La mia collega (1)

di
genere
dominazione

LA COLLEGA D'UFFICIO (1)

Lavoro presso un ufficio pubblico, vado abbastanza d'accordo con i miei colleghi e con le mie colleghe, sono quasi quarantenne, felicemente sposato dotato di un fisico leggermente sovrappeso, ma, che a detta delle mie colleghe, piace; oramai avevo una anzianità di circa quindici anni e parecchi si rivolgevano a me per avere chiarimenti sulle pratiche ed non facevo il sostenuto, ma, se potevo, mi prodigavo in spiegazione, soprattutto con il gentil sesso. Un giorno si sparse la voce che stava arrivando una nuova collega, trasferita da un'altra città, per motivi disciplinari: era descritta come una gnocca. Non riuscii, nonostante tutti i tentativi, a sapere quale fossero i “motivi disciplinari” e la curiosità era forte sia fra i maschietti che fra le femminucce, per motivi diversi , naturalmente.
Finalmente verso Natale la nostra curiosità venne soddisfatta: il direttore ci convocò in sala riunione e ci presentò la nuova collega: gnocca era gnocca: alta almeno un metro e ottanta o poco meno, capelli biondi lunghi e lisci, occhi marroni con striature verdi, un bel nasino ed una bocca ben definita con labbra carnose, ma senza esagerare che metteva in risalto con un rossetto non molto appariscente, un seno medio, ma alto, fianchi stretti e due gambe che sembravano non finire mai, fasciate da una gonna stretta, appena appena sotto il ginocchio e valorizzate da un paio di scarpe tacco dodici. Il nostro direttore vicino a lei non è che ci facesse una bellissima figura con la sua stazza, la sua pelle bianca sudaticcia, ma cercò di sembrare disinvolto, nonostante il suo piccolo difetto che, quando era emozionato, si manifestava in modo ancora più evidente: balbettava. Quello era uno di quei momenti, noi eravamo abituati e la nuova non sembrò farci caso, anzi mantenne il suo portamento, che a mi sembrò alquanto altezzoso, e che suscitò un moto di antipatia spontaneo: sapete quando una persona suscita subito quel sentimento, a pelle, si dice: ecco Silvana, questo era il suo nome, risultava, almeno a me, antipatica. Questa impressione venne confermata nei giorni successivi: raramente salutava, quando passava nel corridoio, sembrava che l'avesse solo lei agitando un fondo schiena non male che all'atto della presentazione non avevo potuto apprezzare; per le feste poco più che mi degnò di un biascicato “Auguri” senza un sorriso ed i soliti casti baci che ci si scambia con le colleghe d'ufficio. L'anno nuovo iniziò con una sorpresa: ci venne comunicato tramite una laconica e-mail che Silvana era stata nominata capo reparto, un posto che ambivo, e che ora era stato assegnato all'ultima arrivata. La mia antipatia nei suoi confronti aumentò, i nostri rapporti che dire freddi era dire poco, si raffreddarono ancora più: mi ero convinto che sotto sotto c'era qualcosa.....dovevo scoprirlo, divenne il mio chiodo fisso. Innanzi tutto cercai di sapere quale fossero i famosi “motivi disciplinari”, ma mi scontravo con un muro di gomma: tutti mi rispondevano che non sapevano o, quando, senza parere, fra i colleghi, portavo il discorso su di lei, sviavano il discorso, seppi solo il suo ufficio di provenienza e qui ebbi il mio primo colpo di fortuna: in quell'ufficio lavorava una mia vecchia fiamma, di quando ancora non ero sposato e con la quale in ufficio avevo passato dei momenti indimenticabili; conservavo ancora il suo numero di cellulare e mi affrettai a chiamarla: dopo aver divagato sui nostri trascorsi, che, debbo dire, ancora mi suscitavano dei brividi lungo la schiena, portai il discorso su Silvana e sine cura le chiesi quali fossero i motivi del trasferimento: la mia amica cambiò tono di voce e la risposta mi lasciò esterrefatto:” Stai attento a quella troia, ha circuito il nostro giovane direttore, una persona per bene e molto simpatica, poi quando sono stati sorpresi, non so come, ma lei se l'è cavata con il trasferimento, ma lui è stato licenziato. Ti ripeto: stai attento!” Ci salutammo dandoci un improbabile appuntamento in futuro, e mi riproposi di scoprire quali fossero le magagne che la nuova nascondeva sotto il suo altezzoso comportamento. Tutto mi fu più chiaro circa un mese dopo: avevo cominciato a fare gli straordinari nei giorni in cui anche Silvana si fermava in ufficio, quando la sentivo passare lungo il corridoio, non visto, la seguivo; per la maggior parte delle volte si recava in archivio, da dove ne usciva circa un quindici minuti dopo, con un fascicolo sotto braccio. La cosa all'inizio non destò i miei sospetti, perchè il pomeriggio non era presente l'archivista, per cui, se avevamo bisogno di qualcosa, dovevamo arrangiarsi da soli. Ma poi mi venne un dubbio: perchè queste pratiche non le richiedeva la mattina? Le sarebbero state consegnate nel suo ufficio come, del resto, si conveniva per un capo reparto. Allora decisi. Quel pomeriggio mi recai in archivio e mi nascosi in un angolo da dove però controllare la porta d'ingresso senza essere visto da chi fosse entrato: aspettai quasi un'ora, stavo quasi per desistere, quando sentii aprire la porta ignifuga e, con mia grande sorpresa, vidi entrare il direttore, che si appoggiò ad uno scaffale e nervosamente guardò l'orologio era chiaro che stesse aspettando qualcuno: e quel qualcuno, anzi qualcuna, arrivò quasi subito, era Silvana. “D..d..dai c.....che ho..ho fre..tta” tartagliò il direttore: Silvana senza dire una parola si tirò la gonna sulle cosce, che belle che erano, con un gesto armonioso della testa spostò i lunghi capelli dal viso e si accucciò davanti al direttore, che intanto si era sbottonato i pantaloni e li aveva abbassati su due gambe corte e grasse, spostò appena gli slip, del tipo vecchio con l'apertura da una parte per favorire la minzione, e tirò fuori un minuscolo pisello tutto raggrinzito, che lei non si schifò di prendere in mano e di manovrare fino a raggiungere un'erezione appena sufficiente a prenderlo in bocca: iniziò così un pompino che nonostante la poca prestanza del sesso maschile, mi fece effetto per la sottomissione che vedevo in quell'atto da parte di Silvana: aveva perso tutta la sua alterigia, non era che una troia che subiva il fascino del potere, perchè solo quello poteva subire visto lo “strumento”, e si inginocchiava per subire le voglie del superiore. A quel pensiero il mio cazzo si fece duro e dovetti resistere per non tirarlo fuori e segarmi seduta stante; mi ripromisi che quella sera mi sarei rifatto a casa con mia moglie. Intanto i due erano arrivati alla fine, il direttore venne in bocca a Silvana, si ricompose uscendo dall'archivio; lei intanto si era alzata aveva sputato il poco sperma in un fazzolettino facendo una faccia schifata, si sistemò la gonna scelse una cartellina a caso ed anche lei uscì dall'archivio. Non mi restò che seguire l'esempio, presi anch'io una pratica a caso e mi avviai all'uscita lasciando il tempo a Silvana di allontanarsi. Ora dovevo studiare il modo di beccarla per poter mettere in atto il mio piano ed ottenere la sua completa sottomissione. Era stata sempre una mia fantasia erotica, che a casa non avevo avuto il coraggio di esternare a mia moglie, una donna bellina, brava , ma che non sembrava portata per i giochi di sesso; il sesso in famiglia era dato per scontato, si faceva due volte la settimana, con partecipazione si, ma lì si fermava; ora mi si presentava la possibilità di metterla in pratica (la fantasia) e per di più con una persona che mi era molto antipatica, per non dire, volgarmente, che mi stava sul cazzo. Studiai il calendario dei loro incontri, il direttore, poverino, non poteva reggere un incontro al giorno ed allora tre giorni dopo l'incontro precedente, mi nascosi al solito posto, munito di telefonino, che la volta precedente avevo improvvidamente lasciato in ufficio. Come al solito arrivarono, prima lui e poi, subito dopo lei, la scena si ripeté come la volta precedente, poca fantasia, filmai tutto attesi che si fossero allontanati e poi tornai nel mio ufficio pregustando tutto quello che sarebbe avvenuto dopo. Le mandai un e-mail “Silvana vieni subito nella mia stanza, ti conviene obbedire se non vuoi guai! Mauro”. Non venne ma mi squillò il telefono in modalità interna: sul display comparve il numero di Silvana: risposi e fui investito da una serie di urla:”Come ti permetti di darmi ordini, dandomi, per di più, del tu; se devi, puoi venire tu da me, ti fai annunciare ed aspetti che sia disposta a riceverti!!” e mi sbatté il telefono in faccia. Avevo previsto una reazione del genere e mi ero preparato, le inviai una nuova e-mail, questa volta con un allegato: “Apri l'allegato, troia, e sappi che è semplicemente un fotogramma di tutto il filmato che ti immortala nella tua performance in archivio. Obbedisci ti conviene. Mauro”. Nel fotogramma si vedeva chiaramente una bionda che, in ginocchio, leccava un cazzetto di un vecchio. Passarono pochi secondi e la mia porta si spalancò, sull'uscio c'era Silvana, rossa in volto, che avrebbe voluto urlare la sua rabbia, ma aveva paura di essere sentita da qualche altro impiegato presente in ufficio per cui sibilò:”Che cosa vuoi , porco, io ti rovino, stronzo!” “Eh eh, quante parolacce in una bocca così bella, chiosai, ti conviene moderare i termini. Facciamo così: aspettiamo che tutti se ne siano andati e poi torni, bussi alla porta entri quando ti dirò -avanti- e poi parliamo del nostro futuro, anzi sarò io a parlare e tu ascolterai; altrimenti il filmato arriverà a chi di dovere e credo che, questa volta non te la caverai con un semplice trasferimento! A dopo, vai!” E la congedai. Per la prima volta la vidi abbassare lo sguardo, che fino allora aveva mandato fiamme e fuoco. Avevo vinto la prima battaglia, ma per vincere la guerra ancora ce ne correva.
scritto il
2018-10-20
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