La vendetta di un impiegato, da vittima a carnefice – Capitolo 3
di
duke69
genere
dominazione
Il seguito era prevedibile: costretto a rimanere a un paio di metri di distanza fui obbligato a guardare due ore di sesso sfrenato, ad eccezione delle volte per cui venivo chiamato a leccare fica e buco del culo di Marzia, oppure quando, con le mani, dovevo lubrificare gli uccelli dei tre ragazzi che ogni volta mi deridevano e mi umiliavano. La povera Marzia godeva e veniva in modo travolgente perdendo continuamente il controllo di sé stessa. La Valli la incalzava facendole ripetere a voce alta che non era nient’altro che “una vacca sfondata”, mentre i tre uomini occupavano costantemente ogni suo buco disponibile, affondando dentro Marzia sempre in modo violento e alternandosi per provarla in ogni posizione. La vista di quanto accadeva di fronte ai miei occhi mi stava facendo esplodere l’uccello: non ne potevo più! anche perché la mia aguzzina spesso si abbassava sadicamente a leccarmi o succhiarmi le palle.
La serata si concluse con un orgasmo generale di tutti i partecipanti ad eccezione del sottoscritto che solo diverse ore più tardi avrebbe potuto liberarsi da quella morsa metallica e godere del piacere soppresso.
Le cose procedettero cosi per mesi, attraverso le continue umiliazioni del mio capo. Durante l’orario di lavoro mi muovevo tra il mio e il suo ufficio in continua nudità; agli abusi sessuali erano subentrate anche le punizioni corporali quali schiaffi sul viso e sulle natiche, scosse elettriche sui genitali e impiego di plug anali durante tutto l’orario di lavoro.
Due anni dopo Lara, già trasferitasi a casa del fratello, si separò da me; fortunatamente viveva a mezz’ora di macchina e i nostri rapporti erano rimasti amichevoli, così da poter restare con Enrico quando volevo, tuttavia dovevo ancora provvedere al loro sostentamento e le spese erano inevitabilmente aumentate; questo significava dover tenere stretto il lavoro e subire i maltrattamenti di Monica.
A quattro anni esatti dall’inizio di quell’inferno capitò l’evento che mi cambiò la vita. Come al solito, quella sera rientrai tardi da lavoro: la giornata era stata pesantissima perché per gran parte della giornata avevo fatto da poggiapiedi alla Valli che a più riprese mi aveva sodomizzato ferocemente e a lungo. Andai a prendere la metropolitana che avevo il culo in fiamme. In quel momento c’erano poche persone che attendevano il treno, il precedente era appena passato. All’improvviso sentii un rumore provenire dalla mia destra e un contemporaneo insieme di urla che accompagnavano quanto stava accadendo: un uomo era appena caduto giù nel vano dei binari. Mi precipitai a vedere. Alcune donne si sporgevano nel tentativo di rianimare l’uomo che sembrava vigile ma alquanto intontito dal colpo subito: una goccia di sangue gli colava dal naso, ma non sembrava si fosse procurato lesioni gravi o fratture. Il tizio, tra i cinquanta e i sessanta anni vestito in giacca e cravatta con capelli brizzolati e corporatura media, non si era reso conto del pericolo che correva a rimanere lì, probabilmente era stordito dalla caduta e non si decideva a muoversi rapidamente. Non ci pensai troppo, scesi giù dalla banchina, lo tirai su in piedi e lo aiutai a risalire al sicuro; neanche un minuto dopo arrivò il treno. Il signore zoppicava vistosamente, ma riusciva a camminare. In quel momento dimenticai di dover prendere il treno, lo accompagnai a sedersi e rimasi con lui accertandomi che stesse meglio e contattando qualcuno che potesse venire a prenderlo. Ripensandoci… non chiesi mai del motivo per cui fosse caduto. Tra l’altro seppi che per lui era inconsueto fare uso della metropolitana: solitamente viaggiava in auto oppure si faceva portare in giro da un autista personale! Volle assolutamente sapere chi fossi e prese il mio contatto telefonico.
“Le sono infinitamente grato! Mi ha salvato la vita, perché se non ci fosse stato lei probabilmente sarebbe andata diversamente”
Passò poco tempo che arrivarono due uomini e lo portarono via. Nell’andare via il signore mi strinse la mano presentandosi e mi disse che avrei presto avuto sue notizie. Il suo nome era Dante Ostersi.
Rientrato a casa, incuriosito dal velo di stranezza che avvolgeva Dante, feci una ricerca in rete.
Trovai un curriculum vitae di tutto rispetto, sessantadue anni, ingegnere affermato e capo di una grossa società farmaceutica con due figli maschi e una giovane moglie. Una settimana dopo fui chiamato da una donna che mi chiese di presentarmi due giorni dopo all’ultimo piano di un palazzo nel pieno centro cittadino.
Mi ritrovai in un lussuosissimo studio in cui mi accolse il Sig. Dante in compagnia dei suoi due figli. Avevano organizzato un rinfresco per accogliermi e ringraziarmi di quanto avevo fatto. Ad allietare la giornata c’erano delle ragazze particolarmente sexy vestite in abiti lunghi e tutte nel medesimo modo come delle hostess di volo.
Al termine della serata Dante e i suoi figli mi chiesero se potevano fare qualcosa per sdebitarsi: avevo disperatamente bisogno di un lavoro. Così mi accontentarono con un discreto lavoro da impiegato, un ufficio tutto mio, orario flessibile pagato al triplo di quello che avevo percepito fino a quel momento. Ma soprattutto sarebbe stata la fine della mia sottomissione. Abbandonai il lavoro e quella sadica della dottoressa Valli che congedai con una semplice mail di licenziamento. Sentivo che prima o poi mi sarei vendicato di tutti i soprusi subiti, ma dovevo avere pazienza e attendere l’occasione giusta, così pur avendo cambiato vita, continuai a seguire a distanza l’operato della Valli tramite social, giornali e altri contatti.
In poco tempo diventai l’uomo di fiducia di Dante e dei suoi figli avanzando di carriera e occupandomi anche di quegli affari sporchi che solitamente gestivano loro in prima persona; questo particolare e delicato ruolo mi dava poca visibilità all’esterno e mi consentiva di muovermi in pieno anonimato. Dopo poco più di dieci anni assunsi una posizione di primo piano nella società e insieme ai due figli di Dante ero diventato l’uomo più potente della società. La mia ex moglie Lara si era rifatta una vita, Enrico era cresciuto ma era ancora uno studente e continuavo a provvedere al suo sostentamento standogli vicino e non facendogli mancare nulla; una volta al mese ci ritrovavamo tutti e tre per una cena insieme.
Per tutto quel tempo seguii le vicende della dottoressa Monica Valli e della mia vecchia azienda di lavoro fino a che uno dei miei informatori mi consegnò una busta gialla che includeva una notizia inaspettata e tanto attesa.
Avevo aperto il plico giallo contenente diverse foto che stavo facendo scorrere tra le mani: Ilenia Valli, la figlia diciottenne di Monica, colta in flagrante mentre acquistava droga e successivamente la spacciava tra i suoi coetanei! Le immagini erano esaustive: ce n’era quanto bastava per inchiodare quella troia della dottoressa Valli. Tuttavia volevo di più…così, attesi ancora e mi procurai anche un video filmato ancor più compromettente: era arrivato il momento di inchiodare quella sadica troia e farle pagare a caro prezzo tutte le malefatte trascorse. Chissà che cosa avrebbe fatto per salvare la figlia e soprattutto che cosa sarebbe stata disposta a fare perché Ilenia rimanesse impunita. Sentita la mia voce al telefono, la dottoressa Valli rimase come folgorata: diversi secondo di silenzio si succedettero alla mia presentazione:
“Ti ricordi di me troia!”
“…Si…Simone!!??”
“Bene! Mi fa piacere che tu ti ricorda di me dopo tutti questi anni…credo sia arrivato il momento di restituirti tutte le cortesie che mi regalasti durante il nostro intenso rapporto di lavoro…!”
“…senti Simone, potrai non crederci ma sono pentita di quello che ho fatto…capisco che tu voglia vendicarti e poi mia figlia non c’entra niente, ti prego!... lasciala fuori dai nostri giochi”.
“ZITTA TROIA!!! Non voglio sentire una sola parola in più di quelle che hai proferito! Ti farò avere un indirizzo al quale ti dovrai presentare insieme a tua figlia, domani alle 11 in punto”
Chiusi la telefonata non consentendogli di rispondere.
Dopo averla fatta crogiolare per dieci giorni nell’attesa di quello che sarebbe stato il suo destino le feci avere l’indirizzo dove incontrarmi:
si trattava di un largo seminterrato di una palazzina a tre piani, precedentemente adibito a garage e poi adattato per risolvere le faccende sporche degli Ostersi. Di fatto tutta la palazzina, occupata da tirapiedi, guardie e dipendenti della società, era di proprietà della famiglia. Oltre una lunga serie di pilastri in cemento armato e un pavimento in resina nel vasto locale era presente una grande scrivania in legno massello color noce scuro e una poltrona in pelle nera. Quindi, due sedie di legno rivestite in vimini completavano il freddo arredamento di quel vasto locale.
Poco prima delle 11 si sentì il motore di un’auto e subito dopo lo scalpitio di una coppia di tacchi che via via si facevano più vicini: Monica Valli insieme alla figlia Ilenia stavano arrivando.
“Che cosa vuoi, Simone? Soldi?”
“No tesoro, io voglio te! …e ti faccio la stessa domanda che tu facesti a me qualche anno fa: che cosa saresti disposta a fare per salvare la tua figliola dal carcere?”
“Ok lo so che ti vuoi vendicare, ma è acqua passata…e poi Ilenia non c’entra niente!”
Ilenia, fortemente intimidita da tutta la situazione e consapevole di avere messo la mamma in un grande casino, era la tipica ragazza con l’aspetto trasandato: jeans rotti, maglietta stropicciata, scarpe da tennis, capelli corti e piercing sul naso.
“Se obbedirai a qualsiasi mio ordine, la tua ragazza non sarà toccata! Ma fai un cazzo di errore e la farò girare come una puttana per tutto l’isolato assicurandomi che venga sbattuta giorno e notte come la peggiore delle troie! Ti è chiaro il concetto o vuoi subito una dimostrazione pratica di quello che potremo farle?”
“No, ti prego, farò ciò che vorrai!”
“Alzati in piedi e levati tutti i vestiti!”
Ilenia si alzò dalla sedia e mi si fece incontro minacciosamente:
“Lasciala stare brutto stronzo figlio di puttana!”
Ma i due ragazzi la bloccarono prontamente rimettendola a sedere.
“Nastratela e fate in modo che non disturbi di nuovo…anche la bocca!”
Intanto, Monica Valli era rimasta in biancheria intima.
“Togli anche quelli puttana e poi siediti sopra la scrivania”
Monica sapeva bene che non aveva alternative, quindi obbediva senza obiezioni. Una volta seduta come imposto, la feci sdraiare supina e le feci allargare le gambe.
“Oh…una zoccola come te non dovrebbe avere neanche un pelo invece ecco questo ciuffettino snob… direi alquanto superfluo, passatemi il nastro adesivo!”
Tagliai una striscia di nastro adesivo e la incollai sopra i peli; pressai con la mano per aumentarne l’adesione e quindi tirai di colpo.
“RIIP!!!”
“AAARGH…bastardo…”
Continuai ad applicare le strisce e a strappare fino a che la pelle non divenne rossa e fino a levare la maggior parte della peluria presente.
Quindi, mentre affondavo il mio dito medio dentro il suo ano iniziai a spiegarle come sarebbe cambiata la sua vita. Cominciava il processo di degradazione, volevo umiliarla di fronte alla figlia che nel frattempo aveva già gli occhi pieni di lacrime.
“Allora…
Continua… (per eventuali commenti o suggerimenti - dukeduke1069@yahoo.com)
La serata si concluse con un orgasmo generale di tutti i partecipanti ad eccezione del sottoscritto che solo diverse ore più tardi avrebbe potuto liberarsi da quella morsa metallica e godere del piacere soppresso.
Le cose procedettero cosi per mesi, attraverso le continue umiliazioni del mio capo. Durante l’orario di lavoro mi muovevo tra il mio e il suo ufficio in continua nudità; agli abusi sessuali erano subentrate anche le punizioni corporali quali schiaffi sul viso e sulle natiche, scosse elettriche sui genitali e impiego di plug anali durante tutto l’orario di lavoro.
Due anni dopo Lara, già trasferitasi a casa del fratello, si separò da me; fortunatamente viveva a mezz’ora di macchina e i nostri rapporti erano rimasti amichevoli, così da poter restare con Enrico quando volevo, tuttavia dovevo ancora provvedere al loro sostentamento e le spese erano inevitabilmente aumentate; questo significava dover tenere stretto il lavoro e subire i maltrattamenti di Monica.
A quattro anni esatti dall’inizio di quell’inferno capitò l’evento che mi cambiò la vita. Come al solito, quella sera rientrai tardi da lavoro: la giornata era stata pesantissima perché per gran parte della giornata avevo fatto da poggiapiedi alla Valli che a più riprese mi aveva sodomizzato ferocemente e a lungo. Andai a prendere la metropolitana che avevo il culo in fiamme. In quel momento c’erano poche persone che attendevano il treno, il precedente era appena passato. All’improvviso sentii un rumore provenire dalla mia destra e un contemporaneo insieme di urla che accompagnavano quanto stava accadendo: un uomo era appena caduto giù nel vano dei binari. Mi precipitai a vedere. Alcune donne si sporgevano nel tentativo di rianimare l’uomo che sembrava vigile ma alquanto intontito dal colpo subito: una goccia di sangue gli colava dal naso, ma non sembrava si fosse procurato lesioni gravi o fratture. Il tizio, tra i cinquanta e i sessanta anni vestito in giacca e cravatta con capelli brizzolati e corporatura media, non si era reso conto del pericolo che correva a rimanere lì, probabilmente era stordito dalla caduta e non si decideva a muoversi rapidamente. Non ci pensai troppo, scesi giù dalla banchina, lo tirai su in piedi e lo aiutai a risalire al sicuro; neanche un minuto dopo arrivò il treno. Il signore zoppicava vistosamente, ma riusciva a camminare. In quel momento dimenticai di dover prendere il treno, lo accompagnai a sedersi e rimasi con lui accertandomi che stesse meglio e contattando qualcuno che potesse venire a prenderlo. Ripensandoci… non chiesi mai del motivo per cui fosse caduto. Tra l’altro seppi che per lui era inconsueto fare uso della metropolitana: solitamente viaggiava in auto oppure si faceva portare in giro da un autista personale! Volle assolutamente sapere chi fossi e prese il mio contatto telefonico.
“Le sono infinitamente grato! Mi ha salvato la vita, perché se non ci fosse stato lei probabilmente sarebbe andata diversamente”
Passò poco tempo che arrivarono due uomini e lo portarono via. Nell’andare via il signore mi strinse la mano presentandosi e mi disse che avrei presto avuto sue notizie. Il suo nome era Dante Ostersi.
Rientrato a casa, incuriosito dal velo di stranezza che avvolgeva Dante, feci una ricerca in rete.
Trovai un curriculum vitae di tutto rispetto, sessantadue anni, ingegnere affermato e capo di una grossa società farmaceutica con due figli maschi e una giovane moglie. Una settimana dopo fui chiamato da una donna che mi chiese di presentarmi due giorni dopo all’ultimo piano di un palazzo nel pieno centro cittadino.
Mi ritrovai in un lussuosissimo studio in cui mi accolse il Sig. Dante in compagnia dei suoi due figli. Avevano organizzato un rinfresco per accogliermi e ringraziarmi di quanto avevo fatto. Ad allietare la giornata c’erano delle ragazze particolarmente sexy vestite in abiti lunghi e tutte nel medesimo modo come delle hostess di volo.
Al termine della serata Dante e i suoi figli mi chiesero se potevano fare qualcosa per sdebitarsi: avevo disperatamente bisogno di un lavoro. Così mi accontentarono con un discreto lavoro da impiegato, un ufficio tutto mio, orario flessibile pagato al triplo di quello che avevo percepito fino a quel momento. Ma soprattutto sarebbe stata la fine della mia sottomissione. Abbandonai il lavoro e quella sadica della dottoressa Valli che congedai con una semplice mail di licenziamento. Sentivo che prima o poi mi sarei vendicato di tutti i soprusi subiti, ma dovevo avere pazienza e attendere l’occasione giusta, così pur avendo cambiato vita, continuai a seguire a distanza l’operato della Valli tramite social, giornali e altri contatti.
In poco tempo diventai l’uomo di fiducia di Dante e dei suoi figli avanzando di carriera e occupandomi anche di quegli affari sporchi che solitamente gestivano loro in prima persona; questo particolare e delicato ruolo mi dava poca visibilità all’esterno e mi consentiva di muovermi in pieno anonimato. Dopo poco più di dieci anni assunsi una posizione di primo piano nella società e insieme ai due figli di Dante ero diventato l’uomo più potente della società. La mia ex moglie Lara si era rifatta una vita, Enrico era cresciuto ma era ancora uno studente e continuavo a provvedere al suo sostentamento standogli vicino e non facendogli mancare nulla; una volta al mese ci ritrovavamo tutti e tre per una cena insieme.
Per tutto quel tempo seguii le vicende della dottoressa Monica Valli e della mia vecchia azienda di lavoro fino a che uno dei miei informatori mi consegnò una busta gialla che includeva una notizia inaspettata e tanto attesa.
Avevo aperto il plico giallo contenente diverse foto che stavo facendo scorrere tra le mani: Ilenia Valli, la figlia diciottenne di Monica, colta in flagrante mentre acquistava droga e successivamente la spacciava tra i suoi coetanei! Le immagini erano esaustive: ce n’era quanto bastava per inchiodare quella troia della dottoressa Valli. Tuttavia volevo di più…così, attesi ancora e mi procurai anche un video filmato ancor più compromettente: era arrivato il momento di inchiodare quella sadica troia e farle pagare a caro prezzo tutte le malefatte trascorse. Chissà che cosa avrebbe fatto per salvare la figlia e soprattutto che cosa sarebbe stata disposta a fare perché Ilenia rimanesse impunita. Sentita la mia voce al telefono, la dottoressa Valli rimase come folgorata: diversi secondo di silenzio si succedettero alla mia presentazione:
“Ti ricordi di me troia!”
“…Si…Simone!!??”
“Bene! Mi fa piacere che tu ti ricorda di me dopo tutti questi anni…credo sia arrivato il momento di restituirti tutte le cortesie che mi regalasti durante il nostro intenso rapporto di lavoro…!”
“…senti Simone, potrai non crederci ma sono pentita di quello che ho fatto…capisco che tu voglia vendicarti e poi mia figlia non c’entra niente, ti prego!... lasciala fuori dai nostri giochi”.
“ZITTA TROIA!!! Non voglio sentire una sola parola in più di quelle che hai proferito! Ti farò avere un indirizzo al quale ti dovrai presentare insieme a tua figlia, domani alle 11 in punto”
Chiusi la telefonata non consentendogli di rispondere.
Dopo averla fatta crogiolare per dieci giorni nell’attesa di quello che sarebbe stato il suo destino le feci avere l’indirizzo dove incontrarmi:
si trattava di un largo seminterrato di una palazzina a tre piani, precedentemente adibito a garage e poi adattato per risolvere le faccende sporche degli Ostersi. Di fatto tutta la palazzina, occupata da tirapiedi, guardie e dipendenti della società, era di proprietà della famiglia. Oltre una lunga serie di pilastri in cemento armato e un pavimento in resina nel vasto locale era presente una grande scrivania in legno massello color noce scuro e una poltrona in pelle nera. Quindi, due sedie di legno rivestite in vimini completavano il freddo arredamento di quel vasto locale.
Poco prima delle 11 si sentì il motore di un’auto e subito dopo lo scalpitio di una coppia di tacchi che via via si facevano più vicini: Monica Valli insieme alla figlia Ilenia stavano arrivando.
“Che cosa vuoi, Simone? Soldi?”
“No tesoro, io voglio te! …e ti faccio la stessa domanda che tu facesti a me qualche anno fa: che cosa saresti disposta a fare per salvare la tua figliola dal carcere?”
“Ok lo so che ti vuoi vendicare, ma è acqua passata…e poi Ilenia non c’entra niente!”
Ilenia, fortemente intimidita da tutta la situazione e consapevole di avere messo la mamma in un grande casino, era la tipica ragazza con l’aspetto trasandato: jeans rotti, maglietta stropicciata, scarpe da tennis, capelli corti e piercing sul naso.
“Se obbedirai a qualsiasi mio ordine, la tua ragazza non sarà toccata! Ma fai un cazzo di errore e la farò girare come una puttana per tutto l’isolato assicurandomi che venga sbattuta giorno e notte come la peggiore delle troie! Ti è chiaro il concetto o vuoi subito una dimostrazione pratica di quello che potremo farle?”
“No, ti prego, farò ciò che vorrai!”
“Alzati in piedi e levati tutti i vestiti!”
Ilenia si alzò dalla sedia e mi si fece incontro minacciosamente:
“Lasciala stare brutto stronzo figlio di puttana!”
Ma i due ragazzi la bloccarono prontamente rimettendola a sedere.
“Nastratela e fate in modo che non disturbi di nuovo…anche la bocca!”
Intanto, Monica Valli era rimasta in biancheria intima.
“Togli anche quelli puttana e poi siediti sopra la scrivania”
Monica sapeva bene che non aveva alternative, quindi obbediva senza obiezioni. Una volta seduta come imposto, la feci sdraiare supina e le feci allargare le gambe.
“Oh…una zoccola come te non dovrebbe avere neanche un pelo invece ecco questo ciuffettino snob… direi alquanto superfluo, passatemi il nastro adesivo!”
Tagliai una striscia di nastro adesivo e la incollai sopra i peli; pressai con la mano per aumentarne l’adesione e quindi tirai di colpo.
“RIIP!!!”
“AAARGH…bastardo…”
Continuai ad applicare le strisce e a strappare fino a che la pelle non divenne rossa e fino a levare la maggior parte della peluria presente.
Quindi, mentre affondavo il mio dito medio dentro il suo ano iniziai a spiegarle come sarebbe cambiata la sua vita. Cominciava il processo di degradazione, volevo umiliarla di fronte alla figlia che nel frattempo aveva già gli occhi pieni di lacrime.
“Allora…
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