Inferno

di
genere
pulp

Passo la porta, è un oggetto anonimo, semplice, ma di una bellezza altera.

Un semplice portale direi, un arco quadrato, due colonne sorreggenti un architrave, tutto in metallo nero e lucente.

Come lucente è il prima, buio è il dopo.

Ma vedo lo stesso, non è un buio completo e neppure una penombra; è come certi quadri del maestro, del Caravaggio, dove lo sfondo è scuro, ma corpi in primo piano si scorgono nella pienezza della loro luce.

Ma non è guardare la bellezza il mio, quanto quanto il cogliere l'angoscia di una privazione infinita.

Privazione di ogni sensazione, nessuna gioia, solo una tristezza infinita, che sovrasta le urla, i rumori sconosciuti e tragici, e su tutto la paura.

Avanzo e osservo, spettatrice sempre più coinvolta dallo spettacolo di membra che si muovono scomposte, corpi che si avvitano, bocche che urlano, alcune mute senza più voce, mentre altre lanciano lamenti strazianti.

Scendo sempre più in profondità e scivolo spesso, incespico tra le membra dei dannati, che mi prendono la veste, mi tirano pur se mi accorgo che sono prive di un corpo, sono vive e si muovono.

Mi stringono, mi fanno cadere nel sangue dei dannati, sangue che sgorga ovunque da cataste di corpi che si direbbero morti, ma non lo sono, non c'è putrefazione, tutti sono come arrivarono, solo la pena è sempre più forte.

Dolore, solitudine, angoscia, paura, fanno urlare questi dannati più del dolore straziante dovuto allo smembrarsi della carne.

Ma non si creda di vedere diavoli con forconi, quell'iconografia qui non esiste, i dannati si straziano da soli o a volte sono altri dannati a straziare e a smembrare.

Ecco giungo alla fine di questo viaggio abominevole, ti vedo finalmente mio sposo, assiso sul trono infernale, fatto di tutte le pene del mondo, ti vedo Satana.

Ti sorrido, mi tolgo la veste e salgo sulle tue membra, mi siedo in grembo e mi allungo, porto le braccia dietro la tua testa e ricevo il tuo bacio, mio sposo adorato.
scritto il
2021-03-23
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