Il mio cuore messo a nudo
di
Dora
genere
masturbazione
Non me ne vogliano Baudelaire e Poe, solo un umile sproloquio per cui ho voluto prendere in prestito questo titolo.
Ci sono giorni in cui il mio corpo mi parla, ogni angolo e ogni anfratto comunica con me.
E io lo ascolto, ne percepisco le richieste sussurrate, desideri inespressi, marchiati a fuoco sulla pelle. Scottature che bruciano fin nel profondo, nelle viscere ribollenti. Mi corrodono, mi pungolano, mi sciolgono in gocce. Stillicidio.
Nessuno ne ha coscienza, tantomeno qualcuno ha una soluzione.
Circondata da innumerevoli possibilità, infinite scelte ancora da compiere. Gli uomini sono mutaforma, esseri iridescenti che abitano la mia mente. Sicuri e timidi, carismatici e fragili.
Io sono cento e sono zero.
Sangue e bile, luce e vita.
Voglio tutto e voglio niente. Voglio bere le tue lacrime, farti ascoltare le parole del mio corpo, che tu lo capisca come io lo capisco.
Sono sicura nell’immaginazione. Sono uno squarcio infetto di insicurezze nella realtà.
Mi vergogno, mi imbarazzo, torno ancora a sentirmi stagno malato. Inadeguatezza.
Eppure io sono io, mi conosco da sempre, mi appartengo, mi amo.
Voglio l’artista e voglio il rivoluzionario, l’uomo comune, il lavoratore forte, il ragazzo esile, l’adolescente arrogante. Il mio cuore è aperto, in attesa. Spazio per qualcuno che entri a piedi nudi, con premura, con rispetto del mio tempio fragile.
Varcata la soglia, forse, potrò mostrarmi nuda. Come nessuno mi immagina. Affamata.
Il mio corpo urla e chiede sollievo. Un sollievo che solo io, oggi, gli posso donare, solo le mie mani piccole, le mie dita esili.
Tante le cose che non conosco, cose che contano. Eppure questa incompiutezza è qualcosa che accetto. Verrà quello che immagino e avrà la forza delle mie riflessioni, la schiacciante bellezza della realtà che supera la fantasia.
Si contorce e formicola il mio corpo. Oscenità nascosta.
In un angolino mi raggomitolo, per sentirmi protetta, per avvolgermi nell’interezza e scomparire.
Con le labbra riarse, attendo.
Tutto si placa in un sospiro.
Ci sono giorni in cui il mio corpo mi parla, ogni angolo e ogni anfratto comunica con me.
E io lo ascolto, ne percepisco le richieste sussurrate, desideri inespressi, marchiati a fuoco sulla pelle. Scottature che bruciano fin nel profondo, nelle viscere ribollenti. Mi corrodono, mi pungolano, mi sciolgono in gocce. Stillicidio.
Nessuno ne ha coscienza, tantomeno qualcuno ha una soluzione.
Circondata da innumerevoli possibilità, infinite scelte ancora da compiere. Gli uomini sono mutaforma, esseri iridescenti che abitano la mia mente. Sicuri e timidi, carismatici e fragili.
Io sono cento e sono zero.
Sangue e bile, luce e vita.
Voglio tutto e voglio niente. Voglio bere le tue lacrime, farti ascoltare le parole del mio corpo, che tu lo capisca come io lo capisco.
Sono sicura nell’immaginazione. Sono uno squarcio infetto di insicurezze nella realtà.
Mi vergogno, mi imbarazzo, torno ancora a sentirmi stagno malato. Inadeguatezza.
Eppure io sono io, mi conosco da sempre, mi appartengo, mi amo.
Voglio l’artista e voglio il rivoluzionario, l’uomo comune, il lavoratore forte, il ragazzo esile, l’adolescente arrogante. Il mio cuore è aperto, in attesa. Spazio per qualcuno che entri a piedi nudi, con premura, con rispetto del mio tempio fragile.
Varcata la soglia, forse, potrò mostrarmi nuda. Come nessuno mi immagina. Affamata.
Il mio corpo urla e chiede sollievo. Un sollievo che solo io, oggi, gli posso donare, solo le mie mani piccole, le mie dita esili.
Tante le cose che non conosco, cose che contano. Eppure questa incompiutezza è qualcosa che accetto. Verrà quello che immagino e avrà la forza delle mie riflessioni, la schiacciante bellezza della realtà che supera la fantasia.
Si contorce e formicola il mio corpo. Oscenità nascosta.
In un angolino mi raggomitolo, per sentirmi protetta, per avvolgermi nell’interezza e scomparire.
Con le labbra riarse, attendo.
Tutto si placa in un sospiro.
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