Piango mio padre
di
beast
genere
incesti
Mio padre, era morto da due settimane e io non facevo altro che piangerlo.
Normale direte voi, ma io non lo piangevo come può piangere una figlia, lo piangevo come un’amante, lo piangevo come una moglie.
Questo eravamo diventati già da anni, questo era il nostro inconfessabile segreto.
La mamma era mancata quando ero piccola, e lui mi aveva tirato su con l’aiuto dei nonni.
Ma alla sera i nonni tornavano a casa loro e mio padre faceva da solo, mi faceva da padre e da madre contemporaneamente, era molto dolce e premuroso, la sera dopocena sistemava la cucina mentre io mi infilavo
il pigiamino, e poi quando ero pronta mi portava nel mio lettino e mi leggeva una o due storie per farmi addormentare.
Si sedeva su una vecchia poltrona o si sdraiava di fianco a me e spesso si addormentava con me, svegliandosi nel mezzo della notte o addirittura al mattino seguente.
Altre volte invece ero io ad addormentarmi con lui nel lettone matrimoniale.
Insomma eravamo molto intimi, ma ci stava, io ero veramente una bambina e non c’era nulla di male, solo che questa intimità non venne meno quando divenni grande, baci e carezze, tenerezze varie, spesso dormivamo insieme, baciandoci per augurarci la buona notte prima di addormentarci, baciandoci al risveglio per augurarci una buona giornata.
Divenni una ragazza e poi una donna, non mi interessavano molto i ragazzi della mia età, e nemmeno quelli più grandi, anche se in effetto gli uomini maturi mi dicevano di più.
Mi interessava solo mio padre, stavamo bene insieme e al momento non sentivo il bisogno di avere altri uomini nella mia vita.
Quando rincasava e mi trovava in cucina, intenta a preparare la cena mi baciava sul collo, da dietro, posandomi le grandi mani sui fianchi, appoggiandosi a me col corpo. Sentivo il suo calore, il suo peso, a volte percepivo il suo pene appoggiarsi alle mie natiche. Io mi giravo, prendevo una delle sue grandi mani e me la posavo sulla guancia, beandomi di quel tocco caldo e rassicurante.
Guardavamo la televisione spalla a spalla sul grande divano, a volte io mi mettevo da un lato, con le gambe nude sulle sue, e lui me le accarezzava placidamente.
Quando andavamo in vacanza, sempre assieme, al mare o a visitare qualche capitale europea prendevamo una stanza unica, con due letti singoli o un matrimoniale non aveva importanza, eravamo abituati da sempre a dormire insieme, giravamo mano nella mano come due fidanzati, e la gente ci guardava con ammirazione e un po’ di invidia, eravamo così belli, ci volevamo così bene…
Insomma tutto quello che successe venne da sé, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Cominciò una notte, prima di dormire, scatenato a causa di un bacio dato sulla bocca per errore, ci lanciammo in uno sguardo intenso e profondo che ci scandagliò le anime, tirando fuori quello che nessuno dei due voleva ammettere a se stesso, le labbra che si dischiusero, il respiro di uno si mischiò con quello dell’altra, gli occhi negli occhi, gli sguardi che dicevano tutto e poi... le labbra si toccarono, le lingue si allacciarono, le salive si mischiarono.
E fu come se esplodesse una bomba, una bomba nucleare, le sue mani si aggrapparono ai miei seni, mi strinsero i capezzoli, le mie si infilarono nei suoi boxer e gli artigliarono il membro, già duro e pronto a prendermi.
La mia figa era bagnata e grondava miele, un frutto maturo che stava aspettando solo di essere colto.
Mi sfilai la camicia da notte, lui si sfilò boxer e canottiera, circondai il suo corpo forte con braccia e gambe e lui mi strinse a sé, con le dita di una mano scostò le labbra fradice della mia vagina per farsi strada, accompagnò il suo pene nella giusta posizione, lo fece strusciare avanti e indietro per prepararmi e mi arpionò con la sua verga fiammeggiante.
Mi offrii a lui su un altare fatto di lenzuola di lino e sui mi prese recitando una preghiera di sospiri e i muggiti di un toro in calore.
Il dolore fu questione di un attimo e lasciò quasi immediatamente spazio al piacere.
Mi inarcai aggrappandomi alle lenzuola sporche del mio sangue verginale e venni, lui si inarcò stringendo i glutei e venne, sacrificando e offrendomi il suo sperma come fossi una divinità dell’amore.
Fu meraviglioso, lo rifarei mille e mille volte e lo rifacemmo tutti i giorni e tutte le notti per anni.
Ora lui non c’è più e io non ho più lacrime da versare e voce per urlare e so che mai nessuno potrà prendere il suo posto nel mio cuore e tra le mie gambe.
Normale direte voi, ma io non lo piangevo come può piangere una figlia, lo piangevo come un’amante, lo piangevo come una moglie.
Questo eravamo diventati già da anni, questo era il nostro inconfessabile segreto.
La mamma era mancata quando ero piccola, e lui mi aveva tirato su con l’aiuto dei nonni.
Ma alla sera i nonni tornavano a casa loro e mio padre faceva da solo, mi faceva da padre e da madre contemporaneamente, era molto dolce e premuroso, la sera dopocena sistemava la cucina mentre io mi infilavo
il pigiamino, e poi quando ero pronta mi portava nel mio lettino e mi leggeva una o due storie per farmi addormentare.
Si sedeva su una vecchia poltrona o si sdraiava di fianco a me e spesso si addormentava con me, svegliandosi nel mezzo della notte o addirittura al mattino seguente.
Altre volte invece ero io ad addormentarmi con lui nel lettone matrimoniale.
Insomma eravamo molto intimi, ma ci stava, io ero veramente una bambina e non c’era nulla di male, solo che questa intimità non venne meno quando divenni grande, baci e carezze, tenerezze varie, spesso dormivamo insieme, baciandoci per augurarci la buona notte prima di addormentarci, baciandoci al risveglio per augurarci una buona giornata.
Divenni una ragazza e poi una donna, non mi interessavano molto i ragazzi della mia età, e nemmeno quelli più grandi, anche se in effetto gli uomini maturi mi dicevano di più.
Mi interessava solo mio padre, stavamo bene insieme e al momento non sentivo il bisogno di avere altri uomini nella mia vita.
Quando rincasava e mi trovava in cucina, intenta a preparare la cena mi baciava sul collo, da dietro, posandomi le grandi mani sui fianchi, appoggiandosi a me col corpo. Sentivo il suo calore, il suo peso, a volte percepivo il suo pene appoggiarsi alle mie natiche. Io mi giravo, prendevo una delle sue grandi mani e me la posavo sulla guancia, beandomi di quel tocco caldo e rassicurante.
Guardavamo la televisione spalla a spalla sul grande divano, a volte io mi mettevo da un lato, con le gambe nude sulle sue, e lui me le accarezzava placidamente.
Quando andavamo in vacanza, sempre assieme, al mare o a visitare qualche capitale europea prendevamo una stanza unica, con due letti singoli o un matrimoniale non aveva importanza, eravamo abituati da sempre a dormire insieme, giravamo mano nella mano come due fidanzati, e la gente ci guardava con ammirazione e un po’ di invidia, eravamo così belli, ci volevamo così bene…
Insomma tutto quello che successe venne da sé, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Cominciò una notte, prima di dormire, scatenato a causa di un bacio dato sulla bocca per errore, ci lanciammo in uno sguardo intenso e profondo che ci scandagliò le anime, tirando fuori quello che nessuno dei due voleva ammettere a se stesso, le labbra che si dischiusero, il respiro di uno si mischiò con quello dell’altra, gli occhi negli occhi, gli sguardi che dicevano tutto e poi... le labbra si toccarono, le lingue si allacciarono, le salive si mischiarono.
E fu come se esplodesse una bomba, una bomba nucleare, le sue mani si aggrapparono ai miei seni, mi strinsero i capezzoli, le mie si infilarono nei suoi boxer e gli artigliarono il membro, già duro e pronto a prendermi.
La mia figa era bagnata e grondava miele, un frutto maturo che stava aspettando solo di essere colto.
Mi sfilai la camicia da notte, lui si sfilò boxer e canottiera, circondai il suo corpo forte con braccia e gambe e lui mi strinse a sé, con le dita di una mano scostò le labbra fradice della mia vagina per farsi strada, accompagnò il suo pene nella giusta posizione, lo fece strusciare avanti e indietro per prepararmi e mi arpionò con la sua verga fiammeggiante.
Mi offrii a lui su un altare fatto di lenzuola di lino e sui mi prese recitando una preghiera di sospiri e i muggiti di un toro in calore.
Il dolore fu questione di un attimo e lasciò quasi immediatamente spazio al piacere.
Mi inarcai aggrappandomi alle lenzuola sporche del mio sangue verginale e venni, lui si inarcò stringendo i glutei e venne, sacrificando e offrendomi il suo sperma come fossi una divinità dell’amore.
Fu meraviglioso, lo rifarei mille e mille volte e lo rifacemmo tutti i giorni e tutte le notti per anni.
Ora lui non c’è più e io non ho più lacrime da versare e voce per urlare e so che mai nessuno potrà prendere il suo posto nel mio cuore e tra le mie gambe.
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