Fremo
di
Dora
genere
etero
Serata tra amici, pizza e film. Da tanto non li vedo, da tanto non passo qualche ora di leggerezza e serenità.
«Allora ordiniamo da mangiare?», dice qualcuno.
«No, dobbiamo aspettare Giuseppe», risponde la proprietaria di casa.
Non lo conosco, è un amico d’università degli altri e io che sono la più piccola, all’ultimo anno di liceo, non l’ho mai incontrato prima. Dopo un po’ suona il campanello e lui irrompe nel salone.
Alto, magro ma non esile, capelli corti, di quella lunghezza giusta che permette di passarci le mani in mezzo. Camicia a quadri con due bottoni aperti, pantaloni neri regolari e un paio di vissute Vans. Lo guardo con interesse, attenta a non farmi scoprire. È sciolto, perfettamente a suo agio, scherza, sorride.
Sul suo naso dritto, con la punta tonda, spuntano un paio di occhialetti rettangolari con la montatura in metallo. Gli stanno maledettamente bene, lo addolciscono. Lui sembra non accorgersene e spesso li toglie appendendoli alla camicia. Riesco a intravedere il petto, la pelle ambrata e un accenno di peluria che mi fa agitare nella mi posizione sul divano.
Alla fine mi faccio coraggio, esco dal mio imbarazzo e riesco a presentarmi. Lui mi guarda negli occhi e si acciglia: «Non ci siamo già incontrati?». Beh, no, proprio no, purtroppo aggiungerei.
Alla mia risposta negativa torna a sorridere e mi dice il suo nome.
Finalmente ordiniamo e senza volerlo scegliamo lo stesso panino, ma no, non farò l’adolescente sentimentale che conta “le cose in comune”.
Mentre mangiamo sento il suo sguardo addosso, cerco di fare morsi piccoli, la gente ha il raro potere di capire quello che mi mette imbarazzo e il farmi guardare da qualcuno con cui non sono in confidenza mentre mangio è una di quelle. Alla fine parla: «Ma tu la senti la crema al pistacchio?», mi piace che si rivolga a me, scambiamo delle battute, mi sento bene.
Sul divano ci ritroviamo seduti vicini. Giuseppe al centro, una gamba flessa, la caviglia poggiata sul ginocchio, noncurante, sicuro. Io a lato, quasi sorretta dal bracciolo, le ginocchia che si toccano nel mio stupido contegno virginale.
In realtà lo desidero, lo desidero visceralmente. Si muove e vorrei che le sue gambe urtassero le mie. Sposta una mano e vorrei che la posasse sulla mai coscia.
A volte ride e si gira verso di me, verso gli altri, e io fremo internamente.
Eppure all’esterno sono sempre io. La solita timida, tranquilla e introversa Dora. E anche se mi piace ed è il primo ragazzo che trovo realmente interessante da più di un anno a questa parte, dubito che riuscirei a catturare il suo interesse. Anche se non dovrei più pensare queste cose e fregarmene e provarci.
«Su questa battuta posso scriverci una storia», lo sento mormorare.
«Scrivi?», chiedo, probabilmente questa volta il mio tono di voce tradisce interesse e i miei occhi sono vivaci, attenti. Subito si fa umile, quasi timido come me: «Sì, qualche storia, così», e già mi immagino trame e intrecci, le sue mani sporche di inchiostro. Ha delle mani bellissime, le dita affusolate, le unghie curate, il polso sottile. Fremo.
Sono un pozzo di desideri, un calderone di viscere. Cosa mi porterà il futuro non lo so, spero di poterti guardare ancora negli occhi.
«Allora ordiniamo da mangiare?», dice qualcuno.
«No, dobbiamo aspettare Giuseppe», risponde la proprietaria di casa.
Non lo conosco, è un amico d’università degli altri e io che sono la più piccola, all’ultimo anno di liceo, non l’ho mai incontrato prima. Dopo un po’ suona il campanello e lui irrompe nel salone.
Alto, magro ma non esile, capelli corti, di quella lunghezza giusta che permette di passarci le mani in mezzo. Camicia a quadri con due bottoni aperti, pantaloni neri regolari e un paio di vissute Vans. Lo guardo con interesse, attenta a non farmi scoprire. È sciolto, perfettamente a suo agio, scherza, sorride.
Sul suo naso dritto, con la punta tonda, spuntano un paio di occhialetti rettangolari con la montatura in metallo. Gli stanno maledettamente bene, lo addolciscono. Lui sembra non accorgersene e spesso li toglie appendendoli alla camicia. Riesco a intravedere il petto, la pelle ambrata e un accenno di peluria che mi fa agitare nella mi posizione sul divano.
Alla fine mi faccio coraggio, esco dal mio imbarazzo e riesco a presentarmi. Lui mi guarda negli occhi e si acciglia: «Non ci siamo già incontrati?». Beh, no, proprio no, purtroppo aggiungerei.
Alla mia risposta negativa torna a sorridere e mi dice il suo nome.
Finalmente ordiniamo e senza volerlo scegliamo lo stesso panino, ma no, non farò l’adolescente sentimentale che conta “le cose in comune”.
Mentre mangiamo sento il suo sguardo addosso, cerco di fare morsi piccoli, la gente ha il raro potere di capire quello che mi mette imbarazzo e il farmi guardare da qualcuno con cui non sono in confidenza mentre mangio è una di quelle. Alla fine parla: «Ma tu la senti la crema al pistacchio?», mi piace che si rivolga a me, scambiamo delle battute, mi sento bene.
Sul divano ci ritroviamo seduti vicini. Giuseppe al centro, una gamba flessa, la caviglia poggiata sul ginocchio, noncurante, sicuro. Io a lato, quasi sorretta dal bracciolo, le ginocchia che si toccano nel mio stupido contegno virginale.
In realtà lo desidero, lo desidero visceralmente. Si muove e vorrei che le sue gambe urtassero le mie. Sposta una mano e vorrei che la posasse sulla mai coscia.
A volte ride e si gira verso di me, verso gli altri, e io fremo internamente.
Eppure all’esterno sono sempre io. La solita timida, tranquilla e introversa Dora. E anche se mi piace ed è il primo ragazzo che trovo realmente interessante da più di un anno a questa parte, dubito che riuscirei a catturare il suo interesse. Anche se non dovrei più pensare queste cose e fregarmene e provarci.
«Su questa battuta posso scriverci una storia», lo sento mormorare.
«Scrivi?», chiedo, probabilmente questa volta il mio tono di voce tradisce interesse e i miei occhi sono vivaci, attenti. Subito si fa umile, quasi timido come me: «Sì, qualche storia, così», e già mi immagino trame e intrecci, le sue mani sporche di inchiostro. Ha delle mani bellissime, le dita affusolate, le unghie curate, il polso sottile. Fremo.
Sono un pozzo di desideri, un calderone di viscere. Cosa mi porterà il futuro non lo so, spero di poterti guardare ancora negli occhi.
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