Il terrazzo di fronte al mio, seconda storia
di
Trozzai Gotusva
genere
voyeur
Il terrazzo di fronte al mio, seconda storia
Son tornato ancora sul terrazzo sperando di incontrare la bella della nostra esibizione, ma le finestre rimanevano sempre sbarrate. Indagai con l’amministratore del palazzo e venni così a sapere che il piccolo attico era spesso utilizzato come camera a ore o comunque per brevissimi periodi. Trovai la cosa intrigante e anche quando mi trovavo in casa per un’ora nella pausa pranzo o rientravo tardi la sera, guardavo se erano aperte le finestre o ci fosse movimento nel terrazzo di là della stradina. Per tutta la settimana vidi qualche sera la luce interna filtrare dagli scuri, ma in terrazzo non c’era mai nessuno. Stavo perdendo le speranze di rinnovare l’esperienza fatta con la bella figona vogliosa e silenziosa e abbassando il livello di aspettativa, guardavo fuori con minor frequenza. Anche il sabato pomeriggio trascorso sdraiato a prendere il sole nudo, non ebbe spettatori e tornai a pensare che tutto sommato da soli la vita risultava meno complicata.
Domenica, verso le diciassette, dopo essermi trastullato con un po’ di lettura e qualche telefonata alla ricerca di compagnia femminile andata a vuoto, decisi di uscire. L’idea era quella di trovare qualcuna delle mie scopamiche nei soliti locali. Sono quasi vestito e butto l’occhio dall’altra parte, più per abitudine che per convinzione. Da non credere due femmine sui trent’anni o forse più, perfette nelle forme, limate da chissà quante sedute di estetica e sicuramente da ore di palestra, per quei due corpi in odore di perfezione. Si muovono mollemente avvicinando le due sdraie dove stendono i foulard che tenevano appoggiati sul braccio. Manco a dirlo cambio immediatamente idea sul fatto di uscire. Mi svesto indossando solo l’accappatoio ed esco con un libro ed una bottiglia di birra.
Stessa scena dell'altra volta, oramai però sono scafato. Come esco vedo che il loro sguardo si indirizza verso di me. Ammicco e verbalizzo un saluto cortese, ma in cambio ottengo solo un mezzo sorriso, confezionato più con gli occhi che altro. Mi stendo sulla sdraia tenendo l’accappatoio slacciato ma facendo attenzione a non mostrare nulla. Loro sono nude e completamente abbronzate, si adagiano sulle sdraie accoppiate in modo che non passi nemmeno un capello tra l’una l’altra; si adagiano piano, supine e appena appoggiano la testa, guardandosi si prendono per mano. Sorridono e mi osservano per qualche secondo. Provo nuovamente a salutarle, mi sembrava un invito a farlo quello sguardo, ma evidentemente mi sbagliavo.
Ancora quel sorrisetto e poi tornano a guardarsi negli occhi, quegli sguardi languidi sparati da occhi grandi come laghi nei quali affogare se ti stanno guardando, ma non è questo il caso. Le due lesbicone socchiudono i loro grandi occhi e sfiorandosi le labbra vedo chiaramente le lingue rosate roteare cercandosi e leccandosi nel gioco di lunghi e articolati sapienti ed elaborati baci. Una apre gli occhi e guardando nella mia direzione, sembra sorridermi, in realtà però pare non voglia vedermi e tornando al gioco del bacio muove le mani verso l’amica. Le accarezza il seno passando da una zinna all’altra con una lentezza infila due dita tra le bocche impegnate nel loro lavorìo e così lubrificate, ne approfitta per strizzarle i capezzoli. L’amica si dimena leggermente e portando la mano destra tra le cosce, si accarezza la topa.
Parlo di topa perché anche se perfettamente depilata, esibisce due grandi labbra di notevoli dimensioni, di colore grigiastro, sembravano due topini abbracciati per la pancia, con una mano sola non riusciva a coprirsela. Iniziò ad accarezzarsi passandosi un dito sulla fessura, insistendo fino ad infilarlo iniziando uno struggente ditalino che la costrinse a piegare le ginocchia dimenandosi, rendendo visibile il godimento. Continuano come se fossero sole, ma volutamente ogni loro azione viene esibita perché la possa apprezzare. Accarezzo il rigonfiamento chiaramente visibile nell’accappatoio e per la prima volta una delle due mi sorride e si passa la lingua sulle labbra. Ancora nessuna verbalizzazione ma il gioco lo conosco. Prendo il tubetto dell’olio e ne spalmo una dose generosa sul torace.
Inizio a massaggiarmi scendendo verso il pube e scoprendo piano la mia erezione piena. Il glande pare scoppiare e quando lo lubrifico sembra comprendere che il gioco si fa duro e offre la visione di una serie di pulsazioni che ne aumentano l’erezione, sorrido, vuole prendere il volo? Dall’altra parte quella che mi ha sorriso spinge la testa della compagna (la topona), tra le sue gambe sfacciatamente divaricate e mentre si liscia le grandi labbra, la topona inizia un cunnilinguo esperto ma devoto, sembra voglia onorare quella figa come se fosse l’ultima al mondo. La lecca all’esterno passando a lingua piena, poi cerca di penetrarla arrotolando l’organo a formare un cazzetto e continua divaricando le grandi labbra e leccando il vestibolo esplorandone ogni anfratto.
E va avanti così ponendo di tanto in tanto la variante di qualche piccolo morso alla clitoride che provoca dei gridolini alla compagna persa tra i brividi e gli orgasmi che la scuotono incessantemente. La topona non molla ed era contagiosa l’eccitazione, quasi senza accorgermene la mano era partita a segare il mio povero cazzone orfano di attenzioni e teso allo spasimo. Guardarlo piangere la goccia trasparente che avrebbe voluto lubrificare un trionfale ingresso in quelle fighe così sprecate alle attenzioni di lesbo, lo potevo comprendere. Con l’occasione diedi una bella sfregata alla cappella spalmando il liquido lubrificante. L’azione mi procurò una serie di brividi e l’attenzione della donna che godeva della leccata. I cenni del capo e la pressione sulla testa della compagna, schiacciata sulla figa grondante, mi dettero l’impressione che avessero gradito la manovra.
Continuavo a segarmi lentamente e dall’altra parte i ruoli si invertirono, toccò alla topona sedersi a gambe larghe sulla sdraia e la compagna accovacciata davanti a quella figa monumentale, infilate due dita iniziò a sditalinarla con vigore, mentre da sotto la sdraia estraeva un monumentale fallo color carne. Lo leccava con lascivia scambiandolo con la compagna che se lo infilò pure in bocca per una buona porzione, lo tenne lì per qualche secondo, ripetendo l’operazione, forse per scaldarlo, poi una volta lubrificato ulteriormente iniziò il lento rito dell’introduzione. Era davvero enorme e la ragazza che sovrintendeva alla manovra era fortemente coinvolta, leccava a tratti le labbrone della topa mordicchiandole nella loro prospiciente morbidezza, mentre spingeva di qualche centimetro il mostro di silicone nella figa dell’amica.
Ad ogni spinta la topona emetteva un gemito e allargando ulteriormente le gambe abbassava il bacino ad accogliere quell’enorme strumento di piacere (o di tortura). Di fatto sospirava pomposamente e di tanto in tanto lo squasso dell’orgasmo si impossessava di lei che roteando il bacino ed accarezzandosi con una mano la figa devastata dal fallo e con l’altra la testa dell’amica, dava prova di quello che stava vivendo. Non sono mai riuscito a comprendere il ruolo di quei falli mostruosi che venivano utilizzati in questo tipo di giochi, anche se mi è capitato di usarli con le mie compagne ed i miei compagni. Tornando alla scena,la topona era posseduta per oltre venti centimetri del fallo sintetico e la sua amica aveva iniziato una serie di stantuffa menti che si facevano sempre più frequenti portando al limite della profondità il dildo, ogni volta che lo infilava tra i salsicciotti di quella figa molto particolare.
Il su e giù non durò molto, come prevedevo infatti la dimensione di quell’arnese era eccessiva e per quanto potesse essere eccitante, ad un certo punto la topona si alzò sfilandolo e lanciandolo in un angolo del terrazzo. Aveva una colata di broda che le scendeva tra le gambe ma non ci fece caso, di forza girò la compagna nella sdraia, le allargò le gambe e le si piazzò a francobollo sulla figa, leccando e mordicchiando come all’inizio, poi però sempre da sotto la sdraia estrasse un strana cintura. Indossandola capii di cosa si trattasse. Aveva un cazzetto di modeste dimensioni, forse una decina di centimetri, non molto grosso, che stringendo la cintura, soprattutto nelle fibbie attorno alle gambe dopo aver stretto il cinto ai fianchi,scompariva nell’antro occupato prima dal dildo mostruoso nella topona. Sorridevo pensando che probabilmente quel ‘’coso’’ non le avrebbe fatto nemmeno il solletico.
Una volta fissato, il coso che si apprezzava impetuoso, minacciosamente eretto, era di ottime dimensioni e, così armata, la valchiria si inginocchio tra le gambe dell’amica infilandole il bastone nella fighetta con un paio di stantuffamenti ben assestati. Stavo per sborrare e non riuscii a tacerlo. La valchiria cazzuta si girò e mi fece il gesto di leccarmi mentre la compagna sdraiata, infilzata impietosamente, stava ancora facendo i conti con il gesto dell’amica e mi rivolse solo un pallido sorriso, aprendo e chiudendo gli occhi per il piacere (o per il dolore) del gioco che stavano conducendo.
Dopo pochi colpi, i gemiti delle due si fecero sempre più evidenti e distinguibili e gli appellativi cui si erano lasciate andare risultavano poco signorili anche se denunciavano la condizione che stavano vivendo. La dominatrice insultava la compagna sottomessa: godi brutta troia, volevi rompermi la figa ma adesso ti sfondo io per bene, prendilo tutto il cazzo, fino alla cintura, ti arriva dritto al cuore senti? E affondava fino alla cintura roteando il bacino. Si notava con quell’atto, come facesse spaziare anche il dildo che aveva ben piantato nella sua topona ed allargava le gambe, come per consentire all’arnese di possederla meglio. Di fatto, più vessava l’amica con in fallo in figa, più si ravanava la topa con lo strumento ben incardinato nella cintura.
In quel gioco non c’erano vincitori e vinti, le due si davano continuamente della troia a vicenda, continuavano a regalarsi orgasmi e credevo si fossero completamente dimenticate di me, invece, tolta la cintura, tornarono a stendersi nelle sdraie ad allargarsi la figaa due mani per far vedere come fossero riuscite a violare quella fragile porta ed ognuna, ripreso il dildo che l’aveva posseduta (la topona il cazzo totem e l’amica la caricatura di Sigfredi), tornarono a scoparsi con lo sguardo fisso verso il mio terrazzo. Dopo cinque minuti di quello spettacolo, mi esibii in una sborrata epocale, lanciai almeno cinque schizzi per metri lontano e la sborra colata che mi riempiva il palmo della mano, la assaporai con gustosa e rumorosa leccata.
Deposti i falli finti si calmarono abbracciate in piedi vicinissime al parapetto, mi sembrava di sentirne il profumo della pelle, si mordicchiavano le labbra accarezzandosi come due amanti consumate dall’abitudine a soddisfarsi vicendevolmente. Continuavo a segare il mio pistone ormai barzotto aspettando di vedere cosa avrebbero fatto adesso. Ma non mi vedevano più, abbracciate, accarezzandosi il fondo schiena, rientrarono in casa chiudendo la porta scorrevole e lasciandomi li come un idiota a manipolarmi l’uccello con la speranza di un seguito che per il momento almeno non era previsto. Sarebbero passate più tardi a raccogliere i giochi abbandonati a terra ma non riuscii a vederle. Il giorno dopo era nuovamente tutto chiuso ed in ordine.
Son tornato ancora sul terrazzo sperando di incontrare la bella della nostra esibizione, ma le finestre rimanevano sempre sbarrate. Indagai con l’amministratore del palazzo e venni così a sapere che il piccolo attico era spesso utilizzato come camera a ore o comunque per brevissimi periodi. Trovai la cosa intrigante e anche quando mi trovavo in casa per un’ora nella pausa pranzo o rientravo tardi la sera, guardavo se erano aperte le finestre o ci fosse movimento nel terrazzo di là della stradina. Per tutta la settimana vidi qualche sera la luce interna filtrare dagli scuri, ma in terrazzo non c’era mai nessuno. Stavo perdendo le speranze di rinnovare l’esperienza fatta con la bella figona vogliosa e silenziosa e abbassando il livello di aspettativa, guardavo fuori con minor frequenza. Anche il sabato pomeriggio trascorso sdraiato a prendere il sole nudo, non ebbe spettatori e tornai a pensare che tutto sommato da soli la vita risultava meno complicata.
Domenica, verso le diciassette, dopo essermi trastullato con un po’ di lettura e qualche telefonata alla ricerca di compagnia femminile andata a vuoto, decisi di uscire. L’idea era quella di trovare qualcuna delle mie scopamiche nei soliti locali. Sono quasi vestito e butto l’occhio dall’altra parte, più per abitudine che per convinzione. Da non credere due femmine sui trent’anni o forse più, perfette nelle forme, limate da chissà quante sedute di estetica e sicuramente da ore di palestra, per quei due corpi in odore di perfezione. Si muovono mollemente avvicinando le due sdraie dove stendono i foulard che tenevano appoggiati sul braccio. Manco a dirlo cambio immediatamente idea sul fatto di uscire. Mi svesto indossando solo l’accappatoio ed esco con un libro ed una bottiglia di birra.
Stessa scena dell'altra volta, oramai però sono scafato. Come esco vedo che il loro sguardo si indirizza verso di me. Ammicco e verbalizzo un saluto cortese, ma in cambio ottengo solo un mezzo sorriso, confezionato più con gli occhi che altro. Mi stendo sulla sdraia tenendo l’accappatoio slacciato ma facendo attenzione a non mostrare nulla. Loro sono nude e completamente abbronzate, si adagiano sulle sdraie accoppiate in modo che non passi nemmeno un capello tra l’una l’altra; si adagiano piano, supine e appena appoggiano la testa, guardandosi si prendono per mano. Sorridono e mi osservano per qualche secondo. Provo nuovamente a salutarle, mi sembrava un invito a farlo quello sguardo, ma evidentemente mi sbagliavo.
Ancora quel sorrisetto e poi tornano a guardarsi negli occhi, quegli sguardi languidi sparati da occhi grandi come laghi nei quali affogare se ti stanno guardando, ma non è questo il caso. Le due lesbicone socchiudono i loro grandi occhi e sfiorandosi le labbra vedo chiaramente le lingue rosate roteare cercandosi e leccandosi nel gioco di lunghi e articolati sapienti ed elaborati baci. Una apre gli occhi e guardando nella mia direzione, sembra sorridermi, in realtà però pare non voglia vedermi e tornando al gioco del bacio muove le mani verso l’amica. Le accarezza il seno passando da una zinna all’altra con una lentezza infila due dita tra le bocche impegnate nel loro lavorìo e così lubrificate, ne approfitta per strizzarle i capezzoli. L’amica si dimena leggermente e portando la mano destra tra le cosce, si accarezza la topa.
Parlo di topa perché anche se perfettamente depilata, esibisce due grandi labbra di notevoli dimensioni, di colore grigiastro, sembravano due topini abbracciati per la pancia, con una mano sola non riusciva a coprirsela. Iniziò ad accarezzarsi passandosi un dito sulla fessura, insistendo fino ad infilarlo iniziando uno struggente ditalino che la costrinse a piegare le ginocchia dimenandosi, rendendo visibile il godimento. Continuano come se fossero sole, ma volutamente ogni loro azione viene esibita perché la possa apprezzare. Accarezzo il rigonfiamento chiaramente visibile nell’accappatoio e per la prima volta una delle due mi sorride e si passa la lingua sulle labbra. Ancora nessuna verbalizzazione ma il gioco lo conosco. Prendo il tubetto dell’olio e ne spalmo una dose generosa sul torace.
Inizio a massaggiarmi scendendo verso il pube e scoprendo piano la mia erezione piena. Il glande pare scoppiare e quando lo lubrifico sembra comprendere che il gioco si fa duro e offre la visione di una serie di pulsazioni che ne aumentano l’erezione, sorrido, vuole prendere il volo? Dall’altra parte quella che mi ha sorriso spinge la testa della compagna (la topona), tra le sue gambe sfacciatamente divaricate e mentre si liscia le grandi labbra, la topona inizia un cunnilinguo esperto ma devoto, sembra voglia onorare quella figa come se fosse l’ultima al mondo. La lecca all’esterno passando a lingua piena, poi cerca di penetrarla arrotolando l’organo a formare un cazzetto e continua divaricando le grandi labbra e leccando il vestibolo esplorandone ogni anfratto.
E va avanti così ponendo di tanto in tanto la variante di qualche piccolo morso alla clitoride che provoca dei gridolini alla compagna persa tra i brividi e gli orgasmi che la scuotono incessantemente. La topona non molla ed era contagiosa l’eccitazione, quasi senza accorgermene la mano era partita a segare il mio povero cazzone orfano di attenzioni e teso allo spasimo. Guardarlo piangere la goccia trasparente che avrebbe voluto lubrificare un trionfale ingresso in quelle fighe così sprecate alle attenzioni di lesbo, lo potevo comprendere. Con l’occasione diedi una bella sfregata alla cappella spalmando il liquido lubrificante. L’azione mi procurò una serie di brividi e l’attenzione della donna che godeva della leccata. I cenni del capo e la pressione sulla testa della compagna, schiacciata sulla figa grondante, mi dettero l’impressione che avessero gradito la manovra.
Continuavo a segarmi lentamente e dall’altra parte i ruoli si invertirono, toccò alla topona sedersi a gambe larghe sulla sdraia e la compagna accovacciata davanti a quella figa monumentale, infilate due dita iniziò a sditalinarla con vigore, mentre da sotto la sdraia estraeva un monumentale fallo color carne. Lo leccava con lascivia scambiandolo con la compagna che se lo infilò pure in bocca per una buona porzione, lo tenne lì per qualche secondo, ripetendo l’operazione, forse per scaldarlo, poi una volta lubrificato ulteriormente iniziò il lento rito dell’introduzione. Era davvero enorme e la ragazza che sovrintendeva alla manovra era fortemente coinvolta, leccava a tratti le labbrone della topa mordicchiandole nella loro prospiciente morbidezza, mentre spingeva di qualche centimetro il mostro di silicone nella figa dell’amica.
Ad ogni spinta la topona emetteva un gemito e allargando ulteriormente le gambe abbassava il bacino ad accogliere quell’enorme strumento di piacere (o di tortura). Di fatto sospirava pomposamente e di tanto in tanto lo squasso dell’orgasmo si impossessava di lei che roteando il bacino ed accarezzandosi con una mano la figa devastata dal fallo e con l’altra la testa dell’amica, dava prova di quello che stava vivendo. Non sono mai riuscito a comprendere il ruolo di quei falli mostruosi che venivano utilizzati in questo tipo di giochi, anche se mi è capitato di usarli con le mie compagne ed i miei compagni. Tornando alla scena,la topona era posseduta per oltre venti centimetri del fallo sintetico e la sua amica aveva iniziato una serie di stantuffa menti che si facevano sempre più frequenti portando al limite della profondità il dildo, ogni volta che lo infilava tra i salsicciotti di quella figa molto particolare.
Il su e giù non durò molto, come prevedevo infatti la dimensione di quell’arnese era eccessiva e per quanto potesse essere eccitante, ad un certo punto la topona si alzò sfilandolo e lanciandolo in un angolo del terrazzo. Aveva una colata di broda che le scendeva tra le gambe ma non ci fece caso, di forza girò la compagna nella sdraia, le allargò le gambe e le si piazzò a francobollo sulla figa, leccando e mordicchiando come all’inizio, poi però sempre da sotto la sdraia estrasse un strana cintura. Indossandola capii di cosa si trattasse. Aveva un cazzetto di modeste dimensioni, forse una decina di centimetri, non molto grosso, che stringendo la cintura, soprattutto nelle fibbie attorno alle gambe dopo aver stretto il cinto ai fianchi,scompariva nell’antro occupato prima dal dildo mostruoso nella topona. Sorridevo pensando che probabilmente quel ‘’coso’’ non le avrebbe fatto nemmeno il solletico.
Una volta fissato, il coso che si apprezzava impetuoso, minacciosamente eretto, era di ottime dimensioni e, così armata, la valchiria si inginocchio tra le gambe dell’amica infilandole il bastone nella fighetta con un paio di stantuffamenti ben assestati. Stavo per sborrare e non riuscii a tacerlo. La valchiria cazzuta si girò e mi fece il gesto di leccarmi mentre la compagna sdraiata, infilzata impietosamente, stava ancora facendo i conti con il gesto dell’amica e mi rivolse solo un pallido sorriso, aprendo e chiudendo gli occhi per il piacere (o per il dolore) del gioco che stavano conducendo.
Dopo pochi colpi, i gemiti delle due si fecero sempre più evidenti e distinguibili e gli appellativi cui si erano lasciate andare risultavano poco signorili anche se denunciavano la condizione che stavano vivendo. La dominatrice insultava la compagna sottomessa: godi brutta troia, volevi rompermi la figa ma adesso ti sfondo io per bene, prendilo tutto il cazzo, fino alla cintura, ti arriva dritto al cuore senti? E affondava fino alla cintura roteando il bacino. Si notava con quell’atto, come facesse spaziare anche il dildo che aveva ben piantato nella sua topona ed allargava le gambe, come per consentire all’arnese di possederla meglio. Di fatto, più vessava l’amica con in fallo in figa, più si ravanava la topa con lo strumento ben incardinato nella cintura.
In quel gioco non c’erano vincitori e vinti, le due si davano continuamente della troia a vicenda, continuavano a regalarsi orgasmi e credevo si fossero completamente dimenticate di me, invece, tolta la cintura, tornarono a stendersi nelle sdraie ad allargarsi la figaa due mani per far vedere come fossero riuscite a violare quella fragile porta ed ognuna, ripreso il dildo che l’aveva posseduta (la topona il cazzo totem e l’amica la caricatura di Sigfredi), tornarono a scoparsi con lo sguardo fisso verso il mio terrazzo. Dopo cinque minuti di quello spettacolo, mi esibii in una sborrata epocale, lanciai almeno cinque schizzi per metri lontano e la sborra colata che mi riempiva il palmo della mano, la assaporai con gustosa e rumorosa leccata.
Deposti i falli finti si calmarono abbracciate in piedi vicinissime al parapetto, mi sembrava di sentirne il profumo della pelle, si mordicchiavano le labbra accarezzandosi come due amanti consumate dall’abitudine a soddisfarsi vicendevolmente. Continuavo a segare il mio pistone ormai barzotto aspettando di vedere cosa avrebbero fatto adesso. Ma non mi vedevano più, abbracciate, accarezzandosi il fondo schiena, rientrarono in casa chiudendo la porta scorrevole e lasciandomi li come un idiota a manipolarmi l’uccello con la speranza di un seguito che per il momento almeno non era previsto. Sarebbero passate più tardi a raccogliere i giochi abbandonati a terra ma non riuscii a vederle. Il giorno dopo era nuovamente tutto chiuso ed in ordine.
1
voti
voti
valutazione
9
9
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
La vicina della stanza in affittoracconto sucessivo
Io e Giovanni, capitolo uno
Commenti dei lettori al racconto erotico