Dominato da mia madre Settimo capitolo

di
genere
incesti

I giorni trascorsero lenti. Tornato a casa dalla scuola, attendevo che la mamma tornasse in casa, le facevo trovare la cena pronta e poi iniziava la dominazione vera e propria. E non ci andava leggera. Ogni sera subivo i suoi pesanti schiaffoni che mi facevano girare la testa, le sue dolorose torsioni e a volte persino dei tremendi pugni allo stomaco che mi toglievano il respiro. Era talmente più forte di me che giocava come il gatto col topo. Ma a me sentire quella sua superiorità eccitava ulteriormente, vederla così bella e sensuale mi toglieva il fiato. In sua presenza mi toglieva la gabbietta, mi mandava a pulire il cazzo e dovevo essere completamente nudo e, stando quasi sempre in erezione, lei poteva rendersi conto di quanto la sua dominazione mi mandasse fuori di testa. Stavo tantissimo a leccare e baciare i suoi piedi, mi usava come portacenere e come cesso, mi faceva mangiare cibi che lei masticava e sputava per terra, mi aveva frustato sia sul sedere che sulla schiena ma io avevo accettato tutto con amore e passione, felice di poter servire una simile dea. L’unico problema era la mia astinenza che durava ormai da una settimana. Ero abituato a masturbarmi tutti i giorni sui suoi video e avevo le palle che mi scoppiavano e che mi causavano spesso dei forti dolori alla pancia. In un certo senso, la gabbietta che mi costringeva a non avere erezioni e quindi mi riduceva gli impulsi sessuali, era addirittura una sensazione gradevole, per quanto potesse sembrare assurdo. Ma appena la sera mi liberava da quella gabbietta, nel vederla così bella e sexy e nel sentire sulla mia pelle la sua dominazione, era quasi un supplizio e più volte avevo avuto gocce di liquido pre eiaculatorio. E per fortuna che ero sempre riuscito ad evitare l’eiaculazione vera e propria perché mia madre era stata chiara; dovevo stare in astinenza completa. Diceva che uno schiavo deve soffrire per la sua padrona ed ero completamente d’accordo con lei ma la mia sofferenza era tanta.
E finalmente era arrivato quel sabato. Ero stato per tutta la giornata in attesa del suo ritorno col cuore in gola. Io avevo resistito e quindi mi aspettavo che lei mi accettasse come schiavo per il resto della mia vita. Era quello il mio ruolo e non avrei potuto immaginare un’altra vita. L’inizio della serata fu uguale agli altri giorni. Mamma aumentò addirittura la sua dominazione ma non demorsi. Mi aveva ad esempio afferrato per il collo e mi sentivo mancare l’aria. Il suo braccio era come se fosse acciaio ed era impossibile per me muovermi ma poi ovviamente mi aveva lasciato. In quegli istanti in cui ero stretto nella sua morsa ero impaurito ma anche eccitato. Mi piaceva essere alla sua mercé e trovavo quella sensazione estremamente sensuale.
Era quasi mezzanotte quando la mamma si mise seduta sulla poltrona nel salone. Mi aveva ordinato di accenderle una sigaretta e naturalmente le avevo obbedito e mi ero inginocchiato a fianco a lei con la bocca aperta per ricevere la sua cenere, come da copione. Mi osservava
“ Allora Michael, pensi di esserti meritato di essere il mio schiavo?”
“ Io… Non lo so, padrona. Lo spero. Credo di averle dimostrato che posso fare tutto quello che lei mi ordina” Vidi che sorrideva
“ Devo ammettere che sei andato oltre le mie previsioni. Pensavo che dopo due giorni mi avresti chiesto di abbandonare e invece hai resistito. E mi hai fatto comprendere che è proprio quello che tu vuoi” Stavo quasi impazzendo dalla felicità
“ Questo… Questo vuol dire che lei mi accetta come schiavo?”
“ Vai a farti una doccia, lavati bene i denti usando anche il collutorio e poi torna qui. Ti do dieci minuti. Ad ogni minuto di ritardo ti darò venti frustate” Mi alzai di corsa e mi diressi immediatamente in direzione del bagno. Le frustate di mia madre facevano male e volevo cercare di evitarle. Non potevo essere velocissimo perché ancora puzzavo della sua pipì. Per me era un odore afrodisiaco ma immaginavo che lei non volesse sentirlo. Ad ogni modo cercai di essere velocissimo e poi mi lavai con il massimo della cura anche la bocca che aveva ingurgitato di tutto. Tornai di corsa nel salone dove la mamma stava col suo telefonino in mano. Appena mi vide lo posò di lato
“ Ho fatto in tempo, padrona?” chiesi speranzoso
“ Un minuto di ritardo. Vai a prendere il mio frustino” Era solo un minuto, una sciocchezza eppure sapevo che le regole della dominazione imponevano obbedienza assoluta e anche una cosa del genere andava punita
“ Subito, padrona” risposi infatti, timoroso, impaurito ma nello stesso tempo eccitato di dover obbedire a mia madre. Sempre di corsa andai quindi a prenderle il frustino che avevo già assaggiato tutte le sere e poi mi fece mettere con le mani appoggiate al muro. Sapevo quanto faceva male ma riuscii a non far uscire un fiato anche se alcune lacrime sgorgarono dai miei occhi. Al termine di quelle venti frustate si avvicinò a me accarezzandomi
“ Sei stato bravissimo” Mi disse e, malgrado il dolore che sentivo in tutto il corpo per quelle dolorosissime frustate, ero felice. Per uno schiavo, per una persona che vuole sentire su sé stesso la dominazione di una donna, accontentare la padrona era una gioia immensa. Io non esistevo più e contava soltanto quello che lei sentiva. La osservai e non potei fare a meno di pensare che fosse veramente una dea scesa in terra. Era vestita come al solito in modo sensualissimo con quel pantalone di lattice nero super aderente, il top che non riusciva a nascondere i suoi splendidi seni e naturalmente con le scarpe col tacco talmente alto che a malapena riuscivo ad arrivarle all’altezza del collo. E anche quello contribuiva a farmi sentire inferiore dinanzi a lei. Poi mi abbracciò e il mio corpo stretto al suo reagì. Il mio cazzo era diventato di marmo e vidi mia madre socchiudere gli occhi. Non eravamo mai stati così vicini. Sentivo il suo profumo e persino il suo respiro mentre il mio cuore batteva alla velocità della luce. Se avevo ancora dei dubbi, erano del tutto scomparsi. Io l’amavo. L’amavo perdutamente.

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scritto il
2024-12-10
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