Lo scarabeo stercorario
di
Bernardo GUY
genere
tradimenti
Provengo da una famiglia povera?. Dire povera non è il termine esatto. Mio padre lavorava come impiegato in posta, aveva un contratto a tempo indeterminato e mia madre era casalinga. Certo abitavamo nelle casa popolari, l’affitto era commisurato in base alla paga. Ma tra una spesa e l’altra: il dentista, il canone della televisione, le rate dell’auto ecc. i soldi per gli ‘sfizi’ non c’erano. Mia madre, sebbene avesse solo la terza media, era l’economa, la manager familiare, insomma, il nostro broker finanziario. Infatti mio padre consegnava tutti soldi guadagnati nelle sue sicure mani. La fonte di investimento di mia mamma era il ‘risparmio’ «perché non si sa mai» diceva; la sua banca di fiducia era un barattolo di latta. Era un scatoletta, quasi cubica, gialla e vuota con l’apertura rotonda sopra. La scritta diceva: ‘Twinigs Earl Grey. Miscela di tè neri selezionati con aroma al bergamotto. Gusto morbido e bilanciato’ e quel connubio tè-soldi mi faceva sognare di essere un lord inglese. In realtà erano rare le banconote che ci finivano dentro e lo capivo dalla difficoltà che ci metteva mia madre ad aprire quel ‘barattolo dei sogni’.
Ma era anche una gran lavoratrice ed in ‘nero’ tre mattine la settimana, quasi all’alba, andava fino in centro per fare le pulizie negli uffici dello zio ricco, dello zio Nicola, che aveva uno studio di assicurazioni. Mi piangeva il cuore saperla per strada nelle gelide mattinate invernali per poi spazzare, spolverare, svuotare cestini o passare il mocio della sporcizia di altri.
Ma lei aveva mille risvolti, mille modi per migliorare, sempre risparmiando o perlomeno non spendendo ed allora vendeva prodotti cosmetici per l’Avon, e da lì creme, sciampo e saponi erano gratis oppure in altri cataloghi d’abbigliamento avendo sconti e regali per tutti noi tre.
Si perché i miei si amavano davvero e loro amavano me più di ogni altra cosa.
Insomma tornando al fatto se era o no povera la mia famiglia, per il quartiere dove abitavamo, assolutamente no. I padri di molti miei amici o erano disoccupati o lavoravano nell’edilizia e si spaccavano la schiena per pochi soldi; qualcun’ altro, e se la cavava meglio, utilizzava «le vie del Signore» come diceva mia madre, ossia piccole truffe, un po’ di spaccio di stupefacenti, qualche ‘innocente’ rapina in banca e sbarcava il lunario molto meglio di noi. Sempre se gli andava bene, altrimenti per un po’ non si vedevano in giro e le famiglie rimanevano davvero nelle ‘mani dal Signore’. «Rubare alle banche o alle assicurazioni, non è rubare son loro i veri ladri, noi siamo come i nuovi Robin Hood» mi aveva detto don Tano. Ancora non sapevo chi fosse sto Robin Hood, non mi sono mai piaciute le favole o le fiabe ma volevo lasciargli l’indirizzo degli uffici di zio Nicola cosicché evitasse quell’assicurazione, con tutte quelle che c’erano!
Insomma la mia vita familiare era una tana solida per potermi rifugiare ogni volta che ne avevo bisogno.
A scuola senza mai faticare avevo sempre il massimo dei voti.
Leggevo libri di narrativa, di avventura, mai topolino e fumetti per bambini. Ma ero brutto: grasso, avevo i brufoli dello sviluppo, gli occhi persi dietro occhiali fuori moda con la montatura nera spessa, i miei capelli anche se li lavavo parevano sempre unti. Ovvio come ogni bambino avevo degli amici ma molti anche in quartiere mi prendevano in giro. A calcio non giocavo, figuriamoci a basket o pallavolo. Io leggevo.
Poi la svolta, le superiori. Lo zio Nicola, lanciato da un gesto di misericordia verso quei parenti ‘poveri’ che eravamo noi, si era preso la briga di pagarmi gli studi «sempre se vedo che se lo merita, vedi con lo studio dove sto arrivato». Un po’ umiliato perché sembrava che i miei non potessero permettersi di pagarmi il liceo ho pensato due cose: intanto per quello ‘sto arrivato’ forse era meglio ripassare la grammatica e la seconda era di non studiare per un po’ per levarmelo dalle scatole. Mi sono anche detto che un po’ tutti gli emigrati dal sud storpiavano l’italiano con qualche ‘meridionalismo’, anche i miei. «Nacci’ a Maronna» era la massima imprecazione di mio padre. Alla fine dopo un’opera di convincimento di mia madre ho accettato: avrei frequentato il liceo scientifico più prestigioso di Milano.
Ovviamente la dimensione tra povertà e ricchezza era completamente un’altra cosa lì. Ora ero grasso e povero, anzi poverissimo. I miei compagni di classe erano tutti figli di professionisti, imprenditori o politici alcuni venivano a scuola con l’autista. Molti per una settimana in inverno scomparivano ed andavano nelle più rinomate zone sciistiche per la settimana bianca. A settembre i racconti si sprecavano tra Porto Cervo, Portovenere, una giro in barca a vela o un «siamo stati qualche giorno a New York, per fare un giro». I miei inverni li passavo a casa al caldo tra libri di studio e quelli di svago divorando tutto quello che preparava mia madre che era una cuoca super; le estati sudando al massimo con la bicicletta Graziella arrivavo fino ad un laghetto in un paese vicino. Altro che New York. Tutti vestivano firmato, i prezzi di quello che indossavano in un giorno qualunque probabilmente avrebbe comprato tutto il mio armadio, legno compreso. Ero brutto ma ero follemente innamorato, chiaro che lo sapevo solo io e le mie guance che avvampavano se mi chiedeva qualcosa di scuola: Ambra.
Era figlia un dirigente di banca e di una cardiologa. Era bellissima, stupenda.. meravigliosa. Bionda, occhi blu, alta, i seni in fiore: insomma, per me, e non solo per me, era una visione celestiale. Lei stava insieme già dalla seconda liceo con Sebastiano, Seba per tutti, bellissimo figlio di un sotto ministro non sapevo bene a cosa. Erano assurdamente belli insieme loro si amavano e lo si vedeva da lontano. Io odiavo invece quel Seba, era il mio aguzzino il mio torturatore ed ogni volta che mi offendeva lei rideva di gusto lasciandomi dentro una tristezza infinita.
Il fatto poi che ero di gran lunga il più bravo della classe mi rendeva un mostro alieno. Seba mi aveva soprannominato lo Scarabeo stercorario, e molti suoi accoliti mi chiamavano Scarster per accorciare, quel nomignolo aveva una doppia valenza: una era il mio grasso e l’altra che vivevo alle casa popolari quindi in mezzo al letame.
Anche lei era una grande stronza e se raramente la incrociavo quando ero con mia madre «ciao Scarster hai fatto i compiti?» diceva ridendo. L’unico amico che avevo era Tommaso anche lui figlio persone benestanti, ma la sua era una vera educazione da ricchi non da arricchiti. Avevamo cominciato a fare amicizia scambiandoci le merende. Io gli davo i miei paninazzi con i peperoni grigliati ed il caciocavallo fatti da mia madre e lui in cambio i suoi tramezzini con i gamberi fatti dalla cuoca filippina che avevano a casa.
All’inizio del terzo anno, credo per gli ormoni in subbuglio, ho preso la prima nota, non volevo studiare Giacomo Leopardi. Mi sentivo troppo simile a lui e non l’ho mai studiato. La professoressa, quella che mi aveva messo la nota, deve aver capito ‘il mio perché’ ed ogni volta che mi interrogava mi chiedeva di altri scrittori e poeti.
Il mio amore per Ambra oramai era fuori controllo e ho scritto una lettera per lei. Sapevo di non avere ‘nessunissima’ possibilità ma l’adolescenza...erano parole dolci, d’amore forse più d’affetto.
Quando dopo la ricreazione ha trovato il mio biglietto si è alzata, ha chiesto al professore di poter leggere una cosa e davanti la classe guardandomi l’ha fatto. Io sono corso fuori ed ho pianto lacrime di infinito sconforto. Ora per la classe ero ‘Giacomone’, ancora Leopardi che mi perseguitava. Ero a terra. La prima crepa in un vaso già difettoso.
Per quella lettera, non per gelosia, ma solo per trovare un pretesto per umiliarmi Seba mi ha picchiato nei bagni della scuola, io ho reagito, prima di soccombere tirandogli una sberla in faccia. Lui in tutta risposta mi ha cosparso di candeggina. I jeans Levi’s nuovi che mi aveva regalato mia madre per il mio compleanno erano da buttare.
Tutte le ore passate con guanti di plastica a pulire l’ufficio per comprarmeli sprecate. La seconda crepa.
Il liceo metteva a disposizione una psicologa per ogni problema degli studenti, così sono andato a parlarci, ero depresso, deluso, disperato.
Lei è stata molto gentile e mi ha concesso, sempre mettendoci d’accordo, di parlare di quel che mi opprimeva a casa sua, evitandomi altre umiliazioni.
Sandra, la psicologa era una bella donna, aveva 32 anni ed era appassionata di quel che faceva. Mi trovavo molto bene con lei e da lì è cominciata la mia ascesa. Studiare, come sempre, lavorare sul mio corpo e credere più in me stesso. Fregandomene degli altri.
Comunque alla fine dell’anno ho deciso di trasferirmi in un liceo statale e non ho più visto i miei aguzzini.
Mi sono diplomato con il massimo dai voti ed ho iniziato architettura a Milano. La palestra, il nuoto e le corse avevano fatto rinascere il mio corpo e con lui il mio spirito.
Ma quelle crepe si erano scavate ancora più profondamente in me, non riuscivo a dimenticare. Spesso rileggevo piangendo la lettera per Ambra, che non avevo mai più visto. Anche se ora ero diventato un bel ragazzo: spalle larghe, pettorali pronunciati, zero pancia, zero brufoli con i capelli ricci neri e lunghi andavo a trovare lo stesso Sandra, sempre a casa sua e sempre gratis per cercare, insieme, di sradicare da me quegli spettri che mi portavo dentro. La, ormai, mia psicologa si era affezionata a me ed apprezzava tutto il sudore speso per la mia ‘trasformazione’. Io se devo essere del tutto sincero mi ero invaghito di lei, e quando indossava un pantaloncino aderente o metteva in mostra quel seno florido il pene mi si gonfiava e penso che anche lei lo avesse notato. D’altro canto avevo 18 anni e nessuna esperienza erotica, lei trentaquattro e ed una carica sessuale che mi chiamava a se.
Poi al mio quarto trenta e lode su quattro esami, a casa sua dove abitava da sola ci siamo baciati, l’ho baciata io a dirla tutta. A sentire il suo corpo caldo, il suo grosso seno sul mio petto ho avuto un’erezione fortissima. Eravamo entrambi eccitati e ci siamo trovati sul divano nudi ed ansanti. Lei mi coccolava ed io mi facevo trasportare del sue parole «ma lo sai che sei bellissimo, sei diventato un ragazzo meraviglioso». Poi nel trasporto ho iniziato a baciargli e leccargli la fica, con calma delicatamente. Leccavo la sua clitoride, dura e pulsante, sotto i suoi gemiti di piacere stringendogli le mie mani sui sodi seni. Poi ha avuto uno, due orgasmi e a farmi accorgere di questo è stato l’afflusso dei suoi liquidi caldi e aromatici nella mia bocca. Poi si è accucciata tra mie gambe ed ho pensato che la vita è veramente meravigliosa. Le sue labbra, i suoi baci, il suo leccare era eseguito come da un esperto direttore d’orchestra, fino all’esplosione. Una scarica elettrica, forse una scarica di terremoto mi sconquassato fin nel profondo. Sandra ha preso tutto il mio succo color avorio e lo ha ingoiato guardandomi con occhi deliziati. Con l’indice della mano a recuperato una gocciolina che scendeva lenta delle sue labbra e si è leccata il dito «cosa mi sia successo no lo so, ma è stato stupendo, per oggi fine del nuovo corso» ha sorriso e si è alzata nuda, statuaria.
Prima di uscire da casa sua ha aggiunto «ma lì sotto eri anche prima così o è stato lo sport?» è andata un attimo in cucina è tornata e mi ha dato un bigliettino «leggilo dopo».
Camminando verso casa mi sembrava di vivere sospeso nell’aria, di volare. Ho aperto il biglietto e c’era scritto “è veramente bello il tuo ‘lui’, ed è buono il tuo ‘succo’ sa di ananas. Spero di non averti fatto del male ho già i sensi di colpa che mi divorano..ma se vuoi… ».
Non avevo mai pensato che un cazzo potesse essere bello e che il mio sperma potesse sapere di ananas, comunque ci siamo visti per anni finendo e ricominciando vari ‘corsi’ fino a che ha trovato l’amore ed i nostri incontri si sono diradati ma mai bloccati.
Ero felice? Si, ma Ambra e Seba permanevano nella mia mente.
Ho finito architettura 110 e lode, ho iniziato a progettare casa, palazzi, municipi insomma tutto quello che mi ispirava.
Vagliavo le proposte, facevo il mio progetto e partecipavo come ditta esterna a varie gare di appalto, spesso vincendole. Avevo tre fedeli compagni di lavoro tra cui Tommaso che era il mio tecnico responsabile per tutto quello voleva dire informatica e sicurezza.
Col tempo mi sono affermato, ho fatto i soldi se volete, sempre però lavorando, forse, troppo. Avevo regalato a zio Nicola un appartamentino progettato da me per ripagarlo dell’impegno economico negli anni del liceo, ho sistemato i miei genitori già felici per i miei successi.
Il lato sentimentale viveva del momento, nel senso che ero spesso a presentare progetti all’estero e quindi ero senza una fissa dimora, in realtà ho comprato un attico in centro a Milano ma in pratica non c’ero mai. Tutte le donne che avevo trovato, oltre al nostro amore non volevano essere mantenute magari a Singapore due mesi e due in Canada così per quanto sentimento ci possa essere stato tutto si annacquava come il gin quando si versa la tonica.
Anche la mia ultima donna Colette, anche lei architetto, inglese, splendida alla quale avevo sottoposto tutte le lezioni del 'corso' di Sandra mi aveva lasciato. Anzi ci eravamo lasciati decidendolo insieme: o il mio ‘nomadismo’ sarebbe cessato o la sua voglia di maternità non si sarebbe materializzata. E quindi un bacio all’aeroporto, decine di e-mail per farmi cambiare idea, ma l’ultima l’ho letta su un volo per Bogotà. Il ‘nomadismo’ aveva vinto.
Poi avevo finito un grosso progetto a Tangeri e per qualche mese ho deciso di ‘staccare la spina’ di restarmene nel mio attico di Milano.
Passeggiavo beatamente per la città quando all’interno di una caffetteria l’ho vista, l’ho riconosciuta subito: Ambra.
Il suo modo di gesticolare, il suo sorriso, ovvio si era fatta donna ma era incantevole. Aveva i capelli più corti di allora, il cuore ha avuto un piccolo sussulto, poi la determinazione, la sicurezza acquisita negli anni in cui non ci siamo visti ha prevalso ed ho aperto la porta di ingresso. “Mi riconoscerà? Certo che no sono un altro adesso.”,
Sono andato al bancone con lo sguardo rivolto a lei che era con una amica e felicemente stavano ridacchiando. Con il caffè davanti ho notato che mi lanciavano qualche sguardo e maliziose sorridevano. Si è alzata per andare in bagno jeans chiari, camicetta azzurra scarpe nere col tacco, semplicemente donna, bona. I seni erano fioriti e la rotondità del suo culo facevano veramente bene allo vista. Mi è passata di fronte mi ha sorriso, ho ricambiato ed è tornata a sedersi. Ho pagato anche i loro caffè, passando davanti al loro tavolino ho notato una rivista d’arte, «I vostri caffè sono pagati.. a due donne così ..». Ambra «E quando possiamo ricambiare? Sei molto gentile.» ed uscendo «Domani stessa ora ». Durante la notte ho faticato a prendere sonno, come in un film si susseguivano le immagini delle umiliazioni che avevo subito.
Era il momento della rivalsa se avessi giocato bene le mie carte.
Oramai, come uno dei miei disegni, il mio piano poteva prendere forma. Il giorno dopo sempre sensuale si è presentata da sola, ci siamo seduti ed abbiamo parlato per un’oretta. Io, preventivamente, mi ero informato con Tommaso, quindi sapevo che era sposata con Seba, non avevano figli e che lui era un dirigente della pubblica amministrazione.
Ho pensato subito “Il paparino l’ha sistemato”. Mi mancava il lavoro di lei. Abbiamo, devo dire, passato il tempo serenamente gli ho parlato di me e lei mi ha detto che organizzava mostre e convegni per il comune. Tommaso andava spesso alle ‘rimpatriate’ con i vecchi compagni di liceo e quindi aveva notizie fresche. Dopo un po’ di battutine e sorrisi i suoi occhi mi facevano capire che potevo osare. «Venerdì sera c’è il primo giorno della mostra di Picasso. Ho preso due biglietti, il mio amico è ammalato, ti va?» «Guarda venerdì.. venerdì.. avrei un appuntamento ma si.. dai lo disdico, ok, va bene.» Abbiamo fissato l’appuntamento e ci siamo scambiati i numeri di cellulare.
Due cose ho fatto prima di quel venerdì, una è stato studiarmi tutto di Picasso, la seconda con l’aiuto e l’esperienza di Tommaso abbiamo installato telecamere ad alta definizione in ‘ogni dove’ nel mio appartamento. Anzi un’altra piccola cosa, gli avevo inviato un sms “Sono quasi contento che il mio amico sia ammalato, è chiaro che non sia felice perché stia male.. ma vuoi mettere con una bella donna, se un quadro non mi piace mi toccherà guardare te”, dopo poco la sua risposta molto azzeccata “per fortuna che parliamo di Picasso, se fosse stato uno sconosciuto ci saremmo guardati per tuttala sera.. un po’ sono contenta anch’io per il tuo amico. Che si riposi.. meglio che non strapazzi.. a domani”.
Aveva voluto dire tra le righe che anche a lei piacevo?.
E’ arrivata con un tubino nero e scarpe nere col tacco alto, profumava di agrumi. Al collo aveva una collana di pietre blu, perfetta a richiamare i suoi bellissimi occhi. La mostra è volata via rapida. Quando ho proposto un aperitivo lei ha fatto un po’ la sostenuta, di quella che vorrebbe ma non vorrebbe poi ha accettato, del resto faceva anche lei la sua parte. «Aspetta un attimo chiamo la mia amica e le dico che non passo da lei». Due drink a testa e le sue guance hanno preso una tinta più viva ed anche i nostri discorsi erano molto più fluidi. Non mi aveva detto nulla del marito.
Mi stavo divertendo con lei stavo quasi dimenticando quale era il punto d’arrivo per me. Come un sorta di ‘sindrome di Stoccolma’ mi stava piacendo stare con chi quotidianamente aveva cercato il modo di ferirmi e di umiliarmi per tre anni. Durante la cena in uno dei più bei ristoranti milanesi, abbiamo mangiato e soprattutto bevuto molto bene. All’appuntamento ero arrivato a piedi, anche era lontano e Ambra si è offerta di darmi un passaggio. Con la scusa di ringraziarla della serata ho lanciato l’idea del bicchiere della ‘staffa’ ed ha accettato. In ascensore le nostre labbra si sono cercate e ci siamo baciati. Tutto in discesa. Siamo entrati nel mio attico e neppure il tempo di finire il gin tonic eravamo nudi in camera. Con un pulsante avevo già attivato le telecamere. Tutto perfetto, però anche lei era perfetta. Nuda aveva un corpo sinuoso i seni erano grossi e sodi, i suoi capezzoli rosa e duri dall’eccitamento. Ci siamo toccati, accarezzati, baciati a lungo, mi ha fatto stendere sul letto ed ha iniziato a leccare il frenulo e la cappella. Ero al massimo, poi i miei 22 cm scomparivano e ritornavano da dentro la sua bocca. Era bravissima. Sentivo i suoi piccoli rantoli di piacere. Dovevo farla smettere altrimenti sarei venuto, mi sono spostato e ho cominciato il mio gioco preferito, con la mia lingua ho leccato tutta la sua fica a lungo e percepivo la sua voglia di essere penetrata «Mi vuoi vedere morta, voglio sentirti dentro, ti prego.. sto goodoooo.. godoooo…. » tremava e faceva scattare il suo viso da destra a sinistra. Dopo qualche piccolo e delicato morso alla sua clitoride sono entrato in quel nido caldo e umido. Ha un fica bellissima. L’ho penetrata piano all’inizio, poi con colpi più vigorosi, ed venuta ancora stavolta gridando. La luce dalla camera mi faceva capire il livello di libido e di godimento che stava provando. Poi sono venuto anch’io, dentro di lei.. Dopo che mente è corpo si sono ripresi mi sono staso al suo fianco. E’ stato proprio bellissimo. Ci siamo coccolati un po’, quando con la mano ha cercato in mezzo alle mie gambe, ‘lui’ ha risposto in breve, mi faceva troppo eccitare il pensiero che ero lì con Ambra. Mi ha ciucciato lentamente fino ad ingoiare tutto il mio sperma. Erano le 23.00, mi ha fatto capire che era tardi ed è andata via.
Il pomeriggio dopo è tornata e abbiamo scopato di nuovo. Dopo esserci nutriti dei nostri corpi siamo rimasti a parlare nudi nel letto. La situazione poteva complicarsi, alla lunga ero certo che mi sarei potuto innamorare di lei ma non dovevo ed ho preso la decisione. Stavamo accennando alle brutte figure fatte in amore e così ho cominciato «Una volta ho scritto un bigliettino a una ragazza e lei mi ha deriso davanti a tutti, facendomi star male» ho detto facendo capire che era stata un’ inezia, un cosa senza importanza. «Anche a me successa una cosa simile, ma io ero quella che ha ricevuto la letterina, pensa un ciccione, io ero bellissima, lui sembrava sempre sporco, pensa che coraggio. A sì, abitava alle case popolari, proprio un assurdo» a quel punto ho tirato fuori dal cassettino proprio quella lettera e gli l’ho consegnata in mano «ero proprio io quel ciccione, quello che chiamavi Scarabeo Stercorario». Lei ancora nuda nel letto ha iniziato a piangere a farfugliato qualche scusa tipo «eravamo solo dei ragazzini, è passato tanto tempo io pensavo che tra noi potesse nascere… » «Anch’io ero un ragazzino e soffrivo già per com’ero senza che voi infieriste tutti i giorni, tutta quella violenza psicologica gratuita, perché? Per anni ho sofferto.». Prima che mi venissero le lacrime l’ho fatta vestire, lei era rimasta senza parole e sulla porta ho aggiunto «Salutami Sabastiano» chiudendo la porta. Neanche mezzora dopo un sms di Ambra “ti prego perdonami, io voglio costruire qualcosa con te, ti prego” non ho mai risposto.
Tre giorni dopo guardavo il montaggio del video che mi aveva fatto Tommaso, lavoro impeccabile e me lo sono caricato sul telefonino.
Ho pensato che la mia vendetta si fosse già compiuta, poi mi è tornata in mente la terza crepa, che si aggiungeva alle prime due spaccandolo, definitivamente, quel vaso.
Dopo l’ora di ginnastica Seba mi aveva nascosto lo zaino ed ero rimasto a girare a petto nudo, con due pettorali che sembravano tette femminili e una pancia grossa e flaccida. Solo un professore, mentre tutti ridevano e io piangevo mi ha dato una sua maglietta che ho ancora nel cassetto per non dimenticare. Ero all’aeroporto avevo un volo per Londra, seleziono il video cerco il numero di Sebastiano e poi premo invio Ho allegato anche un messaggino con scritto “Ringrazia Ambra dei bei pomeriggi... Scarabeo stercorario”.
Ma era anche una gran lavoratrice ed in ‘nero’ tre mattine la settimana, quasi all’alba, andava fino in centro per fare le pulizie negli uffici dello zio ricco, dello zio Nicola, che aveva uno studio di assicurazioni. Mi piangeva il cuore saperla per strada nelle gelide mattinate invernali per poi spazzare, spolverare, svuotare cestini o passare il mocio della sporcizia di altri.
Ma lei aveva mille risvolti, mille modi per migliorare, sempre risparmiando o perlomeno non spendendo ed allora vendeva prodotti cosmetici per l’Avon, e da lì creme, sciampo e saponi erano gratis oppure in altri cataloghi d’abbigliamento avendo sconti e regali per tutti noi tre.
Si perché i miei si amavano davvero e loro amavano me più di ogni altra cosa.
Insomma tornando al fatto se era o no povera la mia famiglia, per il quartiere dove abitavamo, assolutamente no. I padri di molti miei amici o erano disoccupati o lavoravano nell’edilizia e si spaccavano la schiena per pochi soldi; qualcun’ altro, e se la cavava meglio, utilizzava «le vie del Signore» come diceva mia madre, ossia piccole truffe, un po’ di spaccio di stupefacenti, qualche ‘innocente’ rapina in banca e sbarcava il lunario molto meglio di noi. Sempre se gli andava bene, altrimenti per un po’ non si vedevano in giro e le famiglie rimanevano davvero nelle ‘mani dal Signore’. «Rubare alle banche o alle assicurazioni, non è rubare son loro i veri ladri, noi siamo come i nuovi Robin Hood» mi aveva detto don Tano. Ancora non sapevo chi fosse sto Robin Hood, non mi sono mai piaciute le favole o le fiabe ma volevo lasciargli l’indirizzo degli uffici di zio Nicola cosicché evitasse quell’assicurazione, con tutte quelle che c’erano!
Insomma la mia vita familiare era una tana solida per potermi rifugiare ogni volta che ne avevo bisogno.
A scuola senza mai faticare avevo sempre il massimo dei voti.
Leggevo libri di narrativa, di avventura, mai topolino e fumetti per bambini. Ma ero brutto: grasso, avevo i brufoli dello sviluppo, gli occhi persi dietro occhiali fuori moda con la montatura nera spessa, i miei capelli anche se li lavavo parevano sempre unti. Ovvio come ogni bambino avevo degli amici ma molti anche in quartiere mi prendevano in giro. A calcio non giocavo, figuriamoci a basket o pallavolo. Io leggevo.
Poi la svolta, le superiori. Lo zio Nicola, lanciato da un gesto di misericordia verso quei parenti ‘poveri’ che eravamo noi, si era preso la briga di pagarmi gli studi «sempre se vedo che se lo merita, vedi con lo studio dove sto arrivato». Un po’ umiliato perché sembrava che i miei non potessero permettersi di pagarmi il liceo ho pensato due cose: intanto per quello ‘sto arrivato’ forse era meglio ripassare la grammatica e la seconda era di non studiare per un po’ per levarmelo dalle scatole. Mi sono anche detto che un po’ tutti gli emigrati dal sud storpiavano l’italiano con qualche ‘meridionalismo’, anche i miei. «Nacci’ a Maronna» era la massima imprecazione di mio padre. Alla fine dopo un’opera di convincimento di mia madre ho accettato: avrei frequentato il liceo scientifico più prestigioso di Milano.
Ovviamente la dimensione tra povertà e ricchezza era completamente un’altra cosa lì. Ora ero grasso e povero, anzi poverissimo. I miei compagni di classe erano tutti figli di professionisti, imprenditori o politici alcuni venivano a scuola con l’autista. Molti per una settimana in inverno scomparivano ed andavano nelle più rinomate zone sciistiche per la settimana bianca. A settembre i racconti si sprecavano tra Porto Cervo, Portovenere, una giro in barca a vela o un «siamo stati qualche giorno a New York, per fare un giro». I miei inverni li passavo a casa al caldo tra libri di studio e quelli di svago divorando tutto quello che preparava mia madre che era una cuoca super; le estati sudando al massimo con la bicicletta Graziella arrivavo fino ad un laghetto in un paese vicino. Altro che New York. Tutti vestivano firmato, i prezzi di quello che indossavano in un giorno qualunque probabilmente avrebbe comprato tutto il mio armadio, legno compreso. Ero brutto ma ero follemente innamorato, chiaro che lo sapevo solo io e le mie guance che avvampavano se mi chiedeva qualcosa di scuola: Ambra.
Era figlia un dirigente di banca e di una cardiologa. Era bellissima, stupenda.. meravigliosa. Bionda, occhi blu, alta, i seni in fiore: insomma, per me, e non solo per me, era una visione celestiale. Lei stava insieme già dalla seconda liceo con Sebastiano, Seba per tutti, bellissimo figlio di un sotto ministro non sapevo bene a cosa. Erano assurdamente belli insieme loro si amavano e lo si vedeva da lontano. Io odiavo invece quel Seba, era il mio aguzzino il mio torturatore ed ogni volta che mi offendeva lei rideva di gusto lasciandomi dentro una tristezza infinita.
Il fatto poi che ero di gran lunga il più bravo della classe mi rendeva un mostro alieno. Seba mi aveva soprannominato lo Scarabeo stercorario, e molti suoi accoliti mi chiamavano Scarster per accorciare, quel nomignolo aveva una doppia valenza: una era il mio grasso e l’altra che vivevo alle casa popolari quindi in mezzo al letame.
Anche lei era una grande stronza e se raramente la incrociavo quando ero con mia madre «ciao Scarster hai fatto i compiti?» diceva ridendo. L’unico amico che avevo era Tommaso anche lui figlio persone benestanti, ma la sua era una vera educazione da ricchi non da arricchiti. Avevamo cominciato a fare amicizia scambiandoci le merende. Io gli davo i miei paninazzi con i peperoni grigliati ed il caciocavallo fatti da mia madre e lui in cambio i suoi tramezzini con i gamberi fatti dalla cuoca filippina che avevano a casa.
All’inizio del terzo anno, credo per gli ormoni in subbuglio, ho preso la prima nota, non volevo studiare Giacomo Leopardi. Mi sentivo troppo simile a lui e non l’ho mai studiato. La professoressa, quella che mi aveva messo la nota, deve aver capito ‘il mio perché’ ed ogni volta che mi interrogava mi chiedeva di altri scrittori e poeti.
Il mio amore per Ambra oramai era fuori controllo e ho scritto una lettera per lei. Sapevo di non avere ‘nessunissima’ possibilità ma l’adolescenza...erano parole dolci, d’amore forse più d’affetto.
Quando dopo la ricreazione ha trovato il mio biglietto si è alzata, ha chiesto al professore di poter leggere una cosa e davanti la classe guardandomi l’ha fatto. Io sono corso fuori ed ho pianto lacrime di infinito sconforto. Ora per la classe ero ‘Giacomone’, ancora Leopardi che mi perseguitava. Ero a terra. La prima crepa in un vaso già difettoso.
Per quella lettera, non per gelosia, ma solo per trovare un pretesto per umiliarmi Seba mi ha picchiato nei bagni della scuola, io ho reagito, prima di soccombere tirandogli una sberla in faccia. Lui in tutta risposta mi ha cosparso di candeggina. I jeans Levi’s nuovi che mi aveva regalato mia madre per il mio compleanno erano da buttare.
Tutte le ore passate con guanti di plastica a pulire l’ufficio per comprarmeli sprecate. La seconda crepa.
Il liceo metteva a disposizione una psicologa per ogni problema degli studenti, così sono andato a parlarci, ero depresso, deluso, disperato.
Lei è stata molto gentile e mi ha concesso, sempre mettendoci d’accordo, di parlare di quel che mi opprimeva a casa sua, evitandomi altre umiliazioni.
Sandra, la psicologa era una bella donna, aveva 32 anni ed era appassionata di quel che faceva. Mi trovavo molto bene con lei e da lì è cominciata la mia ascesa. Studiare, come sempre, lavorare sul mio corpo e credere più in me stesso. Fregandomene degli altri.
Comunque alla fine dell’anno ho deciso di trasferirmi in un liceo statale e non ho più visto i miei aguzzini.
Mi sono diplomato con il massimo dai voti ed ho iniziato architettura a Milano. La palestra, il nuoto e le corse avevano fatto rinascere il mio corpo e con lui il mio spirito.
Ma quelle crepe si erano scavate ancora più profondamente in me, non riuscivo a dimenticare. Spesso rileggevo piangendo la lettera per Ambra, che non avevo mai più visto. Anche se ora ero diventato un bel ragazzo: spalle larghe, pettorali pronunciati, zero pancia, zero brufoli con i capelli ricci neri e lunghi andavo a trovare lo stesso Sandra, sempre a casa sua e sempre gratis per cercare, insieme, di sradicare da me quegli spettri che mi portavo dentro. La, ormai, mia psicologa si era affezionata a me ed apprezzava tutto il sudore speso per la mia ‘trasformazione’. Io se devo essere del tutto sincero mi ero invaghito di lei, e quando indossava un pantaloncino aderente o metteva in mostra quel seno florido il pene mi si gonfiava e penso che anche lei lo avesse notato. D’altro canto avevo 18 anni e nessuna esperienza erotica, lei trentaquattro e ed una carica sessuale che mi chiamava a se.
Poi al mio quarto trenta e lode su quattro esami, a casa sua dove abitava da sola ci siamo baciati, l’ho baciata io a dirla tutta. A sentire il suo corpo caldo, il suo grosso seno sul mio petto ho avuto un’erezione fortissima. Eravamo entrambi eccitati e ci siamo trovati sul divano nudi ed ansanti. Lei mi coccolava ed io mi facevo trasportare del sue parole «ma lo sai che sei bellissimo, sei diventato un ragazzo meraviglioso». Poi nel trasporto ho iniziato a baciargli e leccargli la fica, con calma delicatamente. Leccavo la sua clitoride, dura e pulsante, sotto i suoi gemiti di piacere stringendogli le mie mani sui sodi seni. Poi ha avuto uno, due orgasmi e a farmi accorgere di questo è stato l’afflusso dei suoi liquidi caldi e aromatici nella mia bocca. Poi si è accucciata tra mie gambe ed ho pensato che la vita è veramente meravigliosa. Le sue labbra, i suoi baci, il suo leccare era eseguito come da un esperto direttore d’orchestra, fino all’esplosione. Una scarica elettrica, forse una scarica di terremoto mi sconquassato fin nel profondo. Sandra ha preso tutto il mio succo color avorio e lo ha ingoiato guardandomi con occhi deliziati. Con l’indice della mano a recuperato una gocciolina che scendeva lenta delle sue labbra e si è leccata il dito «cosa mi sia successo no lo so, ma è stato stupendo, per oggi fine del nuovo corso» ha sorriso e si è alzata nuda, statuaria.
Prima di uscire da casa sua ha aggiunto «ma lì sotto eri anche prima così o è stato lo sport?» è andata un attimo in cucina è tornata e mi ha dato un bigliettino «leggilo dopo».
Camminando verso casa mi sembrava di vivere sospeso nell’aria, di volare. Ho aperto il biglietto e c’era scritto “è veramente bello il tuo ‘lui’, ed è buono il tuo ‘succo’ sa di ananas. Spero di non averti fatto del male ho già i sensi di colpa che mi divorano..ma se vuoi… ».
Non avevo mai pensato che un cazzo potesse essere bello e che il mio sperma potesse sapere di ananas, comunque ci siamo visti per anni finendo e ricominciando vari ‘corsi’ fino a che ha trovato l’amore ed i nostri incontri si sono diradati ma mai bloccati.
Ero felice? Si, ma Ambra e Seba permanevano nella mia mente.
Ho finito architettura 110 e lode, ho iniziato a progettare casa, palazzi, municipi insomma tutto quello che mi ispirava.
Vagliavo le proposte, facevo il mio progetto e partecipavo come ditta esterna a varie gare di appalto, spesso vincendole. Avevo tre fedeli compagni di lavoro tra cui Tommaso che era il mio tecnico responsabile per tutto quello voleva dire informatica e sicurezza.
Col tempo mi sono affermato, ho fatto i soldi se volete, sempre però lavorando, forse, troppo. Avevo regalato a zio Nicola un appartamentino progettato da me per ripagarlo dell’impegno economico negli anni del liceo, ho sistemato i miei genitori già felici per i miei successi.
Il lato sentimentale viveva del momento, nel senso che ero spesso a presentare progetti all’estero e quindi ero senza una fissa dimora, in realtà ho comprato un attico in centro a Milano ma in pratica non c’ero mai. Tutte le donne che avevo trovato, oltre al nostro amore non volevano essere mantenute magari a Singapore due mesi e due in Canada così per quanto sentimento ci possa essere stato tutto si annacquava come il gin quando si versa la tonica.
Anche la mia ultima donna Colette, anche lei architetto, inglese, splendida alla quale avevo sottoposto tutte le lezioni del 'corso' di Sandra mi aveva lasciato. Anzi ci eravamo lasciati decidendolo insieme: o il mio ‘nomadismo’ sarebbe cessato o la sua voglia di maternità non si sarebbe materializzata. E quindi un bacio all’aeroporto, decine di e-mail per farmi cambiare idea, ma l’ultima l’ho letta su un volo per Bogotà. Il ‘nomadismo’ aveva vinto.
Poi avevo finito un grosso progetto a Tangeri e per qualche mese ho deciso di ‘staccare la spina’ di restarmene nel mio attico di Milano.
Passeggiavo beatamente per la città quando all’interno di una caffetteria l’ho vista, l’ho riconosciuta subito: Ambra.
Il suo modo di gesticolare, il suo sorriso, ovvio si era fatta donna ma era incantevole. Aveva i capelli più corti di allora, il cuore ha avuto un piccolo sussulto, poi la determinazione, la sicurezza acquisita negli anni in cui non ci siamo visti ha prevalso ed ho aperto la porta di ingresso. “Mi riconoscerà? Certo che no sono un altro adesso.”,
Sono andato al bancone con lo sguardo rivolto a lei che era con una amica e felicemente stavano ridacchiando. Con il caffè davanti ho notato che mi lanciavano qualche sguardo e maliziose sorridevano. Si è alzata per andare in bagno jeans chiari, camicetta azzurra scarpe nere col tacco, semplicemente donna, bona. I seni erano fioriti e la rotondità del suo culo facevano veramente bene allo vista. Mi è passata di fronte mi ha sorriso, ho ricambiato ed è tornata a sedersi. Ho pagato anche i loro caffè, passando davanti al loro tavolino ho notato una rivista d’arte, «I vostri caffè sono pagati.. a due donne così ..». Ambra «E quando possiamo ricambiare? Sei molto gentile.» ed uscendo «Domani stessa ora ». Durante la notte ho faticato a prendere sonno, come in un film si susseguivano le immagini delle umiliazioni che avevo subito.
Era il momento della rivalsa se avessi giocato bene le mie carte.
Oramai, come uno dei miei disegni, il mio piano poteva prendere forma. Il giorno dopo sempre sensuale si è presentata da sola, ci siamo seduti ed abbiamo parlato per un’oretta. Io, preventivamente, mi ero informato con Tommaso, quindi sapevo che era sposata con Seba, non avevano figli e che lui era un dirigente della pubblica amministrazione.
Ho pensato subito “Il paparino l’ha sistemato”. Mi mancava il lavoro di lei. Abbiamo, devo dire, passato il tempo serenamente gli ho parlato di me e lei mi ha detto che organizzava mostre e convegni per il comune. Tommaso andava spesso alle ‘rimpatriate’ con i vecchi compagni di liceo e quindi aveva notizie fresche. Dopo un po’ di battutine e sorrisi i suoi occhi mi facevano capire che potevo osare. «Venerdì sera c’è il primo giorno della mostra di Picasso. Ho preso due biglietti, il mio amico è ammalato, ti va?» «Guarda venerdì.. venerdì.. avrei un appuntamento ma si.. dai lo disdico, ok, va bene.» Abbiamo fissato l’appuntamento e ci siamo scambiati i numeri di cellulare.
Due cose ho fatto prima di quel venerdì, una è stato studiarmi tutto di Picasso, la seconda con l’aiuto e l’esperienza di Tommaso abbiamo installato telecamere ad alta definizione in ‘ogni dove’ nel mio appartamento. Anzi un’altra piccola cosa, gli avevo inviato un sms “Sono quasi contento che il mio amico sia ammalato, è chiaro che non sia felice perché stia male.. ma vuoi mettere con una bella donna, se un quadro non mi piace mi toccherà guardare te”, dopo poco la sua risposta molto azzeccata “per fortuna che parliamo di Picasso, se fosse stato uno sconosciuto ci saremmo guardati per tuttala sera.. un po’ sono contenta anch’io per il tuo amico. Che si riposi.. meglio che non strapazzi.. a domani”.
Aveva voluto dire tra le righe che anche a lei piacevo?.
E’ arrivata con un tubino nero e scarpe nere col tacco alto, profumava di agrumi. Al collo aveva una collana di pietre blu, perfetta a richiamare i suoi bellissimi occhi. La mostra è volata via rapida. Quando ho proposto un aperitivo lei ha fatto un po’ la sostenuta, di quella che vorrebbe ma non vorrebbe poi ha accettato, del resto faceva anche lei la sua parte. «Aspetta un attimo chiamo la mia amica e le dico che non passo da lei». Due drink a testa e le sue guance hanno preso una tinta più viva ed anche i nostri discorsi erano molto più fluidi. Non mi aveva detto nulla del marito.
Mi stavo divertendo con lei stavo quasi dimenticando quale era il punto d’arrivo per me. Come un sorta di ‘sindrome di Stoccolma’ mi stava piacendo stare con chi quotidianamente aveva cercato il modo di ferirmi e di umiliarmi per tre anni. Durante la cena in uno dei più bei ristoranti milanesi, abbiamo mangiato e soprattutto bevuto molto bene. All’appuntamento ero arrivato a piedi, anche era lontano e Ambra si è offerta di darmi un passaggio. Con la scusa di ringraziarla della serata ho lanciato l’idea del bicchiere della ‘staffa’ ed ha accettato. In ascensore le nostre labbra si sono cercate e ci siamo baciati. Tutto in discesa. Siamo entrati nel mio attico e neppure il tempo di finire il gin tonic eravamo nudi in camera. Con un pulsante avevo già attivato le telecamere. Tutto perfetto, però anche lei era perfetta. Nuda aveva un corpo sinuoso i seni erano grossi e sodi, i suoi capezzoli rosa e duri dall’eccitamento. Ci siamo toccati, accarezzati, baciati a lungo, mi ha fatto stendere sul letto ed ha iniziato a leccare il frenulo e la cappella. Ero al massimo, poi i miei 22 cm scomparivano e ritornavano da dentro la sua bocca. Era bravissima. Sentivo i suoi piccoli rantoli di piacere. Dovevo farla smettere altrimenti sarei venuto, mi sono spostato e ho cominciato il mio gioco preferito, con la mia lingua ho leccato tutta la sua fica a lungo e percepivo la sua voglia di essere penetrata «Mi vuoi vedere morta, voglio sentirti dentro, ti prego.. sto goodoooo.. godoooo…. » tremava e faceva scattare il suo viso da destra a sinistra. Dopo qualche piccolo e delicato morso alla sua clitoride sono entrato in quel nido caldo e umido. Ha un fica bellissima. L’ho penetrata piano all’inizio, poi con colpi più vigorosi, ed venuta ancora stavolta gridando. La luce dalla camera mi faceva capire il livello di libido e di godimento che stava provando. Poi sono venuto anch’io, dentro di lei.. Dopo che mente è corpo si sono ripresi mi sono staso al suo fianco. E’ stato proprio bellissimo. Ci siamo coccolati un po’, quando con la mano ha cercato in mezzo alle mie gambe, ‘lui’ ha risposto in breve, mi faceva troppo eccitare il pensiero che ero lì con Ambra. Mi ha ciucciato lentamente fino ad ingoiare tutto il mio sperma. Erano le 23.00, mi ha fatto capire che era tardi ed è andata via.
Il pomeriggio dopo è tornata e abbiamo scopato di nuovo. Dopo esserci nutriti dei nostri corpi siamo rimasti a parlare nudi nel letto. La situazione poteva complicarsi, alla lunga ero certo che mi sarei potuto innamorare di lei ma non dovevo ed ho preso la decisione. Stavamo accennando alle brutte figure fatte in amore e così ho cominciato «Una volta ho scritto un bigliettino a una ragazza e lei mi ha deriso davanti a tutti, facendomi star male» ho detto facendo capire che era stata un’ inezia, un cosa senza importanza. «Anche a me successa una cosa simile, ma io ero quella che ha ricevuto la letterina, pensa un ciccione, io ero bellissima, lui sembrava sempre sporco, pensa che coraggio. A sì, abitava alle case popolari, proprio un assurdo» a quel punto ho tirato fuori dal cassettino proprio quella lettera e gli l’ho consegnata in mano «ero proprio io quel ciccione, quello che chiamavi Scarabeo Stercorario». Lei ancora nuda nel letto ha iniziato a piangere a farfugliato qualche scusa tipo «eravamo solo dei ragazzini, è passato tanto tempo io pensavo che tra noi potesse nascere… » «Anch’io ero un ragazzino e soffrivo già per com’ero senza che voi infieriste tutti i giorni, tutta quella violenza psicologica gratuita, perché? Per anni ho sofferto.». Prima che mi venissero le lacrime l’ho fatta vestire, lei era rimasta senza parole e sulla porta ho aggiunto «Salutami Sabastiano» chiudendo la porta. Neanche mezzora dopo un sms di Ambra “ti prego perdonami, io voglio costruire qualcosa con te, ti prego” non ho mai risposto.
Tre giorni dopo guardavo il montaggio del video che mi aveva fatto Tommaso, lavoro impeccabile e me lo sono caricato sul telefonino.
Ho pensato che la mia vendetta si fosse già compiuta, poi mi è tornata in mente la terza crepa, che si aggiungeva alle prime due spaccandolo, definitivamente, quel vaso.
Dopo l’ora di ginnastica Seba mi aveva nascosto lo zaino ed ero rimasto a girare a petto nudo, con due pettorali che sembravano tette femminili e una pancia grossa e flaccida. Solo un professore, mentre tutti ridevano e io piangevo mi ha dato una sua maglietta che ho ancora nel cassetto per non dimenticare. Ero all’aeroporto avevo un volo per Londra, seleziono il video cerco il numero di Sebastiano e poi premo invio Ho allegato anche un messaggino con scritto “Ringrazia Ambra dei bei pomeriggi... Scarabeo stercorario”.
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