Speculum
di
Yuko
genere
bisex
Buongiorno, mi presento. Sono uno speculum.
Sì, capisco che alla maggior parte delle persone questa parola suoni vuota o misteriosa, ma secondo altre e anche secondo una buona parte della strumentazione utilizzata in diagnostica medica, io faccio il più bel lavoro del mondo.
Eh già, sì, è vero, sono uno strumento, un essere inanimato.
Eppure anche noi possiamo parlare e, a contatto con gli esseri umani, ascoltando il loro linguaggio, impariamo eccome!
Vi sembrerà strano, anzi, irrazionale, impossibile!
Eppure è vero. Non solo. Con qualche aiuto riusciamo anche a scrivere, e la riprova è che io in questo momento vi sto scrivendo. Ovvio, grazie all'aiuto e all'intermediazione del mio amico computer. Il quale sa anche connettersi a internet e mandare messaggi.
È evidente e sensato che questa nostra attività sia segreta e che in alcun modo debba interferire con le attività umane, ed è per questo che notoriamente nel genere umano sia risaputo che gli oggetti non parlino e non siano capaci di esprimersi.
Ma questa volta, e solo per voi, lettori di Erotici Racconti, mi voglio sfogare e voglio esprimermi.
D'altra parte su questo stesso sito di racconti erotici hanno già fatto sentire la loro voce anche reggiseni e mutandine da donne.
In ogni caso questa mia uscita non interferirà in alcun modo con lo studio di ginecologia in cui lavoro. I medici e gli infermieri non sapranno nulla, tranquilli. Non voglio sovvertire l'ordine delle cose e turbare il loro lieto vivere. Eccheddiamine!
Dunque, dicevo, sono uno speculum, più precisamente uno speculum vaginale di Cusco.
Per i molti che credo non sappiano in cosa consista la mia forma e il mio lavoro dovrò dare una doverosa spiegazione illustrativa.
Sono un aggeggio in metallo, nel mio caso, oppure in plastica trasparente, all'incirca della forma e delle dimensioni di un becco d'anitra, che può articolarsi e aprirsi attraverso una levetta e consentire di guardare attraverso, diciamo, dall'interno dell'anatra verso l'esterno, per mantenere il paragone.
Il mio lavoro è quello di mantenere aperte delle cavità anatomiche. Esistono infatti speculum anche per le narici e altri orifizi meno nobili.
Che ci faccio all'interno di uno studio ginecologico?
Be', modestia a parte, sono forse il più importante strumento per un accurato esami ginecologico: l'ispezione e la colposcopia.
Le donne in età fertile, quelle che si sottopongono a visite ginecologiche periodiche mi conoscono bene.
Io vengo infilato nelle passere e le tengo belle aperte perché gli specialisti possano esaminare le pareti interne della vagina e la portio uterina.
Ecco, vorrei precisare, in questa sede, che non è tutto oro quel che luccica, ovvero che nessuna rosa è senza spine, che ogni medaglia ha il suo rovescio, e via andare.
Insomma, entrare in una vagina non sempre è la cosa più bella del mondo.
Basta pensare agli esami eseguiti in donne molto in là con l'età, o in quelle che non praticano un'accurata igiene, o peggio quelle che soffrono di infezioni purulente.
Qui si sfora nel fetish estremo o anche nel pulp, specie quando si praticano pap test (o dovrei chiamarlo pulp test?) o biopsie.
Ma in verità, quando noi speculum (i latinisti e gli eruditi come Margie preferirebbero “specula”) veniamo invidiati e amiamo il nostro lavoro è perché si allude a ben altre situazioni.
Già.
Chi tra voi non vorrebbe essere al mio posto se una bionda stratosferica di uno e settantasette venisse nel mio studio per fare un esame di base? Una biondona tipo Browserfast?
O chi si tirerebbe indietro di fronte a un contatto diretto e ravvicinato con un campionario di piercing clitoridei e vulvari come mi immagino possa capitare con Margie?
O di fronte a una focosa emiliana, una di quelle rare e preziose donne che solo all'idea di uno speculum che le entri in vagina e la dilati, si bagnano di secrezioni vischiose al punto da rendere inutile il gel lubrificante che talvolta si usa per rendere meno spiacevole l'esame?
Sì, la veemente e aggressiva Serena Rossi!
E trovarsi tra le cosce di Lucrezia? Ma dico, vogliamo parlarne?
Stiamo scherzando?
Eccheddiamine!
E Silvia Righetti? Yuba? LanA?
Le possibilità sono infinite. Ragazzi, lettrici saffiche, amiche bsx, autori e lettori arrapati di passera, date retta a me, cambiate lavoro!
Uno speculum si sveglia al mattino, si alza, bello pulito, luccicante di seducenti riflessi cromatici meglio di una Harley-Davidson, si stiracchia, si prepara al suo onesto lavoro e si chiede cosa gli toccherà quella mattina.
E, nelle mani di un buon ginecologo, si avvicina a una bella ragazza nuda, con le cosce oscenamente spalancate, allargate sul lettino da ginecologo, in una posizione che, mamma mia!
La passera en plein air, à la belle étoile, insomma la figa per aria, ai quattro venti.
Pelo o non pelo che sia, si prende di mira, la vulva già bella aperta, quelle deliziose piccole labbra che sembrano implorarti, arricciate o appiccicate, scure o chiare e zaaack!
Una sola passata di dita del ginecologo per allargare l'entrata, manovra in genere molto apprezzata dalle pazienti, e io mi infilo dentro la passera, talvolta accompagnato da un lungo sospiro che si spegne alle mie spalle. In qualche occasione, sento parlare i medici specialisti, con un corollario di esplicito mordersi del labbro inferiore delle pazienti che, a parte il freddo del metallo, accolgono di buon grado il mio deciso incedere e lo stiramento sulle pareti vaginali.
Quando poi mi dilato... be', quello è un piacere reciproco. La ragazza in questione sente le pareti mie aderire, estendere e stuzzicare le pareti sue, e, mentre il ginecologo fa la figura del guardone, io e la paziente ce la godiamo in una simbiosi di piacere e soddisfazione.
“Dottore, è sicuro di aver posizionato bene lo strumento? Sa... non vorrei che si dislocasse, o che alcune porzioni della parete vaginale non fossero ben evidenziate! Ecco, riprovi, mmmh, provi ancora, così... ancora un poco... aahhh! Una volta ancora, la prego! Ci tengo che l'esame venga bene. Aaahhh! Bravo dottore, bravo il mio dottorino, mi scopi bene con questo attrezzo paradisiaco!”
E io dentro, a contatto diretto. Io che sento spingere e stringere, io che mi rivesto di muco e secrezioni filanti e odorose, io che sento i sospiri dall'interno, le vibrazioni, i singulti più nascosti.
Io che vedo il collo dell'utero e la portio uterina palpitare, estendersi, protendersi verso l'oggetto che ne penetra il vestibolo, io che sento le vampate di calore della mucosa vaginale che si irrora di sangue nell'eccitazione, nell'amplesso, nell'unione carnale!
Scusate, mi sono spinto oltre. Carnale proprio non è. Sono e resto un oggetto di metallo, al massimo di plastica. Dotato di anima sì, eccheddiamine! Ma incapace o, meglio, impossibilitato a esprimermi. Certo che un vibratore, in quelle occasioni potrebbe fare la differenza, ma proprio in uno studio ginecologico questo strumento non potrebbe entrarci.
Però me lo potrei immaginare.
“Che visita che ho fatto in quello studio! Che visita, amiche mie! Non potete immaginare! NON POTETE! Non vedo l'ora di tornarci!”
Direbbero le pazienti, o forse solo alcune.
“Be', la visita va fatta, per carità. Però in quello studio... Insomma, te la rendono piacevole! Bravo quel dottore. Attrezzi moderni, up to date, sempre all'avanguardia. E poi quella specie di doppler intravaginale. Non ho ben capito. Un attrezzo che vibra e che emette ultrasuoni. Una visita accuratissima, immagini spettacolari. Ma quella vibrazione... be' faccio breve una storia lunga. Il ginecologo mi fa il doppler con la sonda intravaginale, un attrezzino arrotondato che ti riempie tutta la passera e che vibra come un ossesso, un cilindretto smusso che pareva posseduto dal demonio; io cerco di resistere, mi mordo le labbra, ma poi non ce la faccio più e parto con un orgasmo che sparo una squirtata fino a metà studio. Lui, bravissimo a schivare, si è spostato al pelo, se no lo sfregiavo al volto. Sembrava una scena di Matrix. Solo allora ho capito perché aveva fatto desonorizzare lo studio. Ve lo garantisco, un mago, uno avanti un anno luce rispetto agli altri.
Insomma com'è come non è l'esame andava rifatto. E io di nuovo urla e gemiti, una roba da vergognarmi, ma al terzo tentativo il poveraccio ce l'ha fatta. Ve lo dico io. Un vero professionista!”
Eeeh, magari. Ma questo tipo di ecodoppler non è ancora disponibile negli studi di medicina tradizionale. Forse in un futuro prossimo...
Dicono che tutti nascono con la stessa passione, ma solo chi si applica e persevera diventa ginecologo. Arriverà anche il giorno della sonda ecodoppler vaginale a turbina ad alta velocità, sono sicuro che ci stanno già lavorando.
“Unire l'utile al dilettevole” questo è il motto del buon ginecologo.
Ma sto divagando.
Volevo dire, in realtà, che una mattina in cui anch'io mi stavo preparando al mio onesto lavoro, capita in studio una donna di razza orientale. Non sono poi così rare, ma in genere sono filippine, al massimo qualche cinesina, anche se quelle in genere si fanno vedere dai loro medici in China Town.
Le filippine sono rotondette e hanno delle passere tonde e grassocce. Sono bassotte, le gambe stanno a fatica sugli appoggi del lettino ginecologico, sembra quasi di squartarle. Fanno di quelle spaccate che neanche Carla Fracci nei suoi migliori momenti. Forse Nadia Comaneci.
Questa invece era alta e slanciata. Io non me ne intendo, non lavoro in uno studio di chirurgo maxillofacciale, ma mi sembrava proprio che avesse un visino molto piacevole.
Giapponese, sento pronunciare dall'infermiera.
Una passera giapponese mi mancava, e si che lavoro già da qualche anno.
Quella si spoglia, si sfila le mutandine, ma si vergogna e si copre con le mani.
L'infermiera sorride e l'accompagna sul lettino ginecologico e le mani, be' quelle le ha dovute spostare e cosa mi si presenta?
Io ero lì in attesa, sul tavolino metallico degli attrezzi, su una traversa verde e mi vedo quella passerotta con solo un ciuffetto di peli ben curati. Non quei boschi ispidi che capita a volte di vedere. Quelle foreste di fronde impenetrabili, intrighi di peli ricci e annodati.
Una criniera da puledra, peli dritti e soffici, manco li avesse pettinati e passati col balsamo.
Un bel nero corvino.
Apre le gambe, lunghe, lunghissime e affusolate e la appoggia sugli appositi sostegni. Non faccio commenti sulle autoreggenti, non è questo l'argomento, anche se probabilmente questa è la sede appropriata.
Allarga le cosce e si mostra una vulva accattivante, le piccole labbra si aprono con lo schiocco di un bacio, ma forse questo particolare me lo sono inventato io. A me è sembrato, ne sono sicuro, eppure non potrei giurarci.
I peli finiscono giusto alle grandi labbra, poco oltre l'inizio, non come quelle donne irsute con una sciabolata di vello che continua fino a dietro e chissà fin dove.
Le piccole labbra scurissime e finemente arricciate, due more succose, due fettine di bresaola affumicata, due fette di Sacher al cioccolato. Ecco, lo sapevo che non dovevo scrivere all'ora di pranzo.
Uno spettacolo, una piccola orchidea che sembrava pulsare, che si gonfiava a ogni respiro, che mi attendeva fremente.
Mi aspettavo che il ginecologo, invece di un poco di gel, le assestasse una bella leccata piena di saliva. In fondo siamo in uno studio bio e utilizziamo solo emollienti e prodotti naturali, ma quello no, non ci arriva e con le dita le dà comunque una bella passata umida di gel che provoca alla paziente una reazione che non passa inosservata.
Chiude gli occhi a apre la bocca con un sospiro molto esplicativo. La paziente è pronta all'introduzione. A questo punto uno speculum o un pene farebbe per lei poca differenza, ma sta di fatto che invece la scena ora è mia.
Freddo, sarò anche freddo, ma bello tondo e sinuoso, largo e dilatante, quello lo sono. Posso garantire.
Il ginecologo mi raccoglie dal tavolino, mi dà una lubrificata, prende la mira come un picador su un caballo de picar nell'arena di Madrid (per inciso sono estremamente contraria alle corride NdA), mi avvicina alla vulva e...
Un paio di passate per farsi bene strada tra le piccole labbra provocano un gemito mal represso della paziente, e poi, trovato l'ingresso della vagina, vengo infilato con lentezza ma decisione.
Prima di introdurmi tutto dentro faccio in tempo a percepire distintamente un vocalizzo strozzato della ragazza che non riesce a nascondere di aver apprezzato in modo convincente l'inizio dell'esame. Un “Aaaaaahhhhh!” con una lunga serie di “H” come se stesse esalando l'anima a ogni centimetro che io guadagnavo nella sua vagina grondante di secrezioni fortemente evocative di un incontrovertibile stato di benessere.
Ed eccomi al calduccio. Una sensazione di corroborante immersione calda come voi lettori potreste provare immergendovi in una vasca da bagno satura di profumi e lussureggiante di morbide schiume.
Una sensazione avvolgente e protettiva.
Profumi d'oriente esaltano il noto sentore di vagina eccitata, sfumature inedite che fanno del mio lavoro un'avventura di continua scoperta.
Il ginecologo aziona la levetta e le mie valve si espandono come una ostrica perlifera che esibisce il suo prezioso gioiello in un mare dell'oriente.
Le mie pareti aderiscono e dilatano la vagina giapponese e, pur non potendo apprezzare manifestazioni sonore che forse si saranno espresse negli ambienti esterni, percepisco con definita chiarezza una contropulsazione che mi avvolge e mi stritola.
La muscolatura pelvica della ragazza mi comprime ritmicamente, mi abbraccia e mi stringe, mi accarezza e mi liscia, e una copiosa manna mi percola abbondante e soverchiante.
L'esame procede veloce e non so se questo sia stato un bene o un maleficio, perchè la ragazza stava per esplodere in un orgasmo che forse mi avrebbe eiettato fuori dalla finestra dello studio, precipitando proprio sul marciapiede sottostante con mio inevitabile imbarazzo.
Sta di fatto che quando vengo estratto da quel paradiso di tepore e umidità, la ragazza è molle e rilassata. Un franco gemizio è colato dalla vulva sul lenzuolo del lettino e il ginecologo è soddisfatto almeno quanto la paziente.
Il medico si allontana con un velo di imbarazzo, mentre l'infermiera, più pietosa e solidale, lascia dalla propria mano quella paziente dopo essere stata stritolata come nelle spire di un boa constrictor e porge una salviettina alla nipponica.
“Si asciughi signorina” la invita come sussurrando.
Ma ora sono anch'io all'esterno, grondante sul panno verde dell'ospedale su cui ho lasciato una sorprendente chiazza scura e riesco a scorgere distintamente l'espressione di implorazione della giapponese che rimette nelle mani dell'infermiera la salviettina in un chiaro invito.
L'infermiera si apre in un candido sorriso. Devo dire che non la conoscevo sotto questo aspetto e ora la ammiro molto di più.
Il ginecologo è alla sua scrivania, inforca gli occhiali e mette giù il referto, mentre l'infermiera, lasciata la salviettina, con due dita scorre la vulva scura della paziente. Alcune carezze sul clitoride, ingiustamente escluso dalla festa e finalmente rivalutato, poi riprendendo con la sinistra la mano della paziente, con la destra infila tre dita profondamente nella vagina della ragazza che era rimasta a tre quarti del percorso e si trovava in un momento di stallo e con alcune lente e morbide penetrazioni la conduce all'orgasmo.
La nipponica si contorce in uno spasmo trattenendo il respiro per non farsi sentire.
Gli addominali si contraggono e la bocca morde la salviettina accompagnando le ultime contrazioni del ventre.
La mano libera dell'infermiera sostiene il busto della paziente e quando questa finalmente si rilassa tornando a sdraiarsi sul lettino, le somministra due affettuose carezze al seno che, senza reggiseno e gonfio sotto la maglietta, reclamava attenzioni.
Poi la ragazza si rialza ansimando e si mette seduta. Uno sguardo fra le gambe la rende partecipe di una colata di vischio trasparente su una delle cosce.
Una rapida occhiata al medico chino sulla tastiera del computer e le due donne si scambiano un fugace bacio sulle labbra.
Poi la giapponese fodera le mutandine di fazzolettini di carta, per non rischiare di lasciare per strada una scia come una lumaca.
Un lesto scambio di numeri di telefono avviene all'oscuro del ginecologo e poi, con le ultime incontenibili scosse del bacino, la nipponica ringrazia con le mani giunte e un inchino del capo e si allontana dallo studio.
Io me ne resto beato, avvolto di muco profumato, a sognare la prossima visita della paziente, il prossimo tuffo nei caldi e ubertosi mari dell'arcipelago giapponese.
Sì, capisco che alla maggior parte delle persone questa parola suoni vuota o misteriosa, ma secondo altre e anche secondo una buona parte della strumentazione utilizzata in diagnostica medica, io faccio il più bel lavoro del mondo.
Eh già, sì, è vero, sono uno strumento, un essere inanimato.
Eppure anche noi possiamo parlare e, a contatto con gli esseri umani, ascoltando il loro linguaggio, impariamo eccome!
Vi sembrerà strano, anzi, irrazionale, impossibile!
Eppure è vero. Non solo. Con qualche aiuto riusciamo anche a scrivere, e la riprova è che io in questo momento vi sto scrivendo. Ovvio, grazie all'aiuto e all'intermediazione del mio amico computer. Il quale sa anche connettersi a internet e mandare messaggi.
È evidente e sensato che questa nostra attività sia segreta e che in alcun modo debba interferire con le attività umane, ed è per questo che notoriamente nel genere umano sia risaputo che gli oggetti non parlino e non siano capaci di esprimersi.
Ma questa volta, e solo per voi, lettori di Erotici Racconti, mi voglio sfogare e voglio esprimermi.
D'altra parte su questo stesso sito di racconti erotici hanno già fatto sentire la loro voce anche reggiseni e mutandine da donne.
In ogni caso questa mia uscita non interferirà in alcun modo con lo studio di ginecologia in cui lavoro. I medici e gli infermieri non sapranno nulla, tranquilli. Non voglio sovvertire l'ordine delle cose e turbare il loro lieto vivere. Eccheddiamine!
Dunque, dicevo, sono uno speculum, più precisamente uno speculum vaginale di Cusco.
Per i molti che credo non sappiano in cosa consista la mia forma e il mio lavoro dovrò dare una doverosa spiegazione illustrativa.
Sono un aggeggio in metallo, nel mio caso, oppure in plastica trasparente, all'incirca della forma e delle dimensioni di un becco d'anitra, che può articolarsi e aprirsi attraverso una levetta e consentire di guardare attraverso, diciamo, dall'interno dell'anatra verso l'esterno, per mantenere il paragone.
Il mio lavoro è quello di mantenere aperte delle cavità anatomiche. Esistono infatti speculum anche per le narici e altri orifizi meno nobili.
Che ci faccio all'interno di uno studio ginecologico?
Be', modestia a parte, sono forse il più importante strumento per un accurato esami ginecologico: l'ispezione e la colposcopia.
Le donne in età fertile, quelle che si sottopongono a visite ginecologiche periodiche mi conoscono bene.
Io vengo infilato nelle passere e le tengo belle aperte perché gli specialisti possano esaminare le pareti interne della vagina e la portio uterina.
Ecco, vorrei precisare, in questa sede, che non è tutto oro quel che luccica, ovvero che nessuna rosa è senza spine, che ogni medaglia ha il suo rovescio, e via andare.
Insomma, entrare in una vagina non sempre è la cosa più bella del mondo.
Basta pensare agli esami eseguiti in donne molto in là con l'età, o in quelle che non praticano un'accurata igiene, o peggio quelle che soffrono di infezioni purulente.
Qui si sfora nel fetish estremo o anche nel pulp, specie quando si praticano pap test (o dovrei chiamarlo pulp test?) o biopsie.
Ma in verità, quando noi speculum (i latinisti e gli eruditi come Margie preferirebbero “specula”) veniamo invidiati e amiamo il nostro lavoro è perché si allude a ben altre situazioni.
Già.
Chi tra voi non vorrebbe essere al mio posto se una bionda stratosferica di uno e settantasette venisse nel mio studio per fare un esame di base? Una biondona tipo Browserfast?
O chi si tirerebbe indietro di fronte a un contatto diretto e ravvicinato con un campionario di piercing clitoridei e vulvari come mi immagino possa capitare con Margie?
O di fronte a una focosa emiliana, una di quelle rare e preziose donne che solo all'idea di uno speculum che le entri in vagina e la dilati, si bagnano di secrezioni vischiose al punto da rendere inutile il gel lubrificante che talvolta si usa per rendere meno spiacevole l'esame?
Sì, la veemente e aggressiva Serena Rossi!
E trovarsi tra le cosce di Lucrezia? Ma dico, vogliamo parlarne?
Stiamo scherzando?
Eccheddiamine!
E Silvia Righetti? Yuba? LanA?
Le possibilità sono infinite. Ragazzi, lettrici saffiche, amiche bsx, autori e lettori arrapati di passera, date retta a me, cambiate lavoro!
Uno speculum si sveglia al mattino, si alza, bello pulito, luccicante di seducenti riflessi cromatici meglio di una Harley-Davidson, si stiracchia, si prepara al suo onesto lavoro e si chiede cosa gli toccherà quella mattina.
E, nelle mani di un buon ginecologo, si avvicina a una bella ragazza nuda, con le cosce oscenamente spalancate, allargate sul lettino da ginecologo, in una posizione che, mamma mia!
La passera en plein air, à la belle étoile, insomma la figa per aria, ai quattro venti.
Pelo o non pelo che sia, si prende di mira, la vulva già bella aperta, quelle deliziose piccole labbra che sembrano implorarti, arricciate o appiccicate, scure o chiare e zaaack!
Una sola passata di dita del ginecologo per allargare l'entrata, manovra in genere molto apprezzata dalle pazienti, e io mi infilo dentro la passera, talvolta accompagnato da un lungo sospiro che si spegne alle mie spalle. In qualche occasione, sento parlare i medici specialisti, con un corollario di esplicito mordersi del labbro inferiore delle pazienti che, a parte il freddo del metallo, accolgono di buon grado il mio deciso incedere e lo stiramento sulle pareti vaginali.
Quando poi mi dilato... be', quello è un piacere reciproco. La ragazza in questione sente le pareti mie aderire, estendere e stuzzicare le pareti sue, e, mentre il ginecologo fa la figura del guardone, io e la paziente ce la godiamo in una simbiosi di piacere e soddisfazione.
“Dottore, è sicuro di aver posizionato bene lo strumento? Sa... non vorrei che si dislocasse, o che alcune porzioni della parete vaginale non fossero ben evidenziate! Ecco, riprovi, mmmh, provi ancora, così... ancora un poco... aahhh! Una volta ancora, la prego! Ci tengo che l'esame venga bene. Aaahhh! Bravo dottore, bravo il mio dottorino, mi scopi bene con questo attrezzo paradisiaco!”
E io dentro, a contatto diretto. Io che sento spingere e stringere, io che mi rivesto di muco e secrezioni filanti e odorose, io che sento i sospiri dall'interno, le vibrazioni, i singulti più nascosti.
Io che vedo il collo dell'utero e la portio uterina palpitare, estendersi, protendersi verso l'oggetto che ne penetra il vestibolo, io che sento le vampate di calore della mucosa vaginale che si irrora di sangue nell'eccitazione, nell'amplesso, nell'unione carnale!
Scusate, mi sono spinto oltre. Carnale proprio non è. Sono e resto un oggetto di metallo, al massimo di plastica. Dotato di anima sì, eccheddiamine! Ma incapace o, meglio, impossibilitato a esprimermi. Certo che un vibratore, in quelle occasioni potrebbe fare la differenza, ma proprio in uno studio ginecologico questo strumento non potrebbe entrarci.
Però me lo potrei immaginare.
“Che visita che ho fatto in quello studio! Che visita, amiche mie! Non potete immaginare! NON POTETE! Non vedo l'ora di tornarci!”
Direbbero le pazienti, o forse solo alcune.
“Be', la visita va fatta, per carità. Però in quello studio... Insomma, te la rendono piacevole! Bravo quel dottore. Attrezzi moderni, up to date, sempre all'avanguardia. E poi quella specie di doppler intravaginale. Non ho ben capito. Un attrezzo che vibra e che emette ultrasuoni. Una visita accuratissima, immagini spettacolari. Ma quella vibrazione... be' faccio breve una storia lunga. Il ginecologo mi fa il doppler con la sonda intravaginale, un attrezzino arrotondato che ti riempie tutta la passera e che vibra come un ossesso, un cilindretto smusso che pareva posseduto dal demonio; io cerco di resistere, mi mordo le labbra, ma poi non ce la faccio più e parto con un orgasmo che sparo una squirtata fino a metà studio. Lui, bravissimo a schivare, si è spostato al pelo, se no lo sfregiavo al volto. Sembrava una scena di Matrix. Solo allora ho capito perché aveva fatto desonorizzare lo studio. Ve lo garantisco, un mago, uno avanti un anno luce rispetto agli altri.
Insomma com'è come non è l'esame andava rifatto. E io di nuovo urla e gemiti, una roba da vergognarmi, ma al terzo tentativo il poveraccio ce l'ha fatta. Ve lo dico io. Un vero professionista!”
Eeeh, magari. Ma questo tipo di ecodoppler non è ancora disponibile negli studi di medicina tradizionale. Forse in un futuro prossimo...
Dicono che tutti nascono con la stessa passione, ma solo chi si applica e persevera diventa ginecologo. Arriverà anche il giorno della sonda ecodoppler vaginale a turbina ad alta velocità, sono sicuro che ci stanno già lavorando.
“Unire l'utile al dilettevole” questo è il motto del buon ginecologo.
Ma sto divagando.
Volevo dire, in realtà, che una mattina in cui anch'io mi stavo preparando al mio onesto lavoro, capita in studio una donna di razza orientale. Non sono poi così rare, ma in genere sono filippine, al massimo qualche cinesina, anche se quelle in genere si fanno vedere dai loro medici in China Town.
Le filippine sono rotondette e hanno delle passere tonde e grassocce. Sono bassotte, le gambe stanno a fatica sugli appoggi del lettino ginecologico, sembra quasi di squartarle. Fanno di quelle spaccate che neanche Carla Fracci nei suoi migliori momenti. Forse Nadia Comaneci.
Questa invece era alta e slanciata. Io non me ne intendo, non lavoro in uno studio di chirurgo maxillofacciale, ma mi sembrava proprio che avesse un visino molto piacevole.
Giapponese, sento pronunciare dall'infermiera.
Una passera giapponese mi mancava, e si che lavoro già da qualche anno.
Quella si spoglia, si sfila le mutandine, ma si vergogna e si copre con le mani.
L'infermiera sorride e l'accompagna sul lettino ginecologico e le mani, be' quelle le ha dovute spostare e cosa mi si presenta?
Io ero lì in attesa, sul tavolino metallico degli attrezzi, su una traversa verde e mi vedo quella passerotta con solo un ciuffetto di peli ben curati. Non quei boschi ispidi che capita a volte di vedere. Quelle foreste di fronde impenetrabili, intrighi di peli ricci e annodati.
Una criniera da puledra, peli dritti e soffici, manco li avesse pettinati e passati col balsamo.
Un bel nero corvino.
Apre le gambe, lunghe, lunghissime e affusolate e la appoggia sugli appositi sostegni. Non faccio commenti sulle autoreggenti, non è questo l'argomento, anche se probabilmente questa è la sede appropriata.
Allarga le cosce e si mostra una vulva accattivante, le piccole labbra si aprono con lo schiocco di un bacio, ma forse questo particolare me lo sono inventato io. A me è sembrato, ne sono sicuro, eppure non potrei giurarci.
I peli finiscono giusto alle grandi labbra, poco oltre l'inizio, non come quelle donne irsute con una sciabolata di vello che continua fino a dietro e chissà fin dove.
Le piccole labbra scurissime e finemente arricciate, due more succose, due fettine di bresaola affumicata, due fette di Sacher al cioccolato. Ecco, lo sapevo che non dovevo scrivere all'ora di pranzo.
Uno spettacolo, una piccola orchidea che sembrava pulsare, che si gonfiava a ogni respiro, che mi attendeva fremente.
Mi aspettavo che il ginecologo, invece di un poco di gel, le assestasse una bella leccata piena di saliva. In fondo siamo in uno studio bio e utilizziamo solo emollienti e prodotti naturali, ma quello no, non ci arriva e con le dita le dà comunque una bella passata umida di gel che provoca alla paziente una reazione che non passa inosservata.
Chiude gli occhi a apre la bocca con un sospiro molto esplicativo. La paziente è pronta all'introduzione. A questo punto uno speculum o un pene farebbe per lei poca differenza, ma sta di fatto che invece la scena ora è mia.
Freddo, sarò anche freddo, ma bello tondo e sinuoso, largo e dilatante, quello lo sono. Posso garantire.
Il ginecologo mi raccoglie dal tavolino, mi dà una lubrificata, prende la mira come un picador su un caballo de picar nell'arena di Madrid (per inciso sono estremamente contraria alle corride NdA), mi avvicina alla vulva e...
Un paio di passate per farsi bene strada tra le piccole labbra provocano un gemito mal represso della paziente, e poi, trovato l'ingresso della vagina, vengo infilato con lentezza ma decisione.
Prima di introdurmi tutto dentro faccio in tempo a percepire distintamente un vocalizzo strozzato della ragazza che non riesce a nascondere di aver apprezzato in modo convincente l'inizio dell'esame. Un “Aaaaaahhhhh!” con una lunga serie di “H” come se stesse esalando l'anima a ogni centimetro che io guadagnavo nella sua vagina grondante di secrezioni fortemente evocative di un incontrovertibile stato di benessere.
Ed eccomi al calduccio. Una sensazione di corroborante immersione calda come voi lettori potreste provare immergendovi in una vasca da bagno satura di profumi e lussureggiante di morbide schiume.
Una sensazione avvolgente e protettiva.
Profumi d'oriente esaltano il noto sentore di vagina eccitata, sfumature inedite che fanno del mio lavoro un'avventura di continua scoperta.
Il ginecologo aziona la levetta e le mie valve si espandono come una ostrica perlifera che esibisce il suo prezioso gioiello in un mare dell'oriente.
Le mie pareti aderiscono e dilatano la vagina giapponese e, pur non potendo apprezzare manifestazioni sonore che forse si saranno espresse negli ambienti esterni, percepisco con definita chiarezza una contropulsazione che mi avvolge e mi stritola.
La muscolatura pelvica della ragazza mi comprime ritmicamente, mi abbraccia e mi stringe, mi accarezza e mi liscia, e una copiosa manna mi percola abbondante e soverchiante.
L'esame procede veloce e non so se questo sia stato un bene o un maleficio, perchè la ragazza stava per esplodere in un orgasmo che forse mi avrebbe eiettato fuori dalla finestra dello studio, precipitando proprio sul marciapiede sottostante con mio inevitabile imbarazzo.
Sta di fatto che quando vengo estratto da quel paradiso di tepore e umidità, la ragazza è molle e rilassata. Un franco gemizio è colato dalla vulva sul lenzuolo del lettino e il ginecologo è soddisfatto almeno quanto la paziente.
Il medico si allontana con un velo di imbarazzo, mentre l'infermiera, più pietosa e solidale, lascia dalla propria mano quella paziente dopo essere stata stritolata come nelle spire di un boa constrictor e porge una salviettina alla nipponica.
“Si asciughi signorina” la invita come sussurrando.
Ma ora sono anch'io all'esterno, grondante sul panno verde dell'ospedale su cui ho lasciato una sorprendente chiazza scura e riesco a scorgere distintamente l'espressione di implorazione della giapponese che rimette nelle mani dell'infermiera la salviettina in un chiaro invito.
L'infermiera si apre in un candido sorriso. Devo dire che non la conoscevo sotto questo aspetto e ora la ammiro molto di più.
Il ginecologo è alla sua scrivania, inforca gli occhiali e mette giù il referto, mentre l'infermiera, lasciata la salviettina, con due dita scorre la vulva scura della paziente. Alcune carezze sul clitoride, ingiustamente escluso dalla festa e finalmente rivalutato, poi riprendendo con la sinistra la mano della paziente, con la destra infila tre dita profondamente nella vagina della ragazza che era rimasta a tre quarti del percorso e si trovava in un momento di stallo e con alcune lente e morbide penetrazioni la conduce all'orgasmo.
La nipponica si contorce in uno spasmo trattenendo il respiro per non farsi sentire.
Gli addominali si contraggono e la bocca morde la salviettina accompagnando le ultime contrazioni del ventre.
La mano libera dell'infermiera sostiene il busto della paziente e quando questa finalmente si rilassa tornando a sdraiarsi sul lettino, le somministra due affettuose carezze al seno che, senza reggiseno e gonfio sotto la maglietta, reclamava attenzioni.
Poi la ragazza si rialza ansimando e si mette seduta. Uno sguardo fra le gambe la rende partecipe di una colata di vischio trasparente su una delle cosce.
Una rapida occhiata al medico chino sulla tastiera del computer e le due donne si scambiano un fugace bacio sulle labbra.
Poi la giapponese fodera le mutandine di fazzolettini di carta, per non rischiare di lasciare per strada una scia come una lumaca.
Un lesto scambio di numeri di telefono avviene all'oscuro del ginecologo e poi, con le ultime incontenibili scosse del bacino, la nipponica ringrazia con le mani giunte e un inchino del capo e si allontana dallo studio.
Io me ne resto beato, avvolto di muco profumato, a sognare la prossima visita della paziente, il prossimo tuffo nei caldi e ubertosi mari dell'arcipelago giapponese.
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