizione penosa. L’addome si gonfia, mentre la mente fluttua, perde contatti. Non hanno intenzione di desistere, anzi lentamente, mentre i liquidi fluiscono dentro di lui, gli sollevano le gambe, divaricandole ulteriormente, per riempirlo di più. Il suo corpo non è più suo. Lui è nell’aere. Mani lo accarezzano dal ventre allo sfintere. È sconvolto, il terrore gli annulla ogni barlume di lucidità, si agita, ma ogni suo movimento è vano per come è stato bloccato. Una mano per i capelli gli solleva il capo: è lo zio, mentre il suo intestino si sgonfia e l’acqua fredda, brunastra, accompagnata da suoni di trombetta, schizza e bagna le sue cosce, i suoi piedi.
“Cretino, stronzo, pensavi di sfuggirmi? Guardalo quanto svetta, quanto vuole la tua carne! Ti farà un culo … così, bastardo! Più tardi ti farò sanguinare e urlare, carogna, delinquente, lazzarone, avanzo di galera che non sei altro!”
Non ascolta, non vede, ansima incredulo, sconvolto, forse gli è sufficiente il piacere del suo scaricare. È assente, lontano, partito. Non percepisce che lo stanno riempiendo nuovamente, stavolta con liquidi biancastri tiepidi. Stralunato cerca di capire. Osserva chi lo circonda ed esibisce i suoi attestati, invitandolo a leggerli, capirli, ad apprezzarli per emozionarsi di quello che potrebbero regalargli sulla via della carnalità, della lussuria, del piacere.
“Mascalzone! Succhia, ciuccia, bevi. Ti farà bene!”
Non ha alternative, se non la frusta e poi non è merda o piscio. Sembra latte, dolce, tiepido. Finalmente qualcosa di umano, del cibo per il suo stomaco da quando quel , di zio, lo ha portato qui. Era poco, ma almeno sul palato gli rimane del sapore gradevole. Con gli occhi ringrazia, mentre percepisce fluire, uscire lento, quello che gli avevano rimesso. Un po’ di benessere, un po’ di sollievo, ma lo lasciano ancora lì, su quel cuscino, steso, piegato, unto di liquidi oleosi; anzi, gli massaggiano i piedi, le natiche, il dorso, lo ungono anche sul viso per poi andare a vellicare, a coccolare il suo pertugio, persino dentro. È bello e piacevole. Vorrebbe che proseguissero. Dilata di più i glutei per avere quelle mani, là, in quel buchetto che palpita, che si apre e chiude, come affamato, assettato. Non sa più cosa sono il dolore, le sevizie.
“Ohhhhhhh sìììììììììì! … anche dentro, sìììììììììììììììììì!”
Non vede, non sente un piccolo ugello che entra, rilasciando delle sostanze lattiginose; le stesse con cui lo avevano manipolato, oliato, imburrato. Accanto, addossato languidamente ad un adulto, amoreggiava un giovane, forse con qualche anno meno di lui. Non capisce. Lo toccano, lo sculacciano, persino lo accarezzano tra le natiche e lui tace. Sembra gradire, anzi offre, propone, concede ad una mano di andare oltre il forellino; di farsi penetrare con un dito; di farsi strizzare, impastare i glutei e lui gioisce e, fissandoti, ti sorride contento, affascinato e attratto da insoliti movimenti in arrivo.
“Papà!”
“Dimmi, piccola vita mia!”
“Che …”
“A volte succede, anche loro hanno diritto a svuotare le palline e lui è quello che lo ha scoperto stanotte, fuori dal suo spazio di riposo. U21 è uno schiavo, non ha alcun diritto. Deve obbedire al padrone, lavorare per lui, non può essere difeso o ascoltato; non ha culti, se non quelli che gli sono imposti. Ora verrà addestrato per essere avviato a fare un determinato lavoro, utile al club e caro a noi. Può essere torturato, percosso, venduto, usato come strumento di produzione e di piacere, sin dal primo giorno della sua entrata in questo luogo.”
“Stanotte non hai rispettato le regole: hai lasciato la posta e sei uscito dalla stalla, per cui subirai la punizione che il tuo comportamento ha chiesto. Ieri, sei stato sverginato da uno strumento a motore, ora subirai la monta da un essere peloso, da quello che ti ha scoperto in fuga, al quale hai descritto, senza permesso, quello, a cui hai partecipato. In questo luogo. Ti rammento, tu non hai diritti, ma solo doveri; sarai, per quello che si sta avvicinando, la sua cagna. Non cercare di impedire, di ostacolare minimamente lo sfogo dell’animale, altrimenti con lo scudiscio, la verga o con la frusta ti leverò la pelle iniziando dai piedi; poi, subito dopo, ti farò conoscere una pratica, che utilizzo per chi considero una merda. Tu sai che gli escrementi, per essere concime, devono fermentare, stagionare in un luogo adatto e ricco di vermi: becchime saporito, succulento e molto caro agli uccelli. Ti potrò far mettere in quel luogo per essere pasto di schifosi, ripugnanti lombrichi, per essere predisposto, pronto poi, ad essere becchime per volatili. Posso darti e permettere che ti inculino come vogliono, che siano più di uno, che ti montino e pompino quando, quanto, dove e nei modi che bramano. Sarai per loro solo uno strumento di svago. Ricordalo! Potevi essere come Nicola, che vedi al tuo fianco, ma hai preferito per paura, vergogna, mancanza di onestà incazzarti con chi ti stava vicino, bistrattare conoscenti, compagni, insomma fare il bullo, il cretino, lo stronzo del paese. Ora, grazie a tuo zio e a questo luogo conoscerai te stesso, accettandoti; anzi diverrai orgoglioso della tua sessualità, del tuo essere. Sappi che noi, omosessuali, siamo i fuchi della specie umana, a cui è demandata la sua difesa e la sua moralità. Ci divertiamo tanto, perché ci è stato concesso. Ora diventa la cagna del molosso che hai conosciuto e cerca, dopo il dolore della penetrazione, di godere. Voglio sentirti urlare di piacere; chiedere di essere ingozzato di sborra, di essere otturato e poi rotto, come mai nessuno lo è stato. Capito? … e noi godremo di vederti cagna, femmina dissoluta, femmina sino al midollo. Vorrò sentirti pregare tuo zio di fotterti, i tuoi compagni di stalla di lasciarti negli escrementi, vederti gioire per essere stato scelto come novizio taster di merde o come sommelier di urine, pregarmi che ti vengano date le vergate sulle natiche, sui piedi o sulle mani per i tuoi ripetuti, esibiti errori. Sarà difficile svestirti della maschera che ti sei confezionato, ma con questa e con altro, ci riuscirò.”
“No, nooooooo! È terribile! Lasciami! Basta solletico, non ce la faccio. Non resisto, mi sto … Ohhhhhh sììììììììì, leccami i fianchi. Sìììììììììììììì, continua! Ohhhhhhhh!” Seppur legato, al tocco della lingua della bestia si contraeva, accostava i glutei, s’ irrigidiva tutto, s’ increspava, sbavando, urlando, battendo i palmi sul ghiaino frantumato. Dall’anello sfinterico fluivano essenze lattescenti, aromi per la bestia. Era una cagna in calore, che chiedeva, tramite spasmi, di essere montata, penetrata, riempita, saturata, ingravidata.
“Ha ragione, Signor Direttore, ho il fisico di un maschietto, ma sono una femmina. Ho sempre avuto paura, vergogna di me stesso per i miei desideri. Quanto ho cercato di conoscere un membro maschile, ma mai ho avuto il coraggio di accettarne le attenzioni. Mio zio si era accorto del mio malessere, più volte si offerse di darmi ospitalità nella sua residenza, ma ho sempre rifiutato in malo modo. Avevo paura di scoprirmi. Dal suo abbigliamento mi ero accorto che doveva avere un randello come quello dei miei sogni mattutini, che facevano palpitare, trepidare, vibrare il mio anello sfinterico; ma avevo paura. Mi ribellavo. Non potevo essere un diverso. Non conoscevo. Mia madre non si curava di me, forse stanca delle mie angherie da bullo, da problematico per nascondersi e parlare dietro una grata di confessionale. Nei primi tempi in cui il mio fisico prendeva certe forme avevo inviti a stare in compagnia, a consumare qualcosa assieme, ma io avevo paura che qualcuno scoprisse che non ero un vero maschietto, ma una mezza femmina. La mia condotta era una difesa e un vestito dietro cui nascondevo il mio essere. Ieri, quando quella macchina mi ha penetrato, ho provato dolore e una tremenda umiliazione, ma al buio della stalla ho goduto, seppur seduto su un mucchio di feci di schiavi, perché obbligato. Pisolavo male per via del dolore delle frustate che persisteva ancora. Ogni tanto ero irrorato dalle pisciate che noi schiavi abbiamo l’ordine di fare come i cani in quel posto dello stabbio, in cui anche si defeca. Ho goduto delle allucinazioni che avevo per la merda che, slittando sul corpo, si trasformava in serpe e, strisciando là sotto, cercava di penetrarmi per annidarsi dentro il mio retto. Ieri era metallo, duro, freddo; raddrizzava, modificava, denaturava il mio interno, ma ora questo del cane, caldo, diverso, mi riempirà di liquidi bollenti. Non ho paura. Lo voglio. Avrò dolore, ma voglio trasformarmi in quello che devo essere. Che mi rompa lui il culo, ma poi chiedo quello dello zio. Nelle feci, quando i miei compagni di schiavitù pisciavano, il mio anello si apriva e chiudeva sussultando, ansando e riceveva in sé tracce brunastre. Signor Direttore su quelle feci di schiavi, che non vengono buttate con le altre degli ospiti, ho compreso che sono peggio di uno schiavo. Accetterò tutto quello che mi vorrà infliggere perché possa riappropriarmi del mio vero essere. Farò i corsi di degustatore e di sommelier con gioia. Imparerò a lavorare con le labbra, con le mani e con il mio anello perché l’ospite ritorni. Dalla medaglietta che porti al collo so come ti chiami: vieni Lanco, sfondami, penetrami, sbattimi, voglio sentirlo, inchiodami al tuo sesso, saziami della tua carne, riempimi dei tuoi caldi liquidi. Ohhhh nooooooooooo, la tua lingua … Mi si accappona la pelle, mi fa tremare. Ohhhhhhhhhhh Lanco! Ora inizio a capire, comprendere cosa significa prenderlo per goderlo. Cosa ho abbandonato per la mia ottusità, per la mia imbecillità! Il mio anello pulsa, attende, si apre e si chiude, ha sete e fame. Umhmhumumuuhuu … suuiiuiiii.”
Abbrancato, preso fra gli arti anteriori del cane, prima patì l’immenso, possente attrezzo, grosso e lungo, poi gradì addossandosi, spingendosi contro quella verga che lo sodomizzava brutalmente, bestialmente, accettandosi per quello che era. Scena selvaggia, perversa, dissoluta, oscena. Gli astanti godettero della visione dei culi accostati, legati da un perno rosso, lucido, pulsante, degli occhi sgranati per l’ancora a cui era fissato e del flop di fine copula. La cagna, coperta, attese il rito dello slinguazzamento per farsi chiudere, tappare, poi, liberata, andò a riposarsi per coccolarsi, abbracciata fra le zampe del molosso. U21 lacrimava, mentre il cane era indifferente, distaccato e appagato, lo aspergeva delle sue bave.
“Papà, il mio è un paletto, il tuo? Hoppppsss!”
“Dopo, dopo! Vediamo prima come va a finire!”
“Perché, che c’è di nuovo dopo quello che ci hanno mostrato?”
“Guarda l’infermiere con il suo aiutante cosa inseriscono nel cerchietto di U21: un plug con coda di cane; per cui possiamo pensare che sia stato accettato come canide. D’ora in poi lo potremo vedere gattoni nei suoi spazi; dialogare con altri suoi simili con guaiti o con ululati, come sta facendo, in questo momento, con il molosso: lui, appagato, fissa languido il suo amico, mentre quello lo coccola con slinguate sulle guance, sul collo ungendolo, cospargendolo delle sue salive. Sono felici. Si stringono rapiti, paghi di essere uno dell’altro. Il cane si sente il maschio di U21, mentre lui è la femmina di Lanco.”
“Papà?”
“Sì, lo so che vorresti provare e i cani, come tanti altri animali, sono poligami; per cui …; ma non ti bastano quelli che hai trovato e avuto?”
“Sì, ma per provare!”
“Quando mi fissi in quel modo, tu lo sai che non sono capace di negarti nulla. Ma caspita: questo novellino, appena aperto, spasima digià di conoscere l’arnese di un cane!”
“Sai papà, ammiravo il ragazzo con quel chiodo fissato al suo interno; provavo invidia. Il suo anello sfinterico era pallido, quasi violaceo per l’importante, straordinario ingombro e il perno dell’animale sembrava diviso in due. Grosso, rosato, lucido e penso tanto caldo. Sono stati appiccicati per un bel po’ con i culi accostati, perché?”
“E’ la copula dei cani. Per ingravidare la cagna, dopo che l’hanno presa, il loro membro si dilata formando il famoso nodo che impedisce allo sperma di uscire. Da quando si girano il maschio spruzza e riempie la vagina del suo seme impregnando la femmina. L’animale non distingue una vulva da un anello anale; per lui l’ano è un buco da riempire. Ti posso però affermare che è un’esperienza unica; ti senti pieno, ingolfato, sazio e quando le membrane anali vengono colpite dai suoi violenti spruzzi, il sottomesso conosce l’estasi dei sensi.”
“Ma allora?”
“Sì, mi sono lasciato prendere varie volte e ogni volta, nel ricordare quei momenti, mi eccito. Con il Presidente ne avevamo parlato e questo spettacolo era per farti conoscere questa pratica, per invogliarti a chiederla.”
“Oh grazie, grazie papà! Quando?”
“Presto, ma … e non chiedermi di più!”
“Rientra e vai all’angolo. Hai cinque minuti per fare i tuoi bisogni.”
Era stato trovato fuori dalla stalla singhiozzante con accanto un custode lanoso che lo aspergeva di bave. Si staccò a malincuore dall’unico essere che lo aveva scaldato e consolato in quell’ inizio di percorso correttivo. Erano in tre, accovacciati come cani. Percepiva con piacere il calore di quei corpi addossati. “Ora, giratevi e chinatevi!” La voce del primo assaggiatore non permetteva tentennamenti. Costui era uno schiavo soddisfatto di poter comandare ad altri schiavi, appagando così i suoi desideri più reconditi, lascivi e riprovevoli, ma era anche colui che doveva igienizzare, disinfettare, purificare la porcilaia e i suoi utilizzatori. Assalì tutti con uno spruzzo d’acqua fredda, gelida. La violenza del getto ripuliva completamente, ma nello stesso tempo dava dolore.
Bagnato, infreddolito, dolente per la violenta spazzolata con l’acqua, seguì i suoi nuovi compagni di schiavitù per l’igiene e disinfezioni del cacatoio, dei recipienti di raccolta, della dispensa, per le sterilizzazioni delle cannule, per la preparazione dei clisteri, per la messa in fermentazione e decomposizione delle creme da consumare nelle punizioni agli schiavi da formare.
A causa della nausea, dei conati trattenuti, della lontananza mentale alla refrattaria, dura, dolorosa, ardua, terribile formazione, assecondò e permise che il suo fisico fosse bloccato ed appeso ad una trave per ascoltare i primi cracker di frusta del giorno. Risveglio, urla, disperazione e accettazione finale a consumare la colazione prescritta appena sfornata, calda, morbida. Provvide a pulire attorno e dentro la fessura di uscita lentamente, ripetutamente, a lungo sino a vederla detersa, lucida, rosata, palpitante. Seguì alla fine i suoi insegnanti nell’esaminare con la vista, con il tatto, con l’olfatto, con il gusto le deiezioni degli ospiti per riconoscerne la purezza, la bontà, la bellezza, le proprietà terapeutiche, aromatiche, salutari, benefiche se prodotte da un fisico in buona salute.
Biasimato, rimproverato, condannato da tutti gli ospiti per la condotta avuta prima del suo arrivo e durante i suoi primi momenti di soggiorno in quel luogo; osservato in lontananza dallo zio e dal direttore in silenzio, che con movimenti del capo lo compativano e forse … Dall’inizio del riposo a mattinata inoltrata era stato obbligato a sedersi appartato nell’angolo dello stabbio riservato alle deiezioni notturne; ad essere trattato come water di una latrina; a uscire dalla stalla per poter piangere senza essere visto, abbracciato, scaldato e confortato da un cane; obbligato, lavato e nettato da incrostazioni fecali con un getto violento di acqua gelida; a partecipare alle pulizie come operatore affiancato; ad essere fustigato e ad accettare di prendere colazione direttamente dalla fonte con annessa pulizia rettale di lingua e poi, a conoscere sfumature di colori, di morbidezza, di sapori, di profumi, ma ora quei due, con lo zio …
L’atmosfera non prometteva nulla di buono. Passò del tempo che sembrò interminabile, ma, anche questa è tortura, sottile, psicologica: l’angoscia dell’attesa per non conoscere o capire quello che sta per succederti; sai solo che, per le infrazioni fatte, per comportamento avuto, quello che potrebbe accaderti sarà terribile, doloroso, umiliante, infamante, ma non sai quanto e quando. Dentro di te s’alternano il desiderio di conoscere con quello di ignorare, la curiosità e la paura, che non ti succeda nulla o il più tardi possibile, che non ti vedano o si dimentichino, ma come potrà lo zio, avutoti dalla mamma per drizzarti, per rieducarti, per dissuaderti dal proseguo della tua condotta estremamente negativa, correggerti, riprenderti anche con l’uso di certe pratiche sadiche, violente fatte di percosse e umiliazioni, ignorare e perdonare? Come potrà averti, lontano dal suo falso ambiente sociale, se non in quel luogo e tramite inganni, espedienti, pretesti. Lui, come te, si vergogna di essere gay, ma pratica l’omosessualità dove altri l’hanno da sempre accettata, come Francesco, Enrico, Stefano o Nicola che la vive con gioia e grande desiderio di conoscersi. Probabilmente lo zio ha un problema o gli è stato causato. Tu conducevi una vita immorale, intemperante, licenziosa, perché non accettato da tua madre, amante della tonaca del prete e dallo stesso tuo zio, che su di te vuole sfogare i suoi istinti inibiti e lavare le sue colpe e paure per non perdere vantaggi sociali; ma spesso la vita mescola le carte e quello che ai primi indizi poteva far pensare allo zio di poter consumare, di usufruire di un bocconcino in tempi e modi diversi, in posti lontani dal suo cerchio sociale, potrebbe per motivi imprevedibili e misteriosi non essere più suo. Certamente il soggetto oppresso, vessato, vittima di ambienti e persone tarde, pazze, non passerà un bel momento, probabilmente conoscerà l’inferno, ma quando costui comprenderà, allora il tempo potrebbe essere maturo per fargli girare pagina e, facilmente nello stesso luogo scelto per possederlo, per schiavizzarlo e anche per venderlo. Ora: pensieri, paure, incubi, sensazioni, emozioni.
Dei bovidi stavano preparando la scena e la strumentazione per il nuovo spettacolo. La paura e la tensione nervosa gli facevano tremare le gambe, l’infermiere lo incitò ad aumentare il passo e dopo a stendersi con l’addome sul cuscino di una cavallina senza supporti, con il sedere in alto, aperto e testa sul ghiaino di roccia frantumata della platea. Lo bloccano e legano per impedirgli qualsiasi movimento, qualsiasi vano tentativo di fuga. Ha paura della frusta, che già conosce e teme, ma non sembra vogliano picchiarlo, anzi … lo osservano, lo toccano, lo scuotono, lo stringono, lo massaggiano, impastando, battendo o tirando muscoli. Gli piace, ma ha paura, tanta … Spingono, penetrano, rovistano. Piace. Qualcosa di freddo gli invade l’intestino: sensazione spiacevole. Trattiene il fiato, ora riprende ad avere angoscia, fifa. Un inizio di bruciore, come di sale su una ferita. Pizzica, punge, morsica. Dolore, freddo, sudore. Piange, urla, si lamenta; il dolore è forte, intenso, si agita dal male e il suo corpo oscilla, peggiorando la condizione penosa. L’addome si gonfia, mentre la mente fluttua, perde contatti. Non hanno intenzione di desistere, anzi lentamente, mentre i liquidi fluiscono dentro di lui, gli sollevano le gambe, divaricandole ulteriormente, per riempirlo di più. Il suo corpo non è più suo. Lui è nell’aere. Mani lo accarezzano dal ventre allo sfintere. È sconvolto, il terrore gli annulla ogni barlume di lucidità, si agita, ma ogni suo movimento è vano per come è stato bloccato. Una mano per i capelli gli solleva il capo: è lo zio, mentre il suo intestino si sgonfia e l’acqua fredda, brunastra, accompagnata da suoni di trombetta, schizza e bagna le sue cosce, i suoi piedi.
“Cretino, stronzo, pensavi di sfuggirmi? Guardalo quanto svetta, quanto vuole la tua carne! Ti farà un culo … così, bastardo! Più tardi ti farò sanguinare e urlare, carogna, delinquente, lazzarone, avanzo di galera che non sei altro!”
Non ascolta, non vede, ansima incredulo, sconvolto, forse gli è sufficiente il piacere del suo scaricare. È assente, lontano, partito. Non percepisce che lo stanno riempiendo nuovamente, stavolta con liquidi biancastri tiepidi. Stralunato cerca di capire. Osserva chi lo circonda ed esibisce i suoi attestati, invitandolo a leggerli, capirli, ad apprezzarli per emozionarsi di quello che potrebbero regalargli sulla via della carnalità, della lussuria, del piacere.
“Mascalzone! Succhia, ciuccia, bevi. Ti farà bene!”
Non ha alternative, se non la frusta e poi non è merda o piscio. Sembra latte, dolce, tiepido. Finalmente qualcosa di umano, del cibo per il suo stomaco da quando quel , di zio, lo ha portato qui. Era poco, ma almeno sul palato gli rimane del sapore gradevole. Con gli occhi ringrazia, mentre percepisce fluire, uscire lento, quello che gli avevano rimesso. Un po’ di benessere, un po’ di sollievo, ma lo lasciano ancora lì, su quel cuscino, steso, piegato, unto di liquidi oleosi; anzi, gli massaggiano i piedi, le natiche, il dorso, lo ungono anche sul viso per poi andare a vellicare, a coccolare il suo pertugio, persino dentro. È bello e piacevole. Vorrebbe che proseguissero. Dilata di più i glutei per avere quelle mani, là, in quel buchetto che palpita, che si apre e chiude, come affamato, assettato. Non sa più cosa sono il dolore, le sevizie.
“Ohhhhhhh sìììììììììì! … anche dentro, sìììììììììììììììììì!”
Non vede, non sente un piccolo ugello che entra, rilasciando delle sostanze lattiginose; le stesse con cui lo avevano manipolato, oliato, imburrato. Accanto, addossato languidamente ad un adulto, amoreggiava un giovane, forse con qualche anno meno di lui. Non capisce. Lo toccano, lo sculacciano, persino lo accarezzano tra le natiche e lui tace. Sembra gradire, anzi offre, propone, concede ad una mano di andare oltre il forellino; di farsi penetrare con un dito; di farsi strizzare, impastare i glutei e lui gioisce e, fissandoti, ti sorride contento, affascinato e attratto da insoliti movimenti in arrivo.
“Papà!”
“Dimmi, piccola vita mia!”
“Che …”
“A volte succede, anche loro hanno diritto a svuotare le palline e lui è quello che lo ha scoperto stanotte, fuori dal suo spazio di riposo. U21 è uno schiavo, non ha alcun diritto. Deve obbedire al padrone, lavorare per lui, non può essere difeso o ascoltato; non ha culti, se non quelli che gli sono imposti. Ora verrà addestrato per essere avviato a fare un determinato lavoro, utile al club e caro a noi. Può essere torturato, percosso, venduto, usato come strumento di produzione e di piacere, sin dal primo giorno della sua entrata in questo luogo.”
“Stanotte non hai rispettato le regole: hai lasciato la posta e sei uscito dalla stalla, per cui subirai la punizione che il tuo comportamento ha chiesto. Ieri, sei stato sverginato da uno strumento a motore, ora subirai la monta da un essere peloso, da quello che ti ha scoperto in fuga, al quale hai descritto, senza permesso, quello, a cui hai partecipato. In questo luogo. Ti rammento, tu non hai diritti, ma solo doveri; sarai, per quello che si sta avvicinando, la sua cagna. Non cercare di impedire, di ostacolare minimamente lo sfogo dell’animale, altrimenti con lo scudiscio, la verga o con la frusta ti leverò la pelle iniziando dai piedi; poi, subito dopo, ti farò conoscere una pratica, che utilizzo per chi considero una merda. Tu sai che gli escrementi, per essere concime, devono fermentare, stagionare in un luogo adatto e ricco di vermi: becchime saporito, succulento e molto caro agli uccelli. Ti potrò far mettere in quel luogo per essere pasto di schifosi, ripugnanti lombrichi, per essere predisposto, pronto poi, ad essere becchime per volatili. Posso darti e permettere che ti inculino come vogliono, che siano più di uno, che ti montino e pompino quando, quanto, dove e nei modi che bramano. Sarai per loro solo uno strumento di svago. Ricordalo! Potevi essere come Nicola, che vedi al tuo fianco, ma hai preferito per paura, vergogna, mancanza di onestà incazzarti con chi ti stava vicino, bistrattare conoscenti, compagni, insomma fare il bullo, il cretino, lo stronzo del paese. Ora, grazie a tuo zio e a questo luogo conoscerai te stesso, accettandoti; anzi diverrai orgoglioso della tua sessualità, del tuo essere. Sappi che noi, omosessuali, siamo i fuchi della specie umana, a cui è demandata la sua difesa e la sua moralità. Ci divertiamo tanto, perché ci è stato concesso. Ora diventa la cagna del molosso che hai conosciuto e cerca, dopo il dolore della penetrazione, di godere. Voglio sentirti urlare di piacere; chiedere di essere ingozzato di sborra, di essere otturato e poi rotto, come mai nessuno lo è stato. Capito? … e noi godremo di vederti cagna, femmina dissoluta, femmina sino al midollo. Vorrò sentirti pregare tuo zio di fotterti, i tuoi compagni di stalla di lasciarti negli escrementi, vederti gioire per essere stato scelto come novizio taster di merde o come sommelier di urine, pregarmi che ti vengano date le vergate sulle natiche, sui piedi o sulle mani per i tuoi ripetuti, esibiti errori. Sarà difficile svestirti della maschera che ti sei confezionato, ma con questa e con altro, ci riuscirò.”
“No, nooooooo! È terribile! Lasciami! Basta solletico, non ce la faccio. Non resisto, mi sto … Ohhhhhh sììììììììì, leccami i fianchi. Sìììììììììììììì, continua! Ohhhhhhhh!” Seppur legato, al tocco della lingua della bestia si contraeva, accostava i glutei, s’ irrigidiva tutto, s’ increspava, sbavando, urlando, battendo i palmi sul ghiaino frantumato. Dall’anello sfinterico fluivano essenze lattescenti, aromi per la bestia. Era una cagna in calore, che chiedeva, tramite spasmi, di essere montata, penetrata, riempita, saturata, ingravidata.
“Ha ragione, Signor Direttore, ho il fisico di un maschietto, ma sono una femmina. Ho sempre avuto paura, vergogna di me stesso per i miei desideri. Quanto ho cercato di conoscere un membro maschile, ma mai ho avuto il coraggio di accettarne le attenzioni. Mio zio si era accorto del mio malessere, più volte si offerse di darmi ospitalità nella sua residenza, ma ho sempre rifiutato in malo modo. Avevo paura di scoprirmi. Dal suo abbigliamento mi ero accorto che doveva avere un randello come quello dei miei sogni mattutini, che facevano palpitare, trepidare, vibrare il mio anello sfinterico; ma avevo paura. Mi ribellavo. Non potevo essere un diverso. Non conoscevo. Mia madre non si curava di me, forse stanca delle mie angherie da bullo, da problematico per nascondersi e parlare dietro una grata di confessionale. Nei primi tempi in cui il mio fisico prendeva certe forme avevo inviti a stare in compagnia, a consumare qualcosa assieme, ma io avevo paura che qualcuno scoprisse che non ero un vero maschietto, ma una mezza femmina. La mia condotta era una difesa e un vestito dietro cui nascondevo il mio essere. Ieri, quando quella macchina mi ha penetrato, ho provato dolore e una tremenda umiliazione, ma al buio della stalla ho goduto, seppur seduto su un mucchio di feci di schiavi, perché obbligato. Pisolavo male per via del dolore delle frustate che persisteva ancora. Ogni tanto ero irrorato dalle pisciate che noi schiavi abbiamo l’ordine di fare come i cani in quel posto dello stabbio, in cui anche si defeca. Ho goduto delle allucinazioni che avevo per la merda che, slittando sul corpo, si trasformava in serpe e, strisciando là sotto, cercava di penetrarmi per annidarsi dentro il mio retto. Ieri era metallo, duro, freddo; raddrizzava, modificava, denaturava il mio interno, ma ora questo del cane, caldo, diverso, mi riempirà di liquidi bollenti. Non ho paura. Lo voglio. Avrò dolore, ma voglio trasformarmi in quello che devo essere. Che mi rompa lui il culo, ma poi chiedo quello dello zio. Nelle feci, quando i miei compagni di schiavitù pisciavano, il mio anello si apriva e chiudeva sussultando, ansando e riceveva in sé tracce brunastre. Signor Direttore su quelle feci di schiavi, che non vengono buttate con le altre degli ospiti, ho compreso che sono peggio di uno schiavo. Accetterò tutto quello che mi vorrà infliggere perché possa riappropriarmi del mio vero essere. Farò i corsi di degustatore e di sommelier con gioia. Imparerò a lavorare con le labbra, con le mani e con il mio anello perché l’ospite ritorni. Dalla medaglietta che porti al collo so come ti chiami: vieni Lanco, sfondami, penetrami, sbattimi, voglio sentirlo, inchiodami al tuo sesso, saziami della tua carne, riempimi dei tuoi caldi liquidi. Ohhhh nooooooooooo, la tua lingua … Mi si accappona la pelle, mi fa tremare. Ohhhhhhhhhhh Lanco! Ora inizio a capire, comprendere cosa significa prenderlo per goderlo. Cosa ho abbandonato per la mia ottusità, per la mia imbecillità! Il mio anello pulsa, attende, si apre e si chiude, ha sete e fame. Umhmhumumuuhuu … suuiiuiiii.”
Abbrancato, preso fra gli arti anteriori del cane, prima patì l’immenso, possente attrezzo, grosso e lungo, poi gradì addossandosi, spingendosi contro quella verga che lo sodomizzava brutalmente, bestialmente, accettandosi per quello che era. Scena selvaggia, perversa, dissoluta, oscena. Gli astanti godettero della visione dei culi accostati, legati da un perno rosso, lucido, pulsante, degli occhi sgranati per l’ancora a cui era fissato e del flop di fine copula. La cagna, coperta, attese il rito dello slinguazzamento per farsi chiudere, tappare, poi, liberata, andò a riposarsi per coccolarsi, abbracciata fra le zampe del molosso. U21 lacrimava, mentre il cane era indifferente, distaccato e appagato, lo aspergeva delle sue bave.
“Papà, il mio è un paletto, il tuo? Hoppppsss!”
“Dopo, dopo! Vediamo prima come va a finire!”
“Perché, che c’è di nuovo dopo quello che ci hanno mostrato?”
“Guarda l’infermiere con il suo aiutante cosa inseriscono nel cerchietto di U21: un plug con coda di cane; per cui possiamo pensare che sia stato accettato come canide. D’ora in poi lo potremo vedere gattoni nei suoi spazi; dialogare con altri suoi simili con guaiti o con ululati, come sta facendo, in questo momento, con il molosso: lui, appagato, fissa languido il suo amico, mentre quello lo coccola con slinguate sulle guance, sul collo ungendolo, cospargendolo delle sue salive. Sono felici. Si stringono rapiti, paghi di essere uno dell’altro. Il cane si sente il maschio di U21, mentre lui è la femmina di Lanco.”
“Papà?”
“Sì, lo so che vorresti provare e i cani, come tanti altri animali, sono poligami; per cui …; ma non ti bastano quelli che hai trovato e avuto?”
“Sì, ma per provare!”
“Quando mi fissi in quel modo, tu lo sai che non sono capace di negarti nulla. Ma caspita: questo novellino, appena aperto, spasima digià di conoscere l’arnese di un cane!”
“Sai papà, ammiravo il ragazzo con quel chiodo fissato al suo interno; provavo invidia. Il suo anello sfinterico era pallido, quasi violaceo per l’importante, straordinario ingombro e il perno dell’animale sembrava diviso in due. Grosso, rosato, lucido e penso tanto caldo. Sono stati appiccicati per un bel po’ con i culi accostati, perché?”
“E’ la copula dei cani. Per ingravidare la cagna, dopo che l’hanno presa, il loro membro si dilata formando il famoso nodo che impedisce allo sperma di uscire. Da quando si girano il maschio spruzza e riempie la vagina del suo seme impregnando la femmina. L’animale non distingue una vulva da un anello anale; per lui l’ano è un buco da riempire. Ti posso però affermare che è un’esperienza unica; ti senti pieno, ingolfato, sazio e quando le membrane anali vengono colpite dai suoi violenti spruzzi, il sottomesso conosce l’estasi dei sensi.”
“Ma allora?”
“Sì, mi sono lasciato prendere varie volte e ogni volta, nel ricordare quei momenti, mi eccito. Con il Presidente ne avevamo parlato e questo spettacolo era per farti conoscere questa pratica, per invogliarti a chiederla.”
“Oh grazie, grazie papà! Quando?”
“Presto, ma … e non chiedermi di più!”
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