La nuova infermiera del turno di notte

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La nuova infermiera del turno di notte
Il turno di notte mi stressa parecchio. Spezza completamente tutti i miei equilibri soprattutto costringendomi ad operare in situazioni dove prendo decisioni che a volte mi impediscono di dormire anche alla fine del turno. La luce del giorno, (per gran parte delle 24 ore, almeno nei periodi cosiddetti di bella stagione), si affaccia all’orizzonte ad annunciare la fine del turno di lavoro, fare il rapporto al collega che segue per le persone che dovrà continuare a curare, a volte rappresenta una liberazione, altre, diventa un momento di confronto/conforto per condividere situazioni di estrema criticità.
Ci sono però cose che non fanno parte di queste situazioni e pur tuttavia, rappresentano forti emozioni che segnano la tua vita e si archiviano tra le tue esperienze forti che ricorderai per sempre. Sono le persone che incontri nella vita professionale, alcune si presentano come facce sbiadite e riempiono la routine, altre invece si impongono da subito con contorni nitidi e verranno ricordate per sempre. La chiamata arriva poco dopo le due, si tratta di una signora ultrasettantenne che ha gravi difficoltà respiratorie. Il reparto lo conosco, le infermiere pure. So che quando chiamano il motivo e serio e il problema descritto in modo circostanziato mi permette di operare con serenità.
Quella notte però non trovo nessuna delle solite facce. Mi riceve in guardiola una morettina alta non più di un metro e sessanta, occhi neri vivacissimi che rubano appena l’attenzione in un volto dalla bellezza disarmante, fisico perfetto, tutte curve al posto giusto. Mi sforzo di ascoltarla ponendo attenzione alla miriade di dati clinici che sta snocciolando. Ma sono distratto dai sensi che mi spostano su un altro fronte. Per fortuna l’infermiera finisce la sua illustrazione e mi passa una cartella clinica perfettamente compilata e posso rileggerli e valutarli tranquillamente. Mi concentro sull’analisi dei dati. Chiedo altre informazioni e prescritta la terapia procediamo alla preparazione e somministrazione. Rimaniamo ancora qualche minuto al letto e appena migliorano i sintomi ci allontaniamo per tornare in guardiola.
Decido di rimanere per un po’ e l’Infermiera che si è presentata come Gina, fa la spola ogni cinque minuti per osservare gli sviluppi della terapia ed il rilievo di parametri vitali, comunque visibili negli schermi in guardiola. Dopo venti minuti la signora respira normalmente e riposa. Ci rilassiamo un po’ ed iniziamo a conversare. Non lo faccio mai, soprattutto quando mi trovo da solo, ma quella sera mi sono sentito di farlo, incuriosito oltremodo da quel tipetto peperino oltremodo intrigante. Mi spiega che ha chiesto di essere integrata in questa equipe perché vuole fare esperienza in un reparto polispecialistico e che rimarrà per almeno sei mesi. Scivoliamo a parlare del più e del meno, mi chiede se sono sposato, se ho la ragazza fissa, cosa ne penso del matrimonio, della fedeltà coniugale, ecc.
Le confermo le mie idee molto liberali al proposito pur essendo regolarmente maritato. Ci troviamo d’accordo e mentre parliamo, si avvicina alla mia sedia ed inizia ad accarezzarmi la mano ed il braccio appoggiato sulla poltrona. Le faccio notare che potremmo essere visti da chi transitasse davanti al corridoio ascensori, completamente vetrato ed in penombra. Mi suggerisce di spostarsi di lato nel salottino di attesa vicino alla guardiola, da dove può controllare i monitor e sentire ogni suono prodotto. Non attende risposta e si alza, indicandomi il posto vicino a lei nel divanetto dove si è seduta allargando le gambe.
Mi sembra un invito troppo esplicito e la mano scivola rapidamente dalla coscia alla ricerca della patata che immagino già pronta. Infatti, Gina non porta nulla sotto la gonna e la mano trova subito la fessura umida. Come le tocco la figa socchiude gli occhi e spalanca le cosce emettendo lascivi monosillabi. Infilo un paio di dita, ingoiate dalla bollente fessura che già cola umori impiastricciandomi la mano. Le infilo la lingua in bocca e la mano esplora quella creatura saporita come se fosse una porzione ghiotta presentata ad un picnic improvvisato in una passeggiata campestre.
Si sdraia sulla mia coscia, permettendomi di continuare a pastrugnarle la figa e sbottonatomi la patta, si impossessa del mio cazzo iniziando a leccarlo e succhiarlo con un pompino piuttosto rudimentale. Ogni volta che tenta di ingoiarlo mi pianta gli incisivi sulla cappella come se volesse segnarlo ed inciderlo; una volta arrivata al massimo dell’ingoio, par volere indicare con un morso il massimo punto di profondità per confrontarlo con il successivo. Comunque il gioco mi piace, lei lo capisce e lo ripete con precisione.
So che è una manovra rischiosa in un posto di trincea dove il pericoloso comportamento potrebbe nuocere gravemente ad entrambi. Mi stupisce come nonostante l’abbandono, in un balzo mi avesse letteralmente mollato in due flash andando a spegnere un allarme sul monitor, per tornare poi sul pezzo. Dopo l’ultimo veloce abbandono, decido di abbassare i pantaloni per evitare di bagnarli sulla patta. Quando torna, dopo l’ultima leccata e ingoio, bello insalivato, con la cappella turgida che pare voler scoppiare, ci salta sopra dandomi la schiena ed inizia a cavalcarlo.
Già dal primo spegni moccolo, se lo infila tutto fino ai testicoli e roteando il bacino si assesta sul palo profondamente. Sento la cappella raschiare i fornici, premendone le profondità fino a goderne la tensione per aver toccato il fondo. Gina geme sommessamente e puntando sulle mie ginocchia, si assesta dei colpi fenomenali, sento i suoi umori allagarmi lo scroto sulla pelle del divano. Si alza e mi cavalca appoggiandomi il seno sul viso, Sotto la casacca sento le zinne dure premere sulla faccia. Sono due protesi, allungo le mani e ne ho conferma, sembra aver capito che non apprezzo e si stacca.
Mi intrufolo con le mani a giocare con la passera riempita del mio cazzo, appena ne libera un po’ lo prendo in pugno ed inizio a rotearlo dentro la figa. Lei gradisce molto, si tiene sospesa. Il risultato mi fa girare la testa quando sento che la topa si allarga sempre più e riesco a metterci dentro anche qualche dito, fino a tre, oltre al mio tesissimo uccello. Quei giochi mi fanno arrappare al massimo. La metto carponi sul divano e la martello selvaggiamente per qualche minuto, sappiamo entrambi di non poter continuare come vorremmo, quando sento che sono prossimo all’orgasmo le do una spintarella per uscire e me la ritrovo con la bocca pronta a bere ogni goccia del mio succo.
Le accarezzo la passera e ci infilo quattro dita, lei si spinge per far entrare tutto il palmo fino al pollice restituendola piena di sugo, non me la sento di ricambiare leccandogliela, ma la bacio mentre sento che trattiene i rumori dell’orgasmo che la sta ancora scuotendo. Rapidamente prende un panno da uno stipetto e mi asciuga bene, si asciuga a sua volta e tampona velocemente il divano ed il pavimento deponendolo in un sacchetto su di un carrello li vicino. Controlliamo sullo schermo i parametri della paziente e firmiamo in digitale il rapporto. Mi saluta e confidando di non dover più disturbarmi se la signora continua a star bene, mi congeda con l’augurio di una buona notte. Sicuramente sarà una notte più distesa dopo la cura.
Per i sei mesi successivi, nel turno di notte, non ho più trovato Gina, ebbi modo di appurare che le colleghe nutrivano una venerazione per la sua preparazione. Quando terminò il periodo pattuito, decise di cambiare ospedale e non la rividi più.
scritto il
2021-05-17
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